Nonviolenza. Femminile plurale. 267



==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 267 dell'8 agosto 2009

In questo numero:
1. Monica Giorgi: Sfumature anarchiche in Simone Weil (parte terza e
conclusiva)
2. Et coetera

1. MAESTRE. MONICA GIORGI: SFUMATURE ANARCHICHE IN SIMONE WEIL (PARTE TERZA
E CONCLUSIVA)
[Da "A. rivista anarchica", anno 39, n. 345, giugno 2009]

Manifesto per la soppressione dei partiti politici
Lo scritto viene pubblicato per la prima volta sul n. 26 della rivista "La
table ronde" nel febbraio del 1950. Poco dopo la pubblicazione, Andre'
Breton ne parla sul quotidiano "Combat" e Alain (Emile Chartier) nel
successivo numero di aprile de "La table ronde". Entrambi lo considerano
come uno dei piu' penetranti dell'autrice e richiedono che il Manifesto sia
destinato "alla maggiore diffusione possibile": cosa che peraltro non
avviene. Solamente nel '57 e' integrato nel volume Ecrits de Londres et
dernieres lettres per le edizioni Gallimard.
Probabilmente Simone lo scrive verso il '34 poco prima di entrare in
fabbrica, perche' in una lettera all'amica e biografa Simone Petrement si
intravede, tra l'altro, l'urgenza di attingere ricerca e impegno fuori dai
luoghi autoreferenziali delle organizzazioni politiche: "Ho deciso di
ritirarmi del tutto da ogni specie di politica, salvo per quel che riguarda
la ricerca teorica. Cio' non esclude per me nel modo piu' assoluto
l'eventuale partecipazione ad un grande movimento di massa spontaneo (nei
ranghi, come soldato) ma non voglio nessuna responsabilita' per quanto
piccola, neppure indiretta, perche' sono sicura che tutto il sangue che
verra' versato verra' versato invano, e che si e' battuti in partenza".
Occorre tener presente che fin dalle prime pagine delle Riflessioni sulle
cause della liberta' e dell'oppressione sociale, Weil ritiene essere la
mancanza di pensiero pensante a rendere possibile la costituzione dei
fascismi e dei regimi totalitari. A onor del vero, questi non hanno bisogno,
almeno nella fase iniziale del loro avvento, di reprimere alcunche',
giacche' proprio quella mancanza ne costituisce la condizione favorevole. La
ricerca storica e politica di Weil mette in chiaro come, nel presente dei
tempi, il movente del pensiero non e' piu' il desiderio incondizionato,
indefinito, della verita', ma il desiderio della conformita' a un
insegnamento prestabilito.
Scrive a Thevenon, nel febbraio del 1933: "E' soprattutto il momento - e
soprattutto per i giovani - di impegnarsi seriamente a rivedere tutte le
nozioni, invece di adottare al 100% una qualsiasi piattaforma d'anteguerra,
ora che tutte le organizzazioni operaie hanno completamente fallito [...].
Io non intendo piu' ammettere nessuna di quelle nozioni che prima della
guerra si erano trasformate in articoli di fede, mai seriamente esaminate, e
smentite da tutta la storia successiva".
Il Manifesto per la soppressione dei partiti politici mostra rigore di
pensiero e richiama quella piu' alta moralita', a partire dalla quale Weil
basa il senso della rivoluzione. Moralita' e pensiero sono sostenuti
dall'amore per la verita'. Mentendo alla verita', i paladini dei poteri
costituiti e dei partiti politici ammutoliscono il pensiero in dogmi e
dottrine inconfutabili; Weil parla della verita' vissuta in anima e corpo
secondo le parole del Cristo: "sono venuto per rendere testimonianza alla
verita'".
"Per apprezzare i partiti politici secondo il criterio della verita', della
giustizia e del bene pubblico conviene cominciare distinguendone i caratteri
essenziali", scrive Simone e ne attesta tre. Un partito politico e' una
macchina per fabbricare passione collettiva (e per passione collettiva lei
intende fanatismo); un partito politico e' un'organizzazione costruita in
modo da esercitare una pressione collettiva sul pensiero di ognuno degli
esseri umani che ne fanno parte; il fine primo e, in ultima analisi, l'unico
fine di qualunque partito politico e' la sua propria crescita, e questo
senza alcun limite.
"Per via di questa tripla caratteristica, ogni partito e' totalitario in
nuce e nelle aspirazioni. Se non lo e' nei fatti, questo accade perche'
quelli che lo circondano non lo sono di meno". Considerando la terza
caratteristica, Simone la illustra come caso particolare di un fenomeno che
si verifica ovunque la collettivita' prenda il sopravvento sugli esseri
pensanti. "I partiti sono un meraviglioso meccanismo in virtu' del quale in
tutta l'estensione di un paese, non uno spirito dedica la sua attenzione
allo sforzo di discernere, negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la
verita'".
Weil prosegue ammettendo che il meccanismo di oppressione spirituale e
mentale proprio dei partiti e' stato introdotto nella storia dalla chiesa
cattolica nella sua lotta contro l'eresia. E se, nonostante l'Inquisizione,
la chiesa non ha soffocato del tutto lo spirito di verita' e' perche' la
mistica offriva un rifugio sicuro. Rifugio sicuro non tanto per
l'incolumita' fisica o la scomunica morale, ma per mantenere viva la
verita', la testimonianza della quale "e' costituita dai pensieri che
sorgono nello spirito di una creatura pensante, unicamente, totalmente,
esclusivamente desiderosa della verita'". I partiti le sembrano, in
conclusione, un male senza mezze misure. La loro soppressione "costituirebbe
un bene quasi allo stato puro", giacche' l'operazione di prendere partito,
anche in termini piu' generali, "di prendere posizione pro o contro, si e'
sostituita all'operazione del pensiero".
*
Riflessioni sulla guerra
Molti anni fa mi capito' di trovare una pubblicazione, compilata in
ciclostile da Jean, Maison du Peuple, Bois de Boulogne - Brest e ripresa in
fotocopia dal Gruppo d'Edizioni Libertarie responsabile Assandri Luigi, Via
Ravenna 3 Torino, 18 novembre 1976, Lire 200: Simone Weil, Riflessioni sulla
Guerra. Tra il nome dell'autrice e il titolo e' stato impresso il simbolo
anarchico della A cerchiata.
Nella breve prefazione all'opera si legge: "L'autrice di questo scritto,
pubblicato dall'ottima rivista 'La critique sociale', di Parigi, non e'
anarchica. Ma la sua presa di posizione di fronte alla guerra e al
giacobinismo bolscevico corrisponde quasi interamente alle nostre idee
attuali e a molte delle idee esposte dagli scrittori anarchici piu'
eminenti. Quell'ombra di pessimismo che si proietta sulle conclusioni di
questo vigoroso esame dei problemi rivoluzionari della guerra, giovera' a
quanti si compiacciono nutrire illusioni cullanti la loro inerzia. E' tempo
di pensare chiaramente e di volere con fermezza. La guerra si avvicina a
rapidi passi; e dobbiamo esaminare il da farsi per fare. Pubblicando questo
scritto abbiamo fatto opera utile. Ne siamo certi; e speriamo che tutti i
compagni faranno quanto e' loro possibile per facilitarne la diffusione".
Il saggio costituisce, a mio avviso, il piu' prezioso dei contributi che la
filosofa francese ha donato al mondo. La ragione che mi porta a dare questa
valutazione risiede, essenzialmente, nella precisione storica di una ricerca
aderente ad una piu' alta moralita' con cui vengono portate avanti le
riflessioni sulla guerra. Scritte nel '33, anticipano, con evidenza
premonitrice, gli eventi del prossimo futuro rispetto al presente di allora
e apportano altresi' una vena di attualita' riguardo a quelli odierni,
assumendo il profilo di opera eterna.
Fra i meccanismi dell'oppressione sociale e quelli che presiedono, in forma
ancora piu' acuta, allo stato di belligeranza Weil dimostra la perfetta
continuita'.
L'elemento che caratterizza la cultura europea e' la forza. A partire dalla
storia greca, attraverso la lettura dell'Iliade, definito da Weil "poema
della forza", tale elemento viene colto in un duplice orientamento: la forza
subita e la forza imposta. Al primo senso corrispondono lo sradicamento e la
propensione verso il tradimento, anche nella forma del collaborazionismo; al
secondo corrispondono i regimi nazionalisti e totalitari.
Gia' attraverso la critica all'illusione rivoluzionaria Weil sottolinea il
doppio laccio che la forza impone a vinti e vincitori. Nel Quaderno III, si
legge: "L'illusione della rivoluzione consiste nel credere che le vittime
della forza siano innocenti riguardo alle violenze che si verificano, e,
quindi, se si mette la forza nelle loro mani, esse ne faranno un uso giusto.
Ma, se si eccettuano quelli che sono almeno assai prossimi alla santita', le
vittime sono macchiate dalla forza quanto i carnefici. Il male che e'
all'impugnatura della spada si trasmette alla punta. E cosi' le vittime,
pervenute ai fastigi e inebriate dal cambiamento, fanno altrettanto o piu'
male, poi ricadono ben presto. [...] Il socialismo consiste nel collocare il
bene nei vinti; il razzismo, nel collocarlo nei vincitori. Ma l'ala
rivoluzionaria del socialismo si serve di quelli che, benche' nati in basso,
sono per natura e per vocazione vincitori; e cosi' approda alla stessa
etica".
Per sciogliere il nodo gordiano che si profila sulla questione della guerra,
Weil trova una mediazione, teologica e morale al contempo, nel testo
dell'epica indiana Bhagavad Gita dove si narra la storia di Arjuna. Questi,
trovandosi nella condizione di dover fronteggiare una guerra fratricida
(tutte le guerre sono fratricide) tra rami della stessa famiglia, e'
ispirato dal dio Krishna a partecipare al conflitto accanto ai membri della
propria famiglia, con la consapevolezza che uccidere e' anche accettare di
essere uccisi. Arjuna inoltre viene ispirato dal dio nel senso di cancellare
in se' l'intenzione, per farla franca, a dare la morte con sotterfugi e di
disporsi a rifiutare i frutti di un'eventuale vittoria.
In base allo spirito con cui Weil "risolve" la drammaticita' della scelta
belligerante, credo di poter dire che non si tratta di pacifismo per
principio. Si tratta, e la cosa appare ancora piu' evidente nelle
Riflessioni sulla guerra, di antimilitarismo vero e proprio. Sono gli
apparati militare, burocratico e poliziesco le forze agenti, simboliche e
reali, a condurre al massacro della guerra, definito da Weil "la forma piu'
radicale dell'oppressione". In ultima istanza potrei dire che l'autrice
considera "rivoluzionaria" soltanto la guerra che non c'e'.
Le Riflessioni svolgono un'analisi storica delle varie concezioni a partire
dal 1792, periodo in cui matura l'idea della guerra rivoluzionaria. Si
sognavano guerre liberatrici e se ne facevano eloquenti apologie. Anche su
Proudhon la guerra ha esercitato un certo prestigio, indotto probabilmente
dall'aleatorio quanto illusorio termine di "rivoluzionaria" ad essa
impresso. Gli eventi bellici del 1870 obbligano le organizzazioni
proletarie, in primis l'Internazionale, a prendere un atteggiamento concreto
di fronte alla guerra: atteggiamento impostato sull'opposizione a qualsiasi
tentativo di conquista, ferma restando la difesa del paese.
La concezione di Engels del 1892, fatta successivamente propria da Plekanov
e Mehring, sostiene che per giudicare un conflitto bisogna vedere quale ne
sarebbe l'epilogo piu' favorevole al proletariato internazionale e
comportarsi di conseguenza. In pratica Engels invita i socialdemocratici di
Germania, il caso occorrendo, ad intervenire con tutte le proprie forze in
una guerra combattuta contro la Germania dalla Francia alleata della Russia.
"Non si trattava piu' di difesa o di attacco - osserva Weil - ma di
preservare, con l'offensiva o la difensiva, il paese dove il movimento
operaio era piu' forte e di schiacciare il paese piu' reazionario".
Da Lenin e i bolscevichi proviene un si' deciso alle guerre nazionali e
rivoluzionarie; sono gli spartachisti, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, a
opporre una qualche diversa nozione: lei con l'assenso solo per le guerre
rivoluzionarie, lui con la considerazione che il principale nemico del
proletariato e' in casa propria. Nella tradizione marxista-leninista
riguardo alla guerra, Weil mostra la generale confusione del quadro teorico,
quadro addirittura discrepante per l'unita' del proletariato. Lo evidenzia
il fatto che "la celebre frase di Liebknecth, 'il nostro principale nemico
e' in casa nostra', assegna alle frazioni nazionali del proletariato un
nemico diverso, opponendo cosi', almeno in apparenza, le une contro le
altre". Si arriva all'assurdo, per cui una frazione del proletariato
lotterebbe contro il governo del proprio paese favorendo di fatto la
vittoria dell'imperialismo, rappresentato dal governo nemico contro il quale
deve lottare l'altra frazione nazionale del proletariato.
Se dunque nella tradizione marxista regna la confusione per quanto riguarda
le concezioni e i relativi atteggiamenti da assumere di fronte alla guerra,
persiste nondimeno un unico tratto comune che, nella riflessione weiliana,
risulta essere peggiore delle suddette implicazioni. Esso consiste nel
"rifiuto di condannare categoriacamente la guerra in se'".
Dove Kautsky e Lenin, parafrasando la massima di Clausewitz, vedono nella
guerra la continuazione della politica di pace, Weil ravvisa il punto di
contatto e, partendo per la tangente, afferma su tutt'altro piano: "Bisogna
giudicare la guerra dai mezzi violenti che impiega, non dagli obiettivi a
cui mirano questi mezzi".
Nel dopoguerra si respira una diversa atmosfera morale. Il partito
bolscevico, che desidera ardentemente la guerra rivoluzionaria, deve
rassegnarsi alla pace, non per ragioni di principio ma sotto la pressione
dei soldati russi, ai quali l'esempio del 1793 non ispira maggiore
emulazione quand'e' evocato dai bolscevichi, di quando lo e' da Kerenski. Il
fatto e' che invece di condannare la guerra in quanto imperialista, si
incomincia a condannare l'imperialismo in quanto fautore di guerra. La
guerra, per Weil, e' il prolungamento della produzione, della concorrenza e
della supremazia; le armi sono messe al loro servizio e lo stato di
belligeranza non fa che riprodurre, ad un grado molto piu' acuto, i rapporti
sociali costituenti la struttura stessa del regime. Il grande errore in cui
cadono quasi tutte le opere riguardanti la guerra e' di considerarla un
episodio di politica esterna, mentre e' prima di tutto un fatto di politica
interna, il piu' atroce; un rilievo elementarissimo lo conferma: "il
massacro e' la forma piu' radicale dell'oppressione. [...] La guerra e' un
bene per gli ufficiali dell'esercito, per gli ambiziosi, per gli
aggiotatori, per il potere esecutivo". A chiare note Simone continua: "La
guerra rivoluzionaria e' la tomba della rivoluzione e lo sara' sempre fino a
quando non si sara' dato ai soldati, o piuttosto ai cittadini armati, la
possibilita' di fare la guerra senza apparato dirigente, senza pressione
poliziesca, senza leggi eccezionali, senza punizioni per i disertori. Una
volta nella storia moderna, la guerra e' stata fatta in questo modo, sotto
la Comune [...] Entrata in guerra la rivoluzione pero' soccombe sotto i
colpi della controrivoluzione e diventa controrivoluzione per effetto stesso
della lotta militare".
Riflessioni sulla guerra riprende a svolgere, in una diversa messa a fuoco,
la critica alla concezione rivoluzionaria: piu' precisamente alla vaghezza
del termine "rivoluzione", in quanto parola usata insensatamente, privata di
senso, a cui ciascuno mette quello che preferisce. Tale critica, congiunta
al riferimento sulla forza che caratterizza la storia europea, induce Weil
ad attestare che il fattore rivoluzionario di una guerra e' possibile nel
senso impiegato dai nazionalsocialisti. L'assenso alla guerra nazionale
presente nella propensione bolscevica, come nell'intento dell'union sacree
dei socialdemocratici, viene da entrambe le istanze motivato come una
condizione favorevole al proletariato, in quanto la partecipazione alla
guerra costringerebbe lo stato a fare concessioni in favore della classe
lavoratrice. "L'ostilita' verso i capitalisti, che in un certo modo
determina la posizione dei nazionalsocialisti, viene da questi ultimi
ripresa a vantaggio dell'apparato statale", avverte Weil.
Il fenomeno della guerra e il fascismo sono intimamente legati: lo spirito
guerriero evocato dai testi fascisti, il socialismo del fronte, esplicitano
questo legame anche simbolicamente. "Si tratta dell'annichilimento totale
dell'individuo davanti alla burocrazia dello stato grazie a un fanatismo
esasperato. Se il sistema capitalistico si trova piu' o meno danneggiato
nella faccenda cio' non puo' essere che a discapito, non a profitto, dei
valori umani e del proletariato, per quanto oltre possa in certi casi
spingersi la demagogia", scrive Weil.
L'impotenza in cui ci si trova, di fronte ad una societa' che rassomiglia ad
una macchina da cui gli uomini sono afferrati e di cui nessuno conosce le
leve di comando restandone stritolati, conduce tuttavia Simone Weil a
concludere che tale impotenza "non puo' mai dispensare dal rimanere fedeli a
se stessi, ne' scusare la capitolazione davanti al nemico, di qualunque
maschera si vesta. E sotto tutti i nomi che puo' assumere, fascismo,
democrazia o dittatura del proletariato, il nemico capitale resta l'apparato
amministrativo, politico e militare. E non e' il nemico che abbiamo di
fronte, perche' lo e' solo nella misura in cui e' quello dei nostri
fratelli, ma e' il nemico che dice d'essere il nostro difensore e fa di noi
degli schiavi. Il peggior tradimento possibile, in qualunque circostanza,
consiste sempre nell'accettare di sottostare a questo apparato e di
calpestare in se stessi e negli altri, per servirlo, tutti i valori umani".
*
Lettera a Georges Bernanos
Allo scoppio della guerra civile in Spagna, Simone avverte l'impossibilita'
di restarne fuori. L'8 agosto passa la frontiera come corrispondente di
guerra e raggiunge la colonna Durruti. Questo e' l'unico episodio in cui
partecipa attivamente a una lotta armata.
Nella colonna Durruti, Simone e' impiegata per un'incursione di sabotaggio
sulla riva dell'Ebro opposta a quella in cui sono stanziati i miliziani
anarchici. Ma la sua permanenza nella colonna e' di breve durata; in seguito
ad un banale incidente (Simone urta contro un calderone di acqua bollente
ustionandosi una gamba) e' costretta a lasciare la Spagna con l'intenzione,
pero', di ritornarvi nell'immediato, appena guarita. Di fatto, confessa poi
a Bernanos di non aver piu' sentito la necessita' interiore di partecipare a
quella che non e', come all'inizio appare, una guerra di contadini affamati
contro i proprietari terrieri e un clero complice dei proprietari, ma una
guerra tra Russia, Germania e Italia.
La partecipazione sembrerebbe contraddire le convinzioni di Simone sui
rischi di una guerra rivoluzionaria, come appurato in Riflessioni sulla
guerra. Weil, tuttavia, punta sull'eventualita' per quanto debole che la
rivoluzione eviti di diventare guerra; inoltre, come gia' aveva scritto a
Simone Petrement nel '34, il ritiro da ogni specie di politica non le
avrebbe nel modo piu' assoluto vietato "l'eventuale partecipazione ad un
grande movimento di massa spontaneo (nei ranghi, come soldato)". E nei
ranghi come soldato si arruola.
Un'emozione particolare dell'esperienza spagnola nelle fila anarchiche viene
espressa nello scritto, progettato per un articolo, Non-intervento
generalizzato (inverno '36-'37). Il giorno in cui Leon Blum ha deciso di non
intervenire in Spagna, si e' assunto una grave responsabilita', argomenta
Weil. "[...] Ebbene! Se noi abbiamo accettato di sacrificare i minatori
delle Asturie, i contadini affamati di Aragona e di Castiglia, gli operai
libertari di Barcellona piuttosto che scatenare una guerra mondiale,
nient'altro al mondo deve portarci a scatenare la guerra. Niente, ne'
l'Alsazia-Lorena, ne' le colonie, ne' i trattati. Non si dira' che qualcosa
al mondo ci sia piu' caro della vita del popolo spagnolo".
La lettera a Georges Bernanos costituisce una testimonianza di fedelta' alla
verita'. Per molti aspetti risulta essere anche una testimonianza
sconcertante per chi vede il male schierato tutto dalla parte dell'altro e
strumentalizza il bene come mezzo per raggiungere un fine che e' fuori dal
bene stesso: solo il bene e' fine a se'. Simone si rivolge allo scrittore
per aver letto I grandi cimiteri sotto la luna e per esserne stata colpita
sulla base dell'esperienza che Bernanos ebbe della guerra civile spagnola,
rivissuta in quel suo libro. "Io ho avuto un'esperienza che corrisponde alla
sua, scrive Simone, benche' assai piu' breve, meno profonda, collocata
altrove e vissuta in apparenza - solo in apparenza - con tutt'altro
spirito".
Parla (cosa inusitata in lei il riferimento personale) delle sue simpatie
che, fin dall'infanzia, sono andate ai raggruppamenti che si richiamano agli
strati piu' disprezzati della gerarchia sociale, finche' non ha preso
coscienza del fatto che questi raggruppamenti risultano essere di natura
tale da scoraggiare ogni simpatia. "L'ultimo ad avermi ispirato un po' di
fiducia, prosegue Simone, e' stato la Cnt spagnola [...] avevo visto nel
movimento anarchico l'espressione naturale della grandezza [del popolo
spagnolo] e dei suoi difetti, delle sue aspirazioni, quelle piu' e quelle
meno legittime. La Cnt, la Fai erano un miscuglio sorprendente, dove si
accettava chiunque, e dove, di conseguenza, erano a stretto contatto
liimmoralita', il cinismo, il fanatismo, la crudelta', ma anche l'amore, lo
spirito di fraternita', e soprattutto la rivendicazione dell'onore, che e'
cosi' bella negli uomini umiliati".
In quel che Georges Bernanos riesce ad emanare con I grandi cimiteri sotto
la luna, Weil riconosce "l'odore di guerra civile, di sangue e di terrore"
respirato durante la sua breve esperienza. Benche' non abbia visto ne'
sentito nulla che raggiunga veramente l'ignominia delle storie raccontate da
Bernanos - assassinii di anziani contadini, balilla che fanno correre i
vecchi a colpi di manganello - Simone ammette che quel che ha sentito e
visto e' stato sufficiente. E racconta una serie di episodi di crudelta', di
spreco di sofferenza, di inutile morte, non solo per evidenziare il
raccapriccio suscitato dai fatti di per se stessi, quanto per testimoniare
l'atroce verita' di non aver mai "visto nessuno, nemmeno in confidenza,
esprimere repulsione, disgusto o solo disapprovazione per il sangue
inutilmente versato". Qui sta il punto che, nella guerra dispiegata,
tormenta Simone e che, ribaltandolo, lei assume come elemento centrale del
senso del confliggere: rispetto dovuto al nemico e valore di ogni essere
umano.
Nella Lettera a Georges Bernanos Weil ripropone, con altra versione
simbolica che vede la verita' non sulle teorie astratte, bensi'
sull'evidenza di quanto gli atteggiamenti concreti degli uomini manifestano
di interiore, il suo vigoroso e sempre precisato antimilitarismo, che
l'accomuna a mio avviso all'antimilitarismo anarchico. Ma come sempre
l'allontana con un di piu' di verita' che sfugge alle ideologie: il nemico
non visto e' dentro di se'.
La differenza notata tra miliziani, uomini armati, e popolazione disarmata
le fa dire: "Questi miseri e magnifici contadini d'Aragona, rimasti cosi'
fieri sotto le umiliazioni, non erano per i miliziani nemmeno oggetto di
curiosita'. Senza offese, senza ingiurie, senza brutalita' - io almeno non
ho mai visto niente di simile, e so che furto e stupro, nelle colonne
anarchiche, erano passibili della pena di morte - un abisso separava gli
uomini armati dalla popolazione disarmata, un abisso del tutto simile a
quello che separa i poveri dai ricchi. Cio' si avvertiva nell'attitudine
sempre un po' umile, sottomessa, timorosa degli uni, e nella spigliatezza,
nella disinvoltura, nella condiscendenza degli altri".
Nessuno, che lei sappia, si e' immerso come Georges Bernanos nell'atmosfera
della guerra spagnola. In fedelta' alla verita' - che importa se Bernanos e'
monarchico - lui le e' piu' vicino dei compagni delle milizie d'Aragona, "di
quei compagni che, pure, amavo".
La lettera a Bernanos lascerebbe pensare ad una certa amarezza deludente a
seguito dell'esperienza in terra di Spagna. La cosa, che probabilmente ha un
suo peso effettivo, viene pero' smentita o, meglio direi, rilanciata,
rigiocata da una serie di lettere, sedici per l'esattezza, che Simone Weil
scrive durante l'ultimo periodo dell'esilio a Marsiglia ad Antonio Atares,
spagnolo, contadino e anarchico internato nel campo del Vernet nell'Ariege e
successivamente in quello di Djelfa in Algeria. La linfa d'oro puro che cola
da queste lettere trova titolo nella pubblicazione, a cura di Domenico
Canciani e Maria Antonietta Vito, L'amicizia pura - Un itinerario
spirituale.
Simone incontra Antonio nei termini e nei modi con cui inizia la prima
lettera, datata 10 marzo 1941: "Signore, sara' certamente meravigliato di
ricevere una lettera da una persona sconosciuta; ma un suo vecchio compagno
di prigionia, Nicolas, mi ha parlato di Lei in un modo tale che mi sembra di
conoscerla [...] Sono stata, per qualche tempo, nel suo bel paese [...] Non
ho mai dimenticato i contadini che ho visto nelle campagne; mi hanno
lasciato un'impressione indimenticabile. Per questo, quando Nicolas mi ha
parlato di Lei, mi e' parso di conoscerla da tanto tempo". Simone lascia
l'amico, senza perderlo, alla verita' della bellezza che le fa dire,
nell'ultima lettera (non datata): "Alle stelle, alla luna, al sole,
all'azzurro del cielo, al vento, agli uccelli, alla luce, all'immensita'
dello spazio, a tutte queste cose che ti sono sempre accanto, affido i miei
pensieri per te, perche' ti donino ogni giorno la gioia che desidero per te
e che tu meriti sicuramente. Credi alla mia profonda amicizia".
La vertiginosa concezione dell'amicizia, che Simone Weil vive nella concreta
relazione epistolare con Antonio Atares, trova ancora la sua splendida
attestazione nelle pagine che dicono Le forme dell'amore implicito di Dio:
"L'amicizia e' il miracolo grazie al quale un essere umano accetta di
guardare a distanza e senza avvicinarsi quello stesso essere che gli e'
necessario come un nutrimento".
*
Prologo in conclusione
Gli obblighi sono molti, devo ripetere. Ma per aver tentato di assolverne
qualcuno, occorre averli circoscritti in piccola parte, all'ombra di
quell'obbligo immenso verso Simone Weil. Si', proprio verso di lei, in umile
ascolto, chinata sulle parole e sui pensieri che ha lasciato come eredita'
senza testamento: una miriade di scritti colmi di passione e di incertezze,
di verita' pungenti e di rilanci inesauribili, di compiutezza circolante e
di ordine rigoroso.
Obbligo e necessita' sono i significanti che mi hanno aperto orizzonti
impensati. Li avevo resi invisibili, cancellati da una posizione assunta
come scelta tra i significati gia' riscontrati nella tradizione del pensiero
anarchico. E' avvenuto non un rinnegamento, bensi' un ampliamento di quella
tradizione e di quel pensiero. Obbligo e necessita' sono semi-frutti che
arricchiscono, con il vento delle parole, il presente in virtu' del passato
e il passato vive la presenza del ripensamento.
Obbligo: il diritto dell'altro. Necessita': il riconoscimento di altro. Che
c'e' e con cui occorre fare i conti, non per un vantaggio a senso unico,
come si fa in proprio tornaconto, ma per obbligo verso l'altro: mondo creato
e curato in relazione vivente, anche quando e' relazione impersonale.
L'obbligo e il diritto dicono che chi si lascia aiutare e' di aiuto a chi
dispensa aiuto, credendosi forte di realizzarlo per la propria magnanimita'
senza tener conto della condizione dell'altro. La necessita' e il
riconoscimento dicono che il bene agisce anche nella realta' del male,
considerato tale nella convinzione, cieca e innocente, piu' ignorante che
colpevole, di chi riconosce come assoluto il proprio bene. E lo dispensa
come se il bene dell'altro non esistesse se non nella forma del proprio e
fosse, per cio' stesso, male se non la riflette a pieno. Non intendo
discernere tra bene e male come concezioni opposte su cui improntare la
moralita' generale, intendo il bene una necessita' che la necessita' del
non-bene attesta. A tal proposito, ricordo una considerazione di Luisa
Muraro, espressa in riferimento al senso della liberta' in relazione
all'altro, che per me resta un insegnamento folgorante, semplice e cosi'
vero, da non far fatica a tenerlo in mente: "Una concezione della liberta'
non e' una concezione libera; la liberta' e' la non-liberta' dell'altro".
Sono due enunciati contigui, non due opposte definizioni che mi fanno capire
questo: l'essere orienta, il dover essere ingiunge e molto spesso comporta
sprechi di sofferenza e di dolore.
L'orientamento verso altro e' dono d'essere relazionale; fa posto e apre a
qualcosa d'altro che non siano le certezze assolute del proprio "io", anche
nella forma di ribaltamento dell'immagine della propria certezza:
acquisizioni pregresse verso il futuro per eternizzarle in un delirio di
onnipotenza. Che misconosce la limitatezza, la fragilita' e l'esposizione
relazionale della condizione umana.
*
Note
1. cfr. Wanda Tommasi, Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza
femminile, Liguori 1997.
2. Gustave Thibon, Simone Weil telle que nous l'avons connue.
3. In verita' quanto da me notato mostra piu' l'intransigenza dottrinaria e
la tendenza totalitaria delle formazioni partitiche piuttosto che la stretta
affinita' tra le posizioni weiliana e anarchico-libertaria. Ritengo invece
verosimile leggere la singolarita' di lei - outsider, estraneita' rispetto
al linguaggio dominante - alla luce della differenza sessuale: taglio che
nel contesto tematico di questo mio studio ho lasciato che restasse
implicito.
4. Iniziali del nome di Trotzkj, Lev Davidovic.
5. Boris Souvarine.
6. Il testo di riferimento, databile all'inizio del '37, si trova tra i
saggi e le lettere che compongono La condizione operaia.
7. Cfr. nota precedente per il reperimento bibliografico di Prima condizione
per un lavoro non servile.
*
Bibliografia di riferimento
Quaderni, 4 volumi, Adelphi 1982.
La condizione operaia, Edizioni di Comunita' 1974.
Riflessioni sulle cause della liberta' e dell'oppressione sociale, Adelphi
1983.
Attesa di Dio, Rusconi 1999.
L'ombra e la grazia, Edizioni di Comunita' 1951.
L'amore di Dio, Borla 1968.
Lettera a un religioso, Adelphi 2008.
Manifesto per la soppressione dei partiti politici, Castelvecchi 2008.
Sulla guerra, Pratiche editrice 1998.
L'amicizia pura. Un itinerario spirituale, Citta' aperta 2005.
Fra gli innumerevoli saggi su Simone Weil segnalo, unitamente agli studi e
alle prefazioni di Giancarlo Gaeta, la biografia di Simone Petrement, La
vita di Simone Weil, Adelphi 1994, a cui piu' volte mi sono riferita nello
svolgimento del testo.
Per l'incidenza che Simone Weil esercita sul pensiero della differenza
sessuale e sulla politica delle donne richiamo, tra i molti, il lavoro di
Wanda Tommasi, Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile,
Liguori 1997 e quello della Libreria delle donne di Milano, Non credere di
avere dei diritti, Rosenberg & Sellier 1987. Per il valore e il significato
simbolico che Simone Weil  attribuisce all'azione non agente - il wu-wei del
tao - raccomando il prezioso libricino di Chiara Zamboni, L'azione perfetta,
Centro Virginia Woolf, Roma 1989.
Bibliografia delle traduzioni italiane non elencate precedentemente:
La prima radice, SE 1990.
La Grecia e le intuizioni precristiane, Rusconi 1974.
Venezia salva, Adelphi 1987.
Sulla scienza, Borla 1971.
I Catari e la civilta' mediterranea, Marietti 1997.
Piccola cara... lettere alle allieve, Marietti 1998.
Lezioni di filosofia, Adelphi 1999.
*
Questo dossier esce come supplemento del n. 345 (maggio 2009) della rivista
mensile anarchica "A"; direttrice responsabile: Fausta Bizzozzero;
registrazione al tribunale di Milano n. 72 in data 24.2.1971.
"A" esce regolarmente nove volte l'anno dal febbraio 1971. Non esce nei mesi
di gennaio, agosto e settembre. E' in vendita per abbonamento, in numerose
librerie e presso centri sociali, circoli anarchici, botteghe, ecc. Se ne
vuoi una copia/saggio, chiedicela. Siamo alla ricerca di nuovi diffusori.
Per qualsiasi informazione, compresa la lista completa dei nostri "prodotti"
(dossier "Gli anarchici contro il fascismo", letture di Bakunin, Kropotkin,
Malatesta e Proudhon, volantoni della serie anti-globalizzazione, poster di
Malatesta 1921, i nostri dossier, cd e dvd di/su Fabrizio De Andre', dossier
e cofanetto su Franco Serantini, dvd sullo sterminio nazista dei Rom, lista
di oltre cento cd, mc, ecc. della "Musica per 'A'", ecc.), contattaci. Se ci
fai avere per fax, e-mail o in segreteria telefonica il tuo indirizzo
completo, ti spediamo a casa tutte le informazioni necessarie per poter
ordinare quello che vuoi.
Una copia di "A" costa 3 euro, l'abbonamento annuo 30 euro, quello estero 40
euro, l'abbonamento sostenitore da 100 euro in su.
Editrice A, cas. post. 17120, 20170 Milano, tel. 022896627, fax: 0228001271,
e-mail: arivista at tin.it, sito: www.arivista.org, conto corrente postale 12
55 22 04, conto corrente bancario n. 107397 presso Banca Popolare Etica,
filiale di Milano (abi 05018, cab. 01600). Per effettuare un bonifico:
Codice IBAN: IT10 H050 1801 6000 0000 0107 397, Codice BIC: CCRTIT2184B.

2. ET COETERA

Simone Weil, nata a Parigi nel 1909, allieva di Alain, fu professoressa,
militante sindacale e politica della sinistra classista e libertaria,
operaia di fabbrica, miliziana nella guerra di Spagna contro i fascisti,
lavoratrice agricola, poi esule in America, infine a Londra impegnata a
lavorare per la Resistenza. Minata da una vita di generosita', abnegazione,
sofferenze, muore in Inghilterra nel 1943. Una descrizione meramente esterna
come quella che precede non rende pero' conto della vita interiore della
Weil (ed in particolare della svolta, o intensificazione, o meglio ancora:
radicalizzazione ulteriore, seguita alle prime esperienze mistiche del
1938). Ha scritto di lei Susan Sontag: "Nessuno che ami la vita vorrebbe
imitare la sua dedizione al martirio, o se l'augurerebbe per i propri figli
o per qualunque altra persona cara. Tuttavia se amiamo la serieta' come
vita, Simone Weil ci commuove, ci da' nutrimento".
Opere di Simone Weil: tutti i volumi di Simone Weil in realta' consistono di
raccolte di scritti pubblicate postume, in vita Simone Weil aveva pubblicato
poco e su periodici (e sotto pseudonimo nella fase finale della sua
permanenza in Francia stanti le persecuzioni antiebraiche). Tra le raccolte
piu' importanti in edizione italiana segnaliamo: L'ombra e la grazia
(Comunita', poi Rusconi), La condizione operaia (Comunita', poi Mondadori),
La prima radice (Comunita', SE, Leonardo), Attesa di Dio (Rusconi), La
Grecia e le intuizioni precristiane (Rusconi), Riflessioni sulle cause della
liberta' e dell'oppressione sociale (Adelphi), Sulla Germania totalitaria
(Adelphi), Lettera a un religioso (Adelphi); Sulla guerra (Pratiche). Sono
fondamentali i quattro volumi dei Quaderni, nell'edizione Adelphi curata da
Giancarlo Gaeta.
Opere su Simone Weil: fondamentale e' la grande biografia di Simone
Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994. Tra gli studi cfr.
AA. VV., Simone Weil, la passione della verita', Morcelliana, Brescia 1985;
Gabriella Fiori, Simone Weil, Garzanti, Milano 1990; Giancarlo Gaeta, Simone
Weil, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1992; Jean-Marie
Muller, Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1994; Angela Putino, Simone Weil e la Passione di Dio, Edb, Bologna
1997; Eadem, Simone Weil. Un'intima estraneita', Citta' Aperta, Troina
(Enna) 2006; Maurizio Zani, Invito al pensiero di Simone Weil, Mursia,
Milano 1994.

==============================
NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 267 dell'8 agosto 2009

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it