Telegrammi. 295
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- Date: Fri, 27 Aug 2010 02:01:08 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 295 del 27 agosto 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal
Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della
nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Peppe Sini: Il punto
2. Insorgere contro la guerra
3. Luigi Sandri: Il mondo ha bisogno di nonviolenza
4. Galia
Golan: Perche' sono ottimista
5.
Norberto Bobbio: Una definizione di "disobbedienza
civile"
6. Il 25 agosto si e' svolto a Blera un incontro di formazione alla
comunicazione nonviolenta
7. Il
cinque per mille al Movimento Nonviolento
8.
"Azione nonviolenta"
9.
Segnalazioni librarie
10. La "Carta" del Movimento
Nonviolento 11. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL PUNTO
Il punto non e': comodamente predisporsi ad opporsi
in futuro alle nuove misure razziste annunciate dal ministro
dell'interno.
Il punto e': insorgere adesso - con la forza della
verita', con la scelta della nonviolenza - contro il colpo di stato
razzista gia' avvenuto.
Da un anno viviamo in un regime hitleriano, di cui
milioni di migranti e di viaggianti del tutto innocenti sono gia'
vittime.
Dimissioni immediate del governo fuorilegge del
colpo di stato razzista.
Abolizione immediata delle incostituzionali misure
razziste, schiaviste, squadriste, deportatrici, persecutrici e
assassine.
Ritorno immediato alla legalita'
costituzionale.
Vi e' una sola umanita'. 2. EDITORIALE. INSORGERE CONTRO LA GUERRA
Nell'indifferenza generale l'Italia continua a
partecipare alla guerra in Afghanistan.
L'Italia continua a partecipare del
tutto illegalmente alla commissione del piu' atroce crimine contro
l'umanita': la guerra. La guerra che la legge fondamentale del nostro
ordinamento giuridico esplicitamente ripudia: recita infatti l'articolo 11 della
Costituzione della Repubblica Italiana che "L'Italia ripudia la guerra come
strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione
delle controversie internazionali".
Cosa si attende a insorgere contro la
guerra?
Cosa si attende a insorgere per ripristinare la
vigenza della legalita' costituzionale?
Cosa si attende a insorgere, con la forza della
verita', con la scelta della nonviolenza, per affermare il diritto di ogni
essere umano a non essere ucciso?
3. LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA. LUIGI SANDRI: IL
MONDO HA BISOGNO DI NOVIOLENZA
[Ringraziamo Luigi Sandri per questo intervento,
scaturito da una richiesta di Paolo Arena e Marco Graziotti, che anch'essi
ringraziamo.
Luigi Sandri, giornalista e scrittore, nato a
Tuenno, in Val di Non, nel 1939, gia' corrispondente dell'Ansa da Mosca e Tel
Aviv, vaticanista dell’"Ecumenical News International" di Ginevra, de "L'Adige"
di Trento e de "Il Mattino di Bolzano", redattore di "Confronti", esperto
della questione mediorientale, autorevole commentatore e
collaboratore di vari quotidiani e riviste, partecipe dei movimenti
che si impegnano per una profonda riforma della Chiesa cattolica nella direzione
indicata dal Concilio Vaticano II, e' da sempre impegnato per la pace e i
diritti umani di tutti gli esseri umani. Tra le opere di Luigi Sandri: Dio in
Piazza Rossa. Il ruolo dei cristiani nell'Urss della perestojka, 1991; L'ultimo
papa re. Wojtyla, breve storia di un pontificato controverso, Datanews, Roma
1996; Citta' santa e lacerata. Gerusalemme per ebrei, cristiani, musulmani.
Editrice Monti, Saronno 2001; Cronache dal futuro, Gabrielli, San Pietro in
Cariano (Vr) 2008]
Ritengo che oggi piu' che mai il mondo abbia
bisogno di nonviolenza, al fine di superare, con saggezza e rettitudine, le
tensioni internazionali e giungere a risolvere, senza guerre, i problemi
pendenti.
Le persone, donne e uomini, e i movimenti impegnati, in teoria e nella prassi, nella e con la nonviolenza, sono da ammirare, sostenere e, possibilmente, imitare: sono i profeti e le profetesse del nostro tempo difficile e doloroso ma, anche, percorso da potenti raggi di luce e di speranza. In particolare - pensando al Medio Oriente, cruciale zona del mondo e crocevia della pace o della guerra - ritengo che esempi, testimoni e messaggeri della nonviolenza dovrebbero essere quelle e quelli che si riferiscono all'Ebraismo, al Cristianesimo e all'Islam. Se le religioni - come spesso e' accaduto nella storia e come ancor oggi spesso accade - benedicono la violenza, come potra' mai esserci la pace? Se l'Altissimo e' invocato per la guerra, come potremo sperare nella riconciliazione tra popoli in contrasto da decenni e/o da secoli? Se, in negativo, appelli religiosi che spronano alla violenza sono devastanti, in positivo, ove e quando le religioni invitano alla riconciliazione, alla mitezza, alla pace, esse diventano un vento potente che aiuta a sciogliere nodi inestricabili e ad imboccare la strada degli accordi diplomatici e politici necessari per sanare interminabili conflitti. La nonviolenza dovrebbe essere la cifra delle relazioni internazionali, in un mondo diventato adulto che geneticamente sa di dover ripudiare la guerra; e, in questo grande concerto, io penso, una radicale scelta nonviolenta dovrebbe, in particolare, caratterizzare le religioni del Libro. Altrimenti i demoni della violenza imporranno il loro dominio. 4. RIFLESSIONE. GALIA GOLAN: PERCHE' SONO OTTIMISTA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente intervento di Galia Golan del 17 agosto 2010. Galia
Golan e' un'intellettuale femminista e pacifista israeliana, scrittrice,
docente di scienze politiche, giornalista, cofondatrice di Bat Shalom (www.batshalom.org) e di Peace Now (www.peacenow.org)] All'interno
di Israele la situazione e' la peggiore che si sia mai vista, per molti
aspetti sembra persino senza speranza. Abbiamo una coalizione di estrema
destra al governo, con un primo ministro che ha una maggioranza enorme nella
Knesset e nessun altro interesse che non sia il restare al potere. Allo stesso
tempo, la leadership palestinese e' debole, e lotta per ottenere sostegno
mentre Hamas controlla Gaza con la forza e minaccia di guadagnare posizioni
nella West Bank. In
aggiunta, non vi e' in corso un processo di pace e Netanyahu rifiuta di
accettare qualsiasi progresso sia stato fatto nelle passate negoziazioni, e
aggiunge condizioni per la cosiddetta pace come lui la intende. Sommate a questo
un non cosi' sottile indebolimento della democrazia interna ad Israele e la
sensazione diffusa di disperata indifferenza, e cioe' la diffusa opinione
secondo cui la pace non sarebbe possibile. Ma io
credo che in qualche modo noi si sia piu' vicini alla pace ora di quanto lo
fossimo quando vennero siglati gli Accordi di Oslo nel 1993. Lasciate che
spieghi. In primo
luogo oggi, e in modo consistente da ormai parecchi anni, la maggioranza degli
israeliani e' a favore dell'opzione che prevede due stati, convenendo che
uno stato palestinese accanto allo stato di Israele sia la sola soluzione.
Ricordo che all'inizio degli anni '90 la maggioranza degli israeliani non
credeva neppure che esistesse qualcosa come “il popolo palestinese”, e solo il
2% era a favore della creazione di uno stato palestinese. Oggi non solo la
maggioranza degli israeliani ma persino il governo di destra sostiene
questo. Allo
stesso modo, sino al 1988 i palestinesi cercavano il completo mandato sulla
Palestina, ma in quell'anno si accordarono per limitare la loro richiesta a solo
il 22% di quell'area e pensarono ad uno stato fatto della West Bank e di Gaza: a
fianco di Israele, invece che al posto di Israele. Solo fino a poche settimane
fa, il governo, i tribunali e l'opinione pubblica guardavano alla “linea verde”
(il confine pre-1967) come alla linea guida per i futuri accordi sul confine,
con il principio di scambi di territorio accettati come modo di sistemare quanti
piu' coloni possibile soddisfacendo allo stesso tempo la richiesta palestinese
di un territorio contiguo eguale all'area della West Bank prima del 1967.
Possiamo aggiungere, ai progressi compiuti, i piani fatti per trasformare
Gerusalemme nella capitale di ambo gli stati, piani su cui ci si e' trovati
persino d'accordo durante le passate negoziazioni, e lo smantellamento di alcuni
insediamenti. Inoltre,
Israele ha accordi di pace molto solidi con i suoi vicini, Egitto e Giordania,
accordi che hanno prodotto cooperazione sulla sicurezza ed altre questioni, e la
Siria sta tentando di condurre Israele ad un trattato di pace da un bel po' di
anni, ed e' andata vicina ad ottenerlo durante gli ultimi mesi del governo
Olmert. Infine,
una delle cose piu' promettenti e' l'Iniziativa araba per la pace del 2002,
con cui la Lega Araba (22 stati piu' i palestinesi) propone la pace, la fine del
conflitto, la sicurezza e relazioni normali con Israele una volta che
quest'ultimo si sia ritirato dai territori del 1967 ed uno stato palestinese sia
stato creato. L'Iniziativa, pubblicamente sostenuta da tutti i 57 membri della
Conferenza Islamica, Iran incluso, contiene anche nuove formule, piu'
flessibili, rispetto alla questione dei rifugiati. Cio' e' ben distante
dalla posizione della Lega Araba nel 1967, in cui essa rigettava persino il
riconoscimento di Israele. Percio', stante tutto questo, io credo ci sia speranza: nel momento in cui avremo una leadership del tipo di quella di Rabin. Il che significa una leadership che abbia la volonta' di fare un accordo. Sarebbe facile e veloce adottare i piani su cui si e' gia' lavorato nelle precedenti negoziazioni. Sono piani che si propongono di mettere fine all'occupazione e creare uno stato indipendente palestinese, e che avrebbero il sostegno non solo del popolo palestinese ma della Lega Araba: qualcosa che Hamas troverebbe impossibile sfidare. Ecco perche' sono ottimista.
5. RIFLESSIONE. NORBERTO BOBBIO: UNA
DEFINIZIONE DI "DISOBBEDIENZA CIVILE" [Riproponiamo ancora una volta il seguente articolo di Norberto Bobbio (scritto molti anni fa, il lettore ne tenga conto), tratto dal Dizionario di politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Utet, Torino 1976, 1983, Tea, Milano 1990, 1992, pp. 316-320. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909 ed e' deceduto nel 2004, antifascista, filosofo della politica e del diritto, autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace, e' stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del XX secolo. Tra le opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti presso l'editore Passigli, Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993. Tra le opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000; AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; AA. VV., Norberto Bobbio maestro di democrazia e di liberta', Cittadella, Assisi 2005; AA. VV., Lezioni Bobbio, Einaudi, Torino 2006. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti (www.erasmo.it/gobetti)]
I. Obbedienza e
resistenza Per comprendere che cosa s'intende
per "disobbedienza civile" bisogna partire dalla considerazione che il dovere
fondamentale di ogni persona soggetta a un ordinamento giuridico e' il dovere di
obbedire alle leggi. Questo dovere e' chiamato obbligo politico. L'osservanza
dell'obbligo politico da parte della grande maggioranza dei soggetti, ovvero la
generale e costante obbedienza alle leggi, e' insieme la condizione e la prova
della legittimita' dell'ordinamento, se per "potere legittimo" s'intende
weberianamente quel potere i cui comandi vengono, in quanto comandi, cioe'
indipendentemente dal loro contenuto, obbediti. Per la stessa ragione per cui un
potere che pretende di essere legittimo incoraggia l'obbedienza, scoraggia la
disobbedienza: mentre l'obbedienza alle leggi e' un obbligo, la disobbedienza e'
un illecito e come tale variamente punita. La "disobbedienza civile" e' una
forma particolare di disobbedienza, in quanto viene messa in atto allo scopo
immediato di mostrare pubblicamente l'ingiustizia della legge e allo scopo
mediato di indurre il legislatore a mutarla; come tale viene accompagnata da
parte di chi la compie con tali giustificazioni da pretendere di essere
considerata non soltanto come lecita ma anche come doverosa, e da esigere di
essere tollerata, a differenza di qualsiasi altra trasgressione, dalle pubbliche
autorità. Mentre la disobbedienza comune e' un atto che disintegra l'ordinamento
e quindi deve essere impedita o rimossa affinche' l'ordinamento venga
reintegrato nel suo pristino stato, la disobbedienza civile e' un atto che mira
in ultima istanza a mutare l'ordinamento, e' insomma un atto non distruttivo ma
innovativo. Si chiama "civile" appunto perche' chi la compie ritiene di non
commettere un atto di trasgressione del proprio dovere di cittadino, ma anzi
ritiene di comportarsi da buon cittadino in quella particolare circostanza
piuttosto disubbidendo che ubbidendo. Proprio per questo suo carattere
dimostrativo e per questo suo fine innovativo, l'atto di disobbedienza civile
tende ad avere il massimo di pubblicita'. Questo carattere della pubblicita'
serve a contraddistinguere nettamente la disobbedienza civile dalla
disobbedienza comune: mentre il disobbediente civile si espone al pubblico, e
solo esponendosi al pubblico puo' sperare di raggiungere il proprio scopo, il
deviante comune deve, se vuole raggiungere il proprio scopo, compiere l'atto nel
massimo segreto. Le circostanze in cui i fautori
della disobbedienza civile ritengono venga meno l'obbligo dell'obbedienza e ad
esso subentri l'obbligo della disobbedienza sono sostanzialmente tre: il caso
della legge ingiusta, il caso della legge illegittima (cioe' emanata da chi non
ha il potere di legiferare), e il caso della legge invalida (o
incostituzionale). Secondo i fautori della disobbedienza civile, in tutti questi
casi la legge non e' vera e propria legge: nel primo caso non lo e'
sostanzialmente, nel secondo e nel terzo non lo e' formalmente. L'argomento
principale di costoro e' che il dovere (morale) di ubbidire alle leggi esiste
nella misura in cui viene rispettato dal legislatore il dovere di emanare leggi
giuste (cioe' conformi ai principi di diritto naturale o razionale, ai principi
generali del diritto o come altrimenti li si voglia chiamare) e costituzionali
(cioe' conformi ai principi sostanziali e alle regole formali previste dalla
costituzione). Tra cittadino e legislatore esisterebbe un rapporto di
reciprocita': se e' vero che il legislatore ha diritto all'obbedienza, e'
altrettanto vero che il cittadino ha diritto a essere governato saggiamente e
secondo le leggi stabilite. * II. Varie forme di
resistenza Il problema se sia lecito
disubbidire alle leggi, in quali casi, entro quali limiti e da parte di chi, e'
un problema tradizionale che e' stato oggetto d'infinite riflessioni e discussioni tra filosofi,
moralisti, giuristi, teologi, ecc. L'espressione "disobbedienza civile" che vi
si riferisce e' invece moderna ed e' entrata nell'uso corrente attraverso gli
scrittori politici anglosassoni, a cominciare dal classico saggio di Henry David
Thoreau, Civil Disobedience (1849); nel quale lo scrittore americano dichiara di
rifiutare il pagamento delle tasse al governo che le impiega per fare una guerra
ingiusta (la guerra contro il Messico), affermando: "il solo obbligo che io ho
il diritto di assumere e' di fare a ogni momento cio' che io ritengo giusto"; e
quindi, di fronte alla conseguenza del proprio atto che potrebbe condurlo in
prigione, risponde: "Sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il
vero posto per un uomo giusto e' in prigione". In senso proprio la disobbedienza
civile e' soltanto una delle situazioni in cui la violazione della legge viene
considerata, da chi la compie o ne fa la propaganda, eticamente giustificata. Si
tratta delle situazioni che vengono di solito comprese dalla tradizione
prevalente di filosofia politica sotto la categoria del diritto alla resistenza.
Alessandro Passerin d'Entreves ha distinto otto diversi modi di comportarsi del
cittadino di fronte alla legge: I. obbedienza consenziente; II. ossequio
formale; III. evasione occulta; IV. obbedienza passiva; V. obiezione di
coscienza; VI. disobbedienza civile; VII. resistenza passiva; VIII. resistenza
attiva. Le forme tradizionali di resistenza alla legge cominciano
dall'obbedienza passiva e terminano con la resistenza attiva: la disobbedienza
civile, nel suo significato ristretto, e' una forma intermedia. Seguendo il
Rawls, il d'Entreves la definisce come un'azione illegale, collettiva, pubblica
e non violenta, che si appella a principi etici superiori per ottenere un
cambiamento nelle leggi. Le situazioni che rientrano nella
categoria generale del diritto di resistenza possono essere distinte in base a
diversi criteri, cioe' secondo che l'azione di disobbedienza sia: a) omissiva o
commissiva, consista cioe' nel non fare quel che e' comandato (per esempio il
servizio militare) o nel fare quel che e' proibito (e' il caso del negro che si
va a sedere in un locale pubblico interdetto agli uomini di colore); b)
individuale o collettiva, secondoche' sia compiuta da un individuo isolato
(tipico e' il caso dell'obiettore di coscienza, che generalmente agisce da solo
e in virtu' di un dettame della propria coscienza individuale), o da un gruppo i
cui membri condividono gli stessi ideali (ne sono esempio tipico le campagne
gandhiane per la liberazione dell'India dal dominio britannico); c) clandestina
o pubblica, ovvero preparata e compiuta in segreto, come accade e non può non
accadere nell'attentato anarchico che deve contare sulla sorpresa, oppure
proclamata prima del compimento, come sono abitualmente le occupazioni di
fabbriche, di case, di scuole, fatte allo scopo di ottenere la revoca di norme
repressive o preclusive considerate discriminanti; d) pacifica o violenta, cioe'
compiuta con mezzi non violenti, come il sit-in, e in genere ogni forma di
sciopero (s'intende dove lo sciopero e' illegale, ma anche la' dove lo sciopero
e' lecito, vi sono sempre forme di sciopero considerate illecite) oppure con
armi proprie o improprie, come accade generalmente in ogni situazione
rivoluzionaria (da notare che il passaggio dall'azione non violenta all'azione
violenta coincide spesso col passaggio dall'azione omissiva all'azione
commissiva); e) volta al mutamento di una norma o di un gruppo di norme oppure
dell'intero ordinamento; cioe' tale che non mette in questione tutto
l'ordinamento, come e' proprio dell'obiezione di coscienza all'obbligo di
prestare il servizio militare, specie in circostanze eccezionali, quale una
guerra sentita come particolarmente ingiusta (per fare un esempio recente che ha
rimesso in discussione con particolare intensita' il problema della
disobbedienza civile, la guerra del Viet-Nam) oppure tale che tende a rovesciare
l'intero sistema, come e' proprio dell'azione rivoluzionaria. inoltre, la
disobbedienza può essere, secondo una distinzione che risale alle teorie
politiche dell'eta' della riforma, passiva o attiva: e' passiva quella che e'
rivolta alla parte precettiva della legge e non alla parte punitiva, in altre
parole, quella che e' compiuta con la precisa volonta' di accettare la pena che
ne seguira', e in quanto tale, mentre non riconosce allo Stato il diritto di
imporre obblighi contro coscienza, gli riconosce il diritto di punire ogni
violazione delle proprie leggi; attiva, quella che e' rivolta contemporaneamente
alla parte precettiva e alla parte punitiva della legge, cosicche' colui che
l'effettua non si limita a violare la norma ma tenta con ogni mezzo di sottrarsi
alla pena. Combinando ognuno dei diversi
caratteri di ogni singolo criterio con tutti gli altri si ottiene un notevole
numero di situazioni che non e' qui il caso di enumerare. Tanto per fare un
esempio. L'obiezione di coscienza al servizio militare (la' dove le leggi non la
riconoscono) e' omissiva, individuale, pubblica, pacifica, parziale, e realizza
una forma di disobbedienza passiva. Per fare un altro esempio classico, il
tirannicidio e' commissivo, generalmente individuale, clandestino (cioe' non
dichiarato in anticipo), violento, totale (tende, come quello dei monarcomachi
delle guerre religiose del Cinque e Seicento o quello degli anarchici delle
lotte sociali dell'Ottocento, a un mutamento radicale dello Stato presente), e
inoltre realizza una forma di disobbedienza attiva. Venendo alla disobbedienza
civile, cosi' com'e' di solito concepita nella filosofia politica contemporanea,
che prende in considerazione le grandi campagne nonviolente di Gandhi o le
campagne per l'abolizione delle discriminazioni razziali negli Stati Uniti, essa
e' omissiva, collettiva, pubblica, pacifica, non necessariamente parziale
(l'azione di Gandhi fu certamente un'azione rivoluzionaria) e non
necessariamente passiva (le grandi campagne contro la discriminazione razziale
tendono a non riconoscere allo Stato il diritto di punire i pretesi crimini di
lesa discriminazione). * III. I caratteri specifici della
disobbedienza civile Allo scopo di distinguere la
disobbedienza civile da tutte le altre situazioni che rientrano storicamente
nella vasta categoria del diritto di resistenza, i due caratteri piu' rilevanti
tra quelli elencati sopra sono l'azione di gruppo e la non violenza. Il primo
carattere serve a distinguere la disobbedienza civile dai comportamenti di
resistenza individuale sui quali si sono soffermate generalmente le dottrine
della resistenza nella storia delle lotte contro le varie forme di abuso di
potere. Tipico atto di resistenza individuale e' l'obiezione di coscienza
(almeno nella maggior parte dei casi, in cui il rifiuto di portare le armi non
sia fatto in nome dell'appartenenza a una setta religiosa, come quella dei
Mormoni o dei testimoni di Geova) o il caso ipotizzato da Hobbes di colui che si
ribella al sovrano che lo condanna a morte e gli impone di uccidersi.
Individuale anche se fa appello alla coscienza di altri cittadini il gesto di
Thoreau di non pagare le tasse. Individuale il caso estremo di resistenza
all'oppressione, il tirannicidio. Il secondo carattere, quello della non
violenza, serve a distinguere la disobbedienza civile dalla maggior parte delle
forme di resistenza di gruppo che, a differenza di quelle individuali
(generalmente non violente), hanno dato luogo, la' dove sono state effettuate, a
manifestazioni di violenza (dalla sommossa alla ribellione, dalla rivoluzione
alla guerriglia). Se dunque si prendono in
considerazione i due criteri piu' caratterizzanti dei vari fenomeni di
resistenza, quello che distingue resistenza individuale da resistenza collettiva
e quello che distingue resistenza violenta da resistenza non violenta, la
disobbedienza civile, in quanto fenomeno di resistenza insieme di gruppo e non
violento, occupa un posto preciso e ben delimitato tra i due tipi estremi, e
storicamente piu' frequenti e anche piu' studiati, della resistenza individuale
non violenta e della resistenza di gruppo violenta. La disobbedienza civile ha
della resistenza collettiva il carattere del fenomeno di gruppo se non in certi
casi di massa, e nello stesso tempo ha della resistenza individuale il carattere
prevalente della nonviolenza: in altre parole e' un tentativo di fare respingere
dal gruppo "sedizioso" le tecniche di lotta che gli sono piu' familiari (il
ricorso alle armi proprie o improprie) e di fargli adottare comportamenti che
sono caratteristici dell'obiettore individuale (il rifiuto di portare le armi,
il non pagare le tasse, l'astenersi dal compiere un atto che ripugna alla
propria coscienza, come l'adorare dèi falsi e bugiardi,
ecc.). La disobbedienza civile, in quanto
e' una delle varie forme che puo' assumere la resistenza alla legge, e' pur
sempre caratterizzata da un comportamento che mette in atto intenzionalmente una
condotta contraria a una o a piu' leggi. Deve essere quindi ulteriormente
distinta da comportamenti, che spesso le si accompagnano e che, pur avendo lo
stesso fine di contrastare l'autorita' legittima al di fuori dei canali normali
della opposizione legale e della pubblica protesta, non consistono in una
violazione intenzionale della legge. La prima distinzione da fare e' quella tra
la disobbedienza civile e il fenomeno recente, e altrettanto clamoroso, della
contestazione, anche se spesso la contestazione sia sfociata in episodi di
disobbedienza civile. Il miglior modo di distinguere disobbedienza civile da
contestazione e' di ricorrere ai due rispettivi contrari: il contrario di
disobbedienza e' obbedienza, il contrario di contestazione e' accettazione. Chi
accetta un sistema lo ubbidisce, ma si puo' ubbidirlo anche senza accettarlo
(anzi la maggior parte dei cittadini ubbidisce per forza d'inerzia o per
abitudine o per imitazione o per una vaga paura delle conseguenze di
un'eventuale infrazione, senza peraltro essere convinta che il sistema cui
ubbidisce sia il migliore dei sistemi possibili). Di conseguenza, la
disobbedienza in quanto esclude l'ubbidienza costituisce un atto di rottura
contro l'ordinamento o una sua parte; la contestazione in quanto esclude
l'accettazione (ma non l'obbedienza) costituisce un atto di critica che mette in
questione l'ordinamento costituito o una sua parte ma non lo mette
effettivamente in crisi. Mentre la disobbedienza civile si risolve sempre in una
azione se pur soltanto dimostrativa (come lo stracciare la cartolina di chiamata
alle armi), la contestazione si realizza in un discorso critico, in una protesta
verbale, nell'enunciazione di uno slogan (non a caso il luogo dove si esplica
piu' frequentemente l'atteggiamento contestativo e' l'assemblea, cioe' un luogo
dove non si agisce ma si parla). L'altro comportamento che conviene distinguere
dalla disobbedienza civile e' quello della protesta sotto forma non di discorso
ma di azione esemplare, come il digiuno prolungato, o il suicidio pubblico
mediante forme clamorose di autodistruzione (come il darsi fuoco dopo essersi
cosparsi il corpo di materie infiammabili). Anzitutto queste forme di protesta
non sono, come la disobbedienza, illegali (se si puo' discutere la liceita' del
suicidio, non e' certo discutibile la liceita' di digiunare dal momento che non
esiste l'obbligo giuridico di mangiare), e in secondo luogo mirano allo scopo di
modificare una azione della pubblica autorita' considerata ingiusta non
direttamente, cioe' facendo il contrario di quel che dovrebbe essere fatto, ma
indirettamente, cioe' cercando di suscitare un sentimento di riprovazione o di
esecrazione contro l'azione che si vuol combattere. * IV. La disobbedienza civile e le sue
giustificazioni La disobbedienza civile e', come si
e' detto all'inizio, un atto di trasgressione della legge che pretende di essere
giustificato e quindi trova in questa giustificazione la ragione della propria
differenziazione da tutte le altre forme di trasgressione. La fonte principale
di giustificazione e' l'idea originariamente religiosa, in seguito laicizzata
nella dottrina del diritto naturale, di una legge morale, che obbliga ogni uomo
in quanto uomo, e come tale indipendentemente da ogni coazione, e quindi in
coscienza, distinta dalla legge posta dall'autorita' politica, che obbliga
soltanto esteriormente e, se mai in coscienza, soltanto nella misura in cui e'
conforme alla legge morale. Ancora oggi i grandi movimenti di disobbedienza
civile, da Gandhi a Martin Luther King, hanno avuto una forte impronta
religiosa. Disse una volta Gandhi a un tribunale che doveva giudicarlo per un
atto di disobbedienza civile: "Oso fare questa dichiarazione non certo per
sottrarmi alla pena che mi dovrebbe essere inflitta, ma per mostrare che io ho
disubbidito all'ordine che mi era stato impartito non per mancanza di rispetto
alla legittima autorita', ma per ubbidire alla legge piu' alta del nostro
essere, la voce della coscienza" (Autobiography, Parte V, cap.
XV). L'altra fonte storica di
giustificazione e' la dottrina d'origine giusnaturalistica, poi trasmessa alla
filosofia utilitaristica dell'Ottocento, che afferma la preminenza
dell'individuo sullo Stato, onde deriva la duplice affermazione che l'individuo
ha alcuni diritti originari e inalienabili, e che lo Stato e' un'associazione
creata dagli stessi individui per comune consenso (il contratto sociale) per
proteggere i loro diritti fondamentali e assicurare la loro libera e pacifica
convivenza. Il grande teorico del diritto di resistenza, John Locke, e'
giusnaturalista, individualista, contrattualista, e considera lo Stato come
un'associazione sorta dal comune consenso dei cittadini per la protezione dei
loro diritti naturali. Cosi' egli esprime il proprio pensiero: "Il fine del
governo e' il bene degli uomini; e che cosa e' meglio per l'umanita': che il
popolo si trovi sempre esposto all'illimitata volonta' della tirannide o che i
governanti si trovino talvolta esposti all'opposizione, quando diventino
eccessivi nell'uso del loro potere e lo impieghino per la distruzione e non per
la conservazione delle proprieta' del popolo?" (Secondo trattato sul governo,
par. 229). Una terza fonte di giustificazione
e' infine l'idea libertaria della malvagita' essenziale di ogni forma di potere
sull'uomo, in specie di quel massimo dei poteri che e' lo Stato, col corollario
che ogni moto che tende a impedire allo Stato di prevaricare e' una necessaria
premessa per instaurare il regno della giustizia della liberta' e della pace. Il
saggio di Thoreau comincia con queste parole: "Io accetto di buon grado il
motto: - Il miglior governo e' quello che governa meno - ... Condotto alle
estreme conseguenze conduce a quest'altra affermazione in cui pure io credo: -
Il miglior governo e' quello che non governa affatto -". Manifesta e'
l'ispirazione libertaria in alcuni gruppi di protesta e di mobilitazione di
campagne contro la guerra del Viet-Nam negli Stati Uniti degli anni Sessanta (di
cui una delle espressioni culturalmente piu' consapevoli e' il libro di Noam
Chomsky, I nuovi mandarini, 1968). * Bibliografia AA. VV., Civil Disobedience. Theory and Practice, New York 1969; S. Gendin, Governmental Toleration of Civil Disobedience in Philosophy and Political Action, Oxford University Press, Londra 1972 (e bibliografia ivi citata); A. Passerin d'Entreves, Obbedienza e resistenza in una societa' democratica, Edizioni di Comunita', Milano 1970; Id., Obbligo politico e liberta' di coscienza, in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1973; R. Polin, L'obligation politique, P.U.F., Parigi 1971; M. Walzer, Obligation: Essays on Disobedience, War and Citizenship, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 1970. 6. INCONTRI. IL 25 AGOSTO SI E' SVOLTO A BLERA UN INCONTRO DI
FORMAZIONE ALLA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA
Mercoledi' 25 agosto 2010 si e' svolto a
Blera (Vt), nell'ambito di uno specifico percorso formativo iniziato da diversi
mesi, un incontro di accostamento alla comunicazione nonviolenta in ambito
comunitario.
All'incontro ha preso parte il responsabile del
"Centro di ricerca per la pace" di Viterbo.
Ampia parte dell'incontro e' stata dedicata ad un'esercitazione sul parlare
in pubblico in modo comprensibile, esaminando i vari fattori che entrano in
gioco in questa specifica modalita' di interazione comunicativa. 7. APPELLI.
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 8.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
9. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Franco Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori, Milano
2000, pp. CXXVIII + 1168.. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 295 del 27 agosto 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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