Telegrammi. 295
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- Date: Fri, 27 Aug 2010 02:01:08 +0200
| TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO  Numero 295 del 27 agosto 2010 Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal 
Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della 
nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Il punto 2. Insorgere contro la guerra 3. Luigi Sandri: Il mondo ha bisogno di nonviolenza 4. Galia 
Golan: Perche' sono ottimista 5. 
Norberto Bobbio: Una definizione di "disobbedienza 
civile" 6. Il 25 agosto si e' svolto a Blera un incontro di formazione alla 
comunicazione nonviolenta 7. Il 
cinque per mille al Movimento Nonviolento 8. 
"Azione nonviolenta" 9. 
Segnalazioni librarie 10. La "Carta" del Movimento 
Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: IL PUNTO Il punto non e': comodamente predisporsi ad opporsi 
in futuro alle nuove misure razziste annunciate dal ministro 
dell'interno. Il punto e': insorgere adesso - con la forza della 
verita', con la scelta della nonviolenza - contro il colpo di stato 
razzista gia' avvenuto. Da un anno viviamo in un regime hitleriano, di cui 
milioni di migranti e di viaggianti del tutto innocenti sono gia' 
vittime. Dimissioni immediate del governo fuorilegge del 
colpo di stato razzista. Abolizione immediata delle incostituzionali misure 
razziste, schiaviste, squadriste, deportatrici, persecutrici e 
assassine. Ritorno immediato alla legalita' 
costituzionale. Vi e' una sola umanita'. 2. EDITORIALE. INSORGERE CONTRO LA GUERRA 
 Nell'indifferenza generale l'Italia continua a 
partecipare alla guerra in Afghanistan. L'Italia continua a partecipare del 
tutto illegalmente alla commissione del piu' atroce crimine contro 
l'umanita': la guerra. La guerra che la legge fondamentale del nostro 
ordinamento giuridico esplicitamente ripudia: recita infatti l'articolo 11 della 
Costituzione della Repubblica Italiana che "L'Italia ripudia la guerra come 
strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione 
delle controversie internazionali". Cosa si attende a insorgere contro la 
guerra? Cosa si attende a insorgere per ripristinare la 
vigenza della legalita' costituzionale? Cosa si attende a insorgere, con la forza della 
verita', con la scelta della nonviolenza, per affermare il diritto di ogni 
essere umano a non essere ucciso? 3. LA NONVIOLENZA OGGI IN ITALIA. LUIGI SANDRI: IL 
MONDO HA BISOGNO DI NOVIOLENZA [Ringraziamo Luigi Sandri per questo intervento, 
scaturito da una richiesta di Paolo Arena e Marco Graziotti, che anch'essi 
ringraziamo. Luigi Sandri, giornalista e scrittore, nato a 
Tuenno, in Val di Non, nel 1939, gia' corrispondente dell'Ansa da Mosca e Tel 
Aviv, vaticanista dell’"Ecumenical News International" di Ginevra, de "L'Adige" 
di Trento e de "Il Mattino di Bolzano", redattore di "Confronti", esperto 
della questione mediorientale, autorevole commentatore e 
collaboratore di vari quotidiani e riviste, partecipe dei movimenti 
che si impegnano per una profonda riforma della Chiesa cattolica nella direzione 
indicata dal Concilio Vaticano II, e' da sempre impegnato per la pace e i 
diritti umani di tutti gli esseri umani. Tra le opere di Luigi Sandri: Dio in 
Piazza Rossa. Il ruolo dei cristiani nell'Urss della perestojka, 1991; L'ultimo 
papa re. Wojtyla, breve storia di un pontificato controverso, Datanews, Roma 
1996; Citta' santa e lacerata. Gerusalemme per ebrei, cristiani, musulmani. 
Editrice Monti, Saronno 2001; Cronache dal futuro, Gabrielli, San Pietro in 
Cariano (Vr) 2008] Ritengo che oggi piu' che mai il mondo abbia 
bisogno di nonviolenza, al fine di superare, con saggezza e rettitudine, le 
tensioni internazionali e giungere a risolvere, senza guerre, i problemi 
pendenti. Le persone, donne e uomini, e i movimenti impegnati, in teoria e nella prassi, nella e con la nonviolenza, sono da ammirare, sostenere e, possibilmente, imitare: sono i profeti e le profetesse del nostro tempo difficile e doloroso ma, anche, percorso da potenti raggi di luce e di speranza. In particolare - pensando al Medio Oriente, cruciale zona del mondo e crocevia della pace o della guerra - ritengo che esempi, testimoni e messaggeri della nonviolenza dovrebbero essere quelle e quelli che si riferiscono all'Ebraismo, al Cristianesimo e all'Islam. Se le religioni - come spesso e' accaduto nella storia e come ancor oggi spesso accade - benedicono la violenza, come potra' mai esserci la pace? Se l'Altissimo e' invocato per la guerra, come potremo sperare nella riconciliazione tra popoli in contrasto da decenni e/o da secoli? Se, in negativo, appelli religiosi che spronano alla violenza sono devastanti, in positivo, ove e quando le religioni invitano alla riconciliazione, alla mitezza, alla pace, esse diventano un vento potente che aiuta a sciogliere nodi inestricabili e ad imboccare la strada degli accordi diplomatici e politici necessari per sanare interminabili conflitti. La nonviolenza dovrebbe essere la cifra delle relazioni internazionali, in un mondo diventato adulto che geneticamente sa di dover ripudiare la guerra; e, in questo grande concerto, io penso, una radicale scelta nonviolenta dovrebbe, in particolare, caratterizzare le religioni del Libro. Altrimenti i demoni della violenza imporranno il loro dominio. 4. RIFLESSIONE. GALIA GOLAN: PERCHE' SONO OTTIMISTA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione il seguente intervento di Galia Golan del 17 agosto 2010. Galia 
Golan e' un'intellettuale femminista e pacifista israeliana, scrittrice, 
docente di scienze politiche, giornalista, cofondatrice di Bat Shalom (www.batshalom.org) e di Peace Now (www.peacenow.org)]   All'interno 
di Israele la situazione e' la peggiore che si sia mai vista, per molti 
aspetti sembra persino senza speranza. Abbiamo una coalizione di estrema 
destra al governo, con un primo ministro che ha una maggioranza enorme nella 
Knesset e nessun altro interesse che non sia il restare al potere. Allo stesso 
tempo, la leadership palestinese e' debole, e lotta per ottenere sostegno 
mentre Hamas controlla Gaza con la forza e minaccia di guadagnare posizioni 
nella West Bank. In 
aggiunta, non vi e' in corso un processo di pace e Netanyahu rifiuta di 
accettare qualsiasi progresso sia stato fatto nelle passate negoziazioni, e 
aggiunge condizioni per la cosiddetta pace come lui la intende. Sommate a questo 
un non cosi' sottile indebolimento della democrazia interna ad Israele e la 
sensazione diffusa di disperata indifferenza, e cioe' la diffusa opinione 
secondo cui la pace non sarebbe possibile. Ma io 
credo che in qualche modo noi si sia piu' vicini alla pace ora di quanto lo 
fossimo quando vennero siglati gli Accordi di Oslo nel 1993. Lasciate che 
spieghi. In primo 
luogo oggi, e in modo consistente da ormai parecchi anni, la maggioranza degli 
israeliani e' a favore dell'opzione che prevede due stati, convenendo che 
uno stato palestinese accanto allo stato di Israele sia la sola soluzione. 
Ricordo che all'inizio degli anni '90 la maggioranza degli israeliani non 
credeva neppure che esistesse qualcosa come “il popolo palestinese”, e solo il 
2% era a favore della creazione di uno stato palestinese. Oggi non solo la 
maggioranza degli israeliani ma persino il governo di destra sostiene 
questo. Allo 
stesso modo, sino al 1988 i palestinesi cercavano il completo mandato sulla 
Palestina, ma in quell'anno si accordarono per limitare la loro richiesta a solo 
il 22% di quell'area e pensarono ad uno stato fatto della West Bank e di Gaza: a 
fianco di Israele, invece che al posto di Israele. Solo fino a poche settimane 
fa, il governo, i tribunali e l'opinione pubblica guardavano alla “linea verde” 
(il confine pre-1967) come alla linea guida per i futuri accordi sul confine, 
con il principio di scambi di territorio accettati come modo di sistemare quanti 
piu' coloni possibile soddisfacendo allo stesso tempo la richiesta palestinese 
di un territorio contiguo eguale all'area della West Bank prima del 1967. 
Possiamo aggiungere, ai progressi compiuti, i piani fatti per trasformare 
Gerusalemme nella capitale di ambo gli stati, piani su cui ci si e' trovati 
persino d'accordo durante le passate negoziazioni, e lo smantellamento di alcuni 
insediamenti. Inoltre, 
Israele ha accordi di pace molto solidi con i suoi vicini, Egitto e Giordania, 
accordi che hanno prodotto cooperazione sulla sicurezza ed altre questioni, e la 
Siria sta tentando di condurre Israele ad un trattato di pace da un bel po' di 
anni, ed e' andata vicina ad ottenerlo durante gli ultimi mesi del governo 
Olmert. Infine, 
una delle cose piu' promettenti e' l'Iniziativa araba per la pace del 2002, 
con cui la Lega Araba (22 stati piu' i palestinesi) propone la pace, la fine del 
conflitto, la sicurezza e relazioni normali con Israele una volta che 
quest'ultimo si sia ritirato dai territori del 1967 ed uno stato palestinese sia 
stato creato. L'Iniziativa, pubblicamente sostenuta da tutti i 57 membri della 
Conferenza Islamica, Iran incluso, contiene anche nuove formule, piu' 
flessibili, rispetto alla questione dei rifugiati. Cio' e' ben distante 
dalla posizione della Lega Araba nel 1967, in cui essa rigettava persino il 
riconoscimento di Israele. Percio', stante tutto questo, io credo ci sia speranza: nel momento in cui avremo una leadership del tipo di quella di Rabin. Il che significa una leadership che abbia la volonta' di fare un accordo. Sarebbe facile e veloce adottare i piani su cui si e' gia' lavorato nelle precedenti negoziazioni. Sono piani che si propongono di mettere fine all'occupazione e creare uno stato indipendente palestinese, e che avrebbero il sostegno non solo del popolo palestinese ma della Lega Araba: qualcosa che Hamas troverebbe impossibile sfidare. Ecco perche' sono ottimista. 
 5. RIFLESSIONE. NORBERTO BOBBIO: UNA 
DEFINIZIONE DI "DISOBBEDIENZA CIVILE" [Riproponiamo ancora una volta il seguente articolo di Norberto Bobbio (scritto molti anni fa, il lettore ne tenga conto), tratto dal Dizionario di politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci, Gianfranco Pasquino, Utet, Torino 1976, 1983, Tea, Milano 1990, 1992, pp. 316-320. Norberto Bobbio e' nato a Torino nel 1909 ed e' deceduto nel 2004, antifascista, filosofo della politica e del diritto, autore di opere fondamentali sui temi della democrazia, dei diritti umani, della pace, e' stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani del XX secolo. Tra le opere di Norberto Bobbio: per la biografia (che si intreccia con decisive vicende e cruciali dibattiti della storia italiana di questo secolo) si vedano il volume di scritti autobiografici De Senectute, Einaudi, Torino 1996; e l'Autobiografia, Laterza, Roma-Bari 1997; tra i suoi libri di testimonianze su amici scomparsi (alcune delle figure piu' alte dell'impegno politico, morale e intellettuale del Novecento) cfr. almeno Italia civile, Maestri e compagni, Italia fedele, La mia Italia, tutti presso l'editore Passigli, Firenze. Per la sua riflessione sulla democrazia cfr. Il futuro della democrazia; Stato, governo e societa'; Eguaglianza e liberta'; tutti presso Einaudi, Torino. Sui diritti umani si veda L'eta' dei diritti, Einaudi, Torino 1990. Sulla pace si veda Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, varie riedizioni; Il terzo assente, Sonda, Torino 1989; Una guerra giusta?, Marsilio, Venezia 1991; Elogio della mitezza, Linea d'ombra, Milano 1994. A nostro avviso indispensabile e' anche la lettura di Politica e cultura, Einaudi, Torino 1955, 1977; Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Milano 1990; Teoria generale del diritto, Giappichelli, Torino 1993. Tra le opere su Norberto Bobbio: segnaliamo almeno Enrico Lanfranchi, Un filosofo militante, Bollati Boringhieri, Torino 1989; Piero Meaglia, Bobbio e la democrazia: le regole del gioco, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1994; Tommaso Greco, Norberto Bobbio, Donzelli, Roma 2000; AA. VV., Norberto Bobbio tra diritto e politica, Laterza, Roma-Bari 2005; AA. VV., Norberto Bobbio maestro di democrazia e di liberta', Cittadella, Assisi 2005; AA. VV., Lezioni Bobbio, Einaudi, Torino 2006. Per la bibliografia di e su Norberto Bobbio uno strumento di lavoro utilissimo e' il sito del Centro studi Piero Gobetti (www.erasmo.it/gobetti)] 
 I. Obbedienza e 
resistenza Per comprendere che cosa s'intende 
per "disobbedienza civile" bisogna partire dalla considerazione che il dovere 
fondamentale di ogni persona soggetta a un ordinamento giuridico e' il dovere di 
obbedire alle leggi. Questo dovere e' chiamato obbligo politico. L'osservanza 
dell'obbligo politico da parte della grande maggioranza dei soggetti, ovvero la 
generale e costante obbedienza alle leggi, e' insieme la condizione e la prova 
della legittimita' dell'ordinamento, se per "potere legittimo" s'intende 
weberianamente quel potere i cui comandi vengono, in quanto comandi, cioe' 
indipendentemente dal loro contenuto, obbediti. Per la stessa ragione per cui un 
potere che pretende di essere legittimo incoraggia l'obbedienza, scoraggia la 
disobbedienza: mentre l'obbedienza alle leggi e' un obbligo, la disobbedienza e' 
un illecito e come tale variamente punita. La "disobbedienza civile" e' una 
forma particolare di disobbedienza, in quanto viene messa in atto allo scopo 
immediato di mostrare pubblicamente l'ingiustizia della legge e allo scopo 
mediato di indurre il legislatore a mutarla; come tale viene accompagnata da 
parte di chi la compie con tali giustificazioni da pretendere di essere 
considerata non soltanto come lecita ma anche come doverosa, e da esigere di 
essere tollerata, a differenza di qualsiasi altra trasgressione, dalle pubbliche 
autorità. Mentre la disobbedienza comune e' un atto che disintegra l'ordinamento 
e quindi deve essere impedita o rimossa affinche' l'ordinamento venga 
reintegrato nel suo pristino stato, la disobbedienza civile e' un atto che mira 
in ultima istanza a mutare l'ordinamento, e' insomma un atto non distruttivo ma 
innovativo. Si chiama "civile" appunto perche' chi la compie ritiene di non 
commettere un atto di trasgressione del proprio dovere di cittadino, ma anzi 
ritiene di comportarsi da buon cittadino in quella particolare circostanza 
piuttosto disubbidendo che ubbidendo. Proprio per questo suo carattere 
dimostrativo e per questo suo fine innovativo, l'atto di disobbedienza civile 
tende ad avere il massimo di pubblicita'. Questo carattere della pubblicita' 
serve a contraddistinguere nettamente la disobbedienza civile dalla 
disobbedienza comune: mentre il disobbediente civile si espone al pubblico, e 
solo esponendosi al pubblico puo' sperare di raggiungere il proprio scopo, il 
deviante comune deve, se vuole raggiungere il proprio scopo, compiere l'atto nel 
massimo segreto. Le circostanze in cui i fautori 
della disobbedienza civile ritengono venga meno l'obbligo dell'obbedienza e ad 
esso subentri l'obbligo della disobbedienza sono sostanzialmente tre: il caso 
della legge ingiusta, il caso della legge illegittima (cioe' emanata da chi non 
ha il potere di legiferare), e il caso della legge invalida (o 
incostituzionale). Secondo i fautori della disobbedienza civile, in tutti questi 
casi la legge non e' vera e propria legge: nel primo caso non lo e' 
sostanzialmente, nel secondo e nel terzo non lo e' formalmente. L'argomento 
principale di costoro e' che il dovere (morale) di ubbidire alle leggi esiste 
nella misura in cui viene rispettato dal legislatore il dovere di emanare leggi 
giuste (cioe' conformi ai principi di diritto naturale o razionale, ai principi 
generali del diritto o come altrimenti li si voglia chiamare) e costituzionali 
(cioe' conformi ai principi sostanziali e alle regole formali previste dalla 
costituzione). Tra cittadino e legislatore esisterebbe un rapporto di 
reciprocita': se e' vero che il legislatore ha diritto all'obbedienza, e' 
altrettanto vero che il cittadino ha diritto a essere governato saggiamente e 
secondo le leggi stabilite. * II. Varie forme di 
resistenza Il problema se sia lecito 
disubbidire alle leggi, in quali casi, entro quali limiti e da parte di chi, e' 
un problema tradizionale che e' stato oggetto d'infinite  riflessioni e discussioni tra filosofi, 
moralisti, giuristi, teologi, ecc. L'espressione "disobbedienza civile" che vi 
si riferisce e' invece moderna ed e' entrata nell'uso corrente attraverso gli 
scrittori politici anglosassoni, a cominciare dal classico saggio di Henry David 
Thoreau, Civil Disobedience (1849); nel quale lo scrittore americano dichiara di 
rifiutare il pagamento delle tasse al governo che le impiega per fare una guerra 
ingiusta (la guerra contro il Messico), affermando: "il solo obbligo che io ho 
il diritto di assumere e' di fare a ogni momento cio' che io ritengo giusto"; e 
quindi, di fronte alla conseguenza del proprio atto che potrebbe condurlo in 
prigione, risponde: "Sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il 
vero posto per un uomo giusto e' in prigione". In senso proprio la disobbedienza 
civile e' soltanto una delle situazioni in cui la violazione della legge viene 
considerata, da chi la compie o ne fa la propaganda, eticamente giustificata. Si 
tratta delle situazioni che vengono di solito comprese dalla tradizione 
prevalente di filosofia politica sotto la categoria del diritto alla resistenza. 
Alessandro Passerin d'Entreves ha distinto otto diversi modi di comportarsi del 
cittadino di fronte alla legge: I. obbedienza consenziente; II. ossequio 
formale; III. evasione occulta; IV. obbedienza passiva; V. obiezione di 
coscienza; VI. disobbedienza civile; VII. resistenza passiva; VIII. resistenza 
attiva. Le forme tradizionali di resistenza alla legge cominciano 
dall'obbedienza passiva e terminano con la resistenza attiva: la disobbedienza 
civile, nel suo significato ristretto, e' una forma intermedia. Seguendo il 
Rawls, il d'Entreves la definisce come un'azione illegale, collettiva, pubblica 
e non violenta, che si appella a principi etici superiori per ottenere un 
cambiamento nelle leggi. Le situazioni che rientrano nella 
categoria generale del diritto di resistenza possono essere distinte in base a 
diversi criteri, cioe' secondo che l'azione di disobbedienza sia: a) omissiva o 
commissiva, consista cioe' nel non fare quel che e' comandato (per esempio il 
servizio militare) o nel fare quel che e' proibito (e' il caso del negro che si 
va a sedere in un locale pubblico interdetto agli uomini di colore); b) 
individuale o collettiva, secondoche' sia compiuta da un individuo isolato 
(tipico e' il caso dell'obiettore di coscienza, che generalmente agisce da solo 
e in virtu' di un dettame della propria coscienza individuale), o da un gruppo i 
cui membri condividono gli stessi ideali (ne sono esempio tipico le campagne 
gandhiane per la liberazione dell'India dal dominio britannico); c) clandestina 
o pubblica, ovvero preparata e compiuta in segreto, come accade e non può non 
accadere nell'attentato anarchico che deve contare sulla sorpresa, oppure 
proclamata prima del compimento, come sono abitualmente le occupazioni di 
fabbriche, di case, di scuole, fatte allo scopo di ottenere la revoca di norme 
repressive o preclusive considerate discriminanti; d) pacifica o violenta, cioe' 
compiuta con mezzi non violenti, come il sit-in, e in genere ogni forma di 
sciopero (s'intende dove lo sciopero e' illegale, ma anche la' dove lo sciopero 
e' lecito, vi sono sempre forme di sciopero considerate illecite) oppure con 
armi proprie o improprie, come accade generalmente in ogni situazione 
rivoluzionaria (da notare che il passaggio dall'azione non violenta all'azione 
violenta coincide spesso col passaggio dall'azione omissiva all'azione 
commissiva); e) volta al mutamento di una norma o di un gruppo di norme oppure 
dell'intero ordinamento; cioe' tale che non mette in questione tutto 
l'ordinamento, come e' proprio dell'obiezione di coscienza all'obbligo di 
prestare il servizio militare, specie in circostanze eccezionali, quale una 
guerra sentita come particolarmente ingiusta (per fare un esempio recente che ha 
rimesso in discussione con particolare intensita' il problema della 
disobbedienza civile, la guerra del Viet-Nam) oppure tale che tende a rovesciare 
l'intero sistema, come e' proprio dell'azione rivoluzionaria. inoltre, la 
disobbedienza può essere, secondo una distinzione che risale alle teorie 
politiche dell'eta' della riforma, passiva o attiva: e' passiva quella che e' 
rivolta alla parte precettiva della legge e non alla parte punitiva, in altre 
parole, quella che e' compiuta con la precisa volonta' di accettare la pena che 
ne seguira', e in quanto tale, mentre non riconosce allo Stato il diritto di 
imporre obblighi contro coscienza, gli riconosce il diritto di punire ogni 
violazione delle proprie leggi; attiva, quella che e' rivolta contemporaneamente 
alla parte precettiva e alla parte punitiva della legge, cosicche' colui che 
l'effettua non si limita a violare la norma ma tenta con ogni mezzo di sottrarsi 
alla pena. Combinando ognuno dei diversi 
caratteri di ogni singolo criterio con tutti gli altri si ottiene un notevole 
numero di situazioni che non e' qui il caso di enumerare. Tanto per fare un 
esempio. L'obiezione di coscienza al servizio militare (la' dove le leggi non la 
riconoscono) e' omissiva, individuale, pubblica, pacifica, parziale, e realizza 
una forma di disobbedienza passiva. Per fare un altro esempio classico, il 
tirannicidio e' commissivo, generalmente individuale, clandestino (cioe' non 
dichiarato in anticipo), violento, totale (tende, come quello dei monarcomachi 
delle guerre religiose del Cinque e Seicento o quello degli anarchici delle 
lotte sociali dell'Ottocento, a un mutamento radicale dello Stato presente), e 
inoltre realizza una forma di disobbedienza attiva. Venendo alla disobbedienza 
civile, cosi' com'e' di solito concepita nella filosofia politica contemporanea, 
che prende in considerazione le grandi campagne nonviolente di Gandhi o le 
campagne per l'abolizione delle discriminazioni razziali negli Stati Uniti, essa 
e' omissiva, collettiva, pubblica, pacifica, non necessariamente parziale 
(l'azione di Gandhi fu certamente un'azione rivoluzionaria) e non 
necessariamente passiva (le grandi campagne contro la discriminazione razziale 
tendono a non riconoscere allo Stato il diritto di punire i pretesi crimini di 
lesa discriminazione). * III. I caratteri specifici della 
disobbedienza civile Allo scopo di distinguere la 
disobbedienza civile da tutte le altre situazioni che rientrano storicamente 
nella vasta categoria del diritto di resistenza, i due caratteri piu' rilevanti 
tra quelli elencati sopra sono l'azione di gruppo e la non violenza. Il primo 
carattere serve a distinguere la disobbedienza civile dai comportamenti di 
resistenza individuale sui quali si sono soffermate generalmente le dottrine 
della resistenza nella storia delle lotte contro le varie forme di abuso di 
potere. Tipico atto di resistenza individuale e' l'obiezione di coscienza 
(almeno nella maggior parte dei casi, in cui il rifiuto di portare le armi non 
sia fatto in nome dell'appartenenza a una setta religiosa, come quella dei 
Mormoni o dei testimoni di Geova) o il caso ipotizzato da Hobbes di colui che si 
ribella al sovrano che lo condanna a morte e gli impone di uccidersi. 
Individuale anche se fa appello alla coscienza di altri cittadini il gesto di 
Thoreau di non pagare le tasse. Individuale il caso estremo di resistenza 
all'oppressione, il tirannicidio. Il secondo carattere, quello della non 
violenza, serve a distinguere la disobbedienza civile dalla maggior parte delle 
forme di resistenza di gruppo che, a differenza di quelle individuali 
(generalmente non violente), hanno dato luogo, la' dove sono state effettuate, a 
manifestazioni di violenza (dalla sommossa alla ribellione, dalla rivoluzione 
alla guerriglia). Se dunque si prendono in 
considerazione i due criteri piu' caratterizzanti dei vari fenomeni di 
resistenza, quello che distingue resistenza individuale da resistenza collettiva 
e quello che distingue resistenza violenta da resistenza non violenta, la 
disobbedienza civile, in quanto fenomeno di resistenza insieme di gruppo e non 
violento, occupa un posto preciso e ben delimitato tra i due tipi estremi, e 
storicamente piu' frequenti e anche piu' studiati, della resistenza individuale 
non violenta e della resistenza di gruppo violenta. La disobbedienza civile ha 
della resistenza collettiva il carattere del fenomeno di gruppo se non in certi 
casi di massa, e nello stesso tempo ha della resistenza individuale il carattere 
prevalente della nonviolenza: in altre parole e' un tentativo di fare respingere 
dal gruppo "sedizioso" le tecniche di lotta che gli sono piu' familiari (il 
ricorso alle armi proprie o improprie) e di fargli adottare comportamenti che 
sono caratteristici dell'obiettore individuale (il rifiuto di portare le armi, 
il non pagare le tasse, l'astenersi dal compiere un atto che ripugna alla 
propria coscienza, come l'adorare dèi falsi e bugiardi, 
ecc.). La disobbedienza civile, in quanto 
e' una delle varie forme che puo' assumere la resistenza alla legge, e' pur 
sempre caratterizzata da un comportamento che mette in atto intenzionalmente una 
condotta contraria a una o a piu' leggi. Deve essere quindi ulteriormente 
distinta da comportamenti, che spesso le si accompagnano e che, pur avendo lo 
stesso fine di contrastare l'autorita' legittima al di fuori dei canali normali 
della opposizione legale e della pubblica protesta, non consistono in una 
violazione intenzionale della legge. La prima distinzione da fare e' quella tra 
la disobbedienza civile e il fenomeno recente, e altrettanto clamoroso, della 
contestazione, anche se spesso la contestazione sia sfociata in episodi di 
disobbedienza civile. Il miglior modo di distinguere disobbedienza civile da 
contestazione e' di ricorrere ai due rispettivi contrari: il contrario di 
disobbedienza e' obbedienza, il contrario di contestazione e' accettazione. Chi 
accetta un sistema lo ubbidisce, ma si puo' ubbidirlo anche senza accettarlo 
(anzi la maggior parte dei cittadini ubbidisce per forza d'inerzia o per 
abitudine o per imitazione o per una vaga paura delle conseguenze di 
un'eventuale infrazione, senza peraltro essere convinta che il sistema cui 
ubbidisce sia il migliore dei sistemi possibili). Di conseguenza, la 
disobbedienza in quanto esclude l'ubbidienza costituisce un atto di rottura 
contro l'ordinamento o una sua parte; la contestazione in quanto esclude 
l'accettazione (ma non l'obbedienza) costituisce un atto di critica che mette in 
questione l'ordinamento costituito o una sua parte ma non lo mette 
effettivamente in crisi. Mentre la disobbedienza civile si risolve sempre in una 
azione se pur soltanto dimostrativa (come lo stracciare la cartolina di chiamata 
alle armi), la contestazione si realizza in un discorso critico, in una protesta 
verbale, nell'enunciazione di uno slogan (non a caso il luogo dove si esplica 
piu' frequentemente l'atteggiamento contestativo e' l'assemblea, cioe' un luogo 
dove non si agisce ma si parla). L'altro comportamento che conviene distinguere 
dalla disobbedienza civile e' quello della protesta sotto forma non di discorso 
ma di azione esemplare, come il digiuno prolungato, o il suicidio pubblico 
mediante forme clamorose di autodistruzione (come il darsi fuoco dopo essersi 
cosparsi il corpo di materie infiammabili). Anzitutto queste forme di protesta 
non sono, come la disobbedienza, illegali (se si puo' discutere la liceita' del 
suicidio, non e' certo discutibile la liceita' di digiunare dal momento che non 
esiste l'obbligo giuridico di mangiare), e in secondo luogo mirano allo scopo di 
modificare una azione della pubblica autorita' considerata ingiusta non 
direttamente, cioe' facendo il contrario di quel che dovrebbe essere fatto, ma 
indirettamente, cioe' cercando di suscitare un sentimento di riprovazione o di 
esecrazione contro l'azione che si vuol combattere. * IV. La disobbedienza civile e le sue 
giustificazioni La disobbedienza civile e', come si 
e' detto all'inizio, un atto di trasgressione della legge che pretende di essere 
giustificato e quindi trova in questa giustificazione la ragione della propria 
differenziazione da tutte le altre forme di trasgressione. La fonte principale 
di giustificazione e' l'idea originariamente religiosa, in seguito laicizzata 
nella dottrina del diritto naturale, di una legge morale, che obbliga ogni uomo 
in quanto uomo, e come tale indipendentemente da ogni coazione, e quindi in 
coscienza, distinta dalla legge posta dall'autorita' politica, che obbliga 
soltanto esteriormente e, se mai in coscienza, soltanto nella misura in cui e' 
conforme alla legge morale. Ancora oggi i grandi movimenti di disobbedienza 
civile, da Gandhi a Martin Luther King, hanno avuto una forte impronta 
religiosa. Disse una volta Gandhi a un tribunale che doveva giudicarlo per un 
atto di disobbedienza civile: "Oso fare questa dichiarazione non certo per 
sottrarmi alla pena che mi dovrebbe essere inflitta, ma per mostrare che io ho 
disubbidito all'ordine che mi era stato impartito non per mancanza di rispetto 
alla legittima autorita', ma per ubbidire alla legge piu' alta del nostro 
essere, la voce della coscienza" (Autobiography, Parte V, cap. 
XV). L'altra fonte storica di 
giustificazione e' la dottrina d'origine giusnaturalistica, poi trasmessa alla 
filosofia utilitaristica dell'Ottocento, che afferma la preminenza 
dell'individuo sullo Stato, onde deriva la duplice affermazione che l'individuo 
ha alcuni diritti originari e inalienabili, e che lo Stato e' un'associazione 
creata dagli stessi individui per comune consenso (il contratto sociale) per 
proteggere i loro diritti fondamentali e assicurare la loro libera e pacifica 
convivenza. Il grande teorico del diritto di resistenza, John Locke, e' 
giusnaturalista, individualista, contrattualista, e considera lo Stato come 
un'associazione sorta dal comune consenso dei cittadini per la protezione dei 
loro diritti naturali. Cosi' egli esprime il proprio pensiero: "Il fine del 
governo e' il bene degli uomini; e che cosa e' meglio per l'umanita': che il 
popolo si trovi sempre esposto all'illimitata volonta' della tirannide o che i 
governanti si trovino talvolta esposti all'opposizione, quando diventino 
eccessivi nell'uso del loro potere e lo impieghino per la distruzione e non per 
la conservazione delle proprieta' del popolo?" (Secondo trattato sul governo, 
par. 229). Una terza fonte di giustificazione 
e' infine l'idea libertaria della malvagita' essenziale di ogni forma di potere 
sull'uomo, in specie di quel massimo dei poteri che e' lo Stato, col corollario 
che ogni moto che tende a impedire allo Stato di prevaricare e' una necessaria 
premessa per instaurare il regno della giustizia della liberta' e della pace. Il 
saggio di Thoreau comincia con queste parole: "Io accetto di buon grado il 
motto: - Il miglior governo e' quello che governa meno - ... Condotto alle 
estreme conseguenze conduce a quest'altra affermazione in cui pure io credo: - 
Il miglior governo e' quello che non governa affatto -". Manifesta e' 
l'ispirazione libertaria in alcuni gruppi di protesta e di mobilitazione di 
campagne contro la guerra del Viet-Nam negli Stati Uniti degli anni Sessanta (di 
cui una delle espressioni culturalmente piu' consapevoli e' il libro di Noam 
Chomsky, I nuovi mandarini, 1968). * Bibliografia AA. VV., Civil Disobedience. Theory and Practice, New York 1969; S. Gendin, Governmental Toleration of Civil Disobedience in Philosophy and Political Action, Oxford University Press, Londra 1972 (e bibliografia ivi citata); A. Passerin d'Entreves, Obbedienza e resistenza in una societa' democratica, Edizioni di Comunita', Milano 1970; Id., Obbligo politico e liberta' di coscienza, in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 1973; R. Polin, L'obligation politique, P.U.F., Parigi 1971; M. Walzer, Obligation: Essays on Disobedience, War and Citizenship, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 1970. 6. INCONTRI. IL 25 AGOSTO SI E' SVOLTO A BLERA UN INCONTRO DI 
FORMAZIONE ALLA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA 
 Mercoledi' 25 agosto 2010 si e' svolto a 
Blera (Vt), nell'ambito di uno specifico percorso formativo iniziato da diversi 
mesi, un incontro di accostamento alla comunicazione nonviolenta in ambito 
comunitario. All'incontro ha preso parte il responsabile del 
"Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Ampia parte dell'incontro e' stata dedicata ad un'esercitazione sul parlare 
in pubblico in modo comprensibile, esaminando i vari fattori che entrano in 
gioco in questa specifica modalita' di interazione comunicativa. 7. APPELLI. 
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 8. 
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"  "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata 
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle 
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: 
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo 
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto 
"copia di 'Azione nonviolenta'". 9. SEGNALAZIONI LIBRARIE Riletture - Franco Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori, Milano 
2000, pp. CXXVIII + 1168.. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale 
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e 
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento 
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della 
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo 
di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 295 del 27 agosto 2010 Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca 
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 
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