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Voci e volti della nonviolenza. 379
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 379
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 6 Oct 2009 09:30:10 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 379 del 6 ottobre 2009 In questo numero: 1. Alberto Bobbio intervista Arturo Paoli (2001) 2. Giorgio Contessi intervista Samuel Ruiz (1999) 3. Paolo Naso intervista Jim Wallis (1998) 1. RIFLESSIONE. ALBERTO BOBBIO INTERVISTA ARTURO PAOLI (2001) [Dal mensile "Jesus", n. 12, dicembre 2001, col titolo "Intervista ad Arturo Paoli. Il dramma dell'opulenza" e il sommario "Cosa succede se la Chiesa diventa troppo 'organica' alla logica delle societa' capitalistiche occidentali? Trascura i poveri e perde coraggio e radicalita' nell'annuncio del Vangelo. Un profeta dei nostri giorni analizza lo stato di salute di una comunita' ecclesiale che corre il rischio di essere molto 'visibile' e potente ma poco autorevole"] Lui dice che basta guardarsi in giro per persuadersi che i risultati di una societa' fondata sull'egoismo sono disastrosi. Ed e' anche convinto che lo saranno sempre di piu'. "A meno che...". Arturo Paoli, 90 anni, una vita intensa di prete e di profeta, erede di Carlo Carretto (2 aprile 1919 - 4 ottobre 1988) tra i Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld, "Giusto delle nazioni" per Israele per aver salvato la vita a un ebreo a Lucca nel 1944, sacerdote da 62 anni, scrittore e conferenziere in tutto il mondo, uomo che da 40 anni condivide la vita con i boscaioli, i contadini dello Stato del Parana' in Brasile, spiega cosa ha guidato la sua vita e cerca di spendere qualche parola sulla fede in questa intervista che e' un po' come un testamento. Il nostro incontro con Arturo Paoli prende le mosse da un libro, l'ultimo dei suoi, intitolato Quel che muore, quel che nasce (Ega, lire 22.000). * - Alberto Bobbio: Cominciamo da quell'"a meno che...". Cosa vuol dire? - Arturo Paoli: A meno che non prendiamo su di noi il peccato del mondo. Concretamente, senza pensare che il raddrizzamento delle situazioni che non vanno, insomma che la redenzione dell'umanita', sia qualcosa affidata, come si diceva, al sangue di Cristo. Bisogna lasciarsi guidare dai volti delle persone, bisogna andare nei sotterranei della Storia dove vivono le persone. Dobbiamo occuparci delle vittime e non gioire per la bravura dello stratega. * - Alberto Bobbio: C'e' troppa angoscia in giro oggi? - Arturo Paoli: Si', angoscia e paura. Ossessioni. Siamo ossessionati dal denaro, dal sesso, dal gioco e anche da santi buoni e un po' antichi che pensiamo ci possano risolvere tutti i problemi. Compreso quello della nostra sicurezza. In ogni campo. Ma la nostra angoscia piu' grande e' data dalla incapacita', che ci rode dentro, di prevedere il futuro. Facciamo finta di essere spavaldi, perche' non riusciamo a calcolare tutto. Umberto Eco ricorre alla fantascienza per pensare, solo pensare, al futuro. * - Alberto Bobbio: Come si fa a guardare nei sotterranei della Storia? - Arturo Paoli: Ci si riesce solo se al centro della vita il cristiano mette il Regno di Dio e non se stesso. Insomma facendo quello che coerentemente ci consiglia il Concilio Vaticano II. Bisogna far sparire l'io come preoccupazione personale, che provoca angoscia. Quanti sono quelli che credono che lo Spirito agisce nella Storia e la trasforma? Quanti credono al Vangelo che dice "chi vuol salvare la propria anima la perdera'"? E' un tema centrale perche' rimanda alla polemica che Gesu' ha aperto con il mondo religioso della sua epoca. Gli ebrei rimandavano continuamente al passato, ad Abramo, a Mose', ai profeti. Lui no, si occupa delle persone. Dice che Dio e' qui davanti a voi: il povero, la vedova... La carita' non deve servire a me, non e' un rimedio alla mia angoscia. Perche' si puo' essere caritatevoli senza essere giusti, se si mantengono le distanze. * - Alberto Bobbio: La Chiesa e' responsabile di una religiosita' della distanza? - Arturo Paoli: Certo. La Chiesa - non tutta - ha ritirato Dio in cielo. Dice agli uomini: consolati, il Regno di Dio e' vicino. Nelle omelie dei preti si parla di cose lontane. I sacramenti sono parole e non simboli. Dov'e' lo Spirito che sprona a fare? Il Vangelo ha raccomandato l'annuncio attraverso la persona, non attraverso le parole. E' la persona che parla. La parola e' solo rimedio d'emergenza. Se la mia vita non testimonia, io non posso neppure parlare. * - Alberto Bobbio: Come sta la Chiesa? - Arturo Paoli: Male. Non ha seguito fino in fondo l'ordine dello Spirito Santo e del Vangelo. Il centro della predicazione si e' spostato: dal Regno di Dio alla visibilita' della Chiesa, alla sua grandezza, al suo potere. Parla molto la Chiesa, scrive molto. Non si puo' dire che non si occupi dei poveri: mai sono state prodotte tante parole sull'argomento, mai tanti documenti. Viviamo una religiosita' opulenta, anche dal punto di vista intellettuale. Sappiamo come affrontare i problemi, sappiamo come risolverli, da soli, sempre da soli, senza contare sugli altri. I poveri, i barboni, gli esuli, cosa contano per me intellettuale, per la mia teologia, per la mia pastorale? Il Vangelo e' ridotto a manifestazioni rituali o metafisiche. Voglio fare una provocazione e dire ai credenti: spogliatevi anche della vostra fede e allora comincerete a capire cos'e' la gratuita'. * - Alberto Bobbio: Ma tutta la Chiesa e' cosi'? - Arturo Paoli: Non tutta. Nei Paesi poveri modelli di Chiesa diversi sono stati soffocati, ma non distrutti. Alla Chiesa era stata servita su un piatto d'argento la teologia della liberazione, ma e' stata rifiutata. Ripeto: soffocata, non distrutta. * - Alberto Bobbio: Eppure la riflessione attorno a un nuovo umanesimo e' stata portata avanti... - Arturo Paoli: E con grande forza, per esempio da Giovanni Paolo II, soprattutto negli ultimi anni in modo profetico. Ma la Chiesa e' troppo legata all'Occidente. Ha dovuto mantenere buone relazioni con il capitalismo. Gesu' dice che saremo giudicati non sull'obbedienza, ma se l'avremo visto nudo, affamato, prigioniero, schiavo. Tutto li'. Vederlo sta solo a me. * - Alberto Bobbio: Lei e' dunque contro la Chiesa, i suoi dogmi? - Arturo Paoli: No. Per me l'obbedienza non e' un problema. Ma dico che il concetto di "santo" non coincide necessariamente con "religioso". Il giudizio va dato sulla costruzione del Regno di Dio: beati i poveri, i miti... Io sento che saro' giudicato su questo, non sul devozionalismo, che in questo secolo non ha impedito guerre e sangue. E' sull'uso della mia liberta' che mi si chiedera' conto. Se uno risponde "Eccomi", e' santo. Diventare santi e' drammaticamente difficile appunto per l'estrema semplicita' della risposta. E' difficile obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. * - Alberto Bobbio: La Chiesa tuttavia oggi e' molto visibile, di essa si parla e si scrive. Allora cosa c'e' che non va? - Arturo Paoli: La Chiesa gode di grande prestigio. Vorrei dire che il carisma del prestigio e' sceso sugli Stati e sui popoli. Molti stanno ad ascoltare le parole del Papa. Molti restano ammirati dalla sua figura e dalle cose che dice. Ma la disobbedienza formale e la noncuranza rispetto ai suoi insegnamenti e' enorme. Nella Chiesa quelli che prendono sul serio la responsabilita' di fare la giustizia, di difendere il diritto dei poveri, molto spesso vengono emarginati. E di solito fanno molto meno di quello che e' scritto nei documenti. Prenda il Brasile, Paese visitato tante volte dal Papa: che riscontro hanno avuto le sue parole forti sulla giustizia, sulla distribuzione della terra, sui popoli oppressi? Zero. Chi oggi e' convinto che amore per gli altri significa uso sobrio dei beni? Molti credenti nel mondo praticano una buona spiritualita' individuale, ma poi sono assolutamente sfrenati nell'uso del denaro, anarchici nell'uso dei beni. Non si puo' giustificare il primato di Dio, sopra tutti gli altri diritti. * - Alberto Bobbio: Parliamo del Concilio. Perche' lei spesso dice che e' stato tradito? - Arturo Paoli: E' stato il Concilio Vaticano II a richiamare i credenti sulla centralita' del Regno di Dio e sul ruolo dello Spirito Santo. Il Concilio ci ha chiesto di aprire le porte e non soltanto di parlare di Dio, ma di camminare con gli uomini, di affermare il diritto a una vita piena, di esaminarci in base alla giustizia o all'ingiustizia. Non ci ha insegnato a consolarci con la religione. Quando Gesu' va via da Nazareth non si mette a fare il guru, non va nel tempio di Gerusalemme ad ascoltare, ma ad attaccar briga, dando la prova tremenda del suo unico interesse: costruire il Regno di Dio. Noi invece ci ritiriamo sul culto, a volte in modo narcisista. * - Alberto Bobbio: Ma le responsabilita' sono dei preti o dei laici? - Arturo Paoli: Di entrambi. Cominciamo dai preti, che sono educati secondo forme rigidamente borghesi. I preti - non tutti - stanno troppo bene. Si occupano di se stessi. C'e' troppa paura di perdere vocazioni. Vengono allenati ad avere coscienza di se', a essere altro rispetto al mondo. Ecco l'insistenza sul sacramento dell'Ordine che vale di piu' di altri sacramenti, compreso quello del matrimonio. Stanno chiusi nei seminari e vanno nel week-end nelle parrocchie. Io domando: quando si calano sulle piaghe di Cristo? E' sicuramente migliorata la formazione intellettuale. Le omelie sono piu' colte, piu' dotte che in passato. Ma sono spesso anche piu' lontane dalla vita reale che nel passato. La Chiesa ha come paura di essere invadente, di essere esigente. Non si puo' dire che i giovani rifiutano la Chiesa. Se si analizzano le cose in profondita', si vede che essi non capiscono, non ci comprendono. Dio non c'e' nel loro orizzonte. * - Alberto Bobbio: E il laicato? - Arturo Paoli: Manca di audacia. Passa da un ritiro spirituale a un altro, ma poi non si interroga sulla propria responsabilita' davanti alla societa'. Non si puo' essere contro la manipolazione della vita, contro una bioetica sbagliata, e poi dichiarare valido il sistema economico che arriva a queste aberrazioni, quello che succhia il sangue dei poveri, che e' la benzina di cui ha bisogno il nostro mondo troppo ricco per vivere. Vogliamo una societa' nuova, ma poi applaudiamo al politico di turno. Siamo troppo miopi, non siamo capaci di guardare avanti. Il laico che vive la sua responsabilita' politica con autonomia, sapendo che di essa deve dar conto solo davanti a Dio, oggi e' scomparso. Naufragate le ideologie, il laicato religioso e' stato inglobato nella Chiesa, che ne ha marcato la clericalizzazione. * - Alberto Bobbio: Lei quali esempi indica? - Arturo Paoli: Ho ammirato De Gasperi, La Pira, Dossetti come cattolici. Uomini che sapevano distinguere l'area religiosa da quella politica e la propria autonomia e responsabilita' dall'obbedienza dovuta alla Chiesa. Uomini che erano convinti di rispondere al Vangelo e non al prestigio della Chiesa nel Paese in cui abitavano. Dov'e' finita la tradizione che loro hanno incarnato? Il laico credente - uomo o donna che sia - non deve rifugiarsi sotto le ali della Chiesa per stare al caldo e dimostrare che sa fare. Ha una responsabilita' adulta, libera, autonoma, di rendere il mondo piu' umano della quale rispondera' solo a Dio. * Postilla Arturo Paoli ha raccolto, insieme a Carlo Carretto, morto il 4 ottobre 1988, l'eredita' di padre Charles de Foucauld. Secondo Paoli, e' stato il fondatore dei Piccoli Fratelli "a indicare gli orientamenti essenziali di ogni vita religiosa: il servizio sacerdotale, assetato di giustizia, deve suscitare una gioventu' che vuole una societa' differente". Arturo Paoli e' autore di oltre trenta opere, tra cui Camminando s'apre cammino (Cittadella editrice), Facendo verita' (Gribaudi), Dialogo della liberazione (Morcelliana), Il sacerdote e la donna (Marsilio), Gesu' amore (Borla), Cercando liberta'. Castita', obbedienza, poverta' (Gribaudi), Il grido della terra (Cittadella editrice). 2. RIFLESSIONE. GIORGIO CONTESSI INTERVISTA SAMUEL RUIZ (1999) [Dal mensile "Jesus", n. 11, novembre 1999, col titolo "Intervista esclusiva a Samuel Ruiz, vescovo del Chiapas. Lo specchio del mondo" e il sommario "'Quello che accade in Chiapas denuncia e annuncia le tragedie che si ripetono in molte altre parti del mondo, dal Kosovo a Timor Est, drammi che hanno le loro radici nell'incapacita' delle culture, delle fedi, delle tradizioni di incontrarsi e dialogare'. Nel momento in cui lascia la guida della diocesi di San Cristobal de Las Casas, monsignor Samuel Ruiz spiega in quest'intervista cio' che sta avvenendo nella regione alla frontiera tra il Messico e il Guatemala. E indica le ragioni per cui il Chiapas puo' essere considerato lo 'specchio di un mondo' che rischia di correre verso l'autodistruzione"] Il 1994, per il Messico, e' stato un anno cruciale. Il primo gennaio e' infatti entrato in vigore il Nafta (Trattato di libero commercio), tra Canada, Stati Uniti e Messico. Contemporaneamente e' esplosa la "rivoluzione" zapatista nel Chiapas. Secondo molti, non si e' trattato di una semplice coincidenza. La rivolta in questo Stato dell'estremo Sud messicano, ai confini con il Guatemala, suona anche come risposta a una strategia economica che - grazie anche al Nafta - consegna ancor piu' il Paese all'economia "a stelle e strisce", che qui come altrove e' responsabile di un imperialismo finanziario che ha finora condizionato la crescita democratica del continente latinoamericano e frenato il riscatto degli emarginati. E' in questo contesto che, da quarant'anni, opera monsignor Samuel Ruiz, vescovo di San Cristbal de Las Casas, tatic ("padre nello spirito"), come lo chiamano i suoi fedeli indios - tzotzil, tzetal, tojolabal -, ultimi eredi della civilta' maya, spazzata via, cinque secoli fa, da un altro imperialismo, quello spagnolo, i cui eserciti avanzavano all'ombra della croce. L'autorita' e il prestigio di cui monsignor Ruiz gode tra le comunita' indigene sono il frutto di un cammino maturato nel corso degli anni. Come il suo lontano predecessore, Bartolome' de Las Casas (1474-1566), anche Ruiz ha dovuto passare per una serie di "epifanie" prima di convertirsi alla causa degli oppressi. La "svolta" risale agli anni del Concilio Vaticano II e dell'Assemblea dell'episcopato latinoamericano di Medellin (1968): da allora l'"opzione preferenziale per i poveri" e' diventata il cuore della sua pastorale. Nel Chiapas, insanguinato dal conflitto tra Governo e zapatisti, monsignor Ruiz ha finito per svolgere un ruolo cruciale, di mediatore. Sempre, pero', senza abbandonare la linea di un'intransigente, evangelica, difesa dei diritti dei piu' deboli, degli emarginati, degli indios braccati nella loro stessa terra. E per questo e' stato piu' volte attaccato dal Governo, dall'aristocrazia terriera, da alcuni ambienti ecclesiastici, ricevendo invece consensi all'estero, tanto da essere stato piu' volte proposto per il Nobel della pace. Ora, a 75 anni, come vuole il diritto canonico, sta per lasciare la guida della sua diocesi. * - Giorgio Contessi: Giunti alla fine di un cammino, lungo o breve che sia, ci si ferma e si guarda indietro. Tuttavia, dal momento che quello cristiano e' un itinerario speciale, che ha gia' le sue radici nel futuro, perche' non iniziare dal manana, il domani, del Chiapas? - Samuel Ruiz: Iniziare a ricordare dal futuro? E' quello che sosteneva Chesterton, protestante inglese convertito al cattolicesimo. Tuttavia, guardare il futuro e' un atto di fede, non rientra nelle capacita' di analisi di un essere umano. Noi, al massimo, possiamo intuire, cercare, andare a tentoni. Cosi', se mi chiede quale sara' il futuro del Chiapas, io posso solo risponderle che, bueno, geograficamente restera' qui! Di questo possiamo essere sicuri. Non possiamo sapere quale futuro politico lo attende. * - Giorgio Contessi: Piu' semplice e' dunque parlare del domani in relazione al presente... Come cio' che accade oggi nel Chiapas puo' aiutarci a intuirne il domani? - Samuel Ruiz: Il Chiapas non e' un'appendice isolata rispetto a quanto succede nel mondo. Non ha senso parlare solo del Chiapas. Oggi, per molti versi, e' perfino sparita la linea di demarcazione tra Terzo e Primo mondo. Oggi quel che deve preoccuparci non e' tanto che cosa fara' il Primo o il Terzo mondo, ma che cosa faranno Primo e Terzo mondo "insieme", perche' entrambi sono minacciati dalla desaparicion, la scomparsa. * - Giorgio Contessi: Quali le ragioni del rischio che incombe su questi "due mondi"? - Samuel Ruiz: La crescita del sistema economico, per poter reggere, cade in due contraddizioni fondamentali. Si deve aumentare per forza la produttivita' del sistema industriale e, per farlo, molte fabbriche eliminano migliaia di lavoratori, per sostituirli con nuove tecnologie o per sfruttare altra manodopera a piu' basso costo. Questo porta alla prima contraddizione: a che serve produrre, se il mercato diminuisce, se la crescente disoccupazione riduce il potere d'acquisto delle persone? * - Giorgio Contessi: In sintesi, il mercato distrugge sé stesso. Qual e' la seconda contraddizione? - Samuel Ruiz: La crescita produttiva sta esasperando il consumo delle risorse naturali non rinnovabili e il forte inquinamento pone in pericolo, oltre all'ambiente, gli stessi esseri umani. Le generazioni future soffriranno le conseguenze di tutto questo. Il supremo valore - il nuovo dio - èe' diventato la produzione. Ecco perche' Primo e Terzo mondo devono imparare a camminare insieme... per sopravvivere! * - Giorgio Contessi: In tutto questo, il Chiapas che c'entra? Forse questa sperduta regione di frontiera e' una sorta di "specchio del mondo"? - Samuel Ruiz: Il destino dell'indio ci dice che, oltre al dominio economico e politico, c'e' anche un'oppressione piu' forte, quella culturale, che colpisce le donne, i ceti deboli, le minoranze. Il fenomeno di oppressione culturale che oggi colpisce il Chiapas denuncia e annuncia cio' che accade in altri luoghi e ripropone la necessita' di un dialogo tra le culture. I drammi del Kosovo, di Timor Est, di tante altre regioni infuocate del mondo, hanno le loro radici nella incapacita' delle culture, delle fedi, delle tradizioni, di incontrarsi e dialogare. Da questo punto di vista, il Chiapas non rappresenta un'eccezione. Ma potrebbe diventare un esempio: se qui si riuscisse a trovare una strada che porta alla pace attraverso il dialogo, questo si' che sarebbe un fatto di grande rilevanza storica, la dimostrazione che cambiare e' possibile. * - Giorgio Contessi: Ma come si spiega quello che e' accaduto in Chiapas? Perche' proprio qui e non altrove? - Samuel Ruiz: Quello che ha avuto inizio qui il primo gennaio del 1994 non e' un fenomeno regionale, ma nazionale e internazionale. Se rileggiamo le cronache messicane dei mesi precedenti, le troviamo piene dell'eco della protesta popolare, per una situazione economica sempre piu' precaria, per le vicende politiche esplosive seguite a elezioni contestate, tanto che i governatori di 13 Stati del Paese non poterono insediarsi. Ma dove si registravano i piu' elevati indici di emarginazione, poverta' e oppressione sociale? In Chiapas. Naturale, dunque, che proprio qui la protesta diventasse ribellione. Se un terremoto sociale colpi' il Messico, qui trovo' il suo epicentro. * - Giorgio Contessi: Lei sostiene, pero', che le cause del disastro hanno radici e ragioni anche internazionali. - Samuel Ruiz: Certo. Le leggi del mercato e la globalizzazione del sistema economico neoliberista colpiscono piu' violentemente i Paesi del Terzo mondo, i piu' esposti quando migliaia di dollari "volano per aria". Il capital golondrino (il "capitale rondine") che emigra da un Paese all'altro via computer puo' causare la rovina di un intero Paese: e' un fenomeno scandaloso, ma e' lo scandalo che ha colpito il Messico e la sua regione piu' povera, il Chiapas appunto. E quando un popolo e' in ginocchio, non si puo' rispondergli, come qui e' stato fatto, con le rappresaglie, le repressioni, le torture, perche' allora i poveri si ribellano e gridano "ya basta!" ("ora basta!"). * - Giorgio Contessi: In questo contesto come hanno reagito gli indios, i piu' oppressi tra gli oppressi? - Samuel Ruiz: Hanno reagito prendendo finalmente coscienza della loro dignita' e dei loro diritti troppo a lungo negati. L'anno prima, durante la visita nello Yucatan, il Papa lo aveva profeticamente previsto, quando, rivolgendosi ai popoli indigeni dell'America latina, aveva detto: "Voi siete il soggetto della nuova evangelizzazione, il soggetto della trasformazione integrale del continente". Entrambe queste affermazioni erano "eresie" dal punto di vista sociale, perche' dire che l'indio e' colui che trasforma il continente contraddice l'analisi di chi continua a sostenere che gli indios, come i campesinos, non possono incidere in maniera efficace nella trasformazione di un sistema economico dal quale sono emarginati. Percio' dire agli indios che sono responsabili del cambiamento integrale del continente diventa una grande sfida. * - Giorgio Contessi: Siamo dunque in presenza di una rivoluzione copernicana, che riporta l'indio al centro della storia? - Samuel Ruiz: Appunto. E questa rivoluzione si sta compiendo proprio nel Chiapas, un luogo di emarginazione che diventa luogo di emancipazione, dal quale una palabra (parola) nuova si irradia in tutto il continente. Nella storia fa irruzione un soggetto nuovo, che in realta' e' antico: l'indio era li', ma non gli si prestava attenzione. Ora invece alza la voce e in molti iniziano ad ascoltarlo. C'e' chi vorrebbe far finta di nulla, ma non e' piu' possibile. La svolta e' irreversibile. * - Giorgio Contessi: Il sistema, colpito al cuore, ha reagito duramente, e ha tentato di aggredire chiunque sostenesse la causa degli indios. E non ha esitato a mettere le religioni, le Chiese, una contro l'altra. Non e' cosi'? - Samuel Ruiz: Per poter giustificare la repressione, l'esercito messicano ha alimentato, provocato, sostenuto la violenza. E per farlo ha reclutato, specialmente tra gli evangelici, ma non solo, bande armate di provocatori, iniziando un'aggressione forte contro i cattolici del Nord della regione, per far credere che qui era in atto soprattutto una lotta religiosa. Da parte del Governo si e' tentato di avallare la tesi che eravamo noi i responsabili della violenza. E abbiamo dovuto faticare parecchio, per ripristinare la verita', invitando qui giornalisti e osservatori che vedessero da vicino la realta' e che potessero testimoniare al mondo come stessero davvero le cose. La versione governativa sosteneva che le tensioni avevano un fondamento religioso, mentre in realta' la violenza era generata dall'esterno. Non a caso, attualmente il 40 per cento dell'esercito messicano si trova in Chiapas! * - Giorgio Contessi: Che cosa fara' ora che va "in pensione", Samuel Ruiz? Quale sara' il suo ruolo in Chiapas? - Samuel Ruiz: Se chiedesse a un medico che cosa fara' quando chiudera' il suo ambulatorio, che cosa pensa le risponderebbe? "Continuo a essere medico", no? E io continuero' a essere vescovo. Non mi ritiro dalla Chiesa, non fondero' un'altra Chiesa! Continuero' a lavorare nell'ambito della solidarieta', con altri vescovi del continente, con il "Segretariato internazionale cristiano di solidarieta' con l'America latina", diffuso nell'Italia del Nord, in Spagna, Svizzera, Inghilterra e Australia. * - Giorgio Contessi: Che cosa si aspetta la Chiesa dell'America latina dalla Chiesa del Primo mondo? - Samuel Ruiz: Perche' non mi fa la domanda opposta? Finora la questione era appunto come il Primo mondo dovesse aiutare il Terzo mondo. Oggi la solidarieta' deve essere reciproca. Noi da qui dovremmo mandare missionari in Italia e in altri Paesi per ripagare il debito che storicamente abbiamo nei loro confronti per il loro impegno nella nostra evangelizzazione. Il mondo e' cambiato, la storia anche. L'America latina non ha piu' solo problemi da porre, ma anche soluzioni da offrire. * Postilla Il Chiapas e' uno dei 32 Stati della Repubblica federale del Messico. In gran parte ricoperto di foreste, si estende su un'area di 74.211 chilometri quadrati, al Sud del Paese, al confine con il Guatemala. La popolazione (3.584.786 abitanti) e' costituita in gran parte da indios. Monsignor Samuel Ruiz e' nato a Irapuato, nello Stato di Guanajuato, a nord di Citta' del Messico, il 3 novembre 1924. La sua preparazione al sacerdozio si e' svolta tra il seminario di Leon e l'Universita' Gregoriana, a Roma, dove si e' laureato in Teologia e Sacra Scrittura. A Roma e' anche stato ordinato sacerdote, il 2 aprile del 1949. Tornato in Messico, e' stato professore e successivamente rettore del seminario di Leon. Alla fine del 1959 Giovanni XXIII lo nomino' vescovo di San Cristobal de Las Casas, in Chiapas. Dall'agosto del 1994 il Vaticano gli ha affiancato un vescovo ausiliare, con diritto di successione, monsignor Raul Vera Lopez. Gia' nel suo nome, la diocesi di San Cristobal de Las Casas (1.454.233 abitanti, 975.000 dei quali cattolici), istituita nel marzo del 1539, ricorda il suo primo vescovo, Bartolome' de Las Casas, il domenicano spagnolo che, schierandosi in difesa degli indios, levo' la sua voce a denunciare i brutali metodi di conquista e di colonizzazione degli spagnoli in America latina. Nel gennaio 1994 e' nato in Chiapas un movimento, l'Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln), che rivendica radicali riforme sociali in grado di risollevare le sorti delle popolazioni piu' povere e degli indios. Il Governo messicano ha tentato piu' volte di stroncare l'insurrezione con il massiccio invio di truppe dell'esercito regolare e lasciando mano libera a gruppi paramilitari, finanziati e armati dall'aristocrazia latifondista della regione. L'esercito zapatista - che si richiama alla figura di Emiliano Zapata (1879-1919), il mitico rivoluzionario che guido' gli indios alla riscossa contro la dittatura di Porfirio Diaz - e' guidato dal subcomandante Marcos. 3. RIFLESSIONE. PAOLO NASO INTERVISTA JIM WALLIS (1998) [Dal mensile "Jesus", n. 10, ottobre 1998, col titolo "Intervista a Jim Wallis. L'altro volto della politica" e il sommario "Delusi dallo spettacolo di una politica che sembra ignorare ogni riferimento etico, molti americani invocano una svolta radicale che, per Jim Wallis, deve essere fondata sui valori della compassione, della comunita' e della civilta'. E che puo' riscoprire nella Bibbia - che ha al suo centro giustizia e pace - solide radici"] Dal centro di Washington - diciamo dalla Casa Bianca - per raggiungere la comunita' ecumenica di Sojourners basta una passeggiata di quindici minuti. Ma percorrendo questo breve tragitto si oltrepassa una frontiera invisibile che divide l'America dei grandi monumenti e dei palazzi istituzionali da quella dei ghetti delle miserie metropolitane. Nei primi anni '70, un gruppo di giovani cristiani, cattolici e protestanti, decise che il proprio posto era da questa parte del confine, dove ancora oggi si registrano tassi di disoccupazione altissimi, dove le guide sconsigliano ai turisti di inoltrarsi e dove, per migliaia di giovani, le porte della criminalita' si aprono molto piu' facilmente di quelle delle scuole o dei centri sportivi. Da oltre venticinque anni quella comunita' e' impegnata in programmi di aiuto ai ragazzi in difficolta', ai senzatetto; gestisce una "banca del cibo" dove le persone indigenti possono rifornirsi gratuitamente e produce una rivista, "Sojourners". Fondatore e animatore e' Jim Wallis. Difficile trovare una definizione precisa per questo cinquantenne con la faccia da ragazzino ma con i capelli gia' bianchi: ha studiato teologia ed e' un predicatore evangelico che anima una comunita' ecumenica; dirige una rivista che si occupa di teologia e spiritualita' ma, da oltre vent'anni, e' un personaggio politico riconosciuto e stimato sia in campo democratico che repubblicano. Al punto che lui, pacifista e nonviolento, e' stato chiamato dal generale Colin Powell a presiedere una commissione del summit sul volontariato convocato dal presidente Clinton. Pochi mesi prima i militari di guardia alla Rotonda di Capitol Hill, sede del Congresso americano, lo avevano arrestato perche' aveva organizzato un sit-in di protesta contro la riforma dello Stato sociale voluta dall'Amministrazione. "Una riforma ingiusta e immorale", afferma ancora oggi Wallis, "contro cui volevamo protestare, sostenuti dai leader delle maggiori comunita' religiose americane". Nei mesi scorsi Jim Wallis ha svolto un giro di conferenze in Italia, promosse dalla rivista "Confronti", sul tema "valori e politica". * - Paolo Naso: Uno dei suoi ultimi libri si intitola L'anima della politica. Qual e' l'anima della politica? - Jim Wallis: Nel giro di presentazione di quel libro finii a Boston. Presi un taxi all'aeroporto e il tassista, che aveva molta voglia di chiacchierare, mi chiese per quali ragioni fossi in citta'. Gli dissi che ero li' per presentare un libro intitolato L'anima della politica. "Ma la politica non puo' avere un'anima", replico' prontamente. In un certo senso quel tassista aveva ragione. Per molti cittadini americani la politica non ha alcun fondamento morale: la vedono cinica, alienata, una competizione tra chi dispone delle migliori tecniche di organizzazione del consenso e di comunicazione. Allo stesso tempo, pero', ne cercano un altro volto, che sappia rispondere alle domande piu' profonde della societa' americana di oggi: che cosa puo' cambiare la vita dei nostri quartieri? Come si puo' ricostruire la vita di comunita' che si sono disintegrate economicamente, culturalmente, spiritualmente? * - Paolo Naso: Ma come possono i valori che lei definisce "della spiritualita'" entrare nella vita politica? - Jim Wallis: Io parlo dell'esigenza di una nuova politica, oltre le categorie classiche di "destra" e "sinistra", "democratici" e "conservatori", fondata sui valori della compassione, della comunita' e della civilta'. La politica della "compassione" affonda le sue radici nei valori della Torah, del Vangelo, del Corano. Come trattiamo l'altro, lo straniero, l'emarginato, e' un tema decisivo per tutte le religioni. La seconda parola chiave e' "comunita'": comunita' che e' composta da chi e' nel circuito della cura e dell'amore e da chi ne viene escluso. Come costruire una comunita' riconciliata, accogliente e solidale e' una sfida decisiva per la politica. Infine la civilta'. Come parliamo delle questioni che ci dividono, come cerchiamo un terreno comune. La civilta' nasce dalla condivisione di valori profondi, dalla capacita' di riconoscersi diversi e di saper valorizzare le differenze di ciascuno. Insomma, civilta' come coscienza delle differenze ma anche come valorizzazione di cio' che si ha in comune. * - Paolo Naso: Nella sua storia personale e in quella della comunita' di Sojourners, una profonda spiritualita' biblica si intreccia con l'impegno politico. In che modo? - Jim Wallis: A mio modo di vedere il movimento politico che desta piu' interesse e speranza e' quello che cerca di coniugare spiritualita' e giustizia, spiritualita' e solidarieta'. Negli Stati Uniti, ad esempio, cresce il numero dei giovani impegnati in associazioni di volontariato che assistono gli studenti delle aree metropolitane degradate o degli adulti che aiutano nella costruzione di case per i senzatetto. Servizio e spiritualita' sono due corsi d'acqua che confluiscono nello stesso fiume e lo rendono impetuoso: ed e' questo fiume che potra' cambiare il corso della politica statunitense. * - Paolo Naso: Sul piano dei valori e dei comportamenti, quali sono le principali tendenze della societa' americana? - Jim Wallis: Ci sono alcune tendenze negative ed altre che, invece, destano speranza. E' negativo, ad esempio, che la societa' occidentale sia sempre piu' segnata dal materialismo, dal cinismo. "Io compro e quindi sono" e' la massima che orienta le scelte di milioni di persone per le quali la vita non vale di piu' di un elettrodomestico. E' il frutto della cultura della televisione, del mercato... D'altra parte c'e' una fame di valori spirituali: la gente vuole di piu', cerca valori piu' profondi. * - Paolo Naso: Lei insiste molto sui valori, un tema spesso brandito dalla destra religiosa americana. Ma le sue scelte politiche vanno in altra direzione... - Jim Wallis: La destra religiosa ha posto per prima il problema del rapporto tra politica e valori, un tema che per lungo tempo la sinistra e le forze democratiche hanno ignorato. Un tema come quello della spiritualita' non e' mai stato affrontato a sinistra, dove semmai si respirava un'aria ostile nei confronti di queste questioni. La destra religiosa ha smosso le acque ma immediatamente le ha inquinate imponendo un'agenda politica appiattita sulle posizioni piu' conservatrici del partito repubblicano: troppo radicale, troppo di parte, troppo politicizzata nel senso piu' ristretto e negativo. Per parte nostra, penso all'esperienza di Sojourners e di Call to renewal (Appello al ravvedimento), abbiamo cercato di riprendere il tema dei valori e della moralita' della politica ma in tutt'altra chiave: quella della compassione, della comunita' e della civilta'. * - Paolo Naso: In quale contesto religioso e' cresciuto? - Jim Wallis: La mia famiglia viveva a Detroit, era una tipica famiglia evangelica, appartenevamo alla Chiesa dei Fratelli di Plymouth, una Chiesa storica dell'evangelismo americano di impianto fondamentalista. Gente conservatrice, non di destra, ma certamente ancorata a valori tradizionali, anche nel modo di vivere e praticare la fede. A 14 anni iniziai a notare che Detroit, la mia citta', era divisa in due: la Detroit bianca e quella nera, e mi chiesi come fosse possibile che noi continuassimo a vivere cosi' piamente, a pregare e andare in chiesa, ignorando che vivevamo in una citta' divisa, segregata. Le mie domande, forse un po' ingenue e tipiche di un adolescente, finirono col portarmi fuori dalla mia comunita' di fede e trovai accoglienza nelle Chiese nere, in quelle di tradizione e spiritualita' afroamericana. Fu come un pellegrinaggio che ha cambiato il mio modo di pensare, di pregare, di vivere la fede e costruire un rapporto con Dio. Poi, certo, e' arrivata la partecipazione al movimento per i diritti civili, ma le Chiese nere sono state la mia casa spirituale e politica, prima ancora dell'impegno politico in senso proprio. In quel contesto di teologia nera, spiritualita' afroamericana e lotta per i diritti civili nacque l'esperienza di "Sojourners", la rivista che ancora oggi dirigo. Insomma, la mia e' una storia che nasce dal contesto dell'America evangelica. Recentemente sono tornato nella mia Chiesa e, nonostante le incomprensioni del passato, continuo a pensare che le esperienze vissute con la mia famiglia in quei banchi abbiano segnato tutta la mia vita. * - Paolo Naso: Quali sono i passi biblici che maggiormente l'hanno ispirato come predicatore? - Jim Wallis: Il libro di Amos, con quella splendida visione per cui un giorno la giustizia scorrera' come acqua. E poi il primo sermone di Gesu', quello che mi piace chiamare il manifesto di Nazaret: "Il Signore ha mandato il suo spirito su di me. Egli mi ha scelto per portare il lieto messaggio ai poveri, mi ha mandato per proclamare la liberazione ai prigionieri e il dono della vista ai ciechi, per liberare gli oppressi...". Un vero e proprio manifesto di liberazione. * - Paolo Naso: Perche' tanta insistenza sui temi sociali della predicazione e della testimonianza evangelica? - Jim Wallis: La Bibbia ha al suo centro giustizia e pace. Quando frequentavo la Facolta' teologica, arrivammo a misurare quantitativamente le citazioni bibliche riferite ai temi della pace e della giustizia. Nell'Antico Testamento il tema della pace era addirittura il secondo tra quelli che ricorrono con maggiore insistenza. Nel Nuovo Testamento un versetto ogni sedici e' riferito ai poveri; nei sinottici uno ogni dieci, in Luca uno ogni sette. Da allora facemmo un esperimento. Presa una Bibbia ritagliammo tutti i versetti riferiti al tema della giustizia, della solidarieta' e dei poveri: alla fine il libro era ridotto a brandelli, era incredibilmente piu' leggero e spoglio. Era una Bibbia lacera e piena di buchi. A volte la porto ancora con me quando predico in qualche chiesa e, mostrandola, dico: "Fratelli e sorelle, questa e' la nostra Bibbia americana, una Bibbia senza poveri, senza giustizia, senza solidarieta'. Una Bibbia piena di buchi". Nostro dovere e' restituire a questa Bibbia la sua integrita' facendoci testimoni delle pagine che abbiamo strappato o dimenticato. * - Paolo Naso: E in questa particolare spiritualita' politica, quanto e' importante la preghiera? - Jim Wallis: Molto. Dobbiamo imparare ad ascoltare quello che Dio ci dice. La preghiera non e' tanto parola quanto ascolto di quello che Dio vuole dirci. Martin Luther King parlava spesso dei momenti di preghiera vissuti nel corso delle sue azioni dimostrative. L'altra dimensione della preghiera e' quella del sostegno per noi stessi. Il grande rischio di un'azione continua, anche orientata verso valori positivi come la pace e la giustizia, e' che si smarrisca il fondamento spirituale della nostra testimonianza. * - Paolo Naso: La rivista e la comunita' che lei anima sono nate come esperienze ecumeniche. Perche'? - Jim Wallis: Sin dall’inizio della nostra esperienza a Sojourners la dimensione ecumenica e' stata cosi' profonda e intensa che realmente era difficile distinguere l'identita' confessionale di ciascuno di noi. La nostra scoperta e' stata l'enorme ricchezza che ecumenicamente potevamo condividere lavorando insieme: cattolici, protestanti storici, mennoniti, fratelli, Chiese afroamericane... * - Paolo Naso: Chi, nel mondo cattolico americano, e' stato piu' importante per voi di Sojourners? - Jim Wallis: Molte persone. L'incontro con Dorothy Day, la fondatrice del movimento dei lavoratori cattolici, e' stato uno di quelli che mi ha piu' ispirato e cambiato. Lei mi ha insegnato il lavoro della grazia, la missione di nutrire gli affamati, dare una casa ai senzatetto, accogliere lo straniero. Il testo della mia conversione e' stato un testo che lei citava spesso, Matteo 25, 42: "Ero affamato e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere...". Un altro grande dono della tradizione cattolica che ho imparato ad apprezzare e' quello dello spirito di contemplazione. Un nome per tutti, Thomas Merton, il monaco che seppe unire un'intensa spiritualita' a una grande azione politica nonviolenta. Preghiera, contemplazione, azione per la pace e la giustizia: tre fiori da tenere sempre legati in unico mazzo. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 379 del 6 ottobre 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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