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Telegrammi. 294
- Subject: Telegrammi. 294
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 26 Aug 2010 00:43:20 +0200
| TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO  Numero 294 del 26 agosto 2010 Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal 
Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della 
nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Cessi il regime criminale della guerra e del colpo di stato razzista. Si 
torni alla legalita' costituzionale 2. Aldo Capitini: La mia opposizione al fascismo 3. Lorenzo Milani: Lettera ai cappellani militari 4. Il 29 agosto a Viterbo 5. Il 
cinque per mille al Movimento Nonviolento 6. 
"Azione nonviolenta" 7. 
Segnalazioni librarie 8. La "Carta" del Movimento 
Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CESSI IL REGIME CRIMINALE DELLA GUERRA E DEL COLPO DI 
STATO RAZZISTA. SI TORNI ALLA LEGALITA' COSTITUZIONALE Cessi il regime criminale della guerra e del colpo di stato razzista. Si torni alla legalita' costituzionale. Con la forza della verita', con la scelta della nonviolenza. Insorgere per risorgere. Vi e' una sola umanita'. 2. TESTI. ALDO CAPITINI: LA MIA OPPOSlZlONE AL FASCISMO [Nuovamente riproponiamo il seguente articolo di Aldo Capitini 
originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960, disponibile 
anche nel sito www.aldocapitini.it e nel sito www.nonviolenti.org Aldo 
Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente 
universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la 
pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed 
operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior 
antologia degli scritti e' ancora quella a cura di Giovanni Cacioppo e vari 
collaboratori, Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che 
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - 
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - 
bibliografia degli scritti di Capitini); ma notevole ed oggi 
imprescindibile e' anche la recente antologia degli scritti a cura di Mario 
Martini, Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004, 2007; delle 
singole opere capitiniane sono state recentemente ripubblicate: Le tecniche 
della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989, Edizioni dell'asino, Roma 2009; 
Elementi di un'esperienza religiosa, Cappelli, Bologna 1990; Colloquio corale, L'ancora del 
Mediterraneo, Napoli 2005; L'atto di educare, Armando Editore, Roma 2010; cfr. inoltre 
la raccolta di scritti autobiografici Opposizione e liberazione, 
Linea d'ombra, Milano 1991, L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; gli scritti 
sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; La religione dell'educazione, La 
Meridiana, Molfetta 2008; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. 
Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991. Presso la redazione 
di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere 
richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria 
(tra cui Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione 
di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla 
nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e 
religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo 
Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi 
particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, 
Carocci, Roma 2007; Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, 
Roma 2008; Aldo Capitini, Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Carocci, Roma 2009. 
Opere su Aldo Capitini: a) per la bibliografia: Fondazione Centro studi 
Aldo Capitini, Bibliografia di scritti su Aldo Capitini, a cura di Laura 
Zazzerini, Volumnia Editrice, Perugia 2007; Caterina Foppa Pedretti, Bibliografia primaria e secondaria di Aldo 
Capitini, Vita e Pensiero, Milano 2007; segnaliamo anche che la gia' 
citata bibliografia essenziale degli scritti di Aldo Capitini 
pubblicati dal 1926 al 1973, a cura di Aldo Stella, pubblicata in Il messaggio 
di Aldo Capitini, cit., abbiamo recentemente ripubblicato in "Coi piedi per 
terra" n. 298 del 20 luglio 2010; b) per la critica e la documentazione: 
oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il 
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo 
Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno 
schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio 
Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 
1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed 
etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", 
Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci 
(Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia 
intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; 
AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il 
ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. 
Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Mario 
Martini (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. 
Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; 
Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Gian Biagio 
Furiozzi (a cura di), Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, Franco 
Angeli, Milano 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo 
Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. 
Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; 
Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita, 
Manduria 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della 
nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; Alarico Mariani Marini, Eligio 
Resta, Marciare per la pace. Il mondo nonviolento di Aldo Capitini, Plus, Pisa 
2007; Maura Caracciolo, Aldo Capitini e Giorgio La Pira. 
Profeti di pace sul sentiero di Isaia, Milella, Lecce 2008; Mario Martini, Franca Bolotti (a cura di), Capitini 
incontra i giovani, Morlacchi, Perugia 2009; Giuseppe Moscati (a cura di), Il 
pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni, 
Levante, Bari 2010; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo 
d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; e Amoreno 
Martellini, Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del 
Novecento, Donzelli, Roma 2006; c) per una bibliografia della critica cfr. 
per un avvio il libro di Pietro Polito citato ed i volumi bibliografici 
segnalati sopra; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel 
sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it; una assai utile 
mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti 
scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al 
Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche 
redazione at nonviolenti.org, sito: 
www.nonviolenti.org] Non e' facile elevarsi su quel patriottismo scolastico che ci coglie 
proprio nel momento, dai dieci ai quindici anni, in cui cerchiamo un impiego 
esaltante delle nostre energie, una tensione attiva e appoggiata a miti ed 
eroi. Quaranta anni successivi di esperienza in mezzo ad una storia 
movimentatissima ci hanno ben insegnato due cose: che la devozione alla patria 
deve essere messa in rapporto e mediata con ideali piu' alti e universali; che 
la nazione e' una vera societa' solo in quanto risolve i problemi delle 
moltitudini lavoratrici nei diritti e nei doveri, nel potere, nella cultura, in 
tutte le liberta' concretamente e responsabilmente utilizzabili. Quella "patria" che la scuola ci insegno', che era del Foscolo e del 
Carducci, e diventava del D'Annunzio e del Marinetti, non poteva essere il 
centro di tutti gli interessi; e percio' potei essere nazionalista tra i dieci e 
i quindici anni, ma non poi restarlo quando vidi la guerra in rapporto, meno con 
la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente e divisa; quando dalla letteratura 
vociana e di avaguardia salii (da autodidatta e piu' tardi che i coetanei) alla 
piu' strenua, vigorosa, e anche filologica classicita', vista nei testi latini, 
greci e biblici, come valori originali; quando portai la riflessione politica, 
precoce ma intorbidata dall'attivismo nazionalistico, ad apprezzare i diritti 
della liberta' e l'apertura al socialismo come cose fondamentali, insopprimibili 
per qualsiasi motivo. Umanitario e moralista, tutto preso dalla ricostruzione della mia cultura 
(eseguita tardi ma con consapevolezza) e anche dal dolore fisico, il dopoguerra 
1918-'22 mi trovo' del tutto estraneo al fascismo, anche se avevo coetanei che 
vi erano attivissimi: non sentii affatto l'impulso ad accompagnarmi con loro. 
Anzi, mi permettevo nella mia indipendenza, di leggere la "Rivoluzione 
liberale", di offrire lieto il mio letto ad un assessore socialista cercato 
dagli squadristi, e la mattina della "Marcia su Roma" sentii bene che non dovevo 
andarci, perche' era contro la liberta'. Certo, per chi e' stato, purtroppo (e purtroppo dura ancora), educato a 
quel tal patriottismo scolastico, per chi non ha potuto nell'adolescenza non 
assorbire del dannunzianesimo e del marinettismo, qualche volta il fascismo 
poteva sembrare un qualche cosa di energico, di impegnato a far qualche cosa; e 
comprendo percio' le esitazioni e le cadute di tanti miei coetanei, che hanno 
come me press'a poco gli anni del secolo. Se io fui preservato e salvato per opera di quell'evangelismo 
umanitario-moralistico e indipendente, per cui non ero diventato ne' cattolico 
(pur essendo teista) ne' fascista, e preferii rinunciare alla politica attiva, a 
cui pur da ragazzo tendevo, scegliendo un lavoro di studio, di poesia, di 
filosofia, di ricerca religiosa; tanti altri, anche per il fatto di essere stati 
in guerra (io ero stato escluso perche' riformato), lungo il binario del 
patriottismo, del combattentismo, dello squadrismo, videro nel fascismo la 
realizzazione di tutto. Queste mie parole sono percio' un invito a diffidare del patriottismo 
scolastico, che puo' portare a tanto e a giustificare tanti delitti, e un 
proposito di lavorare per un'educazione ben diversa. Questa e' dunque la prima 
esperienza che ho vissuto in pieno: ho potuto contrastare al fascismo fin dal 
principio perche' mi ero venuto liberando (se non perfettamente) dal 
patriottismo scolastico; esso fu uno degli elementi principalmente responsabili 
dell'adesione di tanti al fascismo. * Ed ora vengo alla seconda esperienza fondamentale. Si capisce che mentre il 
fascismo si svolgeva, quasi insensibile com'ero alla soddisfazione 
"patriottica", mi trovavo contrario alla politica estera ed interna. Per 
l'estero io ero press'a poco un federalista, e mi pareva che un'unione 
dell'Italia, Francia, Germania (circa centocinquanta milioni di persone) avrebbe 
costituito una forza viva e civile, anche se l'Inghilterra fosse voluta rimanere 
per suo conto; ma ci voleva uno spirito comune, che, invece, il nazionalismo 
fece rovinare. Ebbi sempre un certo rispetto per la Societa' delle Nazioni; e mi 
pareva che l'Italia avesse avuto molto col Trattato di Versailles, malgrado le 
strida dei nazionalisti. Approvavo il lavoro di Amendola e degli altri per un 
patto con gli Jugoslavi, che ci avrebbe risparmiato tante tragedie e tante 
vergogne. Per la politica interna la Milizia in mano a Mussolini, il delitto 
Matteotti, la dittatura e il fastidio, a me lettore e raccoglitore di vari 
giornali, che dava la lettura di giornali eguali, l'avversione che sentivo per 
il saccheggio e la distruzione e l'abolizione di tutto cio' che era stata la 
vita politica di una volta, le Camere del lavoro, le varie sedi dei partiti, le 
logge massoniche; mi tenevano staccato dal fascismo. Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov'era piu' quel bel fermento di 
idee, quella vivacita' di spirito di riforme che avevo vissuto dal '18 al '24? 
Quanti libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo come 
preziosa), erano finiti! L'Italia che avrebbe dovuto riformarsi in tutto, era 
ora affidata ad un governo reazionario e militarista! E io ricordavo il mio 
entusiasmo per le amministrazioni socialiste: come seguivo quella di Milano, 
quella di Perugia, mia citta'! Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro, 
alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una cosa 
preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e 
"diversi", la' impegnati ad amministrare per tutti. Sicche' ero contrario al regime, e la seconda esperienza fondamentale lo 
confermo': fu la Conciliazione del febbraio del '29. Non ero piu' cattolico dall'eta' di tredici anni, ma ero tornato ad un 
sentimento religioso sul finire della guerra, e lo studio successivo, anche 
filosofico e storico sulle origini del cristianesimo, di la' dalle leggende e 
dai dogmi mi aveva concretato un teismo di tipo morale. Guardando il fascismo, vedevo che lo avevano sostenuto in modo decisivo due 
forze: la monarchia che aveva portato con se' (piu' o meno) l'esercito e la 
burocrazia; l'alta cultura (quella parte vittima del patriottismo scolastico) 
che aveva portato con se' molto della scuola. C'era una terza forza: la Chiesa 
di Roma. Se essa avesse voluto, avrebbe fatto cadere, dispiegando una ferma non 
collaborazione, il fascismo in una settimana. Invece aveva dato aiuti continui. 
Si venne alla Conciliazione tra il governo fascista e il Vaticano. La religione tradizionale istituzionale cattolica, che aveva educato gli 
italiani per secoli, non li aveva affatto preparati a capire, dal '19 al '24, 
quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava in un modo profondo, visibile, 
perfino con frasi grottesche, con prestazione di favori disgustose, con 
reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla " scuola liberale " e ai 
"conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c'e' una cosa che noi dobbiamo 
al periodo fascista, e' di aver chiarito per sempre che la religione e' una cosa 
diversa dall'istituzione romana. Perche' noi abbiamo avuto da fanciulli un certo imbevimento di idee e di 
riti cattolici, che sono rimasti la', nel fondo nostro; ed anche se si e' 
studiato, e si sanno bene le ragioni storiche, filosofiche, sociali, anche 
religiose, per cui non si puo' essere cattolici, tuttavia ascoltando suonare le 
campane, vedendo l'edificio chiesa, incontrando il sacerdote, uno potrebbe 
sempre sentire un certo fascino. Ebbene, se si pensa che quelle campane, quell'edificio, quell'uomo possono 
significare una cerimonia, un'espressione di adesione al fascismo, basta questo 
per insegnare che bisogna controllare le proprie emozioni, non farsi prendere da 
quei fatti che sono "esteriori" rispetto alla doverosita' e purezza della 
coscienza. La Chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il 
fascismo, realmente le ottenne. Ma per me quello fu un insegnamento intimo che 
vale piu' di ogni altra cosa. Non aver visto il male che c'era nel fascismo, non 
aver capito a quale tragedia conduceva l'Italia e l'Europa, aver ottenuto da un 
potere brigantesco sorto uccidendo la liberta', la giustizia, il controllo 
civico, la correttezza internazionale; non sono errori che ad individui si 
possono perdonare, come si deve perdonare tutto, ma sono segni precisi di 
inadeguatezza di un'istituzione, ancora una volta alleata di tiranni. Fu li', su questa esperienza che l'opposizione al fascismo si fece piu' 
profonda, e divenne in me religiosa; sia nel senso che cercai piu' radicale 
forza per l'opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S. 
Francesco, Gandhi, di la' dall'istituzionalismo tradizionale che tradiva 
quell'autenticita'; sia nel senso che mi apparve chiarissimo che la liberazione 
vera dal fascismo stesse in una riforma religiosa, riprendendo e portando al 
culmine i tentativi che erano stati spenti dall'autoritarismo ecclesiastico 
congiunto con l'indifferenza generale italiana per tali cose. Vidi chiaro che tutto era collegato nel negativo, e tutto poteva essere 
collegato nel positivo. Mi approfondii nella nonviolenza. Imparai il valore 
della noncollaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perche' rifiutai 
l'iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli 
italiani si liberassero dal fascismo noncollaborando, senza odio e strage dei 
fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio che li avrebbe 
purificati di tante scorie, e li avrebbe rinnovati, resi degni d'essere, cosi' 
si', tra i primi popoli nel nuovo orizzonte del secolo ventesimo. Divenni vegetariano, perche' vedevo che Mussolini portava gli italiani alla 
guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si 
sarebbe sentita maggiore avversione nell'uccidere gli uomini. * Nel lavoro di suscitamento e collegamento antifascista, svolto da me dal 
1932 al 1942, sta la terza esperienza fondamentale: il ritrovamento del popolo e 
la saldatura con lui per la lotta contro il fascismo. Figlio di persone del 
popolo, vissuto in poverta' e in disagi, con parenti tutti operai o contadini, i 
miei studi (vincendo un posto gratuito universitario nella Scuola normale 
superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi avevano veramente messo a 
contatto con la classe lavoratrice nella sua qualita' sociale e politica. Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il 
primo maggio sonavano di lontano l'Inno dei lavoratori, di la' dal velo della 
pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal mio 
libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli incendi 
devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell'"Avanti!", ma, preso da 
altro lavoro, non le avevo studiate. Accertai veramente la profondita' e l'ampiezza del mondo socialista nel 
periodo fascista, quando le possibilita' di trovare documentazioni e libri (lo 
sappiano i giovani di ora, che se vogliono possono andare da un libraio e 
acquistare cio' che cercano) erano di tanto diminuite, ma c'era, insieme, il 
modo di ritrovare i vecchi socialisti e comunisti, che erano rimasti saldi nella 
loro fede, veramente "fede" "sostanza di cose sperate ed argomento delle non 
parventi", malgrado le botte, gli sfregi, la poverta', le prigioni, le derisioni 
degli ideali e dei loro rappresentanti uccisi ("con Matteotti faremo i 
salsicciotti") e sebbene vedessero che le persone "dotte" erano per Mussolini e 
il regime. Ritrovare queste persone, unirsi con loro di la' dalle differenze su un 
punto o l'altro dell'ideologia, festeggiare insieme il primo maggio magari in 
una soffitta o in un magazzino di legname, andare insieme in campagna una 
domenica (che per il popolo e' sempre qualche cosa di bello), e talvolta anche 
in prigione: nella lotta contro il fascismo si formo' questa unione, che non fu 
soltanto di persone e di aiuto reciproco, ma fu studio, approfondimento, 
constatazione degli interessi comuni dei lavoratori e degli intellettuali contro 
i padroni del denaro e del potere: si apriva cosi l'orizzonte del mondo, 
l'incontro di Occidente e Oriente in nome di una civilta' nuova, non piu' 
individualistica ne' totalitaria. * Questo io debbo al fascismo, ma in quanto ebbi, direi la Grazia, o interni 
scrupoli o ideali che mi portarono all'opposizione. Opponendomi al fascismo, non 
per cose di superficie o di persone o di barzellette, ma pensando seriamente 
nelle sue ragioni, nella sua sostanza, nel suo esperimento e impegno, non solo 
me ne purificavo completamente per cio' che potesse essercene in me, ma 
accertavo le direzioni di un lavoro positivo e di una persuasione interiore che 
dovevo continuare a svolgere anche dopo. Il fascismo aveva unito in un insieme tutto cio' contro cui dovevo lottare 
per profonda convinzione, e non per caso, per un un male che mi avesse fatto, 
per un'avversione o invidia verso persone, o perche' avessi trovato in casa o 
presso maestri autorevoli un impulso antifascista. Nulla di questo ebbi, ed 
anche percio' ad un'attiva opposizione con propaganda non passai che lentamente 
e dopo circa un decennio. Posso assicurare i giovani di oggi che il mio rifiuto fu dopo aver sentito 
le premesse del fascismo proprio nell'animo adolescente, e dopo averle 
consumate; sicche' i fascisti mi apparvero dei ritardatari. Ero arrivato al 
punto in cui non potevo accettare: 1, il nazionalismo che esasperava un riferimento nazionale e guerriero a 
tutti i valori, proprio quando ero convinto che la guerra avrebbe indebolito 
l'Europa, e che la nazione dovesse trovare precisi nessi con le altre; 2, l'imperialismo colonialistico, che, oltre a portare l'Italia fuori dalla 
sua influenza in Europa, nei Balcani e a freno della Germania, era un metodo 
arretrato, per la fine del colonialismo nel mondo; 3, il centralismo assolutistico e burocratico con quel far discendere tutto 
dall'alto (per giunta corrotto), mentre io ero decentralista, regionalista, per 
l'educazione democratica di tutti all'amministrazione e al controllo; 4, il totalitarismo, con la soppressione di ogni apporto di idee e di 
correnti diverse, si' che quando parlavo ai giovanissimi della vecchia 
possibilita' di scegliersi a vent'anni un partito, che aveva sue sedi e sua 
stampa, sembrava che parlassi di un sogno, di un regno felice sconosciuto; 5, il prepotere poliziesco, per cui uno doveva sempre temere parlando ad 
alta voce, conversando con ignoti, scrivendo una lettera, facendo un 
telefonata; 6, quel gusto dannunziano e quell'esaltazione della violenza, del 
manganello come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, delle bombe a 
mano, e, infine, l'orribile persecuzione contro gli ebrei; 7, quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale 
conservatorismo, difesa dei proprietari, di cio' che era vecchio e perfino 
anteriore alla rivoluzione francese; 8, quell'alleanza con il conservatorismo della chiesa, della parrocchia, 
delle gerarchie ecclesiastiche, prendendo della religione i riti e il lato 
reazionario, affratellandosi con i gesuiti, perseguitando gli 
ex-sacerdoti; 9, quel corporativismo con una insostenibile parita' tra capitale e lavoro 
che si risolveva in una prigione per moltitudini lavoratrici alla merce' dei 
padroni in gambali ed orbace; 10, quel rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di 
educazione, quella fascista, e il traviamento degli adolescenti, mentre ero 
convinto che della libera produzione e circolazione delle varie forme di cultura 
una societa' nazionale ha bisogno come del pane; 11, quell'ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando 
immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e delle 
Isole; 12, l'onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la 
grossolanita', la mutevolezza, l'egotismo, l'iniziativa brigantesca, la 
leggerezza nell'affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza 
impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piu' 
possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e collaborazione, ed 
essere anonimo, grigio anche, perche' lo splendore stia nei valori puri della 
liberta', della giustizia, dell'onesta', della produzione culturale e religiosa, 
non nelle persone, che in uniforme o no, nel governo o a capo dello Stato, sono 
semplicemente al servizio di quei valori. * Percio' il fascismo, nel problema dell'Italia di educarsi a popolo onesto, 
libero, competente, corretto, collaborante, mi parve un potenziamento del peggio 
e del fondo della nostra storia infelice, una malattia latente nell'organismo e 
venuta fuori, l'ostacolo che doveva, per il bene comune, essere rimosso, non in 
un modo semplicemente materiale, ma prendendo precisa e attiva coscienza delle 
ragioni per cui era sbagliato, e trasformando in questo lavoro se' e persuadendo 
gli altri italiani. 3. TESTI. LORENZO MILANI: LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI [Riproponiamo ancora una volta la "Lettera ai cappellani militari toscani 
che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965" di don Milani, uno 
dei documenti poi raccolti nel volume intitolato L'obbedienza non e' piu' una 
virtu'; insieme alla successiva "Lettera ai giudici" (l'autodifesa milaniana al 
processo in cui fu imputato proprio per aver scritto quella lettera aperta), che 
costituisce uno dei grandi testi a sostegno dell'obiezione di coscienza contro 
ogni guerra, contro ogni esercito, contro ogni uccisione. Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della 
borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a 
Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione 
popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito 
punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. 
Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica 
ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani 
militari da cui derivera' il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza 
non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga malattia nel 1967; era appena 
uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione 
come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, 
l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i 
poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande 
valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze 
pastorali, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Lettera a una professoressa, 
pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono 
state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di 
Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere 
alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 
1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi 
autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato 
nell'ultimo decennio la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni 
ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura 
di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo 
Milani nel volume I care ancora. Altri testi ha pubblicato ancora la Lef. Opere 
su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita 
del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio 
Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; 
Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 
1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 
1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio 
Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. 
Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" 
del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di 
liberta', supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi 
apparsi di recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro 
Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; 
David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 
1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi 
Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta 
anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo 
Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; 
Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; 
Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 
2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia 
critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002; 
Jose' Luis Corzo Toral, Lorenzo Milani. Analisi spirituale e interpretazione 
pedagogica, Servitium, Sotto il Monte (Bergamo) 2008] Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della 
vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo. Avremmo pero' voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi 
come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto 
in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola. Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un 
giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande 
pubblicamente. Primo, perche' avete insultato dei cittadini che noi e molti altri 
ammiriamo. E nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di 
pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci 
dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore. Secondo, perche' avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la 
portata, vocaboli che sono piu' grandi di voi. Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica e' oggi piu' matura che in 
altri tempi e non si contentera' ne' d'un vostro silenzio, ne' d'una risposta 
generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari 
insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti saro' ben 
lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero 
sfuggite cose non giuste. Non discutero' qui l'idea di Patria in se'. Non mi piacciono queste 
divisioni. Se voi pero' avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri 
allora vi diro' che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di 
dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori 
dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi 
avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani 
e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io 
reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i 
ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi 
approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani 
e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e 
il voto. Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le 
giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche 
voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano 
di persona. Certo ammetterete che la parola Patria e' stata usata male molte volte. 
Spesso essa non e' che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo 
studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben 
piu' alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E' troppo facile 
dimostrare che Gesu' era contrario alla violenza e che per se' non accetto' 
nemmeno la legittima difesa. Mi riferiro' piuttosto alla Costituzione. Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla 
liberta' degli altri popoli...". Articolo 52 "La difesa della Patria e' sacro dovere del cittadino". Misuriamo con questo metro le guerre cui e' stato chiamato il popolo 
italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito e' tutta intessuta di offese 
alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano 
obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci 
chi difese piu' la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o 
quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? 
Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci 
esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se 
l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un 
villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi 
atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i 
processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte 
qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri 
soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un 
ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni 
popolari? Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. 
Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O 
volete farci credere che avete volta volta detto la verita' in faccia ai vostri 
"superiori" sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati e' 
segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova 
mostrando nel vostro comunicato di non avere la piu' elementare nozione del 
concetto di obiezione di coscienza. Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come 
dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, 
cioe' noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a 
caro prezzo (1.000 miliardi l'anno) l'esercito, e' solo perche' difenda colla 
Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranita' popolare, la 
liberta', la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva piu' 
che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza. L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. 
L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche 
troppo. Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la 
Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando 
occorreva obiettare. 1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tento' di 
buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei 
briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per 
l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza 
d'Italia un monumento come eroe della Patria. A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa e' alle porte. La Costituzione e' pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni 
di sovranita' necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di 
Patria, cosi' come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti 
rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le 
vedranno solo nei musei. La guerra seguente 1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un 
accordo con il popolo piu' attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire 
l'Austria insieme. Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non 
amavano molto la loro secolare Patria, tant'e' vero che non la difesero. Ma non 
amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'e' vero 
che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo 
diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, e' stata rinviata a causa della 
pioggia". Nel 1898 il Re "Buono" onoro' della Gran Croce Militare il generale Bava 
Beccaris per i suoi meriti in una guerra che e' bene ricordare. L'avversario era 
una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a 
Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perche' i 
ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano 
sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di 
meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti 
innumerevoli. Fra i soldati non ci fu ne' un ferito ne' un obiettore. Finito il 
servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perche' era 
rincarata. Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li 
portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che 
certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che 
non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo. Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci 
la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei 
preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perche' quel giornale considera la 
vita d'un bianco piu' che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in 
risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la 
contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in 
Europa? Idem per la guerra di Libia. Poi siamo al '14. L'Italia aggredi' l'Austria con cui questa volta era 
alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? E' un piccolo particolare che va 
chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella 
guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere 
gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era 
dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse 
a una "inutile strage"? (l'espressione non e' d'un vile obiettore di coscienza 
ma d'un Papa canonizzato). Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non 
la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti 
l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza 
"cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al 
mondo (50.000.000 di morti). Cosi' la Patria ando' in mano a un pugno di 
criminali che violo' ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della 
parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei 
sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", 
quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, 
quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla 
Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa). Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova 
infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" 
a aggredire l'infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al 
suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo 
d'un milione e mezzo di morti riusci' a ottenere quello che volevano i ricchi: 
blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, 
dei partiti, d'ogni liberta' civile e religiosa. Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, 
tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o 
di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto 
questo non sarebbe successo. Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche 
dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per 
l'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente 
che aveva obiettato. Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale 
tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro 
sovrano non si deve obbedire? Poi dal '39 in la' fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo 
l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, 
Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia). Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema 
democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due 
sistemi politici piu' nobili che l'umanita' si sia data. L'uno rappresenta il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su 
questa terra, liberta' e dignita' umana ai poveri. L'altro il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su questa 
terra, giustizia e eguaglianza ai poveri. Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro 
vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era 
di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza 
scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni 
liberta' se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e 
d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo 
sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e 
sofferente). Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono piu' 
avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra e' stata un confronto di 
ideologie e non di patrie? Ma in questi cento anni di storia italiana c'e' stata anche una guerra 
"giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui 
Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati 
che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i 
"regolari"? E' una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. 
es. quali sono i "ribelli"? Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva 
scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i 
nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati 
in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi 
cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di 
San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni 
pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San 
Pietro. In molti paesi civili (in questo piu' civili del nostro) la legge li onora 
permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi 
per la Patria piu' degli altri, non meno. Non e' colpa loro se in Italia non 
hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione. Del resto anche in Italia c'e' una legge che riconosce un'obiezione di 
coscienza. E' proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo 
articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei 
Preti. In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si e' ancora pronunziata ne' 
contro di loro ne' contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice 
solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi 
autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che 
non s'e' mai sentito dire che la vilta' sia patrimonio di pochi, l'eroismo 
patrimonio dei piu'? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo 
il luogo dei profeti e' la prigione, ma non e' bello star dalla parte di chi ce 
li tiene. Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti 
e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha 
fatto. Piu' maturo condanno' duramente questo suo errore giovanile. Avete letto 
la sua vita? Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo 
l'esempio e il comandamento del Signore e' "estraneo al comandamento cristiano 
dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come 
potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la 
sofferenza degli obiettori, almeno tacete! Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: 
Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione 
di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che 
morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Liberta', 
Verita'. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano 
non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verita' e 
l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima. Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro 
colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale 
di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano. Lorenzo Milani sac. 4. INCONTRI. IL 29 AGOSTO A VITERBO Domenica 29 agosto 2010, con inizio alle ore 
15,30, presso il centro sociale autogestito "Valle Faul" a Viterbo, si 
svolgera' il trentanovesimo incontro di studio del percorso di formazione e 
informazione nonviolenta iniziato da alcuni mesi. All'incontro partecipa il responsabile del 
Centro di ricerca per la pace di Viterbo. Il centro sociale autogestito "Valle Faul" si trova in strada 
Castel d'Asso snc, a Viterbo. L'iniziativa e' ovviamente aperta alla partecipazione di tutte le persone 
interessate. 5. APPELLI. 
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6. 
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"  "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata 
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle 
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: 
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo 
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto 
"copia di 'Azione nonviolenta'". 7. SEGNALAZIONI LIBRARIE Riletture - Michail Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Einaudi, Torino 1968, 
1995, pp. 356. - Romano Guardini, Il mondo religioso di Dostojevskij, Morcelliana, Brescia 
1951, 1980, pp. 336. - Fausto Malcovati, Introduzione a Dostoevskij, Laterza, Roma-Bari 1992, 
2001, pp. VI + 182. - Gianlorenzo Pacini, Fedor M. Dostoevskij, Bruno Mndadori, Milano 2002, 
pp. XII + 196. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale 
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e 
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento 
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della 
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo 
di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 294 del 26 agosto 2010 Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca 
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 
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