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Voci e volti della nonviolenza. 377
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 377
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 26 Sep 2009 11:03:10 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 377 del 26 settembre 2009 In questo numero: 1. Angelo Ferrari intervista Gustavo Gutierrez (1998) 2. Paulo Lima intervista Joseph Comblin (1998) 3. Mauro Castagnaro intervista Carlos Castillo (2004) 4. Francesco Comina intervista Enrique Dussel (1999) 1. RIFLESSIONE. ANGELO FERRARI INTERVISTA GUSTAVO GUTIERREZ (1998) [Dal mensile "Jesus", n. 7, luglio 1998, col titolo "Intervista a Gustavo Gutierrez. Amo la Chiesa che ama i poveri"] Al "Colegio Jesus Obrero", in avenida Republica del Peru', una parallela dell'avenida Tupac Amaru a Lima, tutti stanno aspettando padre Gustavo Gutierrez. Lui non si fa attendere molto. Arriva, un po' claudicante, un uomo piccolo di statura. La gente riconosce subito il fondatore della Teologia della liberazione. Deve tenere una conferenza sulla figura di monsignor Oscar Romero. Gutierrez ne parla senza esitazione ed evidenzia tutta la forza del messaggio del vescovo salvadoregno. Lo definisce un "impressionante testimone di solidarieta'. Un martire della Chiesa, della Chiesa latinoamericana per quello che ha fatto, non perche' e' stato ucciso. Romero non si e' limitato a denunciare la poverta', ma ne ha cercato le cause". Gutierrez ne parla come se fosse ancora vivo: "Il suo messaggio e' piu' attuale che mai". Padre Gustavo, terminata la charla, la chiacchierata tra amici, ne accetta un'altra con un giornalista europeo. "Romero lo conoscevo bene, molto di piu' di quanto abbia detto qui... ma questo e' un altro discorso". Vuole tagliare corto. "I sermoni di Romero erano storici, duravano piu' di un'ora. La gente era incollata alle panche della chiesa. Se uno qualsiasi di noi predicasse per cosi' tanto tempo, la gente prenderebbe la strada dell'uscita. Con Romero le cose andavano diversamente. Tutti lo ascoltavano, compresi i suoi killer. Cio' che ha provocato l'ira dei suoi assassini e' stato proprio il fatto che Romero abbia individuato le cause della poverta' del popolo salvadoregno". Per Gutierrez e' facile passare alle considerazioni piu' legate alla realta' in cui vive. "In Peru'", racconta, "si tratta di ricostruire un Paese in cui la giustizia venga rispettata. Infatti, qui le differenze tra la gente si stanno acutizzando, la fossa tra ricchi e poveri si sta allargando drammaticamente. Lo stesso Giovanni Paolo II all'Avana andava dicendo: 'Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba'. Con questo ha voluto significare che le politiche economiche imposte dal Nord al Sud del mondo non fanno altro che aumentare le distanze tra ricchi e poveri. I ricchi sempre piu' ricchi e i poveri sempre piu' poveri. Nella visita a Cuba, il Papa ha saputo collocarsi al livello della persona umana. Per questo considero questo viaggio estremamente interessante. Nei suoi discorsi c'era una domanda di liberta' per Cuba e una dura critica al neoliberismo. Questa e' una condizione da combattere". * - Angelo Ferrari: Che cosa precisamente bisogna combattere? - Gustavo Gutierrez: La situazione di fragilita' rende il povero piu' vulnerabile a cio' che accade. Le distanze si vedono anche nelle cose concrete. Il fenomeno del Nino lo ha evidenziato benissimo: le strutture delle case, quelle dei poveri, sono tutto fuorche' solide. La furia del Nino ha sommerso tutto cio' che poteva: la meta' delle abitazioni precarie degli insediamenti marginali e' stata distrutta. Il Nino, che non risparmia nessuno, ci ha fatto notare queste differenze. Il povero e' distante e diverso. Ma la poverta' non si evidenzia solo nella concretezza delle cose, ma ha una sua manifestazione ancora piu' importante e drammatica. Il povero e' ai margini, non conta nulla. Senza la solidarieta', la fragilita' non trovera' mai risposta. In Peru' si dice che l'economia funziona. Questo e' un assioma che il Governo tenta di far passare nell'opinione pubblica e spesso ci riesce. Cio' che conta, ma e' negativo, e' che la solidarieta' e' considerata dall'economia di mercato una trave, un ostacolo. Come in tutto il mondo l'egoismo e l'individualismo stanno penetrando il mondo cristiano e questo accade anche nel nostro Paese. Per questo solidarieta' vuol dire giustizia". * - Angelo Ferrari: Giustizia significa anche diritto alla vita? - Gustavo Gutierrez: Certamente. Basta guardare alla campagna di sterilizzazione in atto nel nostro Paese: questo e' disprezzo nei confronti delle nostre madri. Oltretutto, spesso, la sterilizzazione e' praticata con l'inganno. Tutto cio' lede i diritti fondamentali della persona umana. Nel nostro Paese il diritto alla vita e' molto maltrattato. Poverta' significa morte, morte ingiusta. E' grave che il diritto alla dignita' umana venga disatteso e, spesso, negato. * - Angelo Ferrari: In tutto il mondo il nome di Gutierrez e' sinonimo di Teologia della liberazione... - Gustavo Gutierrez: Si', ma non tutti sanno che la mia prima preoccupazione e' il lavoro pastorale. Da 17 anni lavoro nella stessa parrocchia, in una zona vecchia e molto povera di Lima. Non sono mai stato professore in alcuna Universita' del Peru'. Non ho insegnato teologia in alcuna facolta'. All'Universita' Cattolica ho tenuto solo brevi corsi a gruppi di cristiani e laici. In altri termini, il lavoro intellettuale non e' la mia principale preoccupazione. Finche' persiste in America latina la grande sfida della poverta', che interroga la coscienza cristiana, la Teologia della liberazione conserva la sua attualita'. * - Angelo Ferrari: Teologia della liberazione, cioe' sfida evangelica alla poverta'? - Gustavo Gutierrez: La Teologia della liberazione e' nata dal confronto tra la fede cristiana e la poverta'. Questa situazione e' sempre presente. La poverta' e' presente nel mondo e la Bibbia, la fede cristiana e il messaggio evangelico hanno una parola da dire su questo. Se la poverta' e' la', allora in questo caso la Teologia della liberazione ha senso. Cosa e' importante? L'opzione preferenziale per il povero. Oggi si chiama cosi', ma l'idea e' molto vecchia. Questo e' il centro della Teologia della liberazione. La preferenza di Dio per i poveri e gli abbandonati si manifesta lungo tutta la Bibbia. Nel Vangelo e' il caso dei piu' deboli e bisognosi, dei malati, dei pubblici peccatori, delle donne e dei bambini. * - Angelo Ferrari: Tutto cio' non e' in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa? - Gustavo Gutierrez: No. Il tema del Giubileo e' piuttosto una conferma di questa prospettiva. L'America latina e' strangolata dal debito estero. Questo e' solo un aspetto, ve ne sono tanti altri, ma questo e' fondamentale. Il linguaggio del Papa, in vari testi, e' molto chiaro. Il tema del Giubileo parla della liberazione dalla servitu', parla di giustizia, del diritto a possedere i mezzi necessari per vivere con dignita', del perdono vicendevole. Parla anche di aprire la mano al povero. Tutto questo fa parte di un tempo dedicato a Dio, di un Anno santo. Cio' che e' davvero importante, comunque, e' la Bibbia, e il Giubileo e' un'occasione per leggerla nuovamente. Se facciamo questa lettura nuova, nella prospettiva del Giubileo, possiamo incontrare molti punti presenti nella Teologia della liberazione. La centralita' del povero e' l'affermazione fondamentale della Teologia della liberazione. Ma noi non abbiamo fatto altro che ricordare l'affermazione della Bibbia. * - Angelo Ferrari: Lei e' stato criticato aspramente, anche di recente, dalla gerarchia ecclesiastica vaticana proprio per la sua "ecclesiologia". Non ha mai pensato di "uscire" dalla Chiesa? - Gustavo Gutierrez: No, perche' amo la Chiesa, perche' e' il mio popolo, e' la mia vita. Non l'ho mai pensato, nemmeno nei momenti difficili, anche se ho sofferto molto. E' la mia vita e la mia vita e' la gente che sta qui. Voglio dire che e' una riflessione che viene dalla Chiesa e non da alcuni teologi. La dottrina sociale della Chiesa tratta della morale sociale. La Teologia della liberazione raggruppa tutti i temi che corrispondono e formano una teologia: Dio, Cristo, la spiritualita', eccetera. Pero' e' chiaro che l'insegnamento sociale della Chiesa e' una delle fonti della Teologia della liberazione, con in primo piano i contributi di Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Insomma non e' un'idea capricciosa. Credo anche che nella Chiesa sia possibile comprenderla, aprendosi alla correzione e senza pensare di avere il valore assoluto della verita'. Io ho imparato molto da questa discussione sulla Teologia della liberazione. * - Angelo Ferrari: Dunque non tornerebbe indietro, oppure scriverebbe in modo diverso, piu' ortodosso, la Teologia della liberazione? - Gustavo Gutierrez: Le rispondo con un episodio. Molti giornalisti mi hanno chiesto: se lei dovesse riscrivere la Teologia della liberazione ora, la scriverebbe nella stessa maniera? Se avessi risposto "no", mi avrebbero detto che ritratto tutto. Se avessi risposto "si'", mi avrebbero detto che non ho imparato nulla. La risposta che ho dato a quel giornalista e' stata questa: "Sei sposato?", mi ha risposto si'. "Lei scriverebbe una lettera d'amore alla sua sposa come quando non era sposato o all'inizio del fidanzamento?". Lui mi ha risposto no. Ebbene, per me scrivere della Teologia della liberazione e' scrivere una lettera d'amore al Dio in cui credo, alla Chiesa che amo, al popolo a cui appartengo. Le lettere non possono essere tutte uguali, ma l'amore e' lo stesso. La teologia, per me, e' una lettera d'amore a Dio, alla Chiesa di cui faccio parte, al mio popolo. 2. RIFLESSIONE. PAULO LIMA INTERVISTA JOSEPH COMBLIN (1998) [Dal mensile "Jesus", n. 12, dicembre 1998, col titolo "Intervista al teologo Joseph Comblin. Chi ha paura della liberta'?" e il sommario "'E' giunta l'ora di discutere su che cosa significa essere liberi nella Chiesa, perche' essa possa tornare alle origini e proclamare il Vangelo della liberta' e della pluralita''. Joseph 'Jose'' Comblin, uno dei principali esponenti della Teologia della liberazione, sostiene che e' ora di porre fine al 'tempo della paura' che ha portato a considerare la liberta' una 'minaccia' alla struttura ecclesiastica"] Per il teologo Joseph "Jose'" Comblin, la Chiesa cattolica alle soglie del nuovo millennio si trova di fronte a un dilemma irrisolto: "Reprimere il dialogo e il dibattito ecclesiale o educare i fedeli alla liberta'?". Nato a Bruxelles, in Belgio, 75 anni fa, Comblin, lavora in America latina da piu' di quarant'anni ed e' uno degli esponenti principali della Teologia della liberazione. Ordinato prete nel 1947, ha scritto fino a oggi 64 libri. Vive in Brasile dal 1958, dove giunse rispondendo a un drammatico appello missionario lanciato da Pio XII, il Papa che considerava l'America latina il principale terreno di battaglia che vedeva i cristiani opporsi all'ateismo comunista. Ironicamente, pero', Comblin divenne noto all'opinione pubblica in quanto accusato di essere un "prete comunista". Avvenne nel 1968, quando fu protagonista di uno storico episodio che accentuo' i conflitti fra la Chiesa cattolica brasiliana e il regime militare, cosi' come fra l'ala progressista e quella conservatrice dell'episcopato. A quell'epoca Comblin lavorava come collaboratore dell'arcivescovo di Recife, monsignor Helder Camara, che i militari definivano "il peggiore e principale ispiratore dei vescovi progressisti nel Paese". Redigendo un documento preparatorio per la riunione dei vescovi latinoamericani a Medellin, Comblin difese apertamente la necessita' urgente che la Chiesa s'impegnasse nella trasformazione sociale del continente. Vi affermava: "In America latina non si puo' parlare di sviluppo senza prima realizzare una rivoluzione sociale, che porti alla destituzione dell'aristocrazia dominante". Fu l'inizio di una lunga polemica. Il documento cadde nelle mani di un consigliere comunale della citta', che monto' un caso sui giornali, chiedendo l'espulsione del sacerdote belga dal Paese. L'organizzazione cattolica reazionaria "Tradizione, famiglia e proprieta'" raccolse un milione di firme che appoggiavano l'iniziativa di quel consigliere di Recife. Alla fine, nel marzo del 1972, di ritorno da un viaggio in Europa, Comblin fu bloccato alla frontiera e gli fu impedito di rientrare nel Paese. Riusci' a ritornare solo nel 1980, con un visto turistico, che doveva essere rinnovato ogni tre mesi. Cacciato dal Brasile, Comblin visse sette anni in Cile, da dove pure fu espulso per volonta' del generale Pinochet. Il teologo attribuisce questa seconda espulsione al libro L'ideologia della seconda nazione: il potere militare nell'America latina, nel quale faceva una dettagliata analisi dei regimi autoritari che prosperavano nel continente nei decenni '60 e '70. Nell'agosto del 1976, a Riobamba, in Ecuador, fu arrestato assieme a monsignor Leonidas Proano e ad altri sedici vescovi, accusati dai militari di attentare alla sicurezza del piccolo Stato andino. Oggi Comblin vive a Serra Redonda, nello Stato di Paraiba, nel Nordest brasiliano, la zona piu' povera del Paese. Insegna teologia nelle comunita' di base. Da qui si muove sporadicamente, soltanto per tenere conferenze e corsi in altri Paesi del continente. Nonostante la Teologia della liberazione non goda piu' di grandi sostenitori nella Chiesa latinoamericana, lui ha continuato a farsene portavoce, con i suoi scritti e con la parola. Il suo ultimo libro, pubblicato in Brasile dalla San Paolo, si intitola Vocazione alla liberta'. Secondo il teologo, infatti, la sfida della liberta' nel XXI secolo sara' decisiva: "Oggi le classi dirigenti dell'Occidente difendono la liberta' di isolamento, la liberta' che vede negli altri possibili ostacoli", scrive. "Cio' che si deve cercare e' un nuovo tipo di relazione, nella quale uomini e donne saranno invitati a liberarsi dal loro individualismo, che e', in fondo, paura di vivere pienamente, paura degli esseri umani, paura delle vere sfide umane". Per Comblin, questa e' una sfida che coinvolge anche la Chiesa, perche' la liberta', sostiene, e' sentita come una "minaccia" alla struttura ecclesiastica. * - Paulo Lima: Perche' scrivere un libro sulla vocazione alla liberta'? - Joseph Comblin: Il tema della liberta' e' inesauribile. Nonostante tanti grandi teologi ne abbiano trattato, non e' mai troppo. Io ne scrivo partendo da alcune questioni di fondo. * - Paulo Lima: Quali questioni? - Joseph Comblin: Una e' la sfida di dare continuita' alla Teologia della liberazione. In America latina, oggi i movimenti di liberazione hanno riscoperto la liberta'. E' finito il conflitto ideologico tra liberta' e liberazione. I tempi sono cambiati e il tema della liberazione ora si colloca in modo differente. La teologia cristiana della liberta' puo' illuminare e orientare la ricerca di una nuova teoria della liberazione. E' necessario riflettere sull'esperienza degli ultimi decenni. Gli anni Sessanta, per esempio, segnarono una generazione. Fu il decennio di tutte le pazzie, utopie e speranze. Questo alimento' un profondo ottimismo nei movimenti di liberazione in tutto il continente latinoamericano, e per molto tempo. Oggi si percepisce che non basta aspirare alla liberta'. Ci sono altri elementi piu' forti che rendono difficile la liberazione dei poveri. La paura di voler cambiare e' uno di questi. * - Paulo Lima: Potrebbe spiegare meglio? - Joseph Comblin: Praticamente per cinque secoli la Chiesa ha predicato l'obbedienza come sintesi di tutte le virtu' cristiane. "Chi obbedisce, non sbaglia mai", dicevano ai miei tempi in seminario. Il risultato fu che la paura si sparse nel mondo religioso e nelle relazioni sociali, smorzando qualsiasi tipo di discussione sugli abusi dell'autorita'. Questo in un certo modo persiste nella Chiesa e nella societa'. Per questo, soprattutto in America latina, molti cattolici non si ricordano di esperienze di liberta' cristiana vissute storicamente. Per invertire questa "predica della paura", e' necessario un tempo di coscientizzazione assai lungo. Il processo di liberazione e' lento. Non avviene in alcuni decenni appena, come molti scommettevano. * - Paulo Lima: E quale sarebbe l'altra questione di fondo del libro? - Joseph Comblin: Dagli anni Ottanta la Chiesa latinoamericana si sente mezza persa. Ai tempi delle conferenze di Medellin (1968) e Puebla (1979) aveva una fisionomia chiara. Oggi, invece, sta attraversando una crisi di identita'. Sulla carta si mantiene l'opzione per i poveri, ma si va perdendo il suo contenuto pratico. Spariscono le antiche pratiche di liberazione. Oggi un grande numero di laici impegnati nelle comunita' di base si sentono scoraggiati, visto che il loro impegno sociale di un tempo e' diventato irrilevante. D'altronde, molti vescovi avevano accettato l'opzione per i poveri semplicemente come un'aggiunta al discorso tradizionale. Si manteneva la teologia tradizionale e si giustapponeva il discorso della liberazione dei poveri. Ma se l'opzione per i poveri non viene approfondita, riferendosi alle radici del cristianesimo, al Vangelo che libera, rischia di diventare una semplice formula, vuota, senza contenuto. * - Paulo Lima: Secondo lei, perche' questo Dio di liberta' rimane fuori dalle prediche della Chiesa? - Joseph Comblin: Dal XIII secolo il tema della liberta' e dei poveri e' sparito dal vocabolario cattolico. E' prevalso lo schema imperiale, ossessionato dall'unita'. Per esso la pluralita' e' negativa: tutto deve essere uguale. Negli ultimi vent'anni questo processo e' andato molto avanti in tutto il mondo. La liberta' e' considerata una minaccia. E' giunta l'ora di discutere su che cosa significa essere liberi nella Chiesa, perche' essa possa tornare alle origini e proclamare il Vangelo della liberta' e della pluralita'. * - Paulo Lima: Lei ritiene che i pastori non si preoccupino di condurre la gente verso la liberta'? - Joseph Comblin: La preoccupazione principale e' un'altra. Quella cioe' del mercato religioso. La questione finisce per essere la seguente: come la Chiesa cattolica riuscira' a riconquistare la sua forza sociale, politica ed economica, di fronte al fenomeno delle Chiese pentecostali in America latina? C'e' una tendenza molto forte dei carismatici e di altri movimenti cattolici a fare concorrenza ai pentecostali. Cercano di offrire il Vangelo "secondo il gusto del consumatore", come diceva un sacerdote. Un leader di prestigio di uno di questi movimenti ha affermato una volta che la nuova evangelizzazione e' questione di marketing. Secondo lui, abbiamo un buon prodotto e gratis, che e' Dio, ma non sappiamo venderlo. E' necessario, quindi, imparare a vendere meglio il prodotto. E il peggio e' che questo virus sta contaminando perfino la Conferenza dei vescovi del Brasile. * - Paulo Lima: In che modo? - Joseph Comblin: Basta vedere l'importanza che i vescovi stanno dando alla Rede Vida de Televisao, la tv cattolica, che ha come obiettivo quello di mantenere unito il gregge. In primo luogo ci sono i numeri, non la qualita'. Inoltre c'e' molta indulgenza verso i carismatici, perche' sono efficaci, nel senso che radunano molta gente. I vescovi danno sempre piu' fiducia e appoggio a cio' che produce risultati a livello quantitativo. Il risultato? Le comunita' di base rimangono ai margini. * - Paulo Lima: Quali sono le conseguenze? - Joseph Comblin: Vescovi e sacerdoti cadono nella tentazione di voler competere con le Chiese pentecostali e ricorrono cosi' agli stessi metodi, offrendo un Vangelo che risponda a una domanda immediata. In questo modo, l'annuncio del Vangelo si impoverisce. C'e' molto amore a Gesu', ma a un Gesu' emozionale. Piu' che un esercizio di amore verso il popolo, l'evangelizzazione si trasforma in propaganda per recuperare parte dello spazio perduto. Ora, un'evangelizzazione a breve termine, che offre momentanee soddisfazioni a vaghe aspirazioni religiose, non paga. E' necessario preparare gruppi di cristiani veramente trasformati e liberati dal Vangelo, che possano essere lievito di una nuova societa' nel mondo. E' necessario investire nelle comunita' di base. * - Paulo Lima: Lo stile ecclesiale delle comunita' di base ha la possibilita' di essere vincente? - Joseph Comblin: Questo e' secondario. Non abbiamo effettivamente la vocazione dei vincitori. Secondo l'ideologia capitalista, tutti sono condannati a essere vincitori, e chi non e' un vincitore e' un frustrato. Per me, invece, la cosa piu' importante e' essere fedeli alla Parola di Dio, a cio' che impariamo di Dio nella vita, e alla nostra vocazione umana. 3. RIFLESSIONE. MAURO CASTAGNARO INTERVISTA CARLOS CASTILLO (2004) [Dal mensile "Jesus", n. 1, gennaio 2004, col titolo "Rigenerazione e liberazione" e il sommario "Dove va la Chiesa dell'America latina? Quali risposte puo' dare alle sfide sociali contemporanee, e sono ancora valide le chiavi di lettura utilizzate nei decenni scorsi? Risponde un allievo di Gutierrez - il padre della teologia della liberazione -, che ha una nuova proposta per il suo continente. L'ha chiamata 'teologia della rigenerazione', e il suo scopo e' integrare il messaggio politico con le attuali esigenze soggettive. Come? Promuovendo una 'ricostruzione' spirituale del se', che sta alla base di ogni altro sviluppo"] Teologia della rigenerazione e' un nome accattivante. Sembra strizzare l'occhio a un vocabolario "new age" molto di moda. Ma se a coniarlo e' Carlos Castillo, sacerdote di Lima, ordinario di teologia all'Universita' cattolica del Peru' e allievo di Gustavo Gutierrez, il "padre" della teologia della liberazione, viene davvero voglia di capire meglio questa Nuova proposta dall'America latina, come recita il sottotitolo dell'omonimo volumetto pubblicato dall'editrice Emi. In occasione di un suo viaggio in Italia, ne abbiamo parlato con l'autore. * - Mauro Castagnaro: Che cos'e' la "teologia della rigenerazione"? - Carlos Castillo: E' una riflessione sull'esperienza di fede vissuta nell'America latina di oggi, dove non prevale la ricerca di rompere l'oppressione, ma il bisogno di trovare riferimenti in un momento in cui e' venuta meno la speranza di un cambiamento sociale. Nel nostro continente - con la miseria che cresce e diventa esclusione, un ambiente devastato, la crisi di valori - le lotte dei poveri non hanno piu' la forza degli anni '70-'80 e sono diffuse la ricerca di pace, di verita', di benessere: la soggettivita' trascurata richiede attenzione. Il soggetto e' frantumato sul piano sociale e personale. Come cristiani non possiamo smettere di annunciare la risurrezione di Gesu', ma in passato c'erano le condizioni perche' questa potesse identificarsi coi tentativi di liberazione sociale, pur senza ridurre il Vangelo alla politica, mentre oggi questi sforzi sono intermittenti, la gente cerca la religione dappertutto, tenta di guarire dalle proprie ferite. Percio' mi e' parso piu' adeguato ripensare la fede con una teologia al livello delle ricerche di "rifacimento" che la gente ha; non e' un rifugiarsi nell'ambito individuale, ma trovare, attraverso l'esperienza spirituale, i mezzi per "rimettere insieme" la persona affinche' possa avere molteplici possibilita' di azione, anche sociale. Si tratta quindi di approfondire l'esperienza di liberazione in un tempo di crisi, recuperando il tema della "rigenerazione", presente nei testi tardivi del Nuovo Testamento (Prima lettera di Pietro, Vangeli di Giovanni e Matteo, Prima lettera di Giovanni, Lettera di Tito e Lettera di Giacomo) e negli scritti dei Padri della Chiesa. * - Mauro Castagnaro: Questa riflessione assume un contesto mutato. Come lo caratterizza? - Carlos Castillo: Non siamo in un'epoca di cambiamenti, ma ci troviamo davanti a un mutamento epocale, specie dopo la distruzione delle Torri gemelle, che esprime l'abisso tra ricchi e poveri e la convivenza tra un mondo ultramoderno e mondi premoderni. Inoltre la modernita' era pensata sulla base della forza, mentre ora si parla di "pensiero e soggetto debole", perche' la ragione e soprattutto la persona faticano ad affrontare e modificare un mondo cosi' complesso. Tale indebolimento colpisce noi latinoamericani in particolare perche', mentre nel passato avevamo un emergere del soggetto "povero" con una certa forza - "la forza storica dei poveri" di cui parlava la teologia della liberazione -, oggi questa forza politica non solo non c'e', ma neppure potrebbe riprodursi in futuro allo stesso modo. * - Mauro Castagnaro: Che significa pensare una Chiesa e un'esperienza cristiana in un mondo cosi' configurato, a partire dalla teologia della rigenerazione? - Carlos Castillo: Oggi si tratta soprattutto di mettere l'accento sulle precondizioni umane e cristiane perche' il soggetto sociale abbia una forza sufficiente per essere protagonista della liberazione. Cio' pero' richiede persone solide e queste si formano attraverso la famiglia, l'amore, la gratuita', i valori. Queste fondamenta costituiscono il trampolino per qualsiasi altra esperienza. Giovanni XXIII voleva una Chiesa "mater et magistra" perche' probabilmente intuiva che senza un fondamento materno, capace di rigenerare le persone, la Chiesa dei poveri poteva crollare. Lo coglie lo stesso Gustavo Gutierrez quando sostiene che questi elementi essenziali si davano per scontati, mentre ora non ci sono. Poi ripropone la scelta preferenziale per i poveri. Il che va bene, ma non basta. Centrale e' per me riuscire, in una situazione avversa, a vivere l'esperienza di fede e della Chiesa in modo da irrobustire il soggetto. Lavoro pastorale, proposta ecclesiale ed esperienza di fede devono rendere la persona libera, umile e obbediente alla volonta' misteriosa del Padre nella storia. L'obiettivo non e' resistere, ma stare nella storia con creativita'. Percio' recuperano valore le comunita' ecclesiali di base, che negli ultimi anni sono cambiate, puntando sulla crescita della persona. Nella Chiesa alcuni vogliono formare la persona attraverso la legge, altri nell'impegno sociopolitico contro l'oppressione. Legge e giustizia sono necessarie, ma io preferisco la via della liberta' e dell'assimilazione, fiduciosa in un Dio che ci ama, elementi di cui, insieme alla saggezza, si ha bisogno per affrontare la vita. Dalla promozione dell'integrita' della persona dipende il futuro della Chiesa e della societa'. * - Mauro Castagnaro: Forse in passato ci si concentrava sulla liberazione "da" perche' la meta di una societa' solidale appariva chiara. Ma non c'e' il rischio di sostituire al militante l'assistente sociale come prototipo del cristiano? - Carlos Castillo: Nell'ultimo decennio, in mancanza di una prospettiva di cambiamento generale, tutti siamo diventati un po' "assistenti sociali". Bisogna ricostruire un progetto di alternativa, ma i giovani con cui lavoro hanno alle spalle problemi che non permettono loro di diventare militanti. I gruppi che denunciano i grandi scandali sociali svolgono un ruolo positivo, ma l'assenza di un progetto rende questa "resistenza" senza prospettive. Bisognerebbe unire protesta e azione concreta anticipatrice del futuro, in cui si sperimenta quanto di quello per cui si lotta si puo' praticare adesso. Costruire movimenti politici e' importante, ma non lo e' meno l'"azione concreta solidale", perche' non ci sara' societa' futura se non se ne fanno prove oggi. La storia, se considerata solo storia di "liberazione da", come in certe accentuazioni della teologia della liberazione, esprime una tendenza al "soggetto assoluto", ma io non condivido l'idea secondo cui l'io non puo' sopportare alcun condizionamento, perche' ci sono cose da cui non ci possiamo liberare, pena il buttar via anche noi stessi. Sartre diceva che l'altro e' mio nemico perche' mi si impone. Ma c'e' un'imposizione che viene da dentro, dall'imperativo categorico, e mi permette di coabitare con l'altro. * - Mauro Castagnaro: La Bibbia come concepisce la storia? - Carlos Castillo: La concepisce come storia di oppressione da cui liberarsi, che pero' riposa sulla storia familiare delle generazioni. Nell'episodio della torre di Babele, dopo la confusione delle lingue, gli uomini scendono a partorire, a formare famiglie, a disperdersi per il mondo. E nel racconto del peccato originale si esprime la pretesa dei sacerdoti di sostituire la monarchia, cancellando la promessa fatta a Davide, non in base ai suoi meriti, ma alla generosità di Dio: "Io ti amero' sempre, anche se hai peccato... La tua casa e il tuo regno rimarranno per sempre" (2 Sam 7, 14-16). I sacerdoti in esilio, che poi diventeranno gli zadokiti, favoriscono l'assassinio di Zorobabele e la fine della dinastia regale; fondano, cosi', un Israele teocratico (Neemia, Esdra), ma con un colpo di Stato e una morte. Alcuni storici hanno scoperto che dietro l'apocalittica c'e' la tradizione della famiglia di Davide sottomessa, la cui attesa escatologica di un ripristino del diritto a governare, datole da Dio anche se era politeista, si riflette nei libri apocrifi enochici. Una ipotesi esegetica individua queste due linee nell'Antico Testamento, davanti alle quali Gesu' si schiera con quella davidica, fondata sulla grazia, e subordina quella della legge. Questa pretesa di cio' che non si puo' pretendere sta dietro una storia concepita solo come costante processo di "liberazione dagli ostacoli". La Bibbia pensa invece che si possano compiere passi avanti, ma sempre con le fondamenta essenziali dell'essere uomo, debole, in carne e ossa, che ha figli di cui occuparsi e una vita quotidiana, che puo' aspirare ad andare oltre, ma entro certi limiti. Allora il peccato e' conseguenza del tentativo di farsi Dio, di cui ho l'immagine in me. L'altra strada e' quella di ricevere da Dio il suo amore, diventando un uomo capace di amare a partire dall'esperienza del limite. "Partecipare a Dio" e "farsi Dio" sono due modi diversi di fare la storia. In certe accentuazioni della teologia della liberazione non ce ne siamo accorti. * - Mauro Castagnaro: In America latina l'esegesi tende a ricongiungersi al libro dell'Esodo... - Carlos Castillo: Certo, Dio libera il suo popolo, ma chiede a Mose' di coprirsi il volto per non vederlo e togliersi i calzari per non calpestare la terra sacra. La tradizione della paura di Dio, della distinzione tra puro e impuro e tra sacro e profano e' unita nell'Esodo alla liberazione. Invece il filone abramico e davidico, fatto di fiducia e fluidita' della fede, viene recuperato da Gesu', che punta il dito soprattutto contro i sacerdoti e la Legge. Se in America latina non facciamo i conti con gli elementi legalisti della giustizia che hanno marcato la lotta per la liberazione ripeteremo sempre gli schemi cui Gesu' si e' opposto e che lo hanno portato alla morte. La denuncia finisce sempre con la condanna. Gesu' ricolloca la legge nella grazia, ricostruendo la fiducia. Superare le tradizioni legaliste portera' a una rifioritura della Chiesa latinoamericana. * - Mauro Castagnaro: Questa riflessione non si riduce a una spiritualizzazione della teologia della liberazione? - Carlos Castillo: Anch'io vedo questo pericolo, perche' nelle persone e' forte in questo momento il desiderio di serenita' individuale. Pero' un cammino di rigenerazione personale, percorso in forma comunitaria, conduce anche all'impegno sociale. Al tempo di Gesu' le persone, specie i contadini, si sentivano come "pecore senza pastore", come oggi. Gesu' fa scoprire agli indemoniati il proprio valore e le proprie capacita': "La tua fede ti ha salvato". E la gente prende coraggio. Nel cristianesimo primitivo cio' si traduce nel manifestarsi dei carismi. Le prime comunita' cristiane sono zone di rigenerazione e coltivazione di vocazioni umane diversificate, in cui ciascuno trova la propria identita' perche' scopre il mistero della sua vita. Oggi la Chiesa dovrebbe aiutare le persone a scoprire la propria grandezza, con un lavoro sull'essere, che costruisce una saldezza umile, la quale poi permette di agire pure nella societa'. Se intuisco che senso ha la mia vita nel piano misterioso di Dio e come posso contribuirvi, mi buttero' nell'impegno provando grande gioia. Cosi' avremo persone piu' solide che potranno diventare politici, professionisti, tecnici. * Postilla. Carlos Castillo e Gustavo Gutierrez Di padre Carlos Castillo, docente di teologia all'Universita' cattolica del Peru', sono attualmente disponibili in italiano due titoli: Teologia della rigenerazione. Una nuova proposta dall'America latina (Emi, 2001, pp. 128, euro 7,75), da cui prende spunto questo servizio, e la biografia Bartolome' de Las Casas. Un itinerario cristiano (Edizioni Cultura della Pace, 1993, pp. 104, euro 6,20). Maestro di Castillo e' stato padre Gustavo Gutierrez Merino, anch'egli peruviano, iniziatore della teologia della liberazione. Nato a Lima nel 1928, Gutierrez uso' per la prima volta il termine "teologia della liberazione" in una conferenza del 1969, facendo seguire due anni dopo un libro dallo stesso titolo, che avrebbe influenzato gran parte del pensiero cristiano latinoamericano. Non solo teologo in senso stretto, ha studiato anche medicina, arte, psicologia e filosofia. La piu' recente pubblicazione in Italia e' Densita' del presente (Queriniana, 1998). 4. RIFLESSIONE. FRANCESCO COMINA INTERVISTA ENRIQUE DUSSEL (1999) [Dal mensile "Jesus", n. 2, febbraio 1999, col titolo "Intervista al teologo Enrique Dussel. Dalla parte delle vittime" e il sommario "Una vera etica della liberazione non puo' che fondarsi sulle ragioni degli esclusi, di coloro cioe' che 'subiscono sulla loro pelle gli effetti negativi della globalizzazione dell'economia'. Parte da questa analisi la riflessione di Enrique Dussel, filosofo e teologo argentino, che denuncia le gravi ingiustizie del neoliberismo, un sistema che condanna la maggioranza degli abitanti del pianeta all'oppressione"] Pensare e agire partendo dalle vittime. Questo e' il salto qualitativo della filosofia, la rivoluzione copernicana, l'improvviso emergere di una coscienza nuova, che puo' far ripensare la storia e reimpostare un equilibrio nel sistema iniquo dell'esclusione planetaria. Un'etica per il XXI secolo, una vera "etica della liberazione". A farsene portavoce e' il filosofo e teologo Enrique Dussel, noto a livello internazionale soprattutto per la sua grande opera di storia La Chiesa in America latina (Cittadella). Dussel, argentino di nascita, classe 1934, ha conosciuto il pensiero occidentale durante il suo peregrinare nelle maggiori universita' europee (Madrid, Friburgo, Parigi, Magonza, Berlino). E' questo il periodo in cui il filosofo si e' confrontato direttamente con alcuni protagonisti della storia del pensiero di questo secolo. La sua apertura ai grandi temi sociali e la sua inclinazione a mettersi al fianco degli oppressi lo hanno portato a prendere posizione contro la dittatura militare che negli anni '70 imperversava in Argentina. Scampato miracolosamente a un attentato e dopo molte minacce, e' stato costretto alla fuga in direzione del Messico, dove oggi vive, insieme alla famiglia. A Citta' del Messico oggi Dussel insegna Etica e Storia della Chiesa all'Universidad Autonoma Nacional; e' presidente della Commissione di studi di Storia della Chiesa dell'America latina (Cehila) e membro fondatore dell'Associazione ecumenica dei teologi del Terzo Mondo (Eatwot). Vari suoi libri sono stati tradotti in italiano. Abbiamo colto l'occasione di una sua visita in Italia per soffermarci sul tema a lui piu' caro: un'etica della liberazione per il prossimo millennio. * - Francesco Comina: Professor Dussel, lei si fa portavoce di una nuova etica, che parte dalla condizione della vittima. Puo' delineare le caratteristiche di questa etica? - Enrique Dussel: Essa e' la risposta a molti incontri che ho avuto in questi ultimi anni e a molti confronti che ho fatto con intellettuali e filosofi della nostra storia. Nel 1975 ho scritto cinque volumi di filosofia dal titolo Per un'etica della liberazione latinoamericana. Ho sentito la necessita' di rivedere l'impianto generale del pensiero occidentale. Oggi il pensiero dominante e' quello tedesco e americano, un pensiero egemonico. Io, invece, ho voluto collocarmi nel mio spazio, l'America latina, non per chiudere il confronto con l'Occidente, ma per collocare il pensiero dalla parte delle vittime. La mia, infatti, non e' semplicemente un'etica dell'America latina, ma e' un'etica per tutti gli esclusi, coloro che subiscono sulla loro pelle gli effetti negativi della globalizzazione dell'economia... * - Francesco Comina: Da dove coglie il suo humus filosofico? - Enrique Dussel: Desumo la mia impostazione di pensiero da Franz Hinkelammert, un economista noto anche nel campo della Teologia della liberazione, che delinea in maniera molto precisa i vari modelli economici che abbiamo sotto gli occhi. Egli ha sviluppato l'idea forte della vita umana come punto di riferimento per la critica al sistema economico. Hinkelammert parla di una razionalita' riproduttiva della vita, a partire dalla quale si puo' fare la critica al modello economico. Io ho ripreso questa sua prospettiva di lettura e l'ho inserita nella sfera filosofica. L'idea di Hinkelammert appoggiata alla condizione dell'uomo oppresso dell'America latina mi permette di cogliere questa idea della riproduzione della vita come critica al capitalismo. Oggi, infatti, non possiamo piu' parlare di poveri, ma di vittime. E allora l'interrogativo diventa: come si puo' sviluppare un discorso etico partendo dalla vita e contrastando la morte? Con l'affermazione della dignita' della vittima di un sistema storico noi possiamo entrare in questa nuova etica. La vittima non puo' vivere, la vittima rivela la morte della vita. * - Francesco Comina: Scegliere le vittime, dunque, diventa l'atto critico e responsabile di fronte a un sistema oppressivo? - Enrique Dussel: A partire dalla vita noi possiamo ridefinire il concetto di bene. E qui finisce l'etica tradizionale di san Tommaso, sant'Agostino, Aristotele. L'atto buono e' la conclusione della ricerca dell'etica. Io dico invece che questo e' il punto di partenza, perche' l'atto buono non e' perfetto e ha effetti negativi, che si esplicano nella creazione di altre vittime. Qui inizia la prospettiva di una nuova etica, un'etica che io ho chiamato della liberazione. E' un'etica che si potrebbe chiamare anche "cristiana". Gesu', infatti, ha sviluppato una severa critica al sistema dominante e questa critica aveva un fondamento razionale. * - Francesco Comina: La sua analisi prende di mira anche il pensiero postmoderno, che si esprimerebbe, secondo la sua interpretazione, in forme egemoniche... - Enrique Dussel: Il pensiero postmoderno non affronta il problema strutturale del neoliberismo che condanna la maggioranza degli individui di questo mondo all'oppressione. Gli intellettuali del postmoderno sono ciechi. Essi sviluppano un pensiero formale senza contenuto, un pensiero senza coscienza e complice dell'oppressione. Non importa a questi pensatori del postmoderno di sciogliere la grande contraddizione in cui ci troviamo: la riproduzione del sistema capitalista accumula piu' valori economici nelle mani del sistema. Il sistema puo' essere globalizzato, le merci viaggiano per tutto il mondo, ma la vita umana e' negata e la maggioranza delle persone muore per cause strutturali. Questa e' la trappola della globalizzazione: che la maggioranza dell'umanita' non puo' usufruire degli strumenti positivi della globalizzazione. * - Francesco Comina: Il luogo per rifare la storia, allora, diventa il mondo della periferia dove vivono, muoiono e sperano le vittime del sistema? - Enrique Dussel: E' sempre stato cosi'. I poveri e gli emarginati sono sempre stati ai margini dell'ordine. Pensiamo alla borghesia nel Medioevo. I paria del feudo stavano ai margini delle citta' libere. Questa societa' in cui viviamo oggi e' basata sul nuovo feudo del capitalismo e coloro che hanno la creativita' per inventare un ordine nuovo sono le vittime. Le vittime sono state sempre creatrici del nuovo. * - Francesco Comina: Lei parla spesso dell'utopia. In che senso? - Enrique Dussel: L'utopia comincia quando le vittime prendono coscienza critica del sistema oppressivo e pongono in essere un'alternativa possibile. L'utopia e' una visione immaginaria del futuro, una visione non completamente fantastica e neanche una creazione pura, ma e' l'affermazione della negazione. Faccio qualche esempio. A un certo punto uno dice: "Non riesco a sfamarmi" e poi... utopia: "Devo trovare una via d'uscita a questo stato di indigenza". Oppure: "Non tengo casa"... utopia: "Devo trovarmi una casa". E via di questo passo. L'utopia, dunque, e' l'affermazione della negazione. La negativita' presente pone le condizioni dell'utopia. * - Francesco Comina: Spesso si parla di dialogo tra culture diverse. Ma l'Occidente puo' imparare dalle altre culture? - Enrique Dussel: Esiste una mentalita' eurocentrica molto forte, che dice che lo sviluppo dell'Europa e' il piu' umano fra gli sviluppi possibili. Si possono fare molti esempi per criticare questo aspetto. Prendiamo, ad esempio, il concetto di famiglia. La famiglia occidentale (una moglie, un marito e due figli) e' una famiglia ideale, perche' libera, capace di garantire delle condizioni vantaggiose per il futuro dei figli. Ma le famiglie arabe, che sono formate da centinaia di persone, sono patriarcali, sono famiglie in cui la donna e' dominata. Ebbene: anche questa e' una grande famiglia piena di riferimenti umani, con una robusta sicurezza, una diversita' di mentalita'. Qual e' la famiglia preferibile? Quella minima ha molti vantaggi (piu' spazio, piu' possibilita' di lavoro, eccetera), ma ha anche molte difficolta' perche' non ha un intreccio di relazioni cosi' forti, cosi' sicure. Allora, se vogliamo pensare a una famiglia ideale non dobbiamo avere in mente gli stereotipi di una cultura, di una tradizione particolare, ma bisogna superare il pregiudizio e pensare a qualcosa di nuovo. * - Francesco Comina: Tuttavia la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico occidentali sembrano sempre piu' vincenti... - Enrique Dussel: L'utopia futura deve combinare questi aspetti e fare in modo che ci sia un qualcosa di nuovo, che passa al di sopra dei modelli dati. Dobbiamo scoprire il limite dello sviluppo e approfondire l'aspetto qualitativo. In questo senso ci vengono incontro le altre culture. Un indiano maya ha moltissime cose da insegnarci perche' vive in modo molto piu' semplice del nostro, molto piu' ecologico, molto piu' mistico. C'e' maggior equilibrio psicologico e umano. Non voglio fare un'apologia dell'antico o una descrizione folcloristica delle culture. La mia e' un'analisi razionale. Le suore francescane quando sono arrivate in Messico il secolo scorso hanno visto questi popoli cosi' poveri e cosi' felici e si sono stupite. Queste persone non vogliono essere ricche, non hanno proprieta' privata, esse quasi non sono state toccate dal peccato originale. Queste suore hanno compreso che l'ideale francescano tanto agognato e faticosamente ricercato con anni e anni di sacrifici, questi indios lo vivevano con naturalezza. Allora quegli indios erano piu' vicini a Dio di tutti i monaci europei. L'umanita' deve cercare di apprendere questa saggezza, perche' la terra si e' fatta piccola e il tempo stringe e non si puo' piu' andare avanti con i ritmi di crescita dell'Occidente. Lo sviluppo dovra' essere qualitativo o non sara' sviluppo. * Postilla "Denunceremo senza stancarci l'iniquita' del neoliberismo come mercato totale, sistema di esclusione, idolatria del guadagno ed ecocidio incontrollato". E' uno dei passaggi dell'appello sottoscritto a Riobamba dai rappresentanti delle Chiese cristiane latinoamericane, riunitisi nella cittadina dell'Ecuador nel ricordo di monsignor Leonida Proano, il "vescovo degli indios", a dieci anni dalla morte. Il documento reca la firma, tra gli altri, di Adolfo Perez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 377 del 26 settembre 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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