Nonviolenza. Femminile plurale. 274



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 274 del 10 settembre 2009

In questo numero:
1. Lea Melandri: Il silenzio del femminismo o sul femminismo?
2. Alessandra Bocchetti: Non basta l'indignazione, e' necessario che le
donne governino
3. Seyla Benhabib: Diritti umani e societa' civile globale
4. Vittoria Prisciandaro: Ricerca teologica femminista in Europa

1. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL SILENZIO DEL FEMMINISMO O SUL FEMMINISMO?
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it)]

Ho alle spalle una storia del movimento delle donne abbastanza lunga per
ricordare le alterne vicende che ha avuto nel tempo, non dico la cultura che
ha prodotto, ma la parola stessa "femminismo". Passato il decennio degli
anni '70, in cui aveva goduto o patito, a seconda dei punti di vista, di una
straordinaria attenzione da parte dei media, e proprio nella fase in cui il
movimento femminista si andava trasformando in femminismo diffuso - nelle
universita', nei tribunali, nelle professioni, nei partiti, nei sindacati,
nell'editoria, ecc. -, una esperienza collettiva di innegabile portata
rivoluzionaria, tutt'altro che esaurita, si e' trovata a fare i conti con le
paure, i risentimenti, le ostilita' trattenute, le solidarieta' forzate che
si era prevedibilmente lasciata dietro. Mi e' capitato spesso, in occasioni
pubbliche, di constatare che "femminista" era diventata una connotazione
negativa, scomoda, che era meglio tenere celata se si voleva trovare lavoro
o ascolto.
E' cosi' che, per effetto di un capovolgimento noto - lo stesso per cui si
creano i disadattati per incolparli del disadattamento -, la "messa sotto
silenzio" e' diventata "il silenzio delle donne", interrotto solo da
sporadiche manifestazioni di piazza, destinate a scomparire con la stessa
rapidita' dei fantasmi che sembravano evocare. Non sono bastati neppure i
cortei affollatissimi di Milano, nel gennaio 2006, e di Roma, nel novembre
2007, sulle questioni dell'aborto e della violenza maschile contro le donne,
a destare un interesse duraturo per la cultura che piu' in profondita' ha
intuito e analizzato la crisi a cui stava andando incontro la politica,
scossa nelle sue fondamenta da tutti gli aspetti dell'umano considerati
tradizionalmente "non politici", confinati nella sfera del privato o in una
natura astorica. Poi, improvvisamente, quello in cui non sono riusciti
quarant'anni di produzione ininterrotta di libri, riviste, associazioni,
centri di studio, archivi, centri antiviolenza, mobilitazioni di piazza,
documenti collettivi - e cioe' vincere l'ottusa, arrogante o interessata
indifferenza di tutta la nostra cultura, alta e bassa, accademica e
mediatica -, e' accaduto in modo imprevedibile e inaspettato, come effetto
collaterale dell'onnipotente personalizzazione della politica del nostro
Presidente del Consiglio.
Che a "mettere a nudo il re" siano state le stesse figure femminili che
credeva di aver asservito - mogli e cortigiane - puo' essere letta come una
di quelle ironie o vendette della storia che fanno sperare in una qualche
invisibile giustizia, o, piu' realisticamente, stando a quanto hanno scritto
voci rappresentative del femminismo storico, come "la diffusa incapacita'
maschile, in tante situazioni e rapporti, a cimentarsi con donne non
subalterne", la miseria della mascolinita', il venire allo scoperto del
sistema di scambio tra potere, sesso e denaro ("Il manifesto", 23 agosto
2009).
L'ampio, acceso dibattito, che ha fatto seguito alla vicenda "personale e
politica" di Silvio Berlusconi, non poteva che far risaltare ancora piu'
vistosamente l'ignoranza, la superficialita' e la faciloneria, nel modo con
cui da piu' parti, da destra e da sinistra, da uomini e da donne, colti e
incolti, si tornava a parlare di femminismo: slogan mal interpretati,
accenni approssimativi, stereotipi, rimproveri o paternalistici consigli per
una ripresa di movimento sulla base di questo o quell'interesse particolare.
Umberto Veronesi, sul "Corriere della sera" (21 agosto 2009), ha prospettato
addirittura un decalogo delle virtu' femminili su cui costruire un "nuovo
femminismo". Nel coro generale dei riesumatori di un movimento dato come
defunto o silenzioso, si sono andate a collocare anche donne che, per
professione, cultura, impegno politico, si sarebbe immaginato capaci di
riportare alla dovuta attenzione dei media il pensiero, le iniziative di
singole e gruppi femministi operanti da anni, e particolarmente presenti,
nel contesto attuale, con documenti, prese di posizione, articoli e lettere,
diffusi soprattutto in reti e siti internet.
Se ha fatto piacere veder ricomparire la parola "femminismo" su quotidiani
come "Repubblica", "Corriere della sera", "L'Unita'", non poteva non
lasciare perplessi, indignati o amareggiati, la chiusura con cui ancora una
volta si faceva fronte a un pensiero lungamente elaborato e divenuto di
incontestabile attualita', sia pure in modi e per ragioni lontane da quello
che e' stato l'assunto iniziale del movimento delle donne. A fronte
dell'allarme quasi giornaliero delle maggiori testate sul "silenzio del
femminismo", si contavano con incredulita' le lettere, i documenti
collettivi, gli appelli firmati da centinaia di donne che venivano ignorati,
non importa molto se non visti o censurati.
Viene allora spontaneo chiedersi a chi si rivolga l'urlo "movimentista" che
occupava giorni fa la prima pagina dell'"Unita'" (5 settembre 2009) -
"Usciamo dal silenzio", "Movimento di donne". Stando all'articolo di Lidia
Ravera, sembrava che tra le poche che scrivono sui giornali e la massa delle
donne "umiliate" dall'immagine che si sta dando di loro, donne che si
vorrebbe veder scendere in piazza, non ci sia nient'altro: non una storia,
non la produzione ininterrotta di cultura politica, di iniziative diffuse in
ogni citta', non istituzioni nate nel corso di decenni per il desiderio di
dar seguito e approfondimento ai temi e alle pratiche degli inizi. Perche'
le femministe, oggi di generazioni e formazioni diverse, ma pur sempre in
rapporto tra loro, dovrebbero mobilitarsi in difesa di una informazione che
fa finta che non esistano?
La liberta' di informazione e' un bene universale, la garanzia primaria per
un sistema democratico, e questo basta per pensare che va difesa comunque,
che contro la denuncia di Berlusconi a "Repubblica" e "L'Unita'" e'
importante essere in tante e tanti alla manifestazione del 19 settembre. Ma
per far rinascere un movimento di donne ci vogliono, da parte dei media di
maggiore diffusione, e soprattutto da parte delle donne che vi hanno
accesso, un'attenzione e un impegno diverso, fatto di ascolto, reciprocita',
incontri, scambi anche conflittuali di opinioni. Quello che finora,
purtroppo, e' mancato.

2. RIFLESSIONE. ALESSANDRA BOCCHETTI: NON BASTA L'INDIGNAZIONE, E'
NECESSARIO CHE LE DONNE GOVERNINO
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente intervento originariamente apparso sul quotidiano
"L'Unita'" del 2 settembre 2009 col titolo "Donne, ci vuole governo. Non
basta l'indignazione"]

Care donne, perche' proprio noi dovremmo sentirci "indignate" dalle
squallide performance sessuali vere o inventate del nostro Primo Ministro?
La dignita' dell'essere donna non dipende certo dalla volgarita', dal non
rispetto altrui. La dignita' delle donne c'e', e' guadagnata sul campo, per
prima cosa per essere semplicemente venute al mondo a condividere
l'esperienza umana e poi per l'enorme lavoro di creazione, di mediazione, di
organizzazione che e' la nostra specialita', imprescindibile per l'esistenza
di una societa'.
Personalmente non credo che in questa deplorevole situazione, in cui il
nostro paese si trova, rischiamo di tornare indietro. La coscienza che tante
donne hanno guadagnato non si puo' perdere cosi', ne' si puo' perdere la
liberta' che per prima e' stata guadagnata dentro di noi. Certo possiamo
soffrire di piu', ma anche la sofferenza puo' essere un'opportunita'. E'
questa, mi sembra, la nostra situazione attuale. Ci vogliono indignate,
indignate come signore in un salotto vittoriano alla notizia che siamo
parenti delle scimmie. Ma non e' piu' quel tempo. E ben sappiamo che
l'indignazione e' un sentimento impolitico per eccellenza. Ne' indignazione,
ne' protesta, ne' vittimismo quindi, ci vuole molto di piu'. Ci vuole
governo.
Ma che cosa e' governare? Governare e' far si' che la societa' registri la
presenza di soggetti nuovi. Ogni classe sociale che si e' affacciata alla
storia ha governato, cambiando l'assetto della societa', facendo registrare
nuovi bisogni, dando nuove idee, modificando priorita'. Ricordiamoci che noi
non siamo una classe sociale, siamo molto di piu'.
E abbiamo gia' governato. Questo si' che non ce lo dobbiamo dimenticare.
Abbiamo governato quando abbiamo fatto passare la legge sull'aborto, li' il
nostro paese per la prima volta e' stato costretto a registrare la nostra
presenza, le nostre priorita', la nostra visione del mondo. Che non era
certo una visione di morte, come tanti vorrebbero farla passare, ma una
visione di amore profondo per la vita, di tante donne che sarebbero scampate
alla morte e di bambini che sarebbero nati desiderati e in condizioni di
vita decorose. Abbiamo avuto la forza di imporre la nostra visione. Vedete
quanto e' ancora attaccata questa legge, attaccata con astio, con
risentimento, perche' e' stata una legge voluta profondamente dalla
maggioranza delle donne, che conoscono le umane cose, come mai gli uomini
conosceranno.
Si', c'e' un abisso tra donne e uomini, un abisso fatto di natura, di
storia, di sofferenza. E questa sofferenza che tanta paura mi faceva quando
ero una giovane donna, adesso io la rivendico con tutto l'amore e la pieta'
di cui sono capace. C'e' chi dice che questo e' tempo di amicizia tra donne
e uomini, sono proprio d'accordo. L'amicizia e' un sentimento che pone
condizioni, non si da mai per niente. Che venga il tempo dell'amicizia,
perche' il tempo dell'amore non ha dato i frutti sperati.
Non ci vuole indignazione, ci vuole governo.
Non illudiamoci che ci sia qualcuno a cui delegare la nostra parte. La
"sinistra" - si potra' ancora dire questa parola? - e' stata una grande
delusione, la destra fa il suo mestiere. Ma in verita' questo e' un paese
che ormai non ha ne' destra ne' sinistra. E noi non abbiamo alleati
"naturali", facciamocene una ragione, abbiamo si' amici, un po' qua e un po'
la'. E con questi amici ci dovremo arrangiare. La Chiesa poi non ha mai
amato le donne. Quali sono state per noi le mancate occasione di governo?
Certamente la legge sulla maternita' assistita che ha avuto la pretesa di
ridurre il nostro corpo a contenitore, a "disprezzato" contenitore, perche'
chi propone l'impianto di un embrione forse malformato e' uno che disprezza
il corpo di una donna. La liberta' di coscienza che la "sinistra" ha
lasciato ai suoi parlamentari per votare questa legge, ancora mi offende e
purtroppo la dice lunga sul suo futuro impossibile. Tante occasioni di
governo abbiamo mancato. L'ultima: quella buffonata del testamento biologico
che abbiamo sul tappeto in questo momento.
E poi? E poi c'e' il paese, che riguarda anche noi, non ce lo dimentichiamo,
perche' noi ci siamo, ci viviamo, ci lavoriamo, ci paghiamo le tasse. E poco
ci importa quello che fa Berlusconi nelle sue cenette, se dobbiamo comperare
la carta igienica per la scuola dei nostri bambini, se gli asili nido sono
carissimi, se le banche sono in stretta creditizia, se la ricerca non viene
finanziata, se le maestre e gli insegnanti sono sull'orlo della poverta', se
la televisione fa schifo, se esiste una corruzione capillare, se governa un
sistema "di amici" e non di meriti, se c'e' una politica che governa perfino
le assunzioni a chi spazza le strade, se l'universita' fa scappare i piu'
bravi, se gli omosessuali vengono picchiati per la strada, se l'informazione
viene addomesticata, se "chi se ne frega del paesaggio"... e poi le ronde,
chi se lo sarebbe immaginato! e i dialetti... e gli inni... potrei
continuare.
Si', non indignazione, serve governo, care compagne mie. Contiamoci per
contare, ma per contare veramente, senza andare dietro a nessuno, per
dettare le nostre condizioni. Incontriamoci per fare un programma per una
vita migliore. Possiamo farlo, perche', sembra un paradosso, ma questo e'
proprio il nostro tempo.

3. RIFLESSIONE. SEYLA BENHABIB: DIRITTI UMANI E SOCIETA' CIVILE GLOBALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 settembre 2009 col titolo "Il potere
del soggetto oltre l'onere della storia. La natura dei diritti" e il
sommario "L'era aperta dalla Dichiarazione universale dei diritti umani da
parte delle Nazioni Unite, tra obbedienza all'autorita', conflitti in difesa
di un'identita' culturale e rispetto delle minoranze nella crisi dello
stato-nazione. Un'anticipazione del saggio della filosofa di origine turca
pubblicato nel terzo numero della rivista 'Politica e societa''"]

La Dichiarazione universale del 1948 e la successiva era dei diritti umani
rispecchia le esperienze di apprendimento morale dell'umanita' non solo
occidentale. Le guerre mondiali furono combattute non soltanto nel
continente europeo, ma anche nelle colonie, in Medio Oriente, in Africa e in
Asia. Le lotte di liberazione nazionale e anti-colonizzazione del secondo
dopoguerra, a loro volta, diedero vita a principi di autodeterminazione. I
documenti di diritto pubblico a livello globale, gia' richiamati, sono il
precipitato tanto di lotte collettive quanto di processi di apprendimento
collettivi. Forse e' utopico definirli passi avanti verso una costituzione
mondiale, ma sono certamente piu' di semplici trattati interstatali: sono
documenti di diritto pubblico globale che, unitamente a molti altri sviluppi
nell'ambito della lex mercatoria, stanno mutando il panorama dell'ambito
internazionale; costituiscono pertanto componenti fondamentali di una
societa' civile globale, e non meramente internazionale. In essa gli
individui sono titolari di diritti in virtu' non solo della loro
cittadinanza statale, ma anche parimenti della loro umanita'. Benche' gli
Stati rimangano gli attori piu' potenti, lo spettro della loro attivita'
legale e legittima si restringe sempre piu'. Abbiamo bisogno di ripensare il
diritto dei popoli alla luce dell'architrave di questa recente, crescente e
fragile societa' civile globale, da sempre minacciata dalla guerra, dalla
violenza e dagli interventi militari. E' il caso di depurare il discorso sui
diritti umani dalla retorica interventista che l'ha cosi' spesso
accompagnato negli ultimi tempi: non c'e' dubbio, infatti, che gran parte
della reticenza filosofica nel proporre un diritto umano alla democrazia sia
legata alla volonta' di distanziarsi dalla disastrosa politica estera
dell'amministrazione Bush, che si e' servita del linguaggio dei diritti
umani come foglia di fico per giustificare le sue ambizioni interventiste ed
espansionistiche in politica estera.
*
Protetti per decreto
Ci si potrebbe tuttavia domandare se, rimandando alla societa' civile e alla
sfera pubblica quali arene privilegiate per l'articolazione tanto di norme
quanto di interazioni democratiche, non si stiano per caso ignorando i
frequenti casi di abusi in fatto di diritti umani, talmente gravi da far
apparire necessario l'intervento armato per mantenersi fedeli al
cosmopolitismo giuridico. A tal riguardo, si consideri innanzitutto che la
Carta delle Nazioni Unite autorizza guerre di legittima difesa da parte dei
suoi aderenti, mentre l'articolo 51 della stessa autorizza azioni militari
in caso di attacco armato contro uno dei membri di un'organizzazione come la
Nato, entrambi richiamati in occasione dell'attacco al World Trade Center.
La Convenzione sul genocidio obbliga gli Stati a intraprendere azioni
militari per prevenire genocidi, riduzioni alla schiavitu' e pulizie etniche
(previa autorizzazione del Consiglio di sicurezza dell'Onu). Come
riconosciuto dalla maggior parte dei giuristi internazionali, pertanto, si
e' attualmente in equilibrio su un piano inclinato, con i giudici che
sembrano creare diritto, da un lato, e, dall'altro, governanti che
caldeggiano la formazione di nuove leggi in tale ambito. Le basi per
l'intervento umanitario si stanno allargando al principio dell'"obbligo di
proteggere" (Kofi Annan). Chi siano i destinatari di tale obbligo e'
tutt'altro che chiaro: se fossero le Nazioni Unite, allora la prassi attuale
di considerare legittimo l'intervento militare intrapreso da esse solo se
autorizzato dai membri permanenti del Consiglio di sicurezza andrebbe
rivisto.
*
In nome dell'etica
L'obbligo di proteggere non puo' essere semplicemente rimesso al potere di
veto dei cinque membri permanenti del Consiglio; tali impegni stanno
conducendo le Nazioni Unite in direzioni opposte, senza nessuna chiara
risoluzione in vista. Ci siamo spinti in acque inesplorate dell'arena
internazionale. In generale, sono contraria allo strisciante interventismo
sotteso alla formulazione dell'obbligo di proteggere, riponendo le mie
speranze, per quanto possibile e necessario, nelle capacita' della societa'
civile e delle organizzazioni non governative di estendere le norme
internazionali e indurre ogni societa' a un maggior rispetto della
Dichiarazione universale dei diritti umani. Il mio impegno nei confronti
della societa' civile globale in questo campo non deve essere confuso con un
antistatalismo neoliberale. Entro i limiti delle politiche in atto, lo Stato
e' il principale attore pubblico, che ha la responsabilita' di garantire al
suo interno che le norme concernenti i diritti umani siano sia giuridificate
che giustiziate. In ogni caso, molti Stati si sono volontariamente impegnati
nei confronti dei vari documenti pubblici sui diritti umani, sicche' essi
sono anche soggetti a un insieme di attori e gruppi transnazionali che
costituiscono i principali agenti dell'estensione dell'osservanza giuridica,
del rispetto e del monitoraggio dei diritti umani.
Quando, per quali ragioni e a quali condizioni l'intervento militare atto a
fermare gravi violazioni dei diritti umani sia giustificabile resta una
questione aperta dell'etica politica. Con "etica politica" intendo
l'equilibrio tra intenzioni e conseguenze, tra un'etica della
responsabilita' e un'etica della convinzione (Max Weber). Soprattutto nel
caso in cui gli Stati vengano considerati gli unici fautori dell'intervento
ed esso comporti il ricorso alla forza armata, esclusivamente la prevenzione
del genocidio, della riduzione in schiavitu' e della pulizia etnica puo'
giustificare atti simili. Rimuovere un regime non costituisce una
giustificazione. In quanto membri di una comunita' mondiale, ci sono
infiniti altri modi, che vanno ben al di la' dell'intervento militare e
dell'uso della forza, in cui possiamo intervenire oltre confine per
estendere la democrazia, la societa' civile e una sfera pubblica libera.
*
I dilemmi del politico
C'e' bisogno, in conclusione, di un nuovo assetto normativo regolante
l'intervento umanitario, che faccia maggior chiarezza sulle condizioni
giustificanti l'intervento delle Nazioni Unite nelle questioni interne di
uno Stato. In quanto casi di interventi intrapresi o mancati, Kosovo,
Ruanda, Iraq, Darfur e altri contesti dimostrano che la Convenzione sul
genocidio e la Carta delle Nazioni Unite, di per se', non sono in grado di
regolare al riguardo la comunita' mondiale. Tuttavia, tali scelte rimarranno
in ogni caso dilemmi che richiederanno sempre l'esercizio del giudizio
politico. Ci si potrebbe chiedere, con Allen Buchanan, se, in ambito
internazionale, sia possibile per tramite di interventi non autorizzati una
"illegale riforma giuridica internazionale". Tali questioni impongono ai
cittadini, ai capi militari e agli uomini politici un "onere della storia".
Personalmente ritengo che la filosofia non possa ne' guidarci per tutto il
tragitto in tali decisioni ne' garantire che le nostre buone intenzioni non
siano vanificate da eventi inaspettati, mutandosi nel loro opposto; ne' del
resto dovrebbe essere chiamata a farlo.
Nondimeno, come Kant ebbe a osservare, vi e' differenza tra il "moralista
politico", che abusa dei principi morali per giustificare decisioni
politiche, e il "politico morale", che tenta di rimanere fedele ai principi
morali nel condizionare gli accadimenti politici. Il discorso sui diritti
umani e' stato spesso strumentalizzato e abusato a opera di moralisti
politici; il suo compito fondamentale e' quello di guidare il politico
morale, sia questi un cittadino o un uomo politico. Tutto cio' che come
filosofi possiamo offrire e' una chiarificazione di cio' che puo' essere
ritenuto legittimo e giusto nel campo degli stessi diritti umani.
*
Postilla. Eguali perche' cosmopoliti. L'opera di Seyla Benhabib
I dati della sua biografia esemplificano cosa si possa intendere per critica
di una politica o teoria "identitaria" in nome del cosmopolitismo. Nata a
Istambul in una famiglia di religione ebraica, Seyla Benhabib ha studiato
alla scuola inglese e frequentato il college americano della citta' turca
per poi trasferirsi negli Stati Uniti nel 1970, paese dove ha iniziato la
sua carriera accademica (ha insegnato alla Boston University e alla Harvard
University). Dal 2008 ha infine scelto Berlino come citta' laboratorio di un
governo dei diritti non piu' su base nazionale (e' docente all'Institute for
Advanced Study). Dopo i primi saggi e analisi dell'opera di Hannah Arendt,
Seyla Benhabib ha puntato a elaborare una originale teoria politica di un
egualitarismo cosmopolita che conviva, seppur conflittualmente, con le
istituzioni della democrazia occidentale e i diritti delle minoranze. E non
e' un caso che la sua attuale produzione teorica metta al centro il
migrante, figura poliedrica e difficilmente riconducibile a unita'. Tra i
suoi libri tradotti, vanno sicuramente segnalati i saggi I diritti degli
altri. Stranieri, residenti, cittadini (Raffaello Cortina), La
rivendicazione dell'identita' culturale. Eguaglianza e diversita' nell'era
globale (Il Mulino) e Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia (Il
Mulino).
Il testo pubblicato in questa pagina e' parte di un lungo saggio pubblicato
nella rivista "Politica e societa'" (Carocci editore), avventura
intellettuale in forma di rivista giunta al terzo numero, dedicato alla
"Cittadinanza". Oltre al contributo di Seyla Benhabib, nella rivista, in
libreria da questa settimana, ci sono testi di Virginio Marzocchi ("La
cittadinanza: una questione aperta. A partire da Aristotele"), Rainer
Baubock ("Giustizia globale, liberta' di circolazione e cittadinanza
democratica"), Vivien A. Schmidt ("Capitalismo globale e integrazione
europea: le sfide della cittadinanza europea"), Teresa Pullano ("L'Unione
Europea, un ordine concreto. L'attualita' del dibattito tra istituzionalisti
e normativisti nella teoria dello Stato moderno").

4. RIFLESSIONE. VITTORIA PRISCIANDARO: RICERCA TEOLOGICA FEMMINISTA IN
EUROPA
[Dal mensile "Jesus" n. 3, marzo 2008, col titolo "Dire Dio in genere",
l'occhiello "Atualita'. La bibbia e le donne" e il sommario "L'irruzione
delle donne sulla scena dell'esegesi biblica e della teologia, pur tra mille
resistenze, sta portando aria nuova nel mondo accademico ed ecclesiale. A
vent'anni dalla Mulieris dignitatem, il punto della situazione sugli studi
che rileggono la fede della tradizione a partire da una prospettiva di
genere"]

Realizzare un progetto per mettere in rete le donne impegnate nella ricerca
teologica in Europa. Cogliere novita' e rotture del messaggio di salvezza,
scardinando la corazza di un linguaggio segnato da una cultura patriarcale.
Tracciare le coordinate di una storia dell'esegesi al femminile. Su queste
tre linee programmatiche, a venti anni dalla Mulieris dignitatem, la lettera
apostolica di Giovanni Paolo II dedicata alla donna, parte un progetto
enciclopedico: "La Bibbia e le donne. Esegesi, storia, cultura".
L'idea di dare voce e forza agli studi delle donne viene, durante un viaggio
in treno da Graz a Trento, a Irmtraud Fischer e Adriana Valerio, entrambe
presidenti tra il 2001 e il 2007 dell'Eswtr, la European society of women
for theological research, un'associazione ecumenica che raccoglie oltre 600
teologhe cristiane appartenenti a 25 Paesi europei. "L'Opera si articola in
venti volumi ed e' un tentativo di alta divulgazione. L'attenzione e' ai
testi sacri e alla storia dell'Occidente, per individuare i rapporti -
complessi, conflittuali o liberatori - intercorsi tra la Bibbia e le donne",
spiega Adriana Valerio, docente di Storia del cristianesimo all'Universita'
di Napoli e presidente della Fondazione P. Valerio per la storia delle
donne, tra gli sponsor dell'opera.
Il progetto, che ha anche l'apporto di teologi uomini, e' curato da bibliste
e storiche cattoliche, protestanti ed ebree, e viene pubblicato
contemporaneamente in quattro lingue (spagnolo, italiano, tedesco, inglese).
La pubblicazione di ogni volume e' preceduta da un convegno sullo stesso
tema. L'uscita del primo testo, sulla Torah, e' prevista a fine anno. In
Italia la pubblicazione e' a cura della casa editrice Il pozzo di Giacobbe.
Una parte considerevole dell'opera sara' lo studio della storia
dell'esegesi: "Non soltanto per ricostruire come la Bibbia sia stata
interpretata nei confronti delle donne attraverso la predicazione, i
trattati, i codici, la letteratura, l'iconografia, ma soprattutto per
tracciare le linee di un'elaborazione fatta dalle donne stesse", spiega
Valerio, che nei suoi studi ha approfondito proprio la storia dell'esegesi
femminile. L'opera, inoltre, offre la rilettura di concetti chiave che hanno
influenzato la vita delle donne, ad esempio le categorie di puro/impuro.
"Le tre inferiorita' - fisiologica, morale e giuridica - che le donne si
sono viste addossare nel tempo, traggono argomentazione, oltre che dalla
filosofia aristotelica, dagli stessi testi biblici, interpretati all'interno
di una cultura androcentrica che ha accompagnato il cristianesimo dal
momento in cui si e' costituito come religione", sostiene la teologa. E gli
esempi di come una certa lettura del Testo sacro abbia poi condizionato il
ruolo della donna nella societa' non mancano: "Uno dei piu' famosi e' il
versetto della Prima lettera ai Corinti (14,34): 'Le donne tacciano
nell'assemblea'. Intesa come rivolta a tutte le donne del mondo, con un
valore universale e assoluto", dice Valerio, "questa pericope ha determinato
l'esclusione della donna da qualunque ruolo autorevole, le e' stata negata
la parola pubblica. Un'interpretazione evidentemente non 'innocente'. Brano
interpretato diversamente da alcune donne del passato, come Domenica da
Paradiso, Juana Ines de la Cruz, Margareth Fell, e che oggi l'esegesi
intende o circoscritto alle donne di Corinto particolarmente rumorose in
assemblea, o inteso come un'interpolazione, perche' contraddice lo stesso
Paolo di altri passaggi".
Anche il racconto della creazione "ha avuto un ruolo decisivo per
l'elaborazione di un'antropologia asimmetrica che, con la responsabilita' di
Eva in merito alla 'caduta', ha considerato la donna 'secondaria', in quanto
tratta dall'uomo e a lui sottomessa". Tenuto conto che tra i vari filoni
interpretativi c'e' anche quello che vede nella nascita della donna il
perfezionamento della creazione, "oggi rileggere con una nuova sensibilita'
questo testo significa non parlare piu' di 'creazione subordinata' essendo
entrambi, uomo e donna, a immagine di Dio, come dice l'altro racconto del
Genesi", spiega Valerio. Un altro esempio di donna biblica riletta
dall'esegesi moderna e' la Maddalena, vista non piu' erroneamente come la
prostituta pentita, bensi' come "amata discepola, apostola degli apostoli".
Esercitare una nuova sensibilita', aggiunge Irmtraud Fischer, docente di
Esegesi veterotestamentaria all'Università di Graz (Austria), vuol dire
anche "non parlare piu' di 'patriarchi' di Israele ma di 'genitori', come
l'originale termine ebraico abot indica, evidenziando anche il ruolo
esercitato dalle 'matriarche' come Sara, Rebecca, Rachele, nel piano di
Dio". La Fischer, che ai genitori di Israele ha dedicato un volume,
sottolinea che uno dei temi piu' interessanti che emergono da questi studi
condotti sulla Bibbia e' la questione dei ministeri: "Il ministero piu' alto
nella Bibbia ebraica non era il sacerdozio ma la profezia, che non si
tramanda, ma viene data direttamente da Dio: e dopo Mose' la profezia passa
a una donna, Debora, non a Samuele ne' a Elia".
Irmtraud Fischer, che ha scritto tre volumi dedicati alle donne della
Bibbia, spiega che ogni personaggio, anche alla luce delle nuove esegesi, ha
una caratteristica interessante da sottolineare: "Sara, che e' stata vista
sempre e soltanto come la moglie di Abramo, e' importante nella storia della
salvezza perche' ha ricevuto promesse da Dio: per questo Abramo deve sposare
lei e non le altre donne che gli danno figli, come la schiava Agar. Alla
luce del metodo intertestuale, anche Rebecca, che lascia case, parenti e
arriva alla terra promessa, nella seconda generazione dei genitori di
Israele appare come la vera erede di Abramo".
La rilettura del Testo sacro fatta dalle studiose europee nasce in contesti
culturali e accademici che non senza difficolta' accettano le acquisizioni
esegetiche e storiche piu' recenti: "Si continua a proporre una storia e una
Bibbia in cui le donne non ci sono", commenta la Valerio. Nelle universita'
statali, continua la teologa, si privilegia l'insegnamento tradizionale. Lo
stesso vale per quelle Pontificie, a parte rare eccezioni come per esempio
la cattedra "Donna e cristianesimo" alla Pontificia facolta' teologica
Marianum, che pero' rappresentano delle piccole oasi privilegiate, piuttosto
che delle indicazioni di linee di tendenza.
In Italia, d'altra parte, dove la teologia non entra nelle Universita'
statali, e' piu' difficile riuscire a stabilire in questo campo percorsi di
studi interdisciplinari come accade con frutto in altri Paesi europei. E'
quanto ha dimostrato, per esempio, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz,
professoressa di Scienza comparata e Filosofia delle religioni
all'Universita' di Dresda, al convegno sui venti anni della Mulieris
dignitatem organizzato dal Pontificio consiglio per i laici a Roma, dal 7 al
9 febbraio scorso.
Intervenendo sul rapporto tra "Gesu', Maria e le donne nel Vangelo e nelle
prima comunita'", la studiosa tedesca e' partita dalle acquisizioni
archeologiche relative alle culture pre-europee di origine mesopotamica per
spiegare quale rivoluzione culturale abbia operato Gesu' con il suo modo di
rapportarsi alle donne. "Oggi abbiamo un'idea abbastanza precisa di alcune
costanti culturali che definivano cio' che era l'uomo e la donna in quelle
civilta' che hanno poi influenzato anche Israele, Egitto e Grecia", dice la
studiosa.
Tre i tratti che ritornano: un ruolo della donna quasi esclusivamente legato
alla maternita', che non trova equivalente nella paternita', "come colei che
da' la vita, quasi in senso magico, non come individuo ma in generale, quasi
a prescindere dalla sua persona"; la donna, poi, come oggetto erotico, in
societa' in cui la monogamia non esisteva; e l'uomo, infine, come
possessore, come capo, come individuo. Da questi tratti nascono quei ruoli
che poi vengono riprodotti nelle culture successive.
Ma se gia' nell'Antico Testamento, contrariamente alle altre religioni
contemporanee, la donna non e' piu' un idolo sessuale e non ci sono le sacre
prostitute nei templi, con Gesu' si ha un ulteriore passo avanti: "Non mi
piace pensare a Gesu' come a un amico particolare delle donne, come dicevano
le femministe negli anni '70 e '80", dice la Falkovitz, "perche' questo
significherebbe ancora una volta porre le donne su un piano di
sottomissione". A parere della studiosa tedesca, "Gesu' e' amico di tutti
coloro che mostrano un orecchio aperto. C'e' una sorta di nonchalance da
parte sua: non si preoccupa del sesso di chi gli e' di fronte, tratta tutti
allo stesso modo".
Mentre i fondatori di altre religioni non vogliono che a prendersi cura del
loro corpo siano le donne, giudicate impure, "nel Vangelo non c'e' un solo
evento in cui Gesu' prenda le distanze dalla donna".
Con gli occhi della storica, e non con quello della credente, la studiosa
indica sette punti di rottura tra il comportamento di Gesu' e la tradizione,
dedotti da studi comparati sul testo biblico: "La chiamata alla metanoia e'
fatta senza distinzione di sesso, il regno di Dio e' vicino a tutti senza
discriminazioni; alcuni tabu' di tipo religioso, come il considerare impure
le donne durante il ciclo mestruale, con Cristo non hanno piu' valore, come
conferma l'episodio della donna 'sanguinante' che lo avvicina e lo tocca;
alcuni particolari peccati non sono piu' associati con un determinato sesso,
soprattutto i peccati sessuali, come mostrano gli episodi della samaritana o
quello dell'adultera; Gesu' che si presenta come 'colui che serve' cambia
l'idea del potere e dell'uomo; in alcuni momenti della predicazione in vista
del Regno tutte le forme di possesso - legami familiari, proprietari - sono
eliminate o sospese; e durante i tre anni di discepolato al seguito di Gesu'
anche le donne sospendono doveri e compiti tradizionali. Infine la
testimonianza delle donne, soprattutto in Giovanni e Marco, viene fortemente
sottolineata: sono loro le testimoni della sepoltura e una donna, Maria
Maddalena, sara' la prima annunciatrice della sua resurrezione".
Anche da tali acquisizioni, frutto di un lavoro interdisciplinare, e'
partita l'esegesi biblica al femminile fatta in questi ultimi decenni.
Perche' se e' vero che tutto inizia a fine Ottocento tra i protestanti, con
la Woman's Bible della suffragetta Elisabeth Cady Stanton, e' soltanto negli
ultimi decenni che si sviluppa in ambito teologico un lavoro interpretativo
attento alle tematiche "di genere", nutrito di contributi diversi e talvolta
divergenti. Guardato con sospetto dall'esegesi tradizionale delle Chiese,
talvolta censurato, talaltra semplicemente ignorato, questo genere di studi
ha camminato in prevalenza sulle gambe delle donne.
In ambito cattolico, per l'esegesi "al femminile" e' stato importantissimo
il riconoscimento, accompagnato dall'invito a evitare radicalismi e
faziosita', venuto nel 1993 dalla Pontificia commissione biblica: "Numerosi
sono i contributi positivi provenienti dall'esegesi femminista", e' scritto
nel documento sull'interpretazione della Bibbia nella Chiesa. "Le donne
hanno preso cosi' una parte piu' attiva nella ricerca esegetica; sono
riuscite a percepire, spesso meglio degli uomini, la presenza, il
significato e il ruolo della donna nella Bibbia, nella storia delle origini
cristiane e nella Chiesa. L'orizzonte culturale moderno, grazie alla sua
piu' grande attenzione alla dignita' della donna e al suo ruolo nella
societa' e nella Chiesa, fa si' che si pongano al testo biblico nuovi
interrogativi, occasioni di nuove scoperte. La sensibilita' femminile porta
a svelare e a correggere alcune interpretazioni correnti, che erano
tendenziose e miravano a giustificare il dominio dell'uomo sulla donna".
Secondo suor Mercedes Navarro Puerto, i contributi piu' rilevanti che la
teologia femminista ha dato all'esegesi biblica sono: "La ricostruzione
dell'identita' tramite la conoscenza critica del passato; la possibilita' di
costruire una genealogia delle antenate e sentirsene parte attiva; la
dimensione sociale e politica che il recupero delle Sacre Scritture comporta
per noi e il nostro mondo". Religiosa mercedaria della carita' e curatrice
della Bibbia delle donne per la parte spagnola, suor Mercedes ha dato vita
con altre studiose a un progetto originale: "Efeta" (Escuela feminista de
teologia de Andalucia), un master biennale di teologia in spagnolo, da
seguire via internet (www.efeta.org).
L'obiettivo e' rispondere a una forte domanda di approfondimento teologico:
"Tante donne vorrebbero studiare teologia ma per molte e' un lusso che non
possono permettersi", dice la religiosa. "Efeta" conta una ventina di
insegnanti e circa sessanta alunni di 13 diverse nazionalita'. "In Europa e
negli Usa esistono cattedre di teologia femminista", spiega, "ma
quest'iniziativa e' unica nel suo genere, ha un costo accessibile e prevede
aiuti per chi ha qualche difficolta' di tipo economico".
Se uno dei meriti dell'esegesi femminista, come sintetizza la teologa
spagnola, e' stato quello di aiutare le donne a prendere in mano la Bibbia,
a rileggere se stesse, e a situarsi in maniera diversa nella realta', e'
vero pure che tale processo ha avviato, tra resistenze e sbarramenti, un
cammino irreversibile sul fronte maschile. D'altronde, e' proprio questo
cio' che scriveva gia' venti anni fa Giovanni Paolo II, nella Mulieris
dignitatem: "La Bibbia ci convince del fatto che non si puo' avere
un'adeguata ermeneutica dell'uomo, ossia di cio' che e' umano, senza un
adeguato ricorso a cio' che e' femminile".

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 274 del 10 settembre 2009

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