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Coi piedi per terra. 272
- Subject: Coi piedi per terra. 272
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 24 Jun 2010 12:35:49 +0200
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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 272 del 24 giugno 2010
In questo numero:
1. Nicolas Gomez Davila: Sfruttatori
2. Guenther Anders: Comandamenti dell'era atomica
3. Per contattare il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e
s'impegna per la riduzione del trasporto aereo
1. TESTI. NICOLAS GOMEZ DAVILA: SFRUTTATORI
[Da Nicolas Gomez Davila, In margine a un testo implicito, Adelphi, Milano
2001, 2005, p. 100.
Nicolas Gomez Davila (Bogota', 1913-1994), scrittore e pensatore
colombiano, e' autore di acuminati aforismi. In italiano sono state pubblicate
due raccolte di aforismi estratti dai cinque volumi dei suoi Escolios: In
margine a un testo implicito, Adelphi, Milano 2001, 2005; Tra poche parole,
Adelphi, Milano 2007]
Se per sfruttare l'uomo certuni predicano la rinuncia ai beni terreni;
altri, per sfruttarlo meglio, lo invitano a desiderarli.
2. TESTI. GUENTHER ANDERS: COMANDAMENTI DELL'ERA ATOMICA
[Nuovamente riproponiamo il seguente testo allegato alla lettera 4 (di
Anders a Eatherly, del 2 luglio 1959), precedentemente apparso nella
"Frankfurter Allgemeine Zeitung" del 13 luglio 1957, che estraiamo dalla
corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima.
Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano
1992, ivi alle pp. 38-50, nella traduzione di Renato Solmi.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di non
comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo, trasferitosi
negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri. Tornato in Europa nel
1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992. Strenuamente impegnato contro
la violenza del potere e particolarmente contro il riarmo atomico, e' uno dei
maggiori filosofi contemporanei; e' stato il pensatore che con piu' rigore e
concentrazione e tenacia ha pensato la condizione dell'umanita' nell'epoca delle
armi che mettono in pericolo la sopravvivenza stessa della civilta' umana;
insieme a Hannah Arendt (di cui fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri,
certo) e' tra gli ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del
nostro agire. Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino
1961; La coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude
Eatherly e di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano
1992 (col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale), Bollati
Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali, Linea
d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli 1991; Noi
figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e legittima
difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi) 1997. Si
vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo senza mondo,
Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar, Bari 1993; Amare,
ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e' antiquato, Bollati
Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati Boringhieri, Torino 2008. In
rivista testi di Anders sono stati pubblicati negli ultimi anni su "Comunita'",
"Linea d'ombra", "Micromega". Opere su Guenther Anders: cfr. ora la bella
monografia di Pier Paolo Portinaro, Il principio disperazione. Tre studi su
Guenther Anders, Bollati Boringhieri, Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno
scritto, tra altri, Norberto Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli
intellettuali italiani che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo
Cesare Cases e Renato Solmi.
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6
agosto del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal
crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile,
considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Si impegno' nella denuncia
dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e antinucleare. La
corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e il 1961 e' raccolta
nel libro Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino
1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte della
propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento Nonviolento del
Piemonte e della Valle d'Aosta. Dal risvolto di copertina del recente volume in
cui sono raccolti taluni dei frutti mggiori del suo magistero riprendiamo la
seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e'
laureato in storia greca con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso
un anno a Napoli presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto
Croce, ha lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi.
A meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per seguire
i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e
tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa
trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato da
tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della militanza
attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e nazionali. Ha
collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il pensiero critico",
"Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi
Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il
manifesto", "L'Indice dei libri del mese" e altri). Fra le sue traduzioni -
oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi,
Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca,
ivi, 1985), che sono in realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy
Lukacs, Il significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane
Hegel e i problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders,
Essere o non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max
Horkheimer e Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980);
Seymour Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti
(ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918
(Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo particolarmente
la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004,
Quodlibet, Macerata 2007] Il tuo primo pensiero dopo il risveglio sia: "Atomo". Poiche' non devi
cominciare un solo giorno nell'illusione che quello che ti circonda sia un mondo
stabile. Quello che ti circonda e' qualcosa che domani potrebbe essere gia'
semplicemente "stato"; e noi, tu e io e tutti i nostri contemporanei, siamo piu'
"caduchi" di tutti quelli che finora sono stati considerati tali. Poiche' la
nostra caducita' non significa solo il nostro essere "mortali"; e neppure che
ciascuno di noi puo' essere ucciso. Questo era vero anche in passato. Ma
significa che possiamo essere uccisi in blocco, che possiamo essere uccisi come
"umanita'". Dove "umanita'" non e' solo l'umanita' attuale, quella che si
estende e si distribuisce attraverso le regioni terrestri; ma e' anche quella
che si estende attraverso le regioni del tempo: poiche', se l'umanita' attuale
sara' uccisa, si estinguera' con lei anche l'umanita' passata, e anche quella
futura. La porta davanti alla quale ci troviamo reca quindi la scritta: "Nulla
sara' stato", e sull'altro verso le parole: "Il tempo e' stato solo un
interludio". Ma, in questo caso, il tempo non sara' stato un interludio fra due
eternita' (come speravano i nostri antenati), ma un interludio fra due nulla:
fra il nulla di cio' che, nessuno potendolo ricordare, "sara' stato" come se non
fosse mai stato, e il nulla di cio' che non potra' mai essere. E poiche' non ci
sara' nessuno per distinguere i due nulla, essi si confonderanno in un nulla
unico. Ecco quindi la nuova, apocalittica forma di caducita' che e' la nostra, e
accanto alla quale tutto cio' che ha avuto finora questo nome e' diventato
un'inezia. - E perche' questo non ti sfugga, il tuo primo pensiero dopo il
risveglio sia: "Atomo".
*
La possibilita' dell'apocalisse
E questo sia il tuo secondo pensiero dopo il risveglio: "La possibilita'
dell'apocalisse e' opera nostra. Ma noi non sappiamo quello che facciamo". No,
non lo sappiamo; e non lo sanno nemmeno quelli che dispongono e decidono di
essa; poiche' anch'essi sono come noi; anch'essi sono noi; anch'essi sono
radicalmente incompetenti. E' vero che questa incompetenza non e' colpa loro, ma
e' piuttosto l'effetto di una circostanza che non si puo' attribuire a nessuno
di loro ne' di noi: la sproporzione continuamente crescente fra la nostra
facolta' produttiva e la nostra facolta' immaginativa, fra cio' che possiamo
produrre e cio' che possiamo immaginare.
Poiche', nel corso dell'epoca tecnica, il rapporto tradizionale tra
fantasia e azione si e' rovesciato. Se era naturale, per i nostri antenati,
considerare la fantasia "esorbitante", esuberante, eccessiva, e cioe' tale che
superava e trascendeva l'ambito del reale, oggi i poteri della nostra fantasia
(e i limiti della nostra sensibilita' e della nostra responsabilita') sono
inferiori a quelli della nostra prassi; per cui si puo' dire che oggi la nostra
fantasia non e' all'altezza degli effetti che possiamo produrre. Non e' solo la
nostra ragione a essere kantianamente limitata e finita, ma anche la nostra
immaginazione e - a maggior ragione - la nostra sensibilita'. Possiamo pentirci,
tutt'al piu', dell'uccisione di un uomo: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla
nostra sensibilita'; possiamo rappresentarci, tutt'al piu', l'uccisione di dieci
uomini: e' tutto cio' che si puo' chiedere alla nostra immaginazione; ma
ammazzare centomila persone non presenta piu' alcuna difficolta'. E cio' non
solo per ragioni tecniche; e non solo perche' l'azione si e' ridotta a semplice
collaborazione e partecipazione, a un "azionare" che rende invisibile l'effetto,
ma anche e proprio per una ragione di ordine morale: e cioe' perche' la strage
in massa trascende di gran lunga la sfera di quelle azioni che siamo in grado di
rappresentarci concretamente e a cui possiamo reagire sentimentalmente; e la cui
esecuzione potrebbe essere inibita dall'immaginazione o dai sentimenti. - Le tue
verita' successive dovrebbero quindi essere queste: "L'inibizione diminuisce
progressivamente con l'ingrandirsi oltre misura dell'azione"; e "L'uomo e'
minore (piu' piccolo) di se stesso". Questa e' la formula della nostra attuale
schizofrenia, e cioe' del fatto che le nostre varie facolta' operano
separatamente, come entita' isolate e prive di coordinazione che hanno perso il
contatto fra loro.
Ma non e' per formulare nozioni definitive e fatalmente disfattistiche su
noi stessi che devi formulare queste verita': ma, al contrario, per inorridire
della finitezza e per vedere in essa uno scandalo; per sciogliere e allentare
quei limiti irrigiditi e trasformarli in barriere da superare; per revocare e
abolire la schizofrenia. Naturalmente, finche' ti e' concesso di sopravvivere,
puoi anche metterti a sedere, rinunciare ad ogni speranza e rassegnarti alla tua
schizofrenia. Ma se non sei disposto a questo, devi cercare di raggiungere te
stesso, di portarti alla tua propria altezza. E cio' significa (questo e' il tuo
compito) che devi cercare di colmare l'abisso fra le due facolta': la facolta'
produttiva e la facolta' riproduttiva; che devi livellare la differenza di
altezza che le separa; o, in altri termini, che devi sforzarti di allargare
l'ambito limitato della tua immaginazione (e quello ancora piu' ristretto del
tuo sentimento), finche' sentimento ed immaginazione arrivino ad apprendere e a
concepire l'enormita' che sei stato in grado di produrre; finche' tu possa
accettare o respingere cio' che hai inteso. Insomma, il tuo compito consiste
nell'allargare la tua fantasia morale.
*
Non aver paura di aver paura
Il tuo compito successivo e' quello di allargare il tuo senso del tempo.
Poiche' decisivo per la nostra situazione attuale non e' solo (cio' che ormai
sanno tutti) che lo spazio terrestre si e' contratto, e che tutti i luoghi che
si potevano considerare lontani fino a ieri sono ormai localita' viciniori; ma
che anche lo spazio temporale si e' contratto, e che tutti i punti del nostro
sistema temporale si sono avvicinati; che i futuri che potevano sembrare fino a
ieri a distanza irraggiungibile, confinano ormai direttamente col nostro
presente; che li abbiamo trasformati in comunita' attigue. Cio' vale sia per il
mondo orientale che per quello occidentale. Per il mondo orientale, poiche' il
futuro vi e' pianificato in una misura senza precedenti; e il futuro pianificato
non e' piu' un futuro "in grembo agli dei", ma un prodotto in fabbricazione:
che, per il fatto di essere previsto, e' gia' visto come parte integrante dello
spazio in cui ci si trova. In altri termini: poiche' tutto cio' che si fa, lo si
fa per quel prodotto futuro, esso getta gia' la sua ombra sul presente,
appartiene gia', in un senso pragmatico, al presente stesso. E cio' vale, in
secondo luogo (ed e' il caso che ci riguarda), per gli uomini del mondo
occidentale attuale; poiche' questo, anche senza proporselo direttamente, opera
gia' sui futuri piu' remoti: decidendo, ad esempio, della salute o della
degenerazione, e forse dell'esistenza o dell'inesistenza dei suoi nipoti. E non
importa che esso, o, piuttosto, che noi, si miri consapevolmente a questo
risultato: poiche' cio' che conta, da un punto di vista morale, e' soltanto il
fatto. E dal momento che il fatto - l'"azione a distanza" non pianificata - ci
e' noto, continuando ad agire come se non sapessimo quello che facciamo
commettiamo un delitto colposo.
E il tuo pensiero successivo dopo il risveglio sia: "Non esser vile, abbi
il coraggio di aver paura! Astringiti a fornire quel tanto di paura che
corrisponde alla grandezza del pericolo apocalittico!" Anche e proprio la paura
fa parte dei sentimenti che siamo incapaci o riluttanti a fornire; e dire che
abbiamo gia' paura, che ne abbiamo anche troppa, e che viviamo, anzi,
nell'"epoca della paura", e' una frase priva di senso, che, se non e' diffusa ad
arte col preciso intento di ingannare, e' pur sempre uno strumento ideale per
impedire l'avvento di una paura veramente adeguata all'enormita' del pericolo, e
per renderci indolenti e passivi. - E' vero piuttosto il contrario: che viviamo
in un'epoca refrattaria all'angoscia e assistiamo quindi passivamente
all'evoluzione in corso. Percio' vi e' tutta una serie di ragioni (a prescindere
dai limiti della nostra capacita' di sentire), che non e' possibile enumerare
qui (1). Ma non possiamo fare a meno di menzionarne una, a cui gli eventi del
recente passato conferiscono un'attualita' e un'importanza particolare. Si
tratta della mania delle competenze, e cioe' della persuasione, inculcata in noi
dalla divisione del lavoro, che ogni problema rientri in un determinato ambito
giuridico in cui non abbiamo il diritto di interferire e di dire la nostra.
Cosi', per esempio, il problema atomico rientra nella competenza dei politici e
dei militari. E questo "non aver diritto" si trasforma subito e automaticamente
in "non aver bisogno". In altri termini: non c'e' bisogno che mi occupi dei
problemi di cui non sono tenuto e autorizzato ad occuparmi. E posso fare a meno
di aver paura, poiche' la paura stessa viene "sbrigata" in un altro ressort.
Percio' ripeti dopo il tuo risveglio: "Res nostra agitur". Il che significa due
cose: 1) che la cosa ci riguarda perche' ci puo' colpire; e 2) che la pretesa di
alcuni a una competenza di carattere esclusivo e' infondata, perche' siamo
tutti, in quanto uomini, ugualmente incompetenti. Credere che in puncto "fine
del mondo" possa aver luogo una competenza maggiore o minore, e che quelli che
(in seguito a una divisione casuale del lavoro, delle responsabilita' e dei
compiti) sono diventati politici o militari, e che si occupano della
fabbricazione e dell'"impiego" della bomba piu' attivamente o piu' direttamente
di noi, siano percio' piu' "competenti" di noi, e' una follia pura e semplice.
Chi cerca di farcelo credere (che si tratti di questi pretesi competenti o di
altri) dimostra solo la sua incompetenza morale. Ma la nostra situazione morale
finisce per diventare intollerabile quando quei pretesi competenti (che sono
incapaci di vedere i problemi se non in termini tattici) pretendono di
insegnarci che non abbiamo nemmeno il diritto di aver paura, e tanto meno di
porci problemi morali: dal momento che la coscienza morale implica una
responsabilita', e la responsabilita' e' affar loro, affare dei competenti; con
la nostra paura, con la nostra angoscia morale, invaderemmo - secondo loro - un
campo di loro competenza. In conclusione: devi rifiutarti di riconoscere un ceto
privilegiato, un "clero dell'apocalisse": un gruppo che si arroghi una
competenza esclusiva per la catastrofe che sarebbe la catastrofe di tutti. Se ci
e' lecito variare il detto rankiano ("ugualmente vicini a Dio"), potremmo dire
che "ognuno di noi e' ugualmente vicino alla fine possibile". E percio' ognuno
di noi ha lo stesso diritto, e lo stesso dovere, di elevare ad alta voce il suo
monito. A cominciare da te.
*
Contro la discussione di carattere tattico
Non solo la nostra immaginazione, la nostra sensibilita' e la nostra
responsabilita' vengono meno di fronte alla "cosa": ma non siamo neppure in
grado di pensarla. Poiche' sotto qualunque categoria cercassimo di sussumerla,
la penseremmo in modo sbagliato: per il semplice fatto di ridurla sotto una
determinata categoria o classe di concetti, ne faremmo un oggetto fra gli altri
e la minimizzeremmo. Anche se puo' esistere in molti esemplari, e' unica nel suo
genere, non appartiene a nessuna specie: e', quindi, un monstrum.
Disgraziatamente e' proprio questa ("mostruosa") inclassificabilita' a portarci
a trascurare la cosa, o a dimenticarla addirittura. Tendiamo a considerare come
inesistente tutto cio' che non siamo in grado di classificare. Ma nella misura
in cui si parla della cosa (cio' che peraltro non avviene ancora nella
conversazione quotidiana fra gli uomini), tendiamo a classificarla (poiche' e'
la soluzione piu' comoda e meno inquietante) come un'arma, o piu' in generale
come un mezzo. Ma essa non e' un mezzo, poiche' e' essenziale alla natura del
mezzo risolversi nello scopo raggiunto e scomparire, come la via nella meta. Il
che non accade in questo caso. Poiche' anzi l'effetto inevitabile (e perfino
l'effetto consapevolmente ricercato) della cosa e' maggiore di ogni scopo
pensabile; poiche' questo, per forza di cose, scompare e si annulla
nell'effetto. Scompare e si annulla insieme al mondo in cui c'erano ancora "fini
e mezzi". Ed e' chiaro che una cosa che distrugge, con la sua sola esistenza, lo
schema "fini e mezzi", non puo' essere un mezzo. Percio' la tua massima
successiva sia: "Nessuno mi fara' credere che la bomba sia un mezzo". E dal
momento che non e' un mezzo come i milioni di mezzi che compongono il nostro
mondo, non puoi tollerare che sia prodotta come se si trattasse di un
frigorifero, di un dentifricio e nemmeno di una pistola, per costruire la quale
nessuno ci interpella. - E come non devi credere a quelli che la chiamano un
"mezzo", non devi credere nemmeno ai persuasori piu' sottili che sostengono che
la cosa serve esclusivamente alla "dissuasione", ed e' prodotta, cioe', solo
allo scopo di non essere usata. Poiche' non si sono mai visti oggetti il cui
impiego si esaurisse nel loro non essere usati; o, tutt'al piu', vi sono stati
oggetti che, in determinati casi, non furono usati (e cioe' quando la minaccia
del loro uso, spesso gia' avvenuto, si era gia' rivelata sufficiente). Del
resto, non dobbiamo mai dimenticare che la cosa e' gia' stata "usata" realmente
(e senza giustificazione adeguata) a Hiroshima e Nagasaki. Infine, non dovresti
permettere che l'oggetto il cui effetto supera ogni immaginazione sia
classificato in modo falso con un'etichetta sciocca e minimizzante. Quando
l'esplosione di una bomba H e' definita ufficialmente "azione Opa" o "azione
nonnino", non e' solo una manifestazione di cattivo gusto, ma anche un inganno
consapevole.
Inoltre devi opporti e ribellarti tutte le volte che la cosa (la cui
semplice presenza e' gia' una forma di uso) e' discussa da un punto di vista
puramente "tattico". Questo tipo di discussione e' assolutamente inadeguato,
poiche' l'idea di potersi servire tatticamente delle armi atomiche presuppone
l'esistenza di una situazione politica indipendente dal fatto stesso della loro
esistenza. Ma questa e' una supposizione affatto irreale, poiche' la situazione
politica (l'espressione "era atomica" e' perfettamente giustificata) e' definita
dal fatto delle armi atomiche. Non sono le armi atomiche a presentarsi, fra le
altre cose, sulla scena politica, ma sono gli avvenimenti politici a svolgersi
all'interno della situazione atomica; e la maggior parte delle azioni politiche
sono passi intrapresi all'interno di questa situazione. I tentativi di
utilizzare la possibilita' della fine del mondo come una pedina sullo scacchiere
della politica internazionale, indipendentemente o meno dalla loro astuzia, sono
segni di accecamento. L'epoca delle astuzie e' finita. Percio' devi farti un
principio di sabotare tutte le analisi in cui i tuoi contemporanei cercano di
esaminare il fatto del pericolo atomico da un punto di vista puramente tattico,
e di portare la discussione sul punto essenziale: sulla minaccia che pesa
sull'umanita' di un'apocalisse provocata da lei stessa; e fallo anche a costo di
essere deriso come persona priva di realismo politico. In realta', ad essere
poco realisti, sono proprio i puri tattici, che vedono le armi atomiche solo
come mezzi, e che non capiscono che i fini che cercano o pretendono di
raggiungere mediante la loro tattica, sono completamente svuotati di significato
dall'uso (anzi, dalla semplice possibilita' dell'uso) di questi mezzi.
*
La decisione e' gia' stata presa
Non lasciarti ingannare da chi sostiene che ci troveremmo ancora (e ci
troveremo forse sempre) nello stadio sperimentale, nello stadio delle esperienze
di laboratorio. Poiche' questa e' solo una frase. E non solo perche' abbiamo
gia' gettato delle bombe (cio' che molti stranamente dimenticano), e l'epoca "in
cui si fa sul serio" e' quindi gia' cominciata da un pezzo; ma anche perche' (ed
e' la ragione piu' importante) non e' possibile parlare, in questo caso, di
esperimenti. La tua ultima massima sara', quindi, questa: "Per quanto felice
possa essere l'esito degli esperimenti, e' lo sperimentare stesso che fallisce".
E fallisce perche' si puo' parlare di esperimenti solo dove l'evento
sperimentale non esce e non spezza l'ambito isolato e circoscritto del
laboratorio; condizione che non si ritrova in questo caso. Poiche' fa proprio
parte dell'essenza della cosa, e dell'effetto ricercato della maggior parte
degli esperimenti attuali, accrescere il piu' possibile la forza esplosiva e il
fall-out radioattivo dell'arma; e cioe', per quanto contraddittoria possa essere
la formula, provare fino a che punto si possa superare ogni limite sperimentale.
Cio' che e' prodotto dai cosiddetti "esperimenti" non rientra piu', quindi,
nella classe degli effetti sperimentali, ma nello spazio reale, nell'ambito
della storia (dove si trovano, ad esempio, i pescatori giapponesi contagiati dal
fall-out) e perfino della storia futura, poiche' e' il futuro stesso ad essere
investito (ad esempio la salute delle prossime generazioni), e si puo' quindi
dire che il futuro, secondo la formula filosofica del libro di Jungk, "e' gia'
cominciato". E' quindi del tutto illusoria e ingannevole l'affermazione a cui si
ricorre cosi' volentieri, che l'impiego della cosa non e' stato ancora deciso. -
E' vero, invece, che la decisione e' gia' avvenuta attraverso i cosiddetti
esperimenti. Fa quindi parte dei tuoi doveri denunciare e distruggere
l'apparenza che noi si viva ancora nella "preistoria" atomica: e chiamare per
nome cio' che e'.
*
Siamo manipolati dai nostri apparecchi
Ma tutti questi postulati e questi divieti si possono condensare in un solo
comandamento: "Abbi solo quelle cose le cui massime potrebbero diventare le tue
massime e quindi le massime di una legislazione universale".
E' un postulato che puo' lasciare interdetti: l'espressione "massime delle
cose" puo' sembrare, a tutta prima, paradossale. Ma solo perche' strano e
paradossale e' il fatto stesso designato dall'espressione. Cio' che vogliamo
dire e' solo che, vivendo in un mondo di apparecchi, siamo soggetti al
trattamento dei nostri apparecchi (e sempre in un modo determinato dalla natura
degli apparecchi). Ma poiche', d'altra parte, siamo gli utenti di questi
apparecchi, e trattiamo il nostro prossimo per mezzo di essi, finiamo per
trattare il nostro prossimo, anziche' secondo i nostri principi, secondo i modi
di operare degli apparecchi, e cioe', in certo qual modo, secondo le loro
massime. Il postulato esige che ci rendiamo conto di queste massime come se
fossero le nostre (dal momento che lo sono effettivamente e di fatto); che la
nostra coscienza morale, anziche' dedicarsi all'esame di se stessa (che e' ormai
un lusso privo di conseguenze), si dedichi a quello degli "impulsi nascosti" e
dei "principi" dei nostri apparecchi. Esaminando scrupolosamente la propria
anima alla maniera tradizionale, un ministro atomico non vi troverebbe,
probabilmente, nulla di particolarmente peccaminoso; ma esaminando la "vita
intima" dei suoi aggeggi, vi troverebbe niente meno che l'erostratismo, e un
erostratismo su scala cosmica; poiche' erostratico e' il modo in cui le armi
atomiche trattano l'umanita'. Solo quando ci saremo abituati a questa nuova
forma di azione morale ("l'analisi del cuore degli apparecchi"), avremo qualche
motivo di sperare che, dovendo decidere del nostro essere o non-essere, sapremo
decidere per la conservazione del nostro essere.
*
Impossibilita' di non-potere
Il tuo principio successivo sia: "Non credere che quando saremo riusciti a
compiere il primo passo, la cessazione dei cosiddetti esperimenti, il pericolo
si possa considerare passato, e che noi si possa dormire sugli allori". Poiche'
la fine degli esperimenti non significa ancora quella della produzione di bombe
e tanto meno la distruzione delle bombe e dei tipi che sono gia' stati
sperimentati e che sono pronti per l'uso. Vi possono essere varie ragioni per
una cessazione degli esperimenti: uno stato vi si puo' risolvere, ad esempio,
perche' ogni ulteriore esperimento sarebbe superfluo, dal momento che la
produzione dei tipi sperimentati o la riserva di bombe esistenti bastano gia'
per ogni eventualita'; insomma, perche' sarebbe assurdo e antieconomico uccidere
l'umanita' piu' di una volta.
Non credere nemmeno che avremmo diritto di stare tranquilli una volta che
fossimo riusciti ad eseguire il secondo passo (l'arresto della produzione di
bombe A e H), o che potremmo metterci a sedere dopo il terzo passo (la
distruzione di tutte le riserve). Anche in un mondo completamente "pulito" (e
cioe' in un mondo dove non ci fossero piu' bombe A o H, e dove quindi,
apparentemente, non "avremmo" bombe), continueremmo, tuttavia, ad averle,
poiche' sapremmo come fare per produrle. Nella nostra epoca contrassegnata dalla
riproduzione meccanica non si puo' dire che un oggetto possibile non esista,
poiche' cio' che conta non sono gli oggetti fisici reali, ma i loro tipi, i loro
"modelli". Anche dopo aver eliminato tutti gli oggetti fisici che hanno a che
fare con la produzione delle bombe A o H, l'umanita' potrebbe cadere vittima dei
loro disegni. Si potrebbe concludere, allora, che bisogna distruggere questi
ultimi. Ma anche questo e' impossibile, poiche' i modelli sono indistruttibili
come le idee di Platone; in un certo senso sono addirittura la loro
realizzazione diabolica. Insomma, anche se ci riuscisse di distruggere
fisicamente i fatali apparecchi e i loro "modelli", e di salvare cosi' la nostra
generazione: anche questa sarebbe solo una pausa, sarebbe solo una dilazione. La
produzione potrebbe essere ripresa ogni giorno, il terrore rimane, e dovrebbe
restare, quindi, anche la tua paura. D'ora in poi l'umanita' dovra' vivere, per
tutta l'eternita', sotto l'ombra minacciosa del mostro. Il pericolo apocalittico
non si lascia eliminare una volta per tutte, con un atto solo, ma solo con una
serie indefinita di atti quotidiani. Dobbiamo comprendere, insomma (e questa
comprensione finisce di mostrarci il carattere fatale della nostra situazione),
che la nostra lotta contro la permanenza fisica degli ordigni e la loro
costruzione, sperimentazione ed accumulazione rimane, in definitiva,
insufficiente. Poiche' la meta che dobbiamo raggiungere non puo' consistere nel
non-avere la cosa, ma solo nel non adoperarla mai, anche se non possiamo fare in
modo di non averla; nel non adoperarla mai, anche se non ci sara' mai un giorno
in cui non potremmo adoperarla.
Ecco quindi il tuo compito: far capire all'umanita' che nessuna misura
fisica, nessuna distruzione di oggetti materiali potra' mai rappresentare una
garanzia assoluta e definitiva, e che dobbiamo, invece, essere fermamente decisi
a non compiere mai quel passo, anche se sara', in un certo senso, sempre
possibile. Se non riusciamo - si', tu, tu ed io - a infondere questa coscienza e
questa convinzione nell'umanita', siamo perduti.
*
Note
1. Cfr. Guenther Anders, Die Antiquierheit des Menschen, C. H. Beksche
Verlagsbuchhandlung, pp. 264 sgg.
3. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO
DI VITERBO E S'IMPEGNA PER LA RIDUZIONE DEL TRASPORTO AEREO
Per informazioni e contatti: Comitato che si oppone al mega-aeroporto di
Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della
salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti: e-mail:
info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org
Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa
Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at gmail.com
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COI PIEDI PER TERRA
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Numero 272 del 24 giugno 2010
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