Telegrammi. 215
- Subject: Telegrammi. 215
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 8 Jun 2010 00:33:19 +0200
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 215 dell'8
giugno 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino
proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche
della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero:
1. Non uccidere
2. Mao Valpiana: Verso il congresso del Movimento Nonviolento
3. Ernesto Balducci: Introduzione a "La pace. Realismo di
un'utopia"
4. Associazione "Respirare": Si realizzi subito il parco naturalistico,
archeologico e termale del Bulicame
5. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
6.
"Azione nonviolenta"
7. Segnalazioni librarie 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. NON UCCIDERE
E' tutto qui.
A tutte le uccisioni opponiti sempre.
A tutte le persecuzioni opponiti sempre.
A tutte le umiliazioni opponiti sempre.
A tutte le violenze opponiti sempre.
A tutti gli oppressi e i bisognosi reca aiuto.
E' tutto qui.
2. INIZIATIVE. MAO VALPIANA: VERSO IL CONGRESSO DEL
MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: Movimento Nonviolento, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive e ha lavorato come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' segretario nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta' con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Con Michele Boato e Maria G. Di Rienzo ha promosso l'appello "Crisi politica. Cosa possiamo fare come donne e uomini ecologisti e amici della nonviolenza?" da cui e' scaturita l'assemblea di Bologna del 2 marzo 2008 e quindi il manifesto "Una rete di donne e uomini per l'ecologia, il femminismo e la nonviolenza". Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 de "La nonviolenza e' in cammino"; una sua ampia intervista e' nelle "Minime" n. 255 del 27 ottobre 2007] Dal 29 ottobre al primo novembre 2010, si terra' a Brescia il ventitreesimo congresso nazionale del Movimento Nonviolento. In vista di tale importante evento, che avra' come titolo "La nonviolenza per la citta' aperta", sono state coinvolte alcune classi degli ultimi anni del Liceo artistico di Brescia, coinvolte nella preparazione del manifesto di convocazione del congresso stesso. Per la discussione e lo studio della miglior grafica e del miglior disegno che possa illustrare i temi della nonviolenza e di una politica di apertura nelle nostre citta', si sono svolti alcuni incontri formativi con gli studenti interessati. Ai primi due incontri hanno partecipato Pasquale Pugliese (del Movimento Nonviolento di Reggio Emilia e membro del Comitato di coordinamento del Movimento Nonviolento) e Caterina Del Torto (in servizio civile al Movimento Nonviolento, nel progetto "La nonviolenza in teoria e in pratica. Brescia"). Io ho partecipato all'incontro conclusivo, incentrato sulle due parole chiave "nonviolenza" e "citta'". Gli studenti hanno espresso i loro modi di intendere la nonviolenza e la loro percezione della citta'. Tutti i contributi sono stati recepiti e confrontati con le definizioni e le sperimentazioni di nonviolenza secondo Mohandas K. Gandhi e Aldo Capitini. Ne e' emerso che la "convivenza" e' oggi uno dei nomi della pace, e che la nonviolenza puo' essere lo strumento per risolvere i conflitti che nascono negli scenari delle nostre citta', cosi' diverse oggi rispetto anche solo a qualche decennio fa. Entro la conclusione di quest'anno scolastico i ragazzi realizzeranno alcuni elaborati artistici, che costituiranno una mostra che verra' esposta nei giorni del congresso (che si svolgerà presso il Centro dei Saveriani di Brescia). L'elaborato scelto per la realizzazione del manifesto sara' premiato in apertura dei lavori congressuali. 3. TESTI. ERNESTO BALDUCCI: INTRODUZIONE A "LA PACE. REALISMO DI
UN'UTOPIA"
[Riproponiamo ancora una volta l'introduzione del libro di Ernesto Balducci
e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia, Principato, Milano 1983; un
ottimo libro per le scuole che illustrava ed antologizzava la tradizione del
pensiero per la pace dal Rinascimento a oggi, da Erasmo a Gandhi a Anders.
L'introduzione riprende un indimenticabile intervento di padre Balducci al
convegno di "Testimonianze" il 14 novembre 1981, relazione che fu uno dei punti
di elaborazione piu' alti e profondi del grande movimento pacifista che in
quegli anni si batteva contro il riarmo atomico dell'est e dell'ovest.
Ernesto Balducci e' nato a Santa Fiora (in provincia di Grosseto) nel 1922,
ed e' deceduto a seguito di un incidente stradale nel 1992. Sacerdote,
insegnante, scrittore, organizzatore culturale, promotore di numerose iniziative
di pace e di solidarieta'. Fondatore della rivista "Testimonianze" nel 1958 e
delle Edizioni Cultura della Pace (Ecp) nel 1986. Oltre che infaticabile
attivista per la pace e i diritti, e' stato un pensatore di grande vigore ed
originalita', le cui riflessioni ed analisi sono decisive per un'etica della
mondialita' all'altezza dei drammatici problemi dell'ora presente. Opere di
Ernesto Balducci: segnaliamo particolarmente alcuni libri dell'ultimo periodo:
Il terzo millennio (Bompiani); La pace. Realismo di un'utopia (Principato), in
collaborazione con Lodovico Grassi; Pensieri di pace (Cittadella); L'uomo
planetario (Camunia, poi Ecp); La terra del tramonto (Ecp); Montezuma scopre
l'Europa (Ecp). Si vedano anche l'intervista autobiografica Il cerchio che si
chiude (Marietti); la raccolta postuma di scritti autobiografici Il sogno di una
cosa (Ecp); la raccolta postuma di scritti su temi educativi Educazione come
liberazione (Libreria Chiari); il manuale di storia della filosofia, Storia del
pensiero umano (Cremonese); ed il corso di educazione civica Cittadini del mondo
(Principato), in collaborazione con Pierluigi Onorato. Opere su Ernesto
Balducci: cfr. i due fondamentali volumi monografici di "Testimonianze" a lui
dedicati: Ernesto Balducci, "Testimonianze" nn. 347-349, 1992; ed Ernesto
Balducci e la lunga marcia dei diritti umani, "Testimonianze" nn. 373-374, 1995;
un'ottima rassegna bibliografica preceduta da una precisa introduzione
biografica e' il libro di Andrea Cecconi, Ernesto Balducci: cinquant'anni di
attivita', Libreria Chiari, Firenze 1996; recente e' il libro di Bruna Bocchini
Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernita', Laterza, Roma-Bari 2002;
cfr. anche almeno Enzo Mazzi, Ernesto Balducci e il dissenso creativo,
Manifestolibri, Roma 2002; e AA. VV., Verso l'"uomo inedito", Fondazione Ernesto
Balducci, San Domenico di Fiesole (Fi) 2004. Per contattare la Fondazione
Ernesto Balducci: www.fondazionebalducci.it
Lodovico Grassi, nato a Firenze nel 1936, docente, giornalista e saggista,
collaboratore di Ernesto Balducci, ha fatto parte del gruppo fondatore della
rivista "Testimonianze" di cui successivamente e' stato anche direttore.
Negli anni Ottanta ha partecipato attivamente alla vita pubblica concentrandosi
ovviamente soprattutto nell'impegno per la pace. Dal sito della rivista
"Testimonianze" riprendiamo la seguente scheda: "Lodovico Grassi e' nato il 25
agosto 1936 a Firenze, dove ha compiuto gli studi classici e si e' laureato in
giurisprudenza, discutendo con Pietro Piovani uno tesi di filosofia dei diritto
su L'uomo e lo Stato nella filosofia di Jacques Maritain (1959). Ha
successivamente studiato filosofia e teologia presso l'Universita' Gregoriano in
Roma (1960-1966), licenziandosi in teologia e vivendo in prima persona
l'esperienza e il travaglio della chiesa conciliare. Ha fatto parte dei gruppo
fondatore della rivista 'Testimonianze', di cui e' attualmente direttore
emerito. Titolare di storia e filosofia nei licei statali, ha associato alla
lungo attivita' didattica quella di animatore culturale e di pubblicista; autore
di numerosi saggi e articoli, e tra gli altri di rilevanti studi su Dietrich
Bonhoeffer e su Jacques Meritain, insieme a Emesto Balducci ha pubblicato La
pace. Realismo di un'utopia (Principato, 1983, 1985) ed elaborato il progetto
editoriale delle Edizioni Cultura della Pace. Impegnato nel movimento per la
pace, soprattutto con i sei convegni nazionali di 'Testimonianze' Se vuoi la
pace prepara la pace (1981-1987), dal 1985 al 1990 e' stato consigliere comunale
di Firenze (eletto come indipendente nelle liste dei Pci) e vicepresidente della
commissione consiliare, presieduta dal sindaco, istituita per l'attuazione della
delibera che, richiamandosi alla lezione di Giorgio La Pira, ha dichiarato (7
luglio 1986) Firenze citta' operatrice di pace, di cui e' stato uno dei piu'
decisi promotori". Opere di Lodovico Grassi: (con Ernesto Balducci), La pace.
Realismo di un’utopia, Principato, Milano 1983, 1985; La democrazia dell'era
atomica, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze); Jacques
Maritain, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1993.
Opere su Lodovico Grassi: Maurizio Bassetti e Severino Saccardi (a cura di), Un
uomo di pace. Lodovico Grassi fondatore di "Testimonianze", supplemento al
numero 447-448 di "Testimonianze", Firenze 2006]
Cresce di anno in anno la paura della catastrofe atomica e di anno in anno,
dinanzi a tale prospettiva, si fa piu' serrato il confronto tra gli utopisti,
secondo i quali e' possibile, in ragione della stessa smisuratezza del pericolo,
uscire una volta per sempre dalla civilta' della guerra, e i realisti, secondo i
quali il bene della pace, anche oggi come sempre, puo' essere custodito solo
dall'equilibrio delle forze in campo.
Il contrasto tra utopisti e realisti e' antico quanto la cultura, ma ha
cominciato a diventare acuto agli inizi dell'eta' moderna. Nel chiudere il
quarto dei suoi Discorsi dello svolgimento della letteratura nazionale, Giosue
Carducci contrappone alle figure massime del nostro Rinascimento Girolamo
Savonarola, che in Piazza Signoria "rizzava roghi innocenti contro l'arte e la
natura" ... "e tra le ridde de' suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in
qualche canto della piazza, sorridere pietosamente il pallido viso di Niccolo'
Machiavelli". Il sorriso scettico di Machiavelli e' durato fino ad oggi: la tesi
degli autori di questo libro e' che il tempo in cui siamo rende possibile
all'utopia di appropriarsi dei severi argomenti del realismo, e al realismo,
pena la negazione di se stesso, di integrare in se' le ragioni dell'utopia.
Savonarola e Machiavelli, insomma, non sono piu' gli emblemi di due opposte e
inconciliabili maniere di progettare il bene comune. Com'e' noto, il maestro dei
realisti affidava alla virtu' (che nel suo linguaggio voleva dire abilita'
conforme a ragione) il compito di far fronte alla fortuna e cioe' al corso
caotico e imprevedibile degli eventi. A suo giudizio, fortuna e virtu' potevano
governare la storia umana con una incidenza del 50% ciascuna. Le milizie
cittadine erano lo strumento primo della virtu' di un principe. Uno strumento
peraltro da usare all'interno di una preveggenza multiforme delle eventualita'
della fortuna. "Assomiglio quella - dice Machiavelli ragionando della fortuna,
nel Principe (cap. XXV) - a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s'adirano,
allagano e' piani, ruinano gli alberi e gli edifizi, lievono da questa parte
terreno, pongono da quell'altra; ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede allo
impeto loro, senza potervi in alcuna parte obstare. E benche' sieno cosi' fatti,
non resta pero' che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi potessimo fare
provvedimento, e con ripari e argini, in modo che, crescendo poi, o egli
andrebbano per uno canale, o l'impeto loro non sarebbe ne' si' licenzioso ne'
si' dannoso. Similmente interviene della fortuna; la quale dimostra la sua
potenzia dove non e' ordinata virtu' a resisterle".
Il "fiume rovinoso" di cui oggi anche Machiavelli dovrebbe ragionare e' il
fiume del fuoco atomico, contro cui nessun argine vale, nessun "provvedimento"
che non sia la sua estinzione; e la "citta'" affidata al principe oggi e',
secondo la "verita' effettuale", vorremmo dire materialistica, non Firenze o
l'Italia, ma il pianeta Terra.
Se per Machiavelli il "provvedimento" delle armi era, di fronte
all'imperativo assoluto del bene del Principato, un imperativo ipotetico, legato
cioe' a condizioni di fatto, una volta che queste condizioni mutano, anche
l'imperativo, per logica realistica, deve mutare.
*
Le condizioni di fatto sono radicalmente mutate. L'umanita' e' entrata in
un tempo nuovo nel momento stesso in cui si e' trovata di fronte al dilemma: o
mutare il modo di pensare o morire. Essa vive ormai sulla soglia di una
mutazione, nel senso forte che ha il termine in antropologia.
Non serve obiettare, contro il dilemma, che la mutazione non e' avvenuta e
noi siamo vivi! Non e' forse vero che l'abisso si e' spaventosamente allargato
dinanzi a noi? D'altronde le mutazioni non avvengono con ritmi serrati e
uniformi. In ogni caso si puo' gia' dire, con fondatezza, che si sono andate
generalizzando alcune certezze in cui e' facile scoprire il riflesso del
messaggio di Hiroshima e dunque un qualche inizio della mutazione.
La prima verita' contenuta in quel messaggio e' che il genere umano ha un
destino unico di vita o di morte. Sul momento fu una verita' intuitiva, di
natura etica, ma poi, crollata l'immagine eurocentrica della storia, essa si e'
dispiegata in evidenze di tipo induttivo la cui esposizione piu' recente e piu'
organica e' quella del Rapporto Brandt. L'unita' del genere umano e' ormai una
verita' economica. Le interdipendenze che stringono il Nord e il Sud del
pianeta, attentamente esaminate, svelano che non e' il Sud a dipendere dal Nord
ma e' il Nord che dipende dal Sud. Innanzitutto per il fatto che la sua economia
dello spreco e' resa possibile dalla metodica rapina a cui il Sud e' sottoposto
e poi, piu' specificamente, perche' esiste un nesso causale tra la politica
degli armamenti e il persistere, anzi l'aggravarsi, della spaventosa piaga della
fame. Pesano ancora nella nostra memoria i 50 milioni di morti dell'ultima
guerra, ma cominciano anche a pesarci i morti che la fame sta facendo: 50
milioni, per l'appunto, nel solo anno 1979. E piu' comincia a pesare il fatto,
sempre meglio conosciuto, che la morte per fame non e' un prodotto fatale
dell'avarizia della natura o dell'ignavia degli uomini, ma il prodotto della
struttura economica internazionale che riversa un'immensa quota dei profitti
nell'industria delle armi: 450 miliardi di dollari nel suddetto anno 1979 e
cioe' 10 volte di piu' del necessario per eliminare la fame nel mondo. Questo
ora si sa. Adamo ed Eva ora sanno di essere nudi. Gli uomini e le donne che,
fosse pure soltanto come elettori, tengono in piedi questa struttura di
violenza, non hanno piu' la coscienza tranquilla.
La seconda verita' di Hiroshima e' che ormai l'imperativo morale della
pace, ritenuta da sempre come un ideale necessario anche se irrealizzabile, e'
arrivato a coincidere con l'istinto di conservazione, il medesimo istinto che
veniva indicato come radice inestirpabile dell'aggressivita' distruttiva. Fino
ad oggi e' stato un punto fermo.che la sfera della morale e quella dell'istinto
erano tra loro separate, conciliabili solo mediante un'ardua disciplina e solo
entro certi limiti: fuori di quei limiti accadeva la guerra, che la coscienza
morale si limitava a deprecare come un malum necessarium. Ma le prospettive
attuali della guerra tecnologica sono tali che la voce dell'istinto di
conservazione (di cui la paura e' un sintomo non ignobile) e la voce della
coscienza sono diventate una sola voce. Non era mai capitato. Anche per questi
nuovi rapporti fra etica e biologia, la storia sta cambiando di qualita'.
La terza verita' di Hiroshima e' che la guerra e' uscita per sempre dalla
sfera della razionalita'. Non che la guerra sia mai stata considerata, salvo in
rari casi di sadismo culturale, un fatto secondo ragione, ma sempre le culture
dominanti l'hanno ritenuta quanto meno come una extrema ratio, e cioe' come uno
strumento limite della ragione. E difatti, nelle nostre ricostruzioni
storiografiche, il progresso dei popoli si avvera attraverso le guerre. Per una
specie di eterogenesi dei fini - per usare il linguaggio di Benedetto Croce -
l'"accadimento" funesto generava l'"avvenimento" fausto. Ma ora, nell'ipotesi
atomica, l'accadimento non genererebbe nessun avvenimento. O meglio,
l'avvenimento morirebbe per olocausto nel grembo materno dell'accadimento.
*
Queste tre verita' non trovano il loro giusto contesto nella cultura e
nella pratica politica ancora dominanti. Il pacifismo che esse prefigurano e'
anch'esso di tipo nuovo, non in continuita' con quello tradizionale. Per
pacifismo tradizionale non intendiamo qui le forme idealistiche o
misticheggianti su cui giustamente cadeva il sarcasmo di Marx, ma quelle
correnti ideologiche che, nell'eta' moderna, hanno posto a fondamento della
politica la ricerca di una pace definitiva. In questo senso potremmo parlare di
tre diversi pacifismi che hanno accompagnato, contestandole, le culture via via
dominanti, il cui dogma centrale e' sempre stato la inevitabilita' della
guerra.
Si ravviva oggi quel pacifismo che per solito viene detto umanistico
perche' ebbe le sue prime manifestazioni nell'eta' di Erasmo, ma che potremmo
chiamare anche, utilizzando un lessico piu' alla moda, radicale. Il suo
principio e' la tolleranza, il suo nemico e' il fanatismo, da quello religioso a
quello ideologico. La pace tra gli uomini e tra i popoli non va posata sulla
fede religiosa o su qualsiasi altra visione del mondo, ma su cio' che negli
uomini e' comune, sulla loro natura razionale, la cui voce e' la coscienza.
"Voila' l'ennemi" diceva Voltaire indicando la chiesa cattolica. Il pacifismo
radicale vede il nemico preferibilmente nelle istituzioni, in particolar modo
nell'esercito, e ripone la causa dello spirito aggressivo nell'influenza nefasta
che esse hanno sulle coscienze. Cio' che sembra mancare in questo tipo di
pacifismo, a causa del suo impianto individualistico, e' la disponibilita' al
confronto e soprattutto la giusta considerazione del valore delle istituzioni,
della loro capacita', almeno potenziale, di garantire il cittadino dinanzi al
privilegio e di fornirgli strumenti di diritto per il perseguimento della
giustizia e dell'eguaglianza. Ecco perche' esso e' stato sempre un pacifismo
elitario, capace di svegliare le coscienze, ma incapace di mordere realmente
sulle cause che generano i conflitti interni ed esterni alla societa'. Il
principio della tolleranza e' senza dubbio necessario a dar fondamento a una
societa' pacifica, purche' pero' venga coniugato con una militanza politica il
cui obiettivo sia la subordinazione delle istituzioni ai fini del bene comune e
della pace.
E' questo, appunto, il principio del pacifismo democratico. Secondo la
formula ideologica che gli dettero, al suo nascere, i giacobini, esso identifica
la causa delle guerre con le tirannidi, e la fondazione della pace con
l'esercizio effettivo della sovranita' popolare. I popoli amano la pace - ecco
il dogma democratico - in quanto il lavoro, la prosperita', la liberta'
coincidono con i loro interessi, mentre la guerra produce sprechi, rovine,
servitu' militari. Bastarono i plebisciti di Napoleone a dimostrare quanto fosse
ingenuo il dogma giacobino. E tuttavia l'idea che un popolo, una volta che gli
siano assicurati gli strumenti formali della sovranita', rifugga naturalmente
dalle guerre, ha avuto vita lunga. Nel primo dopoguerra essa ebbe una splendida
reviviscenza con la dottrina di Wilson che tenne a battesimo la Societa' delle
Nazioni. Ma fu proprio nella piu' democratica delle repubbliche, nata dalle
rovine dell'Impero tedesco, quella di Weimar, che prospero' e trionfo', col
rispetto delle regole, il nazismo. Ed oggi noi siamo qui a constatare che un
paese di sicura democrazia formale come gli USA si e' trasformato in una
cittadella atomica, alla cui ombra prosperano in tutto il mondo dittature
militari. Il limite dell'ideologia democratica e' che essa chiama in causa il
popolo senza tener conto delle forze che nel suo seno si contrastano e lo
frantumano piegandolo alla loro logica.
La risposta piu' razionale alla questione della pace sembrava averla data
il pacifismo socialista. L'internazionalismo operaio e' senza dubbio l'utopia
pacifista piu' straordinaria che sia nata nel mondo moderno. Il suo strumento di
lotta, lo sciopero, e' stato ed e' un'arma non violenta, che ha modificato
dall'interno tutti i rapporti sociali. Ma ognuno sa che esso non e' stato in
grado di arrestare nessuna delle due guerre mondiali: anche quando e' stato
indetto, lo "sciopero per la pace" non ha mai funzionato. Lenin ha aggiornato la
dottrina marxista della guerra, dimostrando che essa e' strutturalmente connessa
alla societa' capitalistica e che percio' vivra' e morira' con questa. La
razionalita' della guerra e' nel fatto di portare al limite l'inevitabile crisi
del capitalismo e di preparar cosi' il suo capovolgimento: la rivoluzione. E'
quanto avvenne, per suo merito, in Russia. Ma la sua tesi, smentita per due
volte, era che una guerra mondiale avrebbe dovuto generare una rivoluzione
mondiale.
La crisi del pacifismo socialista si e' aggravata in questi ultimi tempi,
provocando un collasso estremo nella nostra cultura. I suoi segni sono di due
ordini. La' dove si ritiene di aver gia' realizzato il socialismo, non solo si
e' messo in piedi un apparato di resistenza militare che uguaglia quello delle
potenze capitalistiche (e, in questo, chi condivide la critica socialista
all'imperialismo del capitale potrebbe anche vedere un dato provvidenziale), ma
ha mutuato in pieno la cultura borghese della repressione. Tra gli stessi paesi
socialisti, o quanto meno liberi dalla logica del capitale, c'e' attualmente lo
stato di all'erta: segno, per molti, che le cause della guerra non sono
riducibili all'economia di mercato.
Ma la crisi deriva anche dal fatto che la spiegazione leninista e'
contraddetta almeno da due dati oggi emergenti: i movimenti pacifisti
all'interno del mondo capitalistico e l'ingresso in scena dei paesi ex-coloniali
in lotta per la loro liberazione. Per Lenin tutte le potenze capitalistiche si
equivalevano, dalla Russia zarista all'Inghilterra parlamentare. Per quanto
duttile, il suo pensiero era ancora succube dello schematismo economicistico.
Non solo, ma quello che noi chiamiamo Terzo Mondo era per lui soltanto
un'appendice del mondo capitalista, una specie di immensa retroguardia del
proletariato occidentale. Dinanzi ad uno scenario storico cosi' imprevisto qual
e' quello odierno, l'ideologia socialista appare ormai inadeguata a dar
fondamento ad un pacifismo all'altezza delle necessita'. Essa sconta fino in
fondo il lato positivistico della sua origine che l'ha tenuta subalterna
all'ideologia borghese. Non e' forse una tesi di Marx e di Lenin che il
proletariato e' il naturale erede della cultura della borghesia, che e'
intimamente cultura di violenza? Niente di strano che ben poco sia rimasto oggi,
in occidente, del pacifismo proletario. Non e' forse vero, ad esempio, che,
stretti nel cappio delle necessita' del sistema, gli operai prestano la
forza-lavoro anche nell'immenso apparato che, in Italia come in tutto il mondo
industriale, produce armi da esportare nei paesi del Terzo Mondo per dar forza
ai regimi oppressivi? Marx ed Engels non si sarebbero forse scandalizzati, dato
che per loro la pace sarebbe stata il risultato di una rivoluzione mondiale che,
dandosi la necessita', avrebbe potuto anche far uso della violenza delle armi.
Ma che senso ha oggi parlare di rivoluzione armata, quando le classi dominanti
del sistema imperialistico hanno in mano le armi atomiche?
*
Eccoci, cosi', alla questione di fondo. Si avverte, sempre meno
confusamente, che se ci sara' una reazione all'altezza dell'estremo discrimine
in cui siamo, essa non potra' essere piu' la proposta dei pacifismi
tradizionali, per preziosa che sia la loro eredita', ma un mutamento culturale
(la mutazione di cui sopra si diceva) che metta fine, una volta per sempre,
all'eta' neolitica, tanto per usare un'espressione cara a Teilhard de Chardin, o
alla preistoria, come diceva Marx. Nelle nuove manifestazioni pacifiste si va
facendo strada una richiesta di cambiamento, non solo della politica, ma dei
termini fondamentali della presenza dell'uomo alla storia e al mondo, e cioe' la
richiesta del passaggio da una civilta' che aveva assunto la competizione come
molla del suo stesso sviluppo ad una civilta' che ponga la sua radice nell'altra
valenza dell'uomo, rimasta fino ad oggi marginale, consolatoria e comunque
inefficace: quella dell'apertura dell'uomo all'uomo come condizione del proprio
essere, della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della
solidarieta' con l'intera specie come condizione del suo essere persona.
Tra i molti orizzonti che la scienza moderna ha dischiuso ai nostri occhi
c'e' anche quello, remotissimo nel tempo, delle origini della nostra specie. Ora
sappiamo che gli uomini preistorici non erano piu' bellicosi di noi, a volte non
lo erano affatto. E' vero: la civilta' (ma questa parola ora la pronunciamo con
piu' pudore) comincia con le istituzioni e tra di esse non manca mai la guerra.
Ma questo nesso costante tra civilta' e guerra ci autorizza a dedurne che dunque
la guerra e' una legge insuperabile della specie? Troppe volte, nel passato, si
attribuiva alla natura della specie quello che poi si e' scoperto essere niente
piu' che un portato della cultura. Ad esempio, la schiavitu'. L'opinione comune,
fino a due secoli fa, era che la schiavitu' fosse un'esigenza naturale della
societa' umana, proprio come aveva insegnato, nel IV secolo a. C., il filosofo
per eccellenza, Aristotele. Oggi l'idea stessa di schiavitu' ci ripugna. E
cosi': appena oggi si sta sfaldando il pregiudizio secondo il quale e' la natura
che vuole il primato dell'uomo sulla donna: da Aristotele a san Tommaso, a Kant,
a Freud, su questo punto non ci sono state incertezze. Oggi anche nel diritto
italiano e' stata sancita la parita' dell'uomo e della donna nel matrimonio. Ci
si va convincendo che quanto si attribuiva alla natura non era che un portato
della cultura.
Non potrebbe avvenire lo stesso per la "istituzione guerra"? Come c'e'
stata l'eta' della pietra e poi quella del bronzo e del ferro, non potrebbe
esserci, dopo la civilta' della guerra, la civilta' della pace?
E' vero, una transizione del genere appare molto improbabile anche agli
autori di questa rassegna. Un'analisi obiettiva dell'attuale corso delle cose
non puo' non portare alla previsione della catastrofe. Ma cio' che e'
improbabile, non per questo e' impossibile. La paleontologia dimostra che la
nostra specie ha saputo sottrarsi alla fatalita' (quella fatalita' che invece ha
avuto la meglio su altre specie di animali e di ominidi), mettendo i propri
ritrovati (il fuoco, ad esempio) al servizio del suo istinto di conservazione.
In questi decenni la specie si trova in una congiuntura del genere: il fuoco
atomico, che la sua intelligenza le ha messo tra le mani, puo' incendiare e
distruggere sulla Terra ogni germe di vita o puo' diventare lo strumento per
inaugurare una pagina totalmente nuova della storia umana, quella in cui il
genere umano viva pacificamente nell'unica citta' che e' ormai il nostro
pianeta.
Per la prima volta questa utopia e' diventata realistica, sia nel senso che
essa e' per la prima volta tecnicamente possibile, sia nel senso che essa e'
l'unica alternativa alla morte universale Quel che le manca e', appunto, una
cultura che sia al suo livello, cioe', come si e' detto, al livello della voce
della coscienza e dell'istinto, una cultura della pace che succeda alla cultura
della guerra di cui noi siamo figli, cosi' come alla cultura paleolitica
successe, piu' di diecimila anni fa, la cultura neolitica che ancora sopravvive
nelle sue istituzioni fondamentali.
E' vero, il tempo e' breve, cosi' breve che e' gia' un grave obbligo
adoperarsi perche' non sia accorciato. Ed e' questo che da ogni parte viene
chiesto ai titolari del potere politico, in attesa che la mutazione
antropologica si svolga secondo i suoi ritmi, sicuramente lunghissimi. Essa
chiama in causa la societa' in tutte le sue articolazioni organiche, anzi - non
dovremmo aver paura a riconoscerlo - chiama in causa primariamente le singole
coscienze. Difatti, alla base della pace c'e' una virtu' che non puo' essere
insegnata: e' la fede dell'uomo nell'uomo e, in generale, la fede dell'uomo
nelle risorse della sua specie, rimaste represse e mortificate dalla gelida
stagione del cinismo morale. Non si obietti che questa fede nell'uomo non e' in
regola con i rigori della ragione, perche' e' appunto questa ragione che, sotto
le forme del rigore, a nient'altro e' intenta se non a codificare l'esistente e
a proiettarne le forme nel futuro, e' proprio questa ragione il primo bersaglio
della fede morale. D'altronde anche questa ragione cinica ha le sue forme di
fede, quella, ad esempio, di cui danno prova, a loro modo, coloro che propongono
come seria l'ipotesi di una guerra al neutrone regionale e controllata!
La fede morale non e' piu' un semplice postulato, un'esigenza cioe' senza
riscontro nei fatti. Essa ha gia' dalla sua parte alcuni processi in corso, il
cui senso unitario si svela solo se si assume la civilta' della pace come loro
punto di riferimento e di sintesi. Si tratta di processi che stanno battendo in
breccia, anno dopo anno, le premesse antropologiche della civilta' della guerra.
La prima di queste premesse e' che l'uomo sia per natura aggressivo, di
quell'aggressivita' distruttiva che noi chiamiamo violenza. Come sopra si
diceva, le ricerche antropologiche ci hanno condotto ad un punto in cui non ha
piu' senso dire che l'uomo e' per natura pacifico o che l'uomo e' per natura
violento. La natura dell'uomo e' nel suo farsi, e' cioe' nella sua cultura. Come
dire che l'uomo e' cosi' come si fa. Insomma, una cultura della pace non
contraddice a nessun dato irreformabile, scritto nei cieli o sulla terra.
Osserviamo cosa avviene nella societa' cresciuta all'ombra del fungo
atomico.
- Per la prima volta nella sua storia la specie umana e' fisicamente come
un individuo solo, secondo la suggestiva immagine di Pascal: un individuo con la
coscienza ancora dispersa e frazionata nel suo organismo, ma con strutture
fisiche e psichiche gia' pronte perche' avvenga l'unificazione soggettiva. Le
barriere Est/Ovest e, piu' ancora, quella Nord/Sud, sono sempre piu'
intollerabili: chi le tollera e' un ominide il cui sottosviluppo e' insieme
intellettuale e morale. Se trionferanno gli ominidi, il tempo della fine e' gia'
segnato, perche' la loro egemonia e' diventata fisicamente impossibile. Il
colosso della civilta' della tecnica - il Nord - ha i piedi di argilla. Il Sud
lo sa e quando lo schiavo si accorge che il padrone non sarebbe padrone se lui
non fosse schiavo, il tempo del padrone e' finito, ed e' finita la sua cultura.
Il padrone puo' morire come Sansone o puo' morire di tranquilla morte naturale,
e cioe' il Nord puo' morire sotto le macerie cosmiche provocate dalla sua
tracotanza o puo' morire risolvendosi in una comunita' mondiale senza piu'
discriminazioni.
- Il rapporto tra l'uomo e il suo ambiente fisico non puo' piu' essere
quello che e' stato, non lo puo' piu' per ragioni fisiche. L'ideologia dello
sfruttamento illimitato della natura si capovolge ormai contro i suoi fautori.
Gia' si sta riscoprendo e propugnando un nuovo rapporto con la natura che non e'
quello alienante del romanticismo, e' un rapporto su cui batte la luce
dell'utopia marxiana dell'uomo naturalizzato e della natura umanizzata. La
passione ecologica e' un capitolo importante della cultura della pace.
- Si diffonde la presa di coscienza che uno dei luoghi di riproduzione (e'
proprio il caso di dirlo) della violenza e' il modo storico in cui si e'
determinato il rapporto uomo-donna, tanto nell'esercizio della sessualita'
quanto nel dispiegamento sociale e culturale della sua bipolarita'.
L'emancipazione femminile, con il connesso mutamento del senso della
sessualita', segna potenzialmente un salto qualitativo nella stessa
soggettivita' umana. L'"altra meta' del cielo", anzi l'altra meta' della terra,
a partire dall'eta' neolitica, e' stata mantenuta con violenza al di fuori degli
spazi in cui si crea la storia: l'uomo del neolitico e' un uomo dimidiato e
proprio per questo violento. L'emancipazione femminile e' potenzialmente un
altro capitolo della cultura della pace.
- Ma il fenomeno forse piu' rilevante, che da' conforto alla fede
nell'uomo, e' la nuova dialettica che si e' aperta all'interno delle grandi
religioni. Possiamo limitarci, e non solo per brevita', al cristianesimo. La
soglia atomica, come si e' detto, in quanto crinale tra morte e vita del genere
umano, e' di sua natura il "luogo" di una mutazione. Se l'alternativa della vita
trionfera', essa non potra' andare che nel senso di una composizione unitaria
del genere umano. Il che significa che tutto cio' che e' nato e cresciuto con i
segni del "particolare" potra' sopravvivere solo se sapra' accettare le nuove
misure di universalita' concreta. Alla pari delle altre religioni, il
cristianesimo non potra' non apparire (e gia' appare) come il patrimonio di una
porzione del genere umano. La sua storia, nel bene e nel male, si confonde con
quella dell'occidente. L'attuale congiuntura agisce come un pungolo sulla forma
storica del cristianesimo, un pungolo che sgretola quel che e' connesso alla
relativita' storico-geografica e, nello stesso tempo, fa emergere il suo nucleo
profetico. La profezia cristiana ha questo di proprio e forse di esclusivo: che
e' una profezia messianica, investe cioe' la totalita' delle speranze degne
dell'uomo, prima fra tutte la speranza della pace. In questo senso il
cristianesimo trabocca dai confini religiosi e si commisura, senza sforzi, sulla
qualita' laica della storia.
- Non solo il cristianesimo cattolico ma anche quello delle altre
confessioni che fanno capo al Consiglio Ecumenico delle Chiese sta spostando
l'asse della propria vita interna o della propria missione storica dagli spazi
religiosi a quelli antropologici, dove hanno rilievo decisivo la giustizia e la
pace. Su queste frontiere l'ecumenismo e' gia' in atto. Morendo alle sue
terribili stagioni di complicita' con le guerre, il cristianesimo di ogni
confessione mette in evidenza la sua indole di fondo, che e' la passione per
l'uomo del futuro. Le chiese intuiscono che la transizione alla civilta' della
pace e' come un appuntamento storico che Dio ha loro fissato e su cui le
giudichera'. Una chiesa veramente evangelica e' come un'obiezione di coscienza
piantata da Dio nella carne viva del mondo. Ebbene, in questi ultimi tempi le
chiese, perfino nei loro vertici istituzionali, che sono piu' tardi a muoversi e
che d'altronde hanno ancora un pesante conto da pagare alla civilta' della pace,
si sentono sospinte sulle trincee dove si prepara la guerra per pronunciarvi il
loro no. Secondo alcuni, e' gia' matura la stagione per un Concilio ecumenico in
cui le chiese si ritrovino non per lanciare un nuovo messaggio al mondo ma per
assumersi, nei modi loro propri e con tutte le conseguenze, la responsabilita'
della sopravvivenza del mondo e, in positivo, dell'avvento della civilta' della
pace.
- Sono passati dieci anni da quando il rapporto Faure, condensando
un'indagine commissionata dall'Unesco, riconosceva che la crisi della scuola era
un dato evidente in ogni parte del mondo e osava affermare che, alla radice di
questa crisi, c'era una "mutazione antropologica". Gli autori di questa rassegna
hanno la pretesa di sapere di che mutazione si tratti. La scuola, nelle forme e
nei modi che le sono stati assegnati dalla rivoluzione borghese e che nei paesi
dell'Est europeo appaiono aggravati, e' sempre stata l'apparato ideologico
destinato a procurare consensi al potere costituito o quanto meno alle classi
dominanti. Le classi dominanti, per definizione, guardano al mondo con l'occhio
del dominio e cioe' l'occhio che, viziato da daltonismo ideologico, scambia il
proprio particolare per l'universale, il proprio calcolo per la Ragione, la
propria espansione colonialistica per la diffusione della civilta'. Ma l'occhio
fiero del padrone ha bisogno dell'occhio umile dello schiavo: oggi, finalmente,
l'occhio umile non c'e' piu'. Le barriere, almeno dal punto di vista
conoscitivo, sono cadute e nessuna cultura puo' ormai provocare un'eco veramente
umana nelle coscienze se non e' cultura planetaria, e cioe' se il suo punto di
vista non e' il punto di vista del pianeta divenuto l'indivisibile citta'
dell'uomo. Per diventare planetaria la cultura deve essere cultura di
pace.
La mutazione antropologica che, secondo il rapporto Faure, sta alla base
della crisi della scuola e' proprio questa. Se ne accorga o meno, la scuola e'
ancora un organo di diffusione della cultura padronale che e', per forza di
cose, cultura di guerra, in contrasto strutturale con i processi di crescita che
abbiamo appena indicato. E le riforme della scuola saranno semplici palliativi
finche' non scenderanno a questa profondita', per mettere in questione il
presupposto antropologico che ha fatto da dogma latente della cultura
occidentale. Tocca alla scuola provvedere alla riforma di se stessa facendo
spazio, naturalmente nei modi suoi propri, ai processi di cambiamento che
preparano e prefigurano la cultura della pace.
*
Uno dei modi con cui la scuola puo' inserirsi, con efficacia decisiva, in
quei processi e' la costruzione, nelle nuove generazioni, di una memoria storica
diversa da quella codificata nel sapere dominante. Ed e' un compito che comporta
la rilettura critica del patrimonio letterario e filosofico che abbiamo ricevuto
in eredita'. Tutto cio' che, in questo patrimonio, era riconducibile alla sfera
dell'utopia veniva, mediante opportuni trattamenti critici, puntualmente
sigillato nella dimenticanza o relegato ai margini come ingenuo o poeticamente
evasivo. E' razionale solo cio' che e' reale: ecco il dogma implicito o
esplicito che ha presieduto alla codificazione del sapere. La parola pace, nei
libri di scuola, serve normalmente per indicare i trattati conclusivi di guerre,
i quali appaiono poco piu' che interpunzioni nel "continuo" del divenire
bellicoso della civilta'. La "verita' effettuale" e' diversa. E' diversa non
solo nell'animo e nel costume dei popoli, che negli annali ufficiali sembrano
piuttosto oggetti che soggetti di storia, ma anche nello svolgimento del
pensiero a cui e' solito rifarsi, come propria sorgente, il mondo moderno.
E' appunto di questo secondo aspetto della verita' effettuale che la
presente rassegna intende offrire una larga documentazione critica. Il panorama
che essa offre e' di necessita' limitato, nel tempo e nello spazio. Nel tempo:
la rassegna si apre col periodo in cui prende origine la politica degli Stati e
congiuntamente si trasforma, anche dal punto di vista tecnico, l'"istituzione
guerra". Nello spazio: la rassegna resta, salvo qualche sortita, nei confini del
pensiero occidentale anche perche' e' in quest'area che la civilta' della guerra
ha prodotto le sue grandezze e oggi il suo dilemma mortale.
Secolo dopo secolo, autore dopo autore, l'utopia della pace appare in
queste pagine sempre in un rapporto dialettico con la realta' della guerra e
appare sempre, alla prova dei fatti, perdente. Solo oggi, nell'era di Hiroshima,
le due logiche, quella dell'ideale morale e quella della necessita' realistica,
arrivano a coincidere dischiudendo una ricca gamma di prospettive morali e
politiche.
Gli autori della rassegna non nascondono affatto quale sia, in rapporto a
questo singolare evento della coincidenza tra utopia e realismo, la loro
posizione, anzi hanno voluto apertamente dichiararla fin da questa lunga
premessa. E tuttavia essi sono convinti di non aver fatto forza al senso
oggettivo delle cose, di non aver contraffatto l'immagine della realta' su cui
le coscienze possono elaborare, in modo autonomo, le proprie scelte. Lo
strumento che essi hanno preparato intende provocare e soccorrere, all'interno
della scuola, un dibattito che e sicuramente il piu' alto, il piu' universale e,
sia permesso di dire, il piu' religioso tra quelli che fanno ancora della scuola
l'occasione piu' importante per la formazione dell'uomo nuovo. I lettori,
giovani o meno, giudichino da loro. E ci aiutino a colmare lacune e a
rettificare giudizi per rendere il nostro lavoro sempre piu' adatto ad
illuminare e ad alimentare, dentro e fuori della scuola, la cultura della pace
da cui dipende il destino della Terra.
4. VITERBO. ASSOCIAZIONE "RESPIRARE": SI REALIZZI
SUBITO IL PARCO NATURALISTICO, ARCHEOLOGICO E TERMALE DEL BULICAME
[Riceviamo e
diffondiamo]
E' convinzione condivisa dalla generalita' della
popolazione viterbese che nella preziosa area del Bulicame occorre realizzare al
piu' presto un parco naturalistico, archeologico e termale, che tuteli e
valorizzi i beni ambientali, culturali e terapeutici li' presenti.
Ed e' del tutto evidente che la realizzazione del
parco e' del tutto incompatibile con piani speculativi e vandalici.
In particolare e' del tutto evidente che per poter
realizzare il parco naturalistico, archeologico e termale del Bulicame occorre
respingere nettamente e definitivamente l'ipotesi criminale ed insensata della
realizzazione nel cuore di quell'area di un mega-aeroporto nocivo, distruttivo e
fuorilegge.
A tutte le istituzioni - locali e nazionali -
chiediamo quindi un duplice impegno:
a) un impegno esplicito e concreto per la
realizzazione del parco naturalistico, archeologico e termale del
Bulicame;
b) un impegno esplicito e concreto contro
l'ipotesi del mega-aeroporto fuorilegge che devasterebbe irreversibilmente
quell'area ed attenterebbe alla salute e ai diritti della
popolazione.
Il mega-aeroporto e' un crimine e una
follia.
Il parco naturalistico, archeologico e termale del
Bulicame e' una scelta giusta, necessaria, urgente.
*
L'associazione "Respirare"
Viterbo, 7 giugno 2010
L'associazione "Respirare" e' stata promossa a
Viterbo da associazioni e movimenti ecopacifisti e nonviolenti, per il diritto
alla salute e la difesa dell'ambiente. 5. APPELLI.
IL CINQUE PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Anche con la prossima dichiarazione dei redditi si puo' destinare il cinque per mille al Movimento Nonviolento. Non si tratta di versare denaro in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il cinque per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale del Movimento Nonviolento, che e': 93100500235. * Per ulteriori informazioni: tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6.
STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA"
"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata
da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle
tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail:
an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto
"copia di 'Azione nonviolenta'".
7. SEGNALAZIONI LIBRARIE
Riletture
- Giorgio Colli, La ragione errabonda. Quaderni postumi, Adelphi, Milano
1982, pp. 672.
- Luce Irigaray, Speculum. L'altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, 1989,
pp. 352.
*
Riedizioni
- Stieg Larsson, Uomini che odiano le donne, Marsilio, Venezia 2007, 2010,
Rcs Quotidiani, Milano 2010, 2 voll. per pp. 320 + 352, euro 2,90 + 6,90 (in
supplemento al "Corriere della sera").
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e
internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento
dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della
creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo
di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU'
Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 215 dell'8 giugno 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it, sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
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