Telegrammi. 244
- Subject: Telegrammi. 244
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 7 Jul 2010 01:21:29 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 244 del 7
luglio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche
della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Paolo Arena presenta "Stalker" di Andrej Tarkovskij
2. Michela
De Santis: Nonviolenza e’ una mano tesa
3.
Per una definizione del concetto di
nonviolenza
4. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
5.
"Azione nonviolenta"
6.
Segnalazioni librarie
7. La "Carta" del Movimento
Nonviolento 8. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. PAOLO ARENA PRESENTA "STALKER" DI
ANDREJ TARKOVSKIJ
[Ringraziamo
Paolo Arena (per contatti: paoloarena at fastwebnet.it) per questo
saggio.
Paolo Arena fa parte
della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta",
un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono
settimanalmente a Viterbo]Stalker (Urss 1979). Diretto da: Andrej Tarkovskij. Scritto da: Andrej Tarkovskij, Arkadi Strugackij e Boris Strugackij (liberamente tratto dal racconto “Picnic sul ciglio della strada" di Boris e Arkadi Strugackij). Fotografia: Alexander Knyazhinsky. Con: Aleksandr Kaidanovskij, Alisa Freindlich, Anatolij Solonicyn, Nikolaj Grin'ko, Natasha Abramova * Andrej Arsen'evic Tarkovskij (1932-1986) regista cinematografico e teatrale, scrittore, teorico del cinema. Autore di film di grande impatto estetico e spessore morale. Figlio del poeta Arsenij Aleksandrovic Tarkovskij. La profonda riflessione e critica a cui chiama gli uomini gli causa dissidi col regime sovietico che lo portano prima ad avere problemi di liberta' di espressione ed infine all'esilio. L'europa lo accoglie: gira “Nostalghia” in Toscana, “Sacrificio” nella svezia bergmaniana, a Londra mette in scena, con Claudio Abbado, il “Boris Godunov” di Musorgskij. A Venezia “L'infanzia di Ivan” riceve il Leone d'oro nel 1962, a Cannes e' premiato diverse volte. Opere cinematografiche di Andrej Tarkovskij: Il rullo compressore e il violino (1961); L'infanzia di Ivan (1962); Andrej Rublev (1969); Solaris (1972); Lo specchio (1974); Stalker (1979); Nostalghia (1983); Sacrificio (1986). Tra le opere critiche su Andrej Tarkovskij: Tullio Masoni, Paolo Vecchi, Andrej Tarkovskij, Il castoro cinema, Milano 1997, 2001. * Dopo un evento avvolto nel mistero - la caduta di un meteorite, una visita di alieni o persino del divino - un luogo di un fatiscente paese pseudo-russo inizia a mutare. La natura, la realta' fisica e la stessa ragione iniziano a mutare in questo luogo detto la zona. Le persone non riescono a viverci, gli studiosi a comprenderla, i militari a sfruttarla. Recintata e messa in sicurezza, la zona resta vuota e misteriosa, piena di leggenda, inospitale e apparentemente dotata di una vita tutta propria. Gli stalker sono gli unici ad entrarci, e non senza pericolo. Uno di loro accetta di portare due persone fino ad una leggendaria stanza dove sembra che si avverino i desideri di chi la visita. Le due persone sono un intellettuale che dice di cercare la sua ispirazione ed uno scienziato che si dichiara interessato alla conoscenza. Lo Scrittore, il Professore e lo Stalker: nella zona persino i nomi propri sembrano irrilevanti. Lo Stalker porta le persone che hanno perso la speranza, quelle a cui non resta altro. Diviene la sua ragione di vita e ne trae come unica soddisfazione la profonda estasi che riceve all'interno della zona. Tra le tante misteriose e mutevoli regole di questo luogo infatti c'e' quella che gli stalker non possono chiedere nulla per se stessi, altrimenti e' probabile che la soddisfazione ricevuta si ritorca contro di loro come nel caso di Porcospino, colui che ha insegnato allo Stalker tutto sulla zona, stalker anch'esso e suicidatosi per le tragiche conseguenze di un suo desiderio. Lo Stalker potrebbe chiedere la felicita' per la sua famiglia, la salute per sua figlia mutante, una nuova vita in un luogo meno squallido di quello mostrato dalle meravigliose immagini in bianco e nero virato in seppia di una realta' disastrata e misera. Pero' e' cosi' sopraffatto dall'enigmatica potenza della zona che non lo fa, non cade in tentazione e gioisce nello sperare che le persone che lui accompagna, a rischio della prigione, della vita, della pazzia, diventino meno infelici. Cosi' lo sara' un po' meno anche lui. All'interno della zona lo Scrittore ed il Professore faticano ad accettare la quantita' di regole non dette e di idiosincrasie dello Stalker, il suo continuo riferirsi a pericoli invisibili ed a prodigi al limite della magia, la sua irrequieta attesa della pace; lo seguono con disincanto e non si abbandonano al suo stesso trasporto. Anche i loro desideri si rivelano essere altri: il Professore vuole avere successo accademico e distruggere la zona per il rischio che l'umanita' stolta e malvagia se ne impossessi e che uomini non dotti come lui ne sfruttino gli eventuali poteri; porta nascosta una piccola testata nucleare con cui farlo. Lo Scrittore sembra quasi che voglia sfidare con l'intelletto questo oggetto di fede e provare a tutti i costi le sue ciniche idee sull'umanita', giustificando cosi' l'amarezza della sua vita materialista e misera. Durante il viaggio le loro interiorita' vengono fuori, le loro convinzioni - quelle predominanti nel mondo - appaiono meschine e grevi. La stanza guardera' dentro di loro ed esaudira' i desideri piu' profondi, quelli che non si dicono e che spesso ci rappresentano in maniera sincera e brutale. Nessuno dei due riuscira' ad entrare nella camera dei desideri. La possibilita' di essere messi a confronto col vuoto abissale delle proprie anime li atterrisce. Lo Stalker si dispera, perche' essi non credono, non hanno speranza e non sono quindi capaci di abbandonarsi a qualcosa che vada oltre l'intelligibile. Non riescono a vedere se stessi o il mondo in maniera diversa, migliore. Fanno ritorno. Sono cambiati in qualche modo ma non come si aspettavano. La desolazione della vita senza misteriosa estasi li ha di nuovo. Resta il grigio del mondo decadente ed i colorati sprazzi di vita che coloro che sono stati toccati dalla zona - la figlia mutante - recano con se', come dono e maledizione. Enigma, mistero, contemplazione, incanto, speranza sono parole chiave che possono instradare lo spettatore in una visione sempre personale e mai schematica di questo splendido film. Non ci sono insegnamenti dogmatici, risposte, fatti evidenti. Si e' continuamente chiamati all'intensa riflessione in proprio oppure alla profonda esperienza estetica tra molteplici simboli e suggerimenti, messaggi misteriosi trasmessi attraverso la forma, il colore o la sostanza di cio' che si vede. Tra i molti ed importanti segni l'acqua e' protagonista, morbida ma potente: avvolge e consuma come una memoria acida da cui affiorano ricordi di un umanita' decaduta ed arrogante che non ha saputo lasciarsi trascinare dalla sua placida corrente ma si e' ostinata a far barriere, a dare nomi, a costruire ed uccidere, credendosi padrona del mondo. Spazi sommersi ricoperti di mucillagine, metalli incrostati - armi denaro attrezzature scientifiche, tolte dalle mani dell'uomo ed entrate a fare parte di questo inquietante fiume o bosco - costruzioni strumenti e veicoli reinventati dalla natura, resi muti, svelati nudi nella loro umana inutilita'. Non sembrano neanche piu' cose artificiali. Si direbbe che nella Zona la cultura sia di nuovo sopraffatta dalla natura. Pochi movimenti di macchina, lunghe sequenze silenziose che mostrano lo stato d'animo dei protagonisti, inquadrature prolungate e penetranti di questa natura che si riappropria dello spazio post-umano in cui l'uomo non e' che un ospite neanche tanto gradito. Spesso soffia un forte vento, l'acqua goccia, scorre, scroscia e precipita, pochi importanti dialoghi in cui non una sola parola e' sprecata, persa o perdibile: lo smarrimento degli uomini vi abita in maniera sempre piu' evidente mentre certezze e convinzioni vengo arbitrariamente negate da cio' che accade o potrebbe accadere nella zona. La zona e' groviglio, deserto, campo di battaglia, cimitero, pozzo, labirinto, fiume o palude e solo un cinema non convenzionale poteva raccontarla come la intende Tarkovskij, cioe' non definendola e lasciando allo spettatore questo dovere affinche' anch'egli possa compiervi un viaggio - con tutti i significati rituali che questa parola comporta. Puo' un viaggio essere essere compiuto mediante l'abbandono al trasporto? Questa sembra essere una delle proposte di “Stalker”. E' un cinema in cui “non succede niente” nel senso piu' elevato di sfida al canone filmico: il film mostra, propone, interroga senza presupporre che ci sia una sola risposta, una soluzione. Pur volgendo in un certo senso religioso lo fa senza forzature, senza specificare a cosa si debba credere, invitando ad una speranza generica che ognuno possa nominare come preferisce purche' abbia sempre come meta - piu' o meno raggiungibile ed in maniera piu' o meno tortuosa - la ricerca della felicita' o quanto meno della lotta all'infelicita'. Al contrario di quello filosofico ed emotivo, il tempo cinematografico a volte e' cosi' rarefatto da poter ospitare degli importanti versi (di Arsenij Tarkovskij e di Fedor Ivanovic Tjutcev) che paradossalmente hanno la funzione di condensare profonde riflessioni in poche parole, per lasciare spazio all'immagine e tempo alla concentrazione. Se quindi e' ancora possibile scorgere in “Stalker” i tratti tipici della narrazione non c'e' un vero climax tanto caro al cinema mainstream, un puntare dritto verso quella che chiamano catarsi, e che spesso si riduce sempre di piu' allo scontro col cattivo di turno. Catarsi, quella parola abusata nelle scuole di cinema americane, torna finalmente al suo significato abituale di purificazione: aprirsi alla Zona purifica o almeno cambia profondamente, ma avviene in maniera continua e non con l'istantanea soppressione del pericolo/male: con la resa e non con l'azione. Sconvolgente considerando che si tratta di un'arte che fa della parola “azione” il suo principio fondante. In questo il film e' compatto sia da un punto di vista visuale che contenutistico, non c'e' praticamente una fase di riscaldamento, un prologo: le cose importanti ci sono da subito e sono tutte collegate l'un l'altra, fondamentali. Persino lo stacco cromatico all'ingresso nella zona non e' imprevedibile se si sono osservati con attenzione il mondo-grigio e la necessita' dello Stalker di tornare a bearsi - in senso mistico - nella zona. Come visualizzare altrimenti qualcosa di cosi' potente e diverso? E' necessario dare un nome, una categoria ad uno sconvolgimento tanto sublime? Anche la fine a questo punto e' improvvisa. Lo spettatore che ha avuto il coraggio di un'esperienza del genere ha bisogno di riflettere subito e certe considerazioni devono nascere a caldo. Solo il tempo per mostrare ancora una volta - con la figlia - il mistero che a volte permea, a volte colpisce, a volte marchia e che agli occhi velati di grigio e' castigo o peggio sfregio gratuito, ma quel colore cosi' desaturato e dolce leggermente acido che circonda la piccola Martiska descrive l'estasi piu' di mille forme o parole. Quando poi tornati a casa la moglie dello Stalker rompe la cosiddetta quarta parete e confonde la nostra realta' con quella appena mostrata e' evidente il fatto che il film ci chiami ad una riflessione profonda ma alla portata di tutti e soprattutto personale e riferita solo alla nostra individualita'. Pur sembrando questo rivolgersi a noi della donna disperata (quasi la morale di una favola) una fusione tra cinema e realta' e' possibile che sia l'esatto opposto: la definizione di finzione di quanto si e' appena vissuto e l'invito a proseguire la meditazione per conto proprio ma per il bene di tutti, a distinguere sempre tra ambizione personale e speranza, ad interrogarci su quando l'una sconfini nell'altra. Ma e' un'introspezione che si fa specchio del mondo fuori di noi: questo legame e' indissolubile a questo punto del film. Perche' a questo punto abbiamo realizzato che non c'e' vera speranza se non riferita alla collettivita' (al creato? All'universo?) di cui siamo solo una parte minima, non e' chiaro quanto unica e insostituibile, sta a noi deciderlo. Abbiamo giusto il tempo di ricordare il testo di apertura del film, quell'accenno fantascientifico alla visita di alieni nella zona, alieni che non ci hanno degnato di alcuna attenzione come noi non degnamo di attenzione gli insetti quando facciamo un picnic sul ciglio della strada. Siamo partecipanti, non protagonisti: nel racconto dei fratelli Strugackij piu' genericamente nei confronti dell'altro-non-umano, e per Tarkovskij piu' specificamente nei confronti di qualcosa di sicuramente piu' grande e giusto. Un film straordinario, in cui il movimento e l'immagine dominano sull'eredita' teatrale del dialogo, qui spesso disseminata e scomposta: affidata al fuori campo mentre ad essere inquadrato e' chi ascolta oppure astratta nelle geometrie assunte dai personaggi nei momenti di viaggio o di riposo circondati da questo misterioso frattale verde e grigio. Come nello splendido battesimo finale all'esterno della stanza dei desideri, in cui in una serie di inquadrature concentriche la pioggia lava via la durezza dell'ultimo importante dialogo, fissa le ultime considerazioni a cui sono giunti i viaggiatori da entrambi i lati dello schermo e si fa di nuovo sudario sulla zona che si era finalmente svelata a cercatori cosi' disperati. 2. RIFLESSIONE. MICHELA DE SANTIS NONVIOLENZA E' UNA MANO TESA [Ringraziamo Michela De Santis (per contatti: desantis.michela at gmail.com) per questo intervento nato da una sollecitazione di Paolo Arena e Marco Graziotti, che gli avevano rivolto varie domande per una intervista, ed ai quali Michela De Santis ha risposto con questo discorso continuo. Ringraziamo altresi’ Paolo Arena e Marco Graziotti per averci messo a disposizione questo testo. Michela De Santis e’ nata a Roma, dove vive e lavora. Laureata in Filosofia del diritto all'Universita’ di Bologna con una tesi sul premio Nobel Amartya Sen, ha condotto studi sulla comunicazione sociale, nella sua applicazione all'interno dei progetti di sviluppo sociale e cooperazione internazionale. Ha operato per diversi anni come volontaria internazionale in Guatemala per l'associazione “Sulla strada onlus” (www.sullastradaonlus.it) per cui e’ responsabile della Comunicazione e formazione. Ha collaborato e collabora attualmente con importanti organizzazioni internazionali, tra cui Unicef Italia e Amnesty International, occupandosi di comunicazione digitale e social media] Nonviolenza
e’ smettere di parlare di nonviolenza e provare ad agire in modo
nonviolento. E'
rinunciare alle parole
grosse. E'
andare incontro a tutti, non solo a quelli con cui sappiamo di poterci capire
bene. La
nonviolenza deve diventare "pop", solo a quel punto non sara’ piu’ un concetto
per pochi ma uno stile di vita alla portata di tutti. Per
farlo la prima cosa e’ cominciare a dare un esempio. Per
questo mi propongo di smettere di scrivere sulla nonviolenza e cominciare a
testimoniare l'agire nonviolento. E per
condividere la mia azione con tutti voi, vi racconto una bella esperienza che si
svolge ad Attigliano, un piccolo paese in provincia di
Terni. Qui,
dove il pregiudizio, la diffidenza, la paura dell'altro diventano spesso
strumenti di violenza, l'associazione di cui faccio parte ha realizzato un
piccolo progetto, chiamato “Mano tesa”. E' un
semplice doposcuola per bambini, dove culture diverse, esperienze diverse,
ragioni diverse si incontrano negli occhi dei bambini e dei
ragazzi. E' un
posto dove stare insieme, a volte bene altre volte meno bene, e imparare ad
essere diversi e speciali. Una cosa
talmente banale da diventare difficilissima, da scatenare critiche, dubbi,
insinuazioni. Il bene e’ banale e per questo fa paura: e’ talmente alla portata
di tutti che diventa provocatorio per chi preferisce l'inattivita’. Ecco perche’
chi fa qualcosa spesso viene giudicato, interrogato, additato di avere secondi
fini. Vincere
questo sospetto solo con l'azione, continuando ogni giorno a lavorare per l'idea
in cui si crede. Questa a mio parere e’ la nonviolenza. Violenza
invece e’ rispondere alle provocazioni, insinuare… e sopratutto smettere di
fare. Nei contesti piu’ difficili, laddove la gratificazione personale non
sempre e’ possibile e sorgono continuamente problemi da affrontare, la
nonviolenza e’ accogliere la sfida e vincerla senza danneggiare il proprio
persecutore. Non solo: nonviolenza e’ pensare e agire anche per
il bene del carnefice e dell'accusatore: per il bene
comune. Servire
la Patria puo’ essere anche questo. Ce lo insegna la Carta dei valori etici del
Servizio civile nazionale, che definisce il Servizio Civile come "Difesa
nonviolenta della Patria". Ogni
giorno, quattro giovani volontari in Servizio Civile Nazionale operano
all'interno del progetto "Mano tesa”, presso l'associazione di cui faccio
parte. Io credo
che la maggior parte di loro ignori il significato del termine "satyagraha", ma
di certo conoscono bene il significato di lavorare insieme, giocare insieme,
discutere e dover continuare a collaborare. Non
sanno definire la nonviolenza con termini esatti e specifici - e probabilmente
rabbrividirebbero all'idea di dover riflettere sui rapporti tra pacifismo e
nonviolenza - ma tentano ogni giorno di perseguire uno scopo che e’
pervaso, ispirato, generato dall'ideale della nonviolenza. A
partire dalle piccole cose, come il linguaggio.
3. MATERIALI. PER UNA DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI NONVIOLENZA
[Riproduciamo ancora una volta il seguente testo gia' piu' volte pubblicato
in passato nel nostro notiziario]
Una premessa terminologica
Scriviamo la parola "nonviolenza" tutta attaccata, come ci ha insegnato
Capitini, per distinguerla dalla locuzione "non violenza"; la locuzione "non
violenza" significa semplicemente non fare la violenza; la parola "nonviolenza"
significa combattere contro la violenza, nel modo piu' limpido e piu'
intransigente.
Chiamiamo le persone che si accostano alla nonviolenza "amici della
nonviolenza" e non "nonviolenti", perche' nessuno puo' dire di essere
"nonviolento", siamo tutti impastati di bene e di male, di luci e di ombre, e'
amica della nonviolenza la persona che rigorosamente opponendosi alla violenza
cerca di muovere verso altre piu' alte contraddizioni, verso altri piu' umani
conflitti, con l'intento di umanizzare l'agire, di riconoscere l'umanita' di
tutti.
Con la parola "nonviolenza" traduciamo ed unifichiamo due distinti e
intrecciati concetti gandhiani: "ahimsa" e "satyagraha". Sono due parole
densissime che hanno un campo semantico vastissimo ed implicano una
concettualizzazione ricca e preziosa.
Poiche' qui stiamo cercando di esprimerci sinteticamente diciamo che ahimsa
designa l'opposizione alla violenza, e' il contrario della violenza, ovvero la
lotta contro la violenza; ma e' anche la conquista dell'armonia, il fermo
ristare, consistere nel vero e nel giusto; e' il non nuocere agli altri (ne' con
atti ne' con omissioni), e quindi innocenza, l'in-nocenza nel senso forte
dell'etimo. Ahimsa infatti si compone del prefisso "a" privativo, che nega
quanto segue, e il tema "himsa" che potremmo tradurre con "violenza", ma anche
con "sforzo", "squilibrio", "frattura", "rottura dell'armonia", "scissura
dell'unita'"; in quanto opposizione alla lacerazione di cio' che deve restare
unito, l'ahimsa e' dunque anche ricomposizione della comunita',
riconciliazione.
Satyagraha e' termine ancora piu' denso e complesso: tradotto solitamente
con la locuzione "forza della verita'" puo' esser tradotto altrettanto
correttamente in molti altri modi: accostamento all'essere (o all'Essere, se si
preferisce), fedelta' al vero e quindi al buono e al giusto, contatto con
l'eterno (ovvero con cio' che non muta, che vale sempre), adesione al bene,
amore come forza coesiva, ed in altri modi ancora: e' bella la definizione della
nonviolenza che da' Martin Luther King, che e' anche un'eccellente traduzione di
satyagraha: "la forza dell'amore"; ed e' bella la definizione di Albert
Schweitzer: "rispetto per la vita", che e' anch'essa un'ottima traduzione di
satyagraha. Anche satyagraha e' una parola composta: da un primo elemento,
"satya", che e' a sua volta derivato dalla decisiva parola-radice "sat", e da
"agraha". "Agraha" potremmo tradurla contatto, adesione, forza che unisce,
armonia che da' saldezza, vicinanza; e' la forza nel senso del detto "l'unione
fa la forza", e' la "forza di attrazione" (cioe' l'amore); e' cio' che unisce in
contrapposizione a cio' che disgrega ed annichilisce. "Satya" viene tradotto per
solito con "verita'", ed e' traduzione corretta, ma con uguale correttezza si
potrebbe tradurre in modi molto diversi, poiche' satya e' sostantivazione
qualificativa desunta da sat, che designa l'essere, il sommo bene, che e' quindi
anche sommo vero, che e' anche (per chi aderisce a fedi religiose) l'Essere,
Dio. Come si vede siamo in presenza di un concetto il cui campo di significati
e' vastissimo.
Con la sola parola nonviolenza traduciamo insieme, e quindi unifichiamo,
ahimsa e satyagraha. Ognun vede come si tratti di un concetto di una
complessita' straordinaria, tutto l'opposto delle interpretazioni banalizzanti e
caricaturali correnti sulle bocche e nelle menti di chi presume di tutto sapere
solo perche' nulla desidera capire.
*
Ma cosa e' questa nonviolenza? lotta come umanizzazione
La nonviolenza e' lotta come amore, ovvero conflitto, suscitamento e
gestione del conflitto, inteso sempre come comunicazione, dialogo, processo di
riconoscimento di umanita'. La nonviolenza e' lotta o non e' nulla; essa vive
solo nel suo incessante contrapporsi alla violenza.
Ed insieme e' quella specifica, peculiare forma di lotta che vuole non solo
vincere, ma con-vincere, vincere insieme (Vinoba conio' il motto, stupendo,
"vittoria al mondo"; un motto dei militanti afroamericani dice all'incirca lo
stesso: "potere al popolo"); la nonviolenza e' quella specifica forma di lotta
il cui fine e' il riconoscimento di umanita' di tutti gli esseri umani: e' lotta
di liberazione che include tra i soggetti da liberare gli stessi oppressori
contro il cui agire si solleva a combattere.
Essa e' dunque eminentemente responsabilita': rispondere all'appello
dell'altro, del volto muto e sofferente dell'altro. E' la responsabilita' di
ognuno per l'umanita' intera e per il mondo.
Ed essendo responsabilita' e' anche sempre nonmenzogna: amore della verita'
come amore per l'altra persona la cui dignita' di essere senziente e pensante,
quindi capace di comprendere, non deve essere violata (e mentire e' violare la
dignita' altrui in cio' che tutti abbiamo di piu' caro: la nostra capacita' di
capire).
Non e' dunque una ideologia ma un appello, non un dogma ma una
prassi.
Ed essendo una prassi, ovvero un agire concreto e processuale, si da'
sempre in situazioni e dinamiche dialettiche e contestuali, e giammai in
astratto.
Non esiste una nonviolenza meramente teorica, poiche' la teoria nonviolenta
e' sempre e solo la riflessione e l'autocoscienza della nonviolenza come prassi.
La nonviolenza o e' in cammino, vale da dire lotta nel suo farsi, o
semplicemente non e'.
Esistono tante visioni e interpretazioni della nonviolenza quanti sono i
movimenti storici e le singole persone che si accostano ad essa e che ad essa
accostandosi la fanno vivere, poiche' la nonviolenza vive solo nel conflitto e
quindi nelle concrete esperienze e riflessioni delle donne e degli uomini in
lotta per l'umanita'.
*
Tante visioni della nonviolenza quente sono le persone che ad essa si
accostano
Ogni persona che alla nonviolenza si accosta da' alla sua tradizione un
apporto originale, un contributo creativo, un inveramento nuovo e ulteriore, e
cosi' ogni amica e ogni amico della nonviolenza ne da' una interpretazione
propria e diversa dalle altre. Lo sapeva bene anche Mohandas Gandhi che defini'
le sue esperienze come semplici "esperimenti con la verita'", non dogmi, non
procedure definite e routinarie, non ricette preconfezionate, ma esperimenti:
ricerca ed apertura.
*
La nonviolenza come insieme di insiemi
Io che scrivo queste righe propendo per proporre questa definizione della
nonviolenza cosi' come a me pare di intenderla e praticarla: la nonviolenza e'
cosa complessa, un insieme di insiemi, aperto e inconcluso.
1. E' un insieme di concetti e scelte logico-assiologici, ovvero di criteri
per l'azione: da questo punto di vista ad esempio la nonviolenza e'
quell'insieme di scelte morali che potremmo condensare nella formula del
"principio responsabilita'" in cui ha un ruolo cruciale la scelta della coerenza
tra i mezzi e i fini (secondo la celebre metafora gandhiana: tra i mezzi e i
fini vi e' lo stesso rapporto che c'e' tra il seme e la pianta).
2. E' un insieme di tecniche interpretative (il riconoscimento dell'altro,
ergo il rifiuto del totalitarismo, della cancellazione o della sopraffazione del
diverso da se'), deliberative (per prendere le decisioni senza escludere alcuno)
ed operative (per l'azione di trasformazione delle relazioni: interpersonali,
sociali, politiche); come esempio di tecnica deliberativa nonviolenta potremmo
citare il metodo del consenso; come esempio di tecniche operative potremmo
citare dallo sciopero a centinaia di altre forme di lotta cui ogni giorno
qualcuna se ne aggiunge per la creativita' di chi contro la violenza ovunque si
batte.
3. E' un insieme di strategie: e ad esempio una di esse risorse strategiche
consiste nell'interpretazione del potere come sempre retto da due pilastri: la
forza e il consenso; dal che deriva che si puo' sempre negare il consenso e
cosi', attraverso la noncollaborazione, contrastare anche il potere piu'
forte.
4. E' un insieme di progettualita' (di convivenza, sociali, politiche):
significativo ad esempio e' il concetto capitiniano di "omnicrazia", ovvero: il
potere di tutti. La nonviolenza come potere di tutti, concetto di una ricchezza
e complessita' straordinarie, dalle decisive conseguenze sul nostro agire.
*
Un'insistenza
Insistiamo su questo concetto della nonviolenza come insieme di insiemi,
poiche' spesso molti equivoci nascono proprio da una visione riduzionista e
stereotipata; ad esempio, e' certo sempre buona cosa fare uso di tecniche
nonviolente anziche' di tecniche violente, ma il mero uso di tecniche
nonviolente non basta a qualificare come nonviolenta un'azione o una proposta:
anche i nazisti prima della presa del potere fecero uso anche di tecniche
nonviolente.
Un insieme di insiemi, complesso ed aperto.
Un agire concreto e sperimentale e non un'ideologia sistematica e
astratta.
Un portare ed agire il conflitto come prassi di umanizzazione, di
riconoscimento e liberazione dell'umanita' di tutti gli esseri umani; come
responsabilita' verso tutte le creature.
La nonviolenza e' in cammino. La nonviolenza e' questo cammino. Il cammino
vieppiu' autocosciente dell'umanita' sofferente in lotta per il riconoscimento
di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
*
Una grande esperienza e speranza storica
Non patrimonio di pochi, la nonviolenza si e' incarnata in grandi
esperienze e speranze storiche, due sopra tutte: la Resistenza, e il movimento
delle donne; ed e' il movimento delle donne, la prassi nonviolenta del movimento
delle donne, la decisiva soggettivita' autocosciente portatrice di speranza e
futuro qui e adesso, in un mondo sempre piu' minacciato dalla catastrofe e
dall'annichilimento della civilta' umana. 4. APPELLI.
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 5.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
6. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Letture
- Danilo Franchi (a cura di), Raccontare la verita'. Sud Africa 1996-98 la
Commissione per la verita' e la riconciliazione, Mimesis, Milano-Udine 2010, pp.
344, euro 22.
7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
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possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 244 del 7 luglio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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