Minime. 906



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 906 dell'8 agosto 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il regime criminale della guerra e del razzismo
2. La prima lettera di Guenther Anders a Claude Eatherly
3. La prima lettera di Claude Eatherly a Guenther Anders
4. Giorgio Salvetti intervista Serge Latouche
5. Enzo Mazzi: La Chiesa lasci in pace il corpo delle donne
6. Riedizioni: Asha Miro', Figlia del Gange
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL REGIME CRIMINALE DELLA GUERRA E DEL RAZZISMO

Quasi un decennio di stragi su stragi in Afghanistan hanno desensibilizzato
e narcotizzato il popolo italiano, che non trova nulla da ridire nel fatto
che il nostro esercito prenda parte a una guerra terrorista e stragista,
mafiosa e totalitaria, imperialista e razzista; una guerra che la
Costituzione della Repubblica Italiana espressamente, esplicitamente,
inequivocabilmente ripudia, ovvero proibisce in modo categorico.
*
E complice il periodo estivo della calura e delle vacanze, sembra che la
maggior parte del popolo italiano non si sia accorto neppure che un governo
golpista ha introdotto nel nostro paese il regime dell'apartheid e la
restaurazione dello squadrismo, misure illegali ed efferate, barbariche e
disumane, anticostituzionali ed antigiuridiche, schegge di nazismo contenute
nella ripugnante pseudolegge che oggi entra in vigore.
*
Chi non ha chiuso gli occhi, chi non ha chiuso il cuore, sa che e' venuta
l'ora di resistere.
I feriti, i mutilati, gli assassinati in Afghanistan: non vediamo il loro
sangue anche sulle nostre mani se non ci opponiamo alla guerra?
I milioni di immigrati che da oggi in Italia saranno ancor piu' crudelmente
intimiditi, umiliati, offesi, sfruttati, maltrattati, terrorizzati, denegati
nella loro umanita', e fin schiavizzati, torturati ed uccisi: non vediamo
che di questa violenza e di questo orrore noi siamo corresponsabili se non
ci opponiamo al razzismo che si fa regime?
Chi non ha chiuso gli occhi, chi non ha chiuso il cuore, sa che e' venuta
l'ora di resistere.
*
Opporsi occorre alla guerra, alla guerra assassina.
Opporsi occorre al razzismo, al razzismo disumano.
Opporsi occorre al colpo di stato, al colpo di stato fascista.
Difendiamo la legalita'.
Difendiamo la democrazia.
Difendiamo la civilta'.
Difendiamo la Costituzione della Repubblica Italiana.
Difendiamo la dignita' e i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Con la forza della verita'.
Con la forza del diritto.
Con la forza dell'ordinamento giuridico democratico.
Con la forza della nonviolenza.
Vi e' una sola umanita'.

2. DOCUMENTI. LA PRIMA LETTERA DI GUENTHER ANDERS A CLAUDE EATHERLY
[Riproponiamo ancora una volta il testo della prima lettera di Guenther
Anders a Claude Eatherly, del 3 giugno 1959, riprendendola dalla
corrispondenza tra Guenther Anders e Claude Eatherly, Il pilota di
Hiroshima. Ovvero: la coscienza al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea
d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp. 27-34), nella classica traduzione di
Renato Solmi.
Guenther Anders (pseudonimo di Guenther Stern, "anders" significa "altro" e
fu lo pseudonimo assunto quando le riviste su cui scriveva gli chiesero di
non comparire col suo vero cognome) e' nato a Breslavia nel 1902, figlio
dell'illustre psicologo Wilhelm Stern, fu allievo di Husserl e si laureo' in
filosofia nel 1925. Costretto all'esilio dall'avvento del nazismo,
trasferitosi negli Stati Uniti d'America, visse di disparati mestieri.
Tornato in Europa nel 1950, si stabili' a Vienna. E' scomparso nel 1992.
Strenuamente impegnato contro la violenza del potere e particolarmente
contro il riarmo atomico, e' uno dei maggiori filosofi contemporanei; e'
stato il pensatore che con piu' rigore e concentrazione e tenacia ha pensato
la condizione dell'umanita' nell'epoca delle armi che mettono in pericolo la
sopravvivenza stessa della civilta' umana; insieme a Hannah Arendt (di cui
fu coniuge), ad Hans Jonas (e ad altre e altri, certo) e' tra gli
ineludibili punti di riferimento del nostro riflettere e del nostro agire.
Opere di Guenther Anders: Essere o non essere, Einaudi, Torino 1961; La
coscienza al bando. Il carteggio del pilota di Hiroshima Claude Eatherly e
di Guenther Anders, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992
(col titolo: Il pilota di Hiroshima ovvero: la coscienza al bando); L'uomo
e' antiquato, vol. I (sottotitolo: Considerazioni sull'anima nell'era della
seconda rivoluzione industriale), Il Saggiatore, Milano 1963, poi Bollati
Boringhieri, Torino 2003; L'uomo e' antiquato, vol. II (sottotitolo: Sulla
distruzione della vita nell'epoca della terza rivoluzione industriale),
Bollati Boringhieri, Torino 1992, 2003; Discorso sulle tre guerre mondiali,
Linea d'ombra, Milano 1990; Opinioni di un eretico, Theoria, Roma-Napoli
1991; Noi figli di Eichmann, Giuntina, Firenze 1995; Stato di necessita' e
legittima difesa, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole (Fi)
1997. Si vedano inoltre: Kafka. Pro e contro, Corbo, Ferrara 1989; Uomo
senza mondo, Spazio Libri, Ferrara 1991; Patologia della liberta', Palomar,
Bari 1993; Amare, ieri, Bollati Boringhieri, Torino 2004; L'odio e'
antiquato, Bollati Boringhieri, Torino 2006; Discesa all'Ade, Bollati
Boringhieri, Torino 2008. In rivista testi di Anders sono stati pubblicati
negli ultimi anni su "Comunita'", "Linea d'ombra", "Micromega". Opere su
Guenther Anders: cfr. ora la bella monografia di Pier Paolo Portinaro, Il
principio disperazione. Tre studi su Guenther Anders, Bollati Boringhieri,
Torino 2003; singoli saggi su Anders hanno scritto, tra altri, Norberto
Bobbio, Goffredo Fofi, Umberto Galimberti; tra gli intellettuali italiani
che sono stati in corrispondenza con lui ricordiamo Cesare Cases e Renato
Solmi.
Claude Eatherly, ufficiale dell'aviazione militare statunitense, il 6 agosto
del 1945 prese parte al bombardamento atomico di Hiroshima. Sconvolto dal
crimine cui aveva partecipato, afflitto da un senso di colpa insostenibile,
considerato pazzo, conobbe il carcere e il manicomio. Si impegno' nella
denuncia dell'orrore della guerra atomica e nel movimento pacifista e
antinucleare. La corrispondenza che ebbe con Guenther Anders tra il 1959 e
il 1961 e' raccolta nel libro Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza
al bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992.
Renato Solmi e' stato tra i pilastri della casa editrice Einaudi, ha
introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di Francoforte e del
pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri autentici e profondi di
generazioni di persone impegnate per la democrazia e la dignita' umana, che
attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno costruito tanta parte
della propria strumentazione intellettuale; e' impegnato nel Movimento
Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. Dal risvolto di copertina
del recente volume in cui sono raccolti taluni dei frutti mggiori del suo
magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato Solmi (Aosta 1927) ha
studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca con una tesi su
Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli presso l'Istituto
italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha lavorato dal 1951 al
1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A meta' degli anni '50 ha
passato un periodo di studio a Francoforte per seguire i corsi e
l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo introdotto e tradotto
in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha insegnato per circa
trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di Aosta. E' impegnato
da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su quello della
militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti torinesi e
nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e politici ("Il
pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il Mulino",
"Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente", "Quaderni
rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri del mese"
e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno, Benjamin, Brecht
(L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il "romanzo
dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in realta'
edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il significato
attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i problemi
della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o non
essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e Th.
W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour Melman,
Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti (ivi, 1976);
Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani 1915-1918
(Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo
particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria.
Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007]

Al signor Claude R. Eatherly
ex maggiore della A. F.
Veterans' Administration Hospital
Waco, Texas
3 giugno 1959
Caro signor Eatherly,
Lei non conosce chi scrive queste righe. Mentre Lei e' noto a noi, ai miei
amici e a me. Il modo in cui Lei verra' (o non verra') a capo della Sua
sventura, e' seguito da tutti noi (che si viva a New York, a Tokio o a
Vienna) col cuore in sospeso. E non per curiosita', o perche' il Suo caso ci
interessi dal punto di vista medico o psicologico. Non siamo medici ne'
psicologi. Ma perche' ci sforziamo, con ansia e sollecitudine, di venire a
capo dei problemi morali che, oggi, si pongono di fronte a tutti noi. La
tecnicizzazione dell'esistenza: il fatto che, indirettamente e senza
saperlo, come le rotelle di una macchina, possiamo essere inseriti in azioni
di cui non prevediamo gli effetti, e che, se ne prevedessimo gli effetti,
non potremmo approvare - questo fatto ha trasformato la situazione morale di
tutti noi. La tecnica ha fatto si' che si possa diventare "incolpevolmente
colpevoli", in un modo che era ancora ignoto al mondo tecnicamente meno
avanzato dei nostri padri.
Lei capisce il suo rapporto con tutto questo: poiche' Lei e' uno dei primi
che si e' invischiato in questa colpa di nuovo tipo, una colpa in cui
potrebbe incorrere - oggi o domani - ciascuno di noi. A Lei e' capitato cio'
che potrebbe capitare domani a noi tutti. E' per questo che Lei ha per noi
la funzione di un esempio tipico: la funzione di un precursore.
Probabilmente tutto questo non Le piace. Vuole stare tranquillo, your life
is your business. Possiamo assicurarLe che l'indiscrezione piace cosi' poco
a noi come a Lei, e La preghiamo di scusarci. Ma in questo caso, per la
ragione che ho appena detto, l'indiscrezione e' - purtroppo - inevitabile,
anzi doverosa. La Sua vita e' diventata anche il nostro business. Poiche' il
caso (o comunque vogliamo chiamare il fatto innegabile) ha voluto fare di
Lei, il privato cittadino Claude Eatherly, un simbolo del futuro, Lei non ha
piu' diritto di protestare per la nostra indiscrezione. Che proprio Lei, e
non un altro dei due o tre miliardi di Suoi contemporanei, sia stato
condannato a questa funzione di simbolo, non e' colpa Sua, ed e' certamente
spaventoso. Ma cosi' e', ormai.
E tuttavia non creda di essere il solo condannato in questo modo. Poiche'
tutti noi dobbiamo vivere in quest'epoca, in cui potremmo incorrere in una
colpa del genere: e come Lei non ha scelto la sua triste funzione, cosi'
anche noi non abbiamo scelto quest'epoca infausta. In questo senso siamo
quindi, come direste voi americani, "on the same boat", nella stessa barca,
anzi siamo i figli di una stessa famiglia. E questa comunita', questa
parentela, determina il nostro rapporto verso di Lei. Se ci occupiamo delle
Sue sofferenze, lo facciamo come fratelli, come se Lei fosse un fratello a
cui e' capitata la disgrazia di fare realmente cio' che ciascuno di noi
potrebbe essere costretto a fare domani; come fratelli che sperano di poter
evitare quella sciagura, come Lei oggi spera, tremendamente invano, di
averla potuta evitare allora.
Ma allora cio' non era possibile: il meccanismo dei comandi funziono'
perfettamente, e Lei era ancora giovane e senza discernimento. Dunque lo ha
fatto. Ma poiche' lo ha fatto, noi possiamo apprendere da Lei, e solo da
Lei, che sarebbe di noi se fossimo stati al Suo posto, che sarebbe di noi se
fossimo al Suo posto. Vede che Lei ci e' estremamente prezioso, anzi
indispensabile. Lei e', in qualche modo, il nostro maestro.
Naturalmente Lei rifiutera' questo titolo. "Tutt'altro, dira', poiche' io
non riesco a venire a capo del mio stato".
*
Si stupira', ma e' proprio questo "non" a far pencolare (per noi) la
bilancia. Ad essere, anzi, perfino consolante. Capisco che questa
affermazione deve suonare, sulle prime, assurda. Percio' qualche parola di
spiegazione.
Non dico "consolante per Lei". Non ho nessuna intenzione di volerLa
consolare. Chi vuol consolare dice, infatti, sempre: "La cosa non e' poi
cosi grave"; cerca, insomma, di impicciolire l'accaduto (dolore o colpa) o
di farlo sparire con le parole. E' proprio quello che cercano di fare, per
esempio, i Suoi medici. Non e' difficile scoprire perche' agiscano cosi'. In
fin dei conti sono impiegati di un ospedale militare, cui non si addice la
condanna morale di un'azione bellica unanimemente approvata, anzi lodata; a
cui, anzi, non deve neppure venire in mente la possibilita' di questa
condanna; e che percio' devono difendere in ogni caso l'irreprensibilita' di
un'azione che Lei sente, a ragione, come una colpa. Ecco perche' i Suoi
medici affermano: "Hiroshima in itself is not enough to explain your
behaviour", cio' che in un linguaggio meno lambiccato significa: "Hiroshima
e' meno terribile di quanto sembra"; ecco perche' si limitano a criticare,
invece dell'azione stessa (o "dello stato del mondo" che l'ha resa
possibile), la Sua reazione ad essa; ecco perche' devono chiamare il Suo
dolore e la Sua attesa di un castigo una "malattia" ("classical guilt
complex"); ed ecco perche' devono considerare e trattare la Sua azione come
un "self-imagined wrong", un delitto inventato da Lei. C'e' da stupirsi che
uomini costretti dal loro conformismo e dalla loro schiavitu' morale a
sostenere l'irreprensibilita' della Sua azione, e a considerare quindi
patologico il Suo stato di coscienza, che uomini che muovono da premesse
cosi' bugiarde ottengano dalle loro cure risultati cosi' poco brillanti?
Posso immaginare (e La prego di correggermi se sbaglio) con quanta
incredulita' e diffidenza, con quanta repulsione Lei consideri quegli
uomini, che prendono sul serio solo la Sua reazione, e non la Sua azione.
Hiroshima-self-imagined!
Non c'e' dubbio: Lei la sa piu' lunga di loro. Non e' senza ragione che le
grida dei feriti assordano i Suoi giorni, che le ombre dei morti affollano i
Suoi sogni. Lei sa che l'accaduto e' accaduto veramente, e, non e'
un'immaginazione. Lei non si lascia illudere da costoro. E nemmeno noi ci
lasciamo illudere. Nemmeno noi sappiamo che farci di queste "consolazioni".
No, io dicevo per noi. Per noi il fatto che Lei non riesce a "venire a capo"
dell'accaduto, e' consolante. E questo perche' ci mostra che Lei cerca di
far fronte, a posteriori, all'effetto (che allora non poteva concepire)
della Sua azione; e perche' questo tentativo, anche se dovesse fallire,
prova che Lei ha potuto tener viva la Sua coscienza, anche dopo essere stato
inserito come una rotella in un meccanismo tecnico e adoperato in esso con
successo. E serbando viva la Sua coscienza ha mostrato che questo e'
possibile, e che dev'essere possibile anche per noi. E sapere questo (e noi
lo sappiamo grazie a Lei) e', per noi, consolante.
"Anche se dovesse fallire", ho detto. Ma il Suo tentativo deve
necessariamente fallire. E precisamente per questo.
Gia' quando si e' fatto torto a una persona singola (e non parlo di
uccidere), anche se l'azione si lascia abbracciare in tutti i suoi effetti,
e' tutt'altro che semplice "venirne a capo". Ma qui si tratta di ben altro.
Lei ha la sventura di aver lasciato dietro di se' duecentomila morti. E come
sarebbe possibile realizzare un dolore che abbracci 200.000 vite umane? Come
sarebbe possibile pentirsi di 200.000 vittime?
Non solo Lei non lo puo', non solo noi non lo possiamo: non e' possibile per
nessuno. Per quanti sforzi disperati si facciano, dolore e pentimento
restano inadeguati. L'inutilita' dei Suoi sforzi non e' quindi colpa Sua,
Eatherly: ma e' una conseguenza di cio' che ho definito prima come la
novita' decisiva della nostra situazione: del fatto, cioe', che siamo in
grado di produrre piu' di quanto siamo in grado di immaginare; e che gli
effetti provocati dagli attrezzi che costruiamo sono cosi' enormi che non
siamo piu' attrezzati per concepirli. Al di la', cioe', di cio' che possiamo
dominare interiormente, e di cui possiamo "venire a capo". Non si faccia
rimproveri per il fallimento del Suo tentativo di pentirsi. Ci mancherebbe
altro! Il pentimento non puo' riuscire. Ma il fallimento stesso dei Suoi
sforzi e' la Sua esperienza e passione di ogni giorno; poiche' al di fuori
di questa esperienza non c'e' nulla che possa sostituire il pentimento, e
che possa impedirci di commettere di nuovo azioni cosi tremende. Che, di
fronte a questo fallimento, la Sua reazione sia caotica e disordinata, e'
quindi perfettamente naturale. Anzi, oserei dire che e' un segno della Sua
salute morale. Poiche' la Sua reazione attesta la vitalita' della Sua
coscienza.
*
Il metodo usuale per venire a capo di cose troppo grandi e' una semplice
manovra di occultamento: si continua a vivere come se niente fosse; si
cancella l'accaduto dalla lavagna della vita, si fa come se la colpa troppo
grave non fosse nemmeno una colpa. Vale a dire che, per venirne a capo, si
rinuncia affatto a venirne a capo. Come fa il Suo compagno e compatriota Joe
Stiborik, ex radarista sull'Enola Gay, che Le presentano volentieri ad
esempio perche' continua a vivere magnificamente e ha dichiarato, con la
miglior cera di questo mondo, che "e' stata solo una bomba un po' piu'
grossa delle altre". E questo metodo e' esemplificato, meglio ancora, dal
presidente che ha dato il "via" a Lei come Lei lo ha dato al pilota
dell'apparecchio bombardiere; e che quindi, a ben vedere, si trova nella Sua
stessa situazione, se non in una situazione ancora peggiore. Ma egli ha
omesso di fare cio' che Lei ha fatto. Tant'e' che alcuni anni fa,
rovesciando ingenuamente ogni morale (non so se sia venuto a saperlo), ha
dichiarato, in un'intervista destinata al pubblico, di non sentire i minimi
"pangs of conscience", che sarebbe una prova lampante della sua innocenza; e
quando poco fa, in occasione del suo settantacinquesimo compleanno, ha
tirato le somme della sua vita, ha citato, come sola mancanza degna di
rimorso, il fatto di essersi sposato dopo i trenta. Mi pare difficile che
Lei possa invidiare questo "clean sheet". Ma sono certo che non accetterebbe
mai, da un criminale comune, come una prova d'innocenza, la dichiarazione di
non provare il minimo rimorso. Non e' un personaggio ridicolo, un uomo che
fugge cosi' davanti a se stesso? Lei non ha agito cosi', Eatherly; Lei non
e' un personaggio ridicolo. Lei fa, pur senza riuscirci, quanto e'
umanamente possibile: cerca di continuare a vivere come la stessa persona
che ha compiuto l'azione. Ed e' questo che ci consola. Anche se Lei, proprio
perche' e' rimasto identico con la Sua azione, si e' trasformato in seguito
ad essa.
Capisce che alludo alle Sue violazioni di domicilio, falsi e non so quali
altri reati che ha commesso. E al fatto che e' o passa per demoralizzato e
depresso. Non pensi che io sia un anarchico e favorevole ai falsi e alle
rapine, o che dia scarso peso a queste cose. Ma nel Suo caso questi reati
non sono affatto "comuni": sono gesti di disperazione. Poiche' essere
colpevole come Lei lo e' ed essere esaltati, proprio per la propria colpa,
come "eroi sorridenti", dev'essere una condizione intollerabile per un uomo
onesto; per porre termine alla quale si puo' anche commettere qualche
scorrettezza. Poiche' l'enormita' che pesava e pesa su di Lei non era
capita, non poteva essere capita e non poteva essere fatta capire nel mondo
a cui Lei appartiene, Lei doveva cercare di parlare ed agire nel linguaggio
intelligibile costi', nel piccolo linguaggio della petty o della big larceny
nei termini della societa' stessa. Cosi' Lei ha cercato di provare la Sua
colpa con atti che fossero riconosciuti come reati. Ma anche questo non Le
e' riuscito.
E' sempre condannato a passare per malato, anziche' per colpevole. E proprio
per questo, perche' - per cosi' dire - non Le si concede la Sua colpa Lei e'
e rimane un uomo infelice.
*
E ora, per finire, un suggerimento.
L'anno scorso ho visitato Hiroshima; e ho parlato con quelli che sono
rimasti vivi dopo il Suo passaggio. Si rassicuri: non c'e' nessuno di quegli
uomini che voglia perseguitare una vite nell'ingranaggio di una macchina
militare (cio' che Lei era, quando, a ventisei anni, esegui' la Sua
"missione"); non c'e' nessuno che La odi.
Ma ora Lei ha mostrato che, anche dopo essere stato adoperato come una vite,
e' rimasto, a differenza degli altri, un uomo; o di esserlo ridiventato. Ed
ecco la mia proposta, su cui Lei avra' modo di riflettere.
Il prossimo 6 agosto la popolazione di Hiroshima celebrera', come tutti gli
anni, il giorno in cui "e' avvenuto". A quegli uomini Lei potrebbe inviare
un messaggio, che dovrebbe giungere per il giorno della celebrazione. Se Lei
dicesse da uomo a quegli uomini: "Allora non sapevo quel che facevo; ma ora
lo so. E so che una cosa simile non dovra' piu' accadere; e che nessuno puo'
chiedere a un altro di compierla"; e: "La vostra lotta contro il ripetersi
di un'azione simile e' anche la mia lotta, e il vostro 'no more Hiroshima'
e' anche il mio 'no more Hiroshima`, o qualcosa di simile puo' essere certo
che con questo messaggio farebbe una gioia immensa ai sopravvissuti di
Hiroshima e che sarebbe considerato da quegli uomini come un amico, come uno
di loro. E che cio' accadrebbe a ragione, poiche' anche Lei, Eatherly, e'
una vittima di Hiroshima. E cio' sarebbe forse anche per Lei, se non una
consolazione, almeno una gioia.
Col sentimento che provo per ognuna di quelle vittime, La saluto
Guenther Anders

3. DOCUMENTI. LA PRIMA LETTERA DI CLAUDE EATHERLY A GUENTHER ANDERS
[Riproponiamo il testo della prima lettera di Claude Eatherly a Guenther
Anders, del 12 giugno 1959, riprendendola dalla corrispondenza tra Guenther
Anders e Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima. Ovvero: la coscienza al
bando, Einaudi, Torino 1962, poi Linea d'ombra, Milano 1992 (ivi alle pp.
34-36), nella classica traduzione di Renato Solmi]

12 giugno 1959
Dear Sir,
molte grazie della Sua lettera, che ho ricevuto venerdi' della scorsa
settimana.
Dopo aver letto piu' volte la Sua lettera, ho deciso di scriverLe, e di
entrare eventualmente in corrispondenza con Lei, per discutere di quelle
cose che entrambi, credo, comprendiamo. Io ricevo molte lettere, ma alla
maggior parte non posso nemmeno rispondere. Mentre di fronte alla Sua
lettera mi sono sentito costretto a rispondere e a farLe conoscere il mio
atteggiamento verso le cose del mondo attuale.
Durante tutto il corso della mia vita sono sempre stato vivamente
interessato al problema del modo di agire e di comportarsi. Pur non essendo,
spero, un fanatico in nessun senso, ne' dal punto di vista religioso ne' da
quello politico, sono tuttavia convinto, da qualche tempo, che la crisi in
cui siamo tutti implicati esige un riesame approfondito di tutto il nostro
schema di valori e di obbligazioni. In passato, ci sono state epoche in cui
era possibile cavarsela senza porsi troppi problemi sulle proprie abitudini
di pensiero e di condotta. Ma oggi e' relativamente chiaro che la nostra
epoca non e' di quelle. Credo, anzi, che ci avviciniamo rapidamente a una
situazione in cui saremo costretti a riesaminare la nostra disposizione a
lasciare la responsabilita' dei nostri pensieri e delle nostre azioni a
istituzioni sociali (come partiti politici, sindacati, chiesa o stato).
Nessuna di queste istituzioni e' oggi in grado di impartire consigli morali
infallibili, e percio' bisogna mettere in discussione la loro pretesa di
impartirli. L'esperienza che ho fatto personalmente deve essere studiata da
questo punto di vista, se il suo vero significato deve diventare
comprensibile a tutti e dovunque, e non solo a me.
Se Lei ha l'impressione che questo concetto sia importante e piu' o meno
conforme al Suo stesso pensiero, Le proporrei di cercare insieme di chiarire
questo nesso di problemi, in un carteggio che potrebbe anche durare a lungo.
Ho l'impressione che Lei mi capisca come nessun altro, salvo forse il mio
medico e amico.
Le mie azioni antisociali sono state catastrofiche per la mia vita privata,
ma credo che, sforzandomi, riusciro' a mettere in luce i miei veri motivi,
le mie convinzioni e la mia filosofia.
Guenther, mi fa piacere di scriverLe. Forse potremo stabilire, col nostro
carteggio, un'amicizia fondata sulla fiducia e sulla comprensione. Non abbia
scrupoli a scrivere sui problemi di situazione e di condotta in cui ci
troviamo di fronte. E allora Le esporro' le mie opinioni.
RingraziandoLa ancora della Sua lettera, resto il Suo
Claude Eatherly

4. RIFLESSIONE. GIORGIO SALVETTI INTERVISTA SERGE LATOUCHE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 agosto 2009 col titolo "Decrescita per
tutti" e il sommario "Intervista all'economista francese Serge Latouche:
segnali positivi dalla green economy di Obama"]

"La decrescita non e' una teoria. Per essere corretti si dovrebbe dire
a-crescita. E' uno slogan che vuole contrapporsi a un altro slogan, quello
di sviluppo sostenibile: un ossimoro. Per la prima volta nella storia siamo
di fronte alla prospettiva imminente di una catastrofe globale. Era gia'
stata anticipata dal Club di Roma nel 1972, ora ci siamo. Non si tratta di
chiedersi se la decrescita e' possibile, ma di comprendere che e'
necessaria. E ovviamente non si tratta di ritornare all'eta' della pietra.
In questo senso non siamo ne' modernisti ne' antimodernisti, siamo atei:
guardiamo alla realta'. Ogni italiano, per esempio, consuma 4,5 ettari di
terra contro una media sostenibile di 1,8. Significa che se tutti vivessero
come voi ci vorrebbero tre pianeti". Ora che il mondo sta rallentando di
brutto, vale la pena fare quattro chiacchiere con il teorico della
"decrescita", l'economista francese Serge Latouche.
*
- Giorgio Salvetti: Di chi e' la colpa di tutto cio'?
- Serge Latouche: Siamo tutti tossicodipendenti di consumo e lavoro. Si puo'
dire che i trafficanti sono le multinazionali, il capitale, ma non va
dimenticata la nostra responsabilita' di tossici. La responsabilita' e la
liberta' individuale sono l'unica possibilita' per uscire dalla dittatura
del pensiero unico.
*
- Giorgio Salvetti: Come? Un altro mondo e' davvero possibile?
- Serge Latouche: Cominciamo ad analizzare la parola "mondo". Il nostro
mondo, questo mondo, e' il mondo della crescita globale, il mondo
occidentalizzato. Se preferite, il mondo del capitalismo e della societa' di
mercato in cui la crescita all'infinito e' di per se' un fine al di la' dei
bisogni reali. E' dai tempi di Adam Smith che l'Occidente sogna e progetta
questo tipo di mondo. Con la rivoluzione industriale si comincio' a
distruggere piccoli contadini e artigiani e a puntare sull'industria
meccanizzata. La poverta' si trasformo' in miseria. I poveri persero anche
la possibilita' di arrangiarsi, di ritagliarsi uno spazio al margine dei
sistemi di potere, di produzione e di consumo di massa. Ma il vero balzo in
avanti, la realizzazione del sogno, avvenne con l'enorme disponibilita' di
energia fornita dal petrolio. Ora pensiamo alla parola "uno". Non bisogna
immaginare un altro mondo possibile ma tanti altri mondi possibili. La
decrescita non rappresenta un'alternativa unica ma vuole essere una matrice
di tante diverse alternative. Il mercato globale, la verita' assoluta, un
mondo unico anche se diverso, se dominato da un pensiero unico, e'
soggiogato da una forma di totalitarismo soft. Bisogna invece avere il
coraggio di liberare e di diversificare tante culture, tante verita'
relative, funzionali, pragmatiche, etiche, piuttosto che dogmi teorici
tipici, non solo delle forme di potere e produzione, ma anche della
filosofia occidentale. Ci vuole biodiversita' sia per le culture che per le
colture. Sia su piccola che su grande scala. Pensiamo soltanto alle culture
amerinde che stanno cambiando l'America del Sud, il culto della pachamama ha
portato per la prima volta al riconoscimento della terra come soggetto di
diritto.
*
- Giorgio Salvetti: Di quale teoria assoluta parla?
- Serge Latouche: La societa' di marketing, verita' unica e globale. E'
basata su tre cardini nel tentativo impossibile di mascherare continue crisi
di sovrapproduzione e sottoconsumo inevitabili in un mondo globale e in un
mercato unico e finito. Dunque incompatibile con una crescita infinita. La
pubblicita' droga la domanda rendendoci drogati del consumo e convincendoci
ad acquistare in modo compulsivo cio' di cui non abbiamo bisogno.
L'obsolescenza programmata, ovvero il sistema "usa e getta", per cui un
prodotto e' subito vecchio, fuori moda o rotto, droga l'offerta, depaupera
le risorse del pianeta, produce rifiuti e guerre. Il terzo espediente e' il
credito infinito, altro modo per drogare la domanda: consumare diventa un
dovere civico, anche a costo di indebitarsi. Da qui ha origine la crisi che
stiamo vivendo, partita dai subprime americani e dagli istituti finanziari.
Il guaio e' che questo potere e' sempre piu' impersonale, non basta fare la
rivoluzione e decapitare il re come abbiamo fatto noi francesi. Non
illudetevi che questa crisi possa finire. La crisi e' un fattore strutturale
del mondo della crescita. La pagano tutti. Il presidente del Senegal ha
detto di avere compassione per i banchieri bianchi, ma che in Africa sono in
crisi da sempre e non possono neanche aiutare i banchieri perche' non ne
hanno.
*
- Giorgio Salvetti: Se non basta decapitare il re, concretamente come si
cambia?
- Serge Latouche: La questione del potere e della rappresentanza e' un tema
cruciale. Qualche segnale positivo c'e'. Oltre alle culture amerinde,
pensiamo alla green economy di Obama o ai verdi di Cohn Bendit e Bove' che
in Francia sono al 16%. Ma di fatto assistiamo a un paradosso: quanto piu'
e' necessario un cambiamento radicale globale, tanto piu' sono scomparse le
forze politiche e i pensieri politici che possono agire questo cambiamento.
La morte del comunismo ha lasciato come pensiero assoluto il liberismo.
Manca una terza via. La sinistra e' caduta nella trappola produttivista del
mito della torta sempre piu' grande. Ha pensato possibile un accordo con il
capitale per produrre sempre di piu' e spartirsi le fette della torta
gigante, che ingrossandosi si avvelena e ci rende tutti tossicodipendenti.
Si tratta di una forma di servitu' volontaria al potere del consumo e del
lavoro.
*
- Giorgio Salvetti: La sinistra e' produttivista anche perche' figlia del
movimento operaio, che fa del lavoro e della fabbrica un archetipo. Anche i
movimenti degli anni '60 hanno lottato contro l'ingiustizia economica del
sistema, ma forse e' mancata la coscienza della imminente catastrofe
biologica del pianeta. Eppure l'ambientalismo e' nato a sinistra, e fa parte
della storia del movimento operaio la lotta per la riduzione dell'orario di
lavoro. Come si esce da questa dicotomia?
- Serge Latouche: La spartizione della torta ovviamente non e' solo una
questione economica ma anche di potere politico. La decrescita e' anche un
modo di non prestarsi al gioco della spartizione del potere. La democrazia
e' la forma politica del liberismo: c'e' un legame stretto tra crescita
infinita in economia e democrazia in politica. In questo senso la sinistra
in occidente e' caduta nel miraggio del potere: propone sempre piu' spesso
solo un'alternanza di dirigenza al governo, ma non di sistema. Per questo
non basta votare, delegare, bisogna essere attori, scegliere e inventare in
prima persona la propria via alla decrescita.
*
- Giorgio Salvetti: Non mi dira' che spera in una regressione a forme di
autarchia individuale.
- Serge Latouche: L'uomo ha una dimensione collettiva, dunque politica. Ma
la politica politicante e rappresentativa e' incoerente e ipocrita. Ci vuole
pratica ed etica politica, non dimenticate l'importanza della
responsabilita' individuale dei tossici del consumo e del lavoro.
*
- Giorgio Salvetti: Si', ma c'e' un altro paradosso. Stati e individui
poveri vogliono diventare ricchi, non decrescere. Per molti la sua e' una
teoria snob: decresce chi se lo puo' permettere, roba da ricchi, insomma...
- Serge Latouche: E' vero, i paesi del sud del mondo vogliono diventare
ricchi e occidentali, ma questa scelta li sta distruggendo. La scelta di
muoversi in direzioni diverse e' l'unica che li puo' e ci puo' salvare. E
tutti la possiamo fare.

5. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: LA CHIESA LASCI IN PACE IL CORPO DELLE DONNE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 agosto 2009 col titolo "La Chiesa lasci
in pace il corpo delle donne"]

Scomunica, censura, peccato mortale, inferno, dannazione eterna: parole di
un altro tempo, anzi di un altro mondo, il tempo della teocrazia, il mondo
del dominio del sacro. Quelle minacciose parole sono state usate di nuovo in
questi giorni da cardinali e monsignori in relazione al via libera
dell'Agenzia del farmaco per la pillola abortiva Ru486. Lo stesso cardinale
Bagnasco in una intervista al quotidiano dei vescovi italiani di domenica
scorsa ribadisce la scomunica "come medicina in chiave pedagogica" (bonta'
sua!), per chi compie l'aborto o anche solo collabora, ad esempio, vendendo
o somministrando la pillola abortiva. Costa fare affermazioni drastiche e
ripeterle ogni volta. Ma lo sgomento e' troppo grande. Il potere
ecclesiastico amministra le paure che l'uomo e la donna hanno di fronte alle
pulsioni della vita e su tale paura e sui sensi di colpa edifica il proprio
autoritario paternalismo. Tutti sanno bene quanto cio' sia vero. Manca a
molti il coraggio di dirlo apertamente.
Cari "crociati della vita", laici, teologi, prelati e papi, pretendete di
sedere in cattedra e di insegnare etica, ma forse e' meglio che impariate
prima il vocabolario essenziale dell'etica il quale per tanta parte e'
iscritto nella memoria e nella saggezza secolare delle donne. La Chiesa,
nata dal Vangelo, dovrebbe ispirarsi sempre alla "buona notizia" annunciata
da testimoni senza potere e rivolta ai poveri. Purtroppo da Costantino in
poi si e' creata una rovinosa divaricazione. E' nata la Chiesa del potere.
Nell'epoca della secolarizzazione questa Chiesa, privata ormai degli
strumenti politici e culturali che nel Medioevo le assicuravano il dominio
globale sulla societa', ha individuato una specie di vuoto di spiritualita'
e di valori etici e li', in quello spazio non coperto dalla tecnologia, dal
mercato e dalla democrazia, hanno costruito il proprio fortino. Quel vuoto
lo sentiamo tutti. Ma sentiamo anche che ci sono nell'umanita' e in ciascuno
di noi le energie per colmarlo e c'e' la memoria della saggezza che nei
millenni ha accompagnato il cammino umano. Il Vangelo e' parte di questa
memoria di saggezza, per questo molti cattolici critici verso la Chiesa del
potere non rompono i legami per non lasciare che la ricchezza del Vangelo, e
della tradizione che lo ha mantenuto vivo nei secoli, sia monopolizzata
totalmente dalle gerarchie. E' cosi', in particolare, per la comunita' di
base.
L'intervento delle gerarchie deprime le energie umane. Ci vogliono eterni
bambini o meglio pecore belanti. L'elemento culturale su cui oggi si fonda
il paternalismo ecclesiastico e' la "verita' perenne della natura" di cui la
gerarchia avrebbe la chiave. Non c'e' niente di tutto questo nel Vangelo.
Anzi il Vangelo e' un grande messaggio di valorizzazione della creativita'
dello Spirito che anima costantemente la ricerca umana e la conduce ben
oltre la cosiddetta etica naturale codificata. Ed e' anche una denuncia
forte dei soprusi che provengono dalle cattedre di verita'. Gli uomini che
stavano lapidando un'adultera erano molto religiosi, si appellavano a Dio
creatore e rivelatore e alla sua legge, era Dio stesso che imponeva di
considerare l'adulterio un atto contro la verita' della natura, la loro mano
era mossa dalle cattedre di verita' di quel tempo. Gesu' li freddo' con una
frase che dovrebbe freddare anche oggi le gerarchie ecclesiastiche: "Chi di
voi e' senza peccato scagli la prima pietra, nessuno ti ha condannata,
nemmeno io ti condanno".
Come il Sabba fu lo strumento inquisitorio della caccia alle streghe cosi'
oggi si usa l'aborto per accendere nuovamente i roghi delle donne. Un passo
avanti si e' fatto: e' sparito il rogo fisico. Ci si contenta di riproporre
la condanna penale dell'aborto. Ma il risultato culturale e politico e'
sempre lo stesso: l'annullamento della soggettivita' femminile come
soluzione finale per il dominio moderno sulla natura e sulle coscienze. La
donna che ha potere sulla vita e' in se' una concorrente pericolosa di ogni
sistema di dominio, non solo di quello religioso. Quando il potere
ecclesiastico arrivera' a chiedere perdono alle donne di tutti i misfatti
compiuti contro le loro coscienze fin dalla piu' tenera eta', contro i loro
corpi, i loro uteri, la loro capacita' generativa e creativa, allora e solo
allora sara' credibile nel suo parlare d'aborto e di difesa della vita.
Quando il potere ecclesiastico avra' compiuto una riparazione storica
facendo spazio alla visione femminile di Dio, della Bibbia, di Cristo, della
fede e della vita della Chiesa, allora potra' intervenire credibilmente
sull'etica della vita. Ma in quel momento si sara' dissolto come "potere".
Credetemi, sara' un bel giorno. Merita lavorare perche' si avvicini.

6. RIEDIZIONI. ASHA MIRO': FIGLIA DEL GANGE
Asha Miro', Figlia del Gange, Sperling & Kupfer, Milano 2004, Rba Italia,
Milano 2009, pp. VIII + 98, euro 7,99. L'autrice e' una giovane donna nata
in India, adottata a Barcellona, che torna nel paese natale. Una toccante
testimonianza. Con sguardo e con voce di donna.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 906 dell'8 agosto 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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