Voci e volti della nonviolenza. 356



==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 356 del 4 agosto 2009

In questo numero:
1. Amnesty International
2. "Kamen'" intervista Edoarda Masi (2004) (parte prima)
3. Riletture: Luigi Pintor, I mostri
4. Riletture: Luigi Pintor, Parole al vento
5. Riletture: Luigi Pintor, Servabo
6. Riletture: Luigi Pintor, La signora Kirchgessner
7. Riletture: Luigi Pintor, Il nespolo
8. Riletture: Luigi Pintor, Politicamente scorretto
9. Riletture: Luigi Pintor, I luoghi del delitto
10. Riletture: Luigi Pintor, Punto e a capo
11. Riletture: AA. VV., Dibattito sul "Manifesto" quotidiano

1. RIFERIMENTI. AMNESTY INTERNATIONAL

Per contattare la sezione italiana di Amnesty International: gli uffici si
trovano in via Giovanni Battista De Rossi 10, 00161 Roma, tel. 0644901 (il
centralino risponde dal lunedi' al venerdi' dalle 9,30 alle 13 e dalle 14
alle 16), fax: 064490222, e-mail: info at amnesty.it, sito: www.amnesty.it

2. MAESTRE. "KAMEN'" INTERVISTA EDOARDA MASI (2004) (PARTE PRIMA)
[Dal sito www.criticamente.com riprendiamo la seguente intervista a Edoarda
Masi (1) li' riprodotta per gentile concessione della rivista di poesia e
filosofia "Kamen'" (2)]

- Edoarda Masi: Nel XIX secolo e' risultata chiara, ed e' stata analizzata
nella teoria economica e sociologica, la contrapposizione fra capitale e
lavoro e la complementarieta' dei due poli. Essendo il lavoro l'elemento
vitale del capitale, la lotta contro il capitale cresceva dall'interno dei
meccanismi di quest'ultimo. Il lavoro si incarnava nel proletariato
industriale - non solo avversario del capitale perche' oppresso, sfruttato
ecc., ma perche' sua componente necessaria e contraddittoria. La
possibilita' di uscire da quel sistema si fondava sul lavoro, che ne era a
un tempo la componente base e il nemico radicale.
*
- "Kamen'": Il paradigma del lavoro era proprio quello.
- Edoarda Masi: Si', non si trattava solo di ideologia: della validita' di
quella teoria abbiamo una prova storica in centocinquanta anni di lotta.
*
- "Kamen'": Era un corrimano, uno strumento razionale che permetteva di
mettere in evidenza una prospettiva, un certo numero di fatti. Le due classi
sono un portato storico della rivoluzione industriale: non c'e' l'una senza
l'altra, in un legame fondamentale.
- Edoarda Masi: Nella sua trionfale evoluzione il capitale ha finito, nella
fase presente, con il divorare letteralmente sia la classe proletaria sia
quella borghese. Nel Manifesto del Partito comunista c'e' un'espressione
sottolineata da Hobsbawn, a cui di solito non si bada: Marx dice grosso modo
che, a un certo momento, il capitale dovra' essere superato dal lavoro
oppure si avra' la fine di entrambe le classi in lotta. Credo che proprio
questo si sia verificato. Una cosa e' la borghesia, una cosa e' il capitale.
Questo e' un meccanismo economico, mentre la borghesia e' la classe
dirigente che lo ha gestito in una ascesa sociale durata secoli fino al
trionfo nell'Ottocento. Oggi gli eredi della borghesia non hanno piu' il
carattere di classe dirigente. Il tratto di una classe dirigente e' quello
di difendere si' i propri interessi economici, ma nello stesso tempo di
riuscire a rappresentare in qualche modo anche interessi generali.
*
- "Kamen'": Per un'etica di classe?
- Edoarda Masi: Prima che per un'etica, per necessita' di fatto. Ad esempio,
prendiamo la miserabile piccola borghesia italiana. Al momento dell'unita',
per poter gestire lo sviluppo ha dovuto promuovere l'istruzione universale,
costruire le infrastrutture, creare i servizi pubblici, ecc. Questo era
nell'interesse anche pubblico. Non le era dato perseguire i propri interessi
di classe senza costruire un'entita' superiore, lo stato-nazione; che finiva
col rappresentare tutti i cittadini, pur nelle differenze sociali.
*
- "Kamen'": L'idea che ha interpretato ad esempio, in epoca piu' recente,
anche Olivetti.
- Edoarda Masi: Si', Olivetti in modo ancora piu' accentuato perche' era
anche un innovatore. Esisteva una dimensione della politica che non era la
stessa identica dimensione della struttura economica.
*
- "Kamen'": C'era un senso del privato e del pubblico, di una loro
suddivisione che oggi non c'e' piu'. Non e' il frutto di un certo
Sessantotto?
- Edoarda Masi: Secondo me, no; e' il frutto di una evoluzione del capitale.
Oggi il capitale dominante e' in primo luogo quello finanziario, che e'
cresciuto enormemente; e poi il capitale speculativo. La recente crisi
asiatica, ad esempio, e' dovuta al capitale speculativo: un capitale che
pretenderebbe, in certo qual modo, di eliminare il lavoro e vivere su se
stesso, come fosse il gioco della roulette. E' un assurdo, poiche' lo stesso
capitale finanziario, che genera la speculazione, si basa sul lavoro, sulla
produzione. Se non ci sono merci non si ha profitto: se non si ha profitto,
non si ha speculazione. La tendenza del capitale, tendenza suicida, e'
quella di eliminare oggi il lavoro che lo minaccia.
*
- "Kamen'": In che senso lo minaccia?
- Edoarda Masi: Perche' il lavoro pretende sempre piu' di essere interamente
remunerato, a scapito del profitto e quindi della possibilita' stessa
dell'accumulazione e della riproduzione allargata - la cosiddetta
"crescita", senza la quale la struttura del capitale crollerebbe. Uno dei
mezzi con cui il capitale oggi (ma la tendenza era gia' visibile
nell'Ottocento) tende in modo ancor piu' clamoroso a liberarsi del lavoro,
con le sue giuste rivendicazioni, e' la colonizzazione. Gia' Rosa Luxemburg
aveva elaborato una teoria secondo me valida nella sostanza, nonostante le
critiche ricevute per le carenze nei calcoli tecnico-matematici: il capitale
ha avuto bisogno di espandersi fuori delle sfere industrializzate, perche'
vi trova manodopera disponibile, senza limiti, a costi bassissimi. Oggi la
tendenza si e' estesa al punto di coinvolgere non solo la manodopera
industriale malpagata, ma il mondo contadino, dove le transnazionali sono
penetrate direttamente attraverso il sistema dell'agribusiness, dei brevetti
dei semi, ecc. Vi e' quindi un controllo diretto dell'agricoltura nei paesi
dove i lavoratori per la maggioranza coltivano la terra o abitano nelle zone
rurali. Il controllo e la rapina colpiscono pure gli agricoltori benestanti,
soggetti alle transnazionali che, in luoghi ricchi dal punto di vista
naturale, si appropriano delle sementi e le brevettano diventandone i
proprietari. Perfino i floricoltori di San Remo, ad esempio, sono obbligati
ogni anno a ricomprare i semi dei loro fiori, che non appartengono piu' al
regno della natura: hanno subito modifiche biologiche per cui spesso non si
riproducono piu' nel secondo anno. E anche quando tecnicamente non e' cosi',
lo e' comunque sul piano giuridico, perche' i semi brevettati non sono
proprieta' di chi li usa. Negli Stati Uniti questo e' accaduto da tempo
anche per il pollame, le uova, ecc. Sono convinta che una delle campagne
importanti da fare sia quella contro la cosiddetta "proprieta'
intellettuale" - che in questo come in ogni altro campo ha ben poco a che
vedere con la difesa dei "prodotti dell'intelletto", ma e' uno strumento di
dominio economico delle grandi corporazioni. Nella struttura in apparenza
sfuggente assunta oggi dal mondo capitalistico, sembra che non riusciamo a
trovare l'equivalente di quello che era stato un tempo il lavoro, la forza
che possa combattere strutturalmente questo sistema. Si fanno manifestazioni
contro la guerra: il fronte dei partecipanti e' molto ampio e vi sono tante
motivazioni eterogenee. Nel complesso, pero', sono motivazioni etiche e
interne al sistema stesso, prive di un progetto alternativo.
*
- "Kamen'": E' gia' molto questo pero'!
- Edoarda Masi: No. e'  molto nel senso che si e' formata una massa di gente
che protesta. Ma poi si trova impotente, perche' non e' in grado di proporre
niente che sia alternativo a questo sistema.
*
- "Kamen'": Ma l'etica e' per noi strutturale, come l'arte, il pensiero ecc.
Che ne pensa?
- Edoarda Masi: Le motivazioni etiche, come quelle utilitarie, sono il punto
di partenza delle posizioni assunte dagli individui e delle loro azioni.
Dopo di che e' necessaria un'analisi della realta' - risalire ai motivi e
alle cause che generano i fatti che ripugnano alla nostra visione morale - e
l'elaborazione di progetti alternativi e di strategie politiche.
Diversamente, saremo solo quel che Hegel chiamava "anime belle".
*
- "Kamen'": Ma riprendiamo il discorso sulla incapacita' di ripensare un
progetto alternativo: in tutto questo non si rimette in gioco la funzione
degli intellettuali e della politica e la crisi della ragione illuminista,
in termini francofortesi, l'avanzare della ragione strumentale, in un
sistema della ragione che diventa autoreferenziale in una corsa dei saperi e
delle discipline all'autoreferenzialita'?
- Edoarda Masi: Questo perche' la dialettica dell'illuminismo ha percorso la
sua parabola. Se poi ci riferiamo al lavoro specifico degli intellettuali,
bisogna riconoscere che non tutti, ma una loro minoranza fra cui non pochi
americani, a cominciare da Chomsky, l'analisi di come funziona questo
orrendo sistema ce la fanno. Disponiamo di tutti i dati, intere biblioteche,
per vedere come tutto cio' funziona. Quello che non viene fatto e' il
passaggio ulteriore alla politica.  Constatiamo, per esempio, che dietro
alla guerra in corso vi sono da un lato gli interessi petroliferi,
dall'altro il disegno di egemonia mondiale degli Stati Uniti (che devono
impossessarsi dell'Asia occidentale e centrale per poi procedere verso
oriente, mettendo in difficolta' anche l'Europa). Questo e' abbastanza
chiaro. Quel che non viene spiegato e' il rapporto tra questa prassi e i
fatti strutturali che la determinamo. Perche' gli americani, che in fondo
hanno una grande tradizione democratica e proprio nel settore piu'
conservatore sono stati a lungo isolazionisti, sono passati a una politica
di espansione globale?  Che cosa c'e' dietro? Perche' questa trasformazione?
E' su questo che secondo me oggi non si fa piu' l'analisi. Un tempo si
sarebbe detto, si fa l'analisi della sovrastruttura e non della base
economica strutturale.
*
- "Kamen'": Ma un'economia che si basa prevalentemente sul capitale
finanziario puo' stare in piedi? E non e' un effetto di quell'ansia e
autonomia schizofrenica dei saperi che non fanno piu' struttura?
- Edoarda Masi: Questa e' una situazione di suicidio, che pero' trascina
nella morte il mondo intero, anche sul piano ecologico, assolutamente
distruttiva. Uno dei grandi pensatori di oggi, Istvan Meszaros, ungherese
allievo di Lukacs, che lascio' l'Ungheria nel 1956 e da molti anni e'
professore di filosofia in Inghilterra, ha pubblicato nel '95 l'ultimo
grosso libro, intitolato Oltre il capitale. E' stato tradotto in  molte
lingue, e ha avuto in America Latina piu' di una edizione in pochi mesi.
Rovesciando con una battuta un'affermazione di Schumpeter, secondo il quale
il capitale procede a una distruzione costruttiva, Meszaros dice che
attualmente il capitale costruisce la distruzione. E' effettivamente cosi'.
Si uscira' dallo stallo? Personalmente ho poca fiducia che se ne esca
partendo dall'Europa, e' piu' probabile che dall'Asia e da una parte
dell'America Latina vengano dei cambiamenti.
*
- "Kamen'": Un pensatore come Amartya Sen, l'economista, che dici di lui?
- Edoarda Masi: E' bravo, ma non e' solo, tutta l'India e' ricca di vita
intellettuale, politica, scientifica. Anche il movimento delle donne indiane
produce pensiero.
*
- "Kamen'": Non e' come noi che siamo a fare il nulla.
- Edoarda Masi: No, non si puo' dire per gli individui, ma e' nel complesso
che l'Europa in questo momento... Vedi, anche la resistenza francese che e'
ammirevole rispetto alla schifezza di casa nostra, secondo me e' residuale,
si basa ancora sulle idee golliste dello stato-nazione. Allora, perche'
Francia si' e Italia no? Perche' i francesi godono di un'enorme eredita' che
li rende ancora forti, uno stato-nazione che risale a Giovanna d'Arco e
anche prima, a Luigi IX; e poi l'eredita' della rivoluzione, e quella
napoleonica. Lo stato napoleonico non e' uno scherzo. Napoleone non e' stato
solo un guerriero, ha costruito un sistema giuridico, il codice civile, la
grande struttura amministrativa... Tuttavia questa eredita' e' residuale.
*
- "Kamen'": Ha detto un'amica e storica francese che questa attivita'
residuale ha coalizzato tutto il paese, destra e sinistra.
- Edoarda Masi: Meno male, ma non apre a un futuro. E' un po' come la
Toscana in Italia: e' il paese dove si sta meglio, regge su un passato.
Mentre per esempio Milano e' uno sfacelo. Ma in un certo senso Milano e'
piu' avanti della Toscana, giacche' per lo sfacelo si deve passare.
*
- "Kamen'": Edoarda Masi e' nota al pubblico colto soprattutto come
sinologa. Com'e' la situazione attuale della Cina, rispetto a quella di anni
fa.
- Edoarda Masi: Una giovane giornalista del "Manifesto", molto brava, Angela
Pascucci, che si occupa degli esteri ma soprattutto della Cina, e' stata di
recente a Shanghai e ha scritto un articolo sulla Fiat di Nanchino. Mi aveva
mandato questo pezzo per un parere; lei non ne era soddisfatta, eppure era
un articolo ottimo. Le ho detto che non deve preoccuparsi se non e'
soddisfatta di quello che ha scritto perche' oggi scrivere sulla Cina e'
difficilissimo, a meno che non si ripieghi sulla critica letteraria; cosa
relativamente agevole, perche' hanno scrittori notevoli, sia narratori che
poeti. Hanno dei poeti straordinari. I cinesi per tradizione hanno sempre
avuto un grande poesia. E' un paese che si esprime in poesia.
*
- "Kamen'": Sono tradotti in italiano questi poeti?
- Edoarda Masi: Si', in parte. Tradurre la poesia cinese e'
straordinariamente difficile, specie in italiano. E' leggermente piu' facile
tradurla in inglese. La lingua cinese non e' flessa ed e' molto sintetica.
La lingua europea piu' sintetica e meno flessa e' l'inglese. Se hai un verso
cinese di cinque sillabe, in italiano diventa di venticinque sillabe. E'
necessario un vero poeta per tentare un equivalente. Questo vale per
qualsiasi poesia, ma per la poesia di una lingua cosi' diversa l'ostacolo e'
maggiore. Allora, alcuni fra i piu' grandi traduttori non poeti scelgono di
fare quelle che Fortini chiamava traduzioni di servizio. Come nelle versioni
interlineari, ti dicono il senso parola per parola, ti dicono il suono di
ogni carattere cinese, e poi danno una semplice versione in prosa del testo.
E' il metodo seguito da David Hawkes per Tu Fu (per il suono adotta la
pronuncia di oggi, diversa da quella dell'epoca Tang –- Tu Fu e' dell'VIII
secolo. Tuttavia, pur essendo cambiato il suono, le rime rimangono nel
passaggio alla pronuncia odierna, come pure, naturalmente, i toni). Hawkes
aggiunge una breve esposizione sulle circostanze in cui il testo e' stato
scritto; segue l'esegesi sulla forma, sulla metrica, che in quell'epoca era
rigidamente regolata. Con questo metodo sono riuscita a far leggere la
poesia in cinese a gente che della lingua cinese non sapeva nulla. Anche
Francois Cheng, sinologo francese, traduce con questo sistema. Invece il
grande Arthur Waley traduceva in inglese direttamente e riusciva a farlo
bene, favorito comunque dalla lingua inglese. I poeti contemporanei sono
particolarmente difficili da tradurre, sono poeti di avanguardia e per di
piu' con molti riferimenti alla poesia tradizionale. Sono di difficile
lettura anche per i cinesi. Nell'opera di traduzione e' benemerita Claudia
Pozzana, che e' lei stessa autrice di versi e da anni segue la nuova poesia
cinese. Ha il merito di pubblicare sempre le sue traduzioni col testo
originale a fronte. Ha tradotto bene, per esempio, Yang Lian. Eppure devo
dire che quando Yang Lian e' venuto a Milano e ha fatto una lettura dei suoi
versi, e' stata una cosa straordinaria, era bello sentire l'originale, la
forza dell'originale. La traduzione ti aiuta, se non avessi avuto la
traduzione, forse non avrei capito neanche il senso; pero' molto va perduto.
Non e' facile tradurre neanche i prosatori contemporanei, ma per i poeti e'
veramente difficile. Dicevo che parlare della Cina attraverso la mediazione
degli scrittori e' piu' facile. E' un paese immerso in tremende
contraddizioni, eppure e' estremamente vitale. C'e' la critica, c'e' il
pensiero, c'e' la scrittura, e' un paese culturalmente in effervescenza. E'
impossibile prevedere se procedera' verso una crescita o verso
un'involuzione (indipendentemente dal successo economico e politico,
incontestabile). Un giudizio sulla situazione politica e' quasi impossibile.
Un giudizio politico, per quanto si voglia distaccato e obiettivo, comporta
una presa di posizione dell'osservatore. Dobbiamo tenere in considerazione
che oggi la Cina si presenta come possibile bersaglio futuro degli Stati
Uniti nella loro pretesa di egemonia sul mondo. Di fronte a una situazione
simile, non solo chi per motivi di studio e di frequentazione ha come me in
quel paese una seconda patria, ma anche qualunque persona civile non puo'
non schierarsi dalla parte della Cina, potenza pacifica che rischia di
essere aggredita e strangolata. Il problema delle sfere dirigenti americane
e' su come sia meglio  strangolarla. Discutono su questo: bastera' la
penetrazione capitalistica per controllarla? Oppure no, giacche' con lo
sviluppo del capitale crescera' come grande potenza indipendente, sfida e
ostacolo alla nostra egemonia globale? meglio allora aggredirla anche
militarmente. Il dilemma e' di questo tipo, riguarda il come strangolarla.
Su questo piano la Cina va comunque appoggiata, senza molte distinzioni fra
popolo e governo. D'altra parte chi studia la storia sociopolitica della
Cina e' portato a un atteggiamento fortemente critico di fronte all'attuale
governo. Per esempio, hanno fatto di tutto per entrare nell'Organizzazione
mondiale del commercio. Ma apertura al mercato con il Wto significa
subalternita'. Hanno puntato sull'investimento di capitali esteri e sulla
produzione per l'esportazione: il che li mette in condizione d'essere
ricattati e di possibile instabilita'. La situazione economica interna e'
spaventosa perche' spaventosa e' la forbice che dal punto di vista del
reddito e delle condizioni di vita divide i vari strati della popolazione.
C'e' una minoranza piccolissima straricca, e un buon numero di abitanti
delle maggiori citta' che se la cava: un tenore di vita inferiore al nostro
ma decente. Il sessanta per cento della popolazione vive nelle campagne e
sta sempre peggio. La riprivatizzazione della terra coltivabile - peraltro
assai scarsa - ha prodotto l'espulsione dal lavoro di un gran numero di
persone. Si e' tornati a un fenomeno proprio dell'epoca prerivoluzionaria,
la formazione di un "popolo vagante" di centinaia di milioni, migranti
interni per miseria totale, che si accampano in baraccopoli ai margini delle
citta'.
*
- "Kamen'": E' sottoproletariato urbano?
- Edoarda Masi: Non e' tanto un sottoproletariato, e' un vero e proprio
proletariato perche' si tratta di lavoratori, sottopagati e supersfruttati.
Sono l'equivalente degli immigrati da noi (prima dal sud al nord, ora dai
paesi asiatici, africani, latinoamericani). Lo sono anche
amministrativamente. Per esempio in zone ricche come Shanghai. La Cina e'
divisa in province intese alla latina, una provincia ha le dimensioni di uno
stato europeo. Shanghai e Pechino, che sono le citta' piu' grandi, hanno una
amministrazione propria, non fanno parte della provincia che hanno intorno,
ma formano come una provincia a se'. L'amministrazione di Shanghai per
accogliere quelli che vengono dalle altre province richiede ben tre permessi
di soggiorno: uno di polizia, uno per l'alloggio, e un contratto di lavoro.
Senza di questi, se uno viene beccato viene messo in un centro di detenzione
temporanea. E' interessante questa analogia con quanto accade da noi, a
prova che non si tratta di un meccanismo razzista, ma del frutto di un
sistema economico, tanto da presentarsi anche fra abitanti della stessa
nazionalita'. Questi irregolari sono in parte tollerati perche' sono
lavoratori non protetti, a basso salario, che vengono adoperati
principalmente nell'edilizia, dove si costruisce con velocita' sbalorditiva,
in pochi mesi si trasformano le citta'. Questi operai lavorano a cottimo di
gruppo, se il gruppo entro il termine non consegna il lavoro, non viene
pagato, semplicemente. Sono sistemi brutali di capitalismo selvaggio. A
volte a profitto di capitale misto cinese e estero, a volte di solo capitale
cinese. Il capitale estero e' poi spesso di cinesi all'estero. Esiste una
Cina della costa diversa dall'interno e dal nord, dove prevale il commercio.
Gia' nel passato commercianti e anche banchieri cinesi si sono diffusi per
l'ambiente del Pacifico. Gente che manovra denaro in Indonesia, nelle
Filippine, e fino negli Stati Uniti...
*
- "Kamen'": La Cina rimane ancora in gran parte un paese rurale?
- Edoarda Masi: E' rurale nel senso che la maggioranza della popolazione
vive in campagna. Maria Regis diceva che l'avvenire della Cina puo' essere
solo industriale e non rurale. Benche' abbia una grande estensione, la terra
coltivabile e' scarsa. La maggior parte della terra e' fatta di deserti e
montagne. Rispetto all'enorme popolazione sempre in crescita, anche col
migliore dei sistemi di coltivazione non sarebbe in grado di nutrire i suoi
abitanti. Ha sempre importato cereali, anche nell'epoca di Mao importava
cereali dall'Australia, dal Canada... Non e' un paese che possa contare su
un'agricoltura ricca, come certi paesi dell'America Latina, rovinati per
altri motivi. Dopo la morte di Mao, nei primi anni del governo di Deng
Xiaoping, c'e' stato un relativo miglioramento delle condizioni di vita in
una parte delle zone rurali, grazie a una politica dei prezzi che favoriva i
prodotti agricoli. Ma in generale i contadini stavano meglio semplicemente
perche' si erano messi a fare una quantita' di mestieri, diciamo di piccolo
commercio, sul quale i piu' abili o furbi o fortunati hanno lucrato, a danno
di altri. La terra e' stata ridistribuita ai coltivatori - misura
inopportuna data la estrema scarsita' di terra coltivabile. A ogni famiglia
tocca una superficie coltivabile microscopica, che non consente ai suoi
membri di mantenersi in vita. Anche prima delle riforme socialiste un certo
grado di cooperazione era indispensabile. L'unico modo per poter
sopravvivere e' collaborare. Un gruppo di famiglie, una cooperativa, una
comune potevano acquistare e impiegare utilmente macchine agricole e altri
mezzi di produzione, proibitivi e anche eccessivi per la singola famiglia.
La collettivizzazione degli anni Cinquanta non ha avuto il carattere
drammatico che aveva avuto in Russia. In Russia una parte dei contadini era
contraria, non cosi' in Cina, dove si e' trattato di un fenomeno
semispontaneo, partito dalla base. Il disaccordo ci fu in seguito, quando si
tento' nelle comuni una sorta di "militarizzazione" della vita quotidiana,
che ai contadini non piaceva. L'idea di mangiare alla mensa invece che a
casa era senza dubbio piu' razionale, si risparmiavano soldi, tempo e
fatica; ma a una famiglia contadina piace mangiare a casa sua secondo la
tradizione. Certi eccessi non sono piaciuti ai contadini, ma l'idea di fare
le cooperative era bene accetta. La redistribuzione della terra ha finito
col portare molti alla miseria, alla fuga. Il piu' furbastro riusciva ad
accaparrarsi la terra migliore, poi prendeva gli altri come braccianti (ora
e' consentito) e cercava di produrre il piu' possibile, sfruttandoli e
riducendone il numero al minimo. Cosi' e' cominciata l'enorme fuga, e in
certi casi perfino l'abbandono della terra - un paradosso in un paese che
non ha terra sufficiente per nutrire i suoi abitanti. La burocrazia cinese
e' particolarmente brava, ha alle spalle piu' di duemila anni di esperienza.
Finora e' riuscita a stare in equilibrio in una situazione assurda, in cui
per un verso si continua il controllo statale sull'economia e per l'altro si
apre al mercato internazionale: due cose che fanno a pugni. Finora si sono
barcamenati, naturalmente con una serie di contrasti: fra poteri locali e
centrale, la connivenza fra privati e funzionari statali, con corruzione a
livelli incredibili.
*
- "Kamen'": E Tien an men?
- Edoarda Masi: Tien an men e' stato uno dei risultati di questa politica.
Come e' stata diffusa nel mondo dalla Cnn, la faccenda e' apparsa centrata
unicamente sulla rivolta studentesca, si e' omesso il fatto che mentre gli
studenti protestavano a piazza Tien an men, quattro milioni di cittadini di
Pechino erano in rivolta, e poi milioni e milioni di cittadini delle grandi
citta' della Cina. C'e' stata la rivolta guidata dai sindacati liberi. I
primi militari inviati a domare la folla sono stati pacificamente persuasi
da questa a desistere: le donne di Pechino mettevano i loro bambini in
braccio ai soldati. Allora per "riportare l'ordine" hanno dovuto mandare
soldati da province lontane che parlano altri dialetti e che non potevano
comunicare con la popolazione. Era stato loro raccontato che a Pechino c'era
una rivolta contro il socialismo e bisognava domare i controrivoluzionari.
Quei poveracci hanno condotto l'operazione senza sapere quel che facevano,
non potendo comunicare. Non si trattava solo degli studenti nella piazza,
era in rivolta gran parte della Cina urbana. I motivi dell'insurrezione sono
tanti, e' l'insieme dei motivi per cui la popolazione nelle sue varie
componenti era contro la politica governativa. Per spiegarli occorrerebbe
una lezione di piu' ore sulla storia della Cina. Fra gli studenti le
motivazioni erano abbastanza confuse, una rivendicazione da un lato per la
democrazia, dall'altro per il benessere del popolo. Un amico cinese mi
diceva che quelli di Tien an men erano principalmente figli di quadri, si
trattava cioe' di una faccenda quasi interna al partito. Pero' hanno
innescato una rivolta generale del popolo. Questo non e' nuovo in Cina. Gli
studenti sono stati quelli che hanno innescato anche la rivoluzione
culturale.
*
Note
1. Edoarda Masi e' nata a Roma nel 1927. Si e' laureata in giurisprudenza a
Parma nel luglio 1948. Dal 1950 al 1973 e' stata bibliotecaria (ruolo
direttivo, ruolo dirigente) nelle biblioteche statali (Biblioteca Nazionale
di Firenze, Biblioteca Nazionale dì Roma, Biblioteca Nazionale di Milano).
Nel 1956 si e' diplomata presso l'Ismeo di Roma in lingua e istituzioni
cinesi e in lingua russa. Dopo un corso di perfezionamento in lingua cinese
presso lo stesso Ismeo, ha frequentato un corso speciale di lingua cinese
presso l'Universita' di Pechino, nel cui campus ha vissuto nel 1957 e 1958.
Dal l968 al 1971 ha tenuto seminari sulla cultura e la storia della Cina
moderna presso le universita' di Torino, Venezia, Roma, l'Istituto superiore
di sociologia di Milano, l'Istituto universitario orientale di Napoli,
l'Istituto di studi storici e sociologici dell'Universita' di Urbino,
l'Istituto superiore di scienze sociali di Trento. Nel 1970-71 ha insegnato
lingua cinese presso l'Ismeo di Milano. Nel l971 ha conseguito la libera
docenza in lingua e letteratura cinese. Negli anni accademici 1971-72,
1972-73,1973-74 e' stata incaricata dell'insegnamento di letteratura cinese
moderna e contemporanea presso l'Istituto universitario orientale di Napoli.
Nel 1976 ha lavorato informalmente presso l'Ambasciata d'Italia a Pechino.
Nell'anno accademico 1976-77 ha insegnato lingua italiana presso l'Istituto
universitario di lingue straniere di Shanghai. Oltre che in Cina, ha
viaggiato (in Asia) in Giappone e in Vietnam. Ha collaborato a diversi
periodici, fra i quali: "Alfabeta", "Annali Feltrinelli", "Antigone",
"Asahi", "Aut aut", "Azimuth", "Cina", "Critica. Revista de la Maestria en
ciencias sociales de la Universidad Autonoma de Guerrero", "Guerre & Pace",
"Ideologies", "Kursbuch", "L'Indice", "Linea d'ombra", "Nuova rivista
storica", "L'ospite ingrato. Annuario del Centro studi Franco Fortini",
"Quaderni dell'amicizia (Associazione Italia-Cina)", "Quaderni piacentini",
"Quaderni rossi", "Rivista di storia contemporanea", "Rivista storica del
socialismo", "Socialist revolution", "Tempi moderni", "Les temps modernes",
"Ulisse". Ha pubblicato i seguenti volumi: La contestazione cinese, Torino,
Einaudi, 1968, 1969, 1971 (trad. tedesca: Die chinesische Herausforderung,
Berlin, Wagenbach, 1970); Lo stato di tutto il popolo e la democrazia
repressiva, Milano, Feltrinelli, 1976; Per la Cina, Milano, Mondadori, 1978
(trad. americana, con variazioni e aggiunte: China Winter, New York, Dutton,
1982); Breve storia della Cina contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1979; Il
libro da nascondere, Casale Monferrato, Marietti, 1985; Cento trame di
capolavori della letteratura cinese, Milano, Rizzoli, 1991; Ritorno a
Pechino, Milano, Feltrinelli, 1993; Storie del bosco letterario, Milano,
Scheiwiller, 2002. Ha curato le seguenti traduzioni dal cinese: Cao Xueqin,
Il sogno della camera rossa. Torino, Utet, 1964, 1981; Lu Xun, La falsa
liberta', Torino, Einaudi, 1968; Feng Youlan, Sommario di storia della
filosofia cinese, in: "I problemi della pedagogia", 1971-72; Lao She, Citta'
di gatti, Milano, Garzanti, 1986; Confucio, I dialoghi, Milano, Rizzoli,
1989; Chuanqi: storie fantastiche Tang, Parma, Pratiche, 1994; Lu Xun, Erbe
selvatiche, Macerata, Quodlibet, 2003.
2. "Kamen'. Rivista di poesia e filosofia", anno XIII, n. 23, gennaio 2004,
direttore responsabile: Amedeo Anelli.
(parte prima - segue)

3. RILETTURE. LUIGI PINTOR: I MOSTRI
Luigi Pintor, I mostri, Alfani, Roma 1976, pp. 152. Una raccolta di corsivi
di Luigi Pintor apparsi sul "Manifesto" tra il 1971 e il 1975, con stupende
illustrazioni di Tullio Pericoli (il titolo originale completo del libro e':
I corsivi del Manifesto. I mostri descritti da Pintor e disegnati da
Pericoli). Luigi Pintor (1925-2003), resistente e fratello del Giaime della
Resistenza martire - e destinatario dell'ultima lettera di Giaime, del 28
novembre 1943, di cui almeno l'incipit tutti sappiamo a memoria (e che puo'
esser letta in Giaime Pintor, Il sangue d'Europa, Einaudi, Torino 1950,
1977, e in Idem, Doppio diario 1936-1943, Einaudi, Torino 1978) -, militante
del Pci prima, fondatore e direttore del "Manifesto" poi, una delle figure
piu' nitide della sinistra italiana, e' stato - oltre che un moralista da
stare alla pari coi francesi del Gran Secolo - l'ultimo grande prosatore
della nostra lingua, della nostra letteratura.

4. RILETTURE. LUIGI PINTOR: PAROLE AL VENTO
Luigi Pintor, Parole al vento. Brevi cronache degli anni '80, Kaos, Milano
1990, pp. 400. Una raccolta di corsivi di Luigi Pintor apparsi sul
"Manifesto" tra il 1980 e il 1989. E il corsivo piu' bello e' forse la
commovente nota introduttiva.

5. RILETTURE. LUIGI PINTOR: SERVABO
Luigi Pintor, Servabo. Memoria di fine secolo, Bollati Boringhieri, Torino
1991, pp. 96 + 4 pp. di apparato iconografico. Tra ripiegamento
autobiografico, ferma moralita', profondita' di sguardo nei recessi del
profondo e dell'ingorgo psichico, delle trame dei mondi vitali quotidiani e
storico, con una precisione di dettato e di movimento educata sulla grande
prosa d'invenzione e sulla grande musica strumentale, il libriccino squisito
che rivelo' al pubblico colto il Pintor memorialista e narratore.

6. RILETTURE. LUIGI PINTOR: LA SIGNORA KIRCHGESSNER
Luigi Pintor, La signora Kirchgessner, Bollati Boringhieri, Torino 1998, pp.
152 (con un segnalibro che presenta questo ed il precedente volume). In
quest'autobiografia per squarci narrativi ora fulminei, ora appena piu'
distesi, tu leggi il Pintor che sempre t'impressiono'. Ricordo riandando
alla mia gioventu' che in quel prestigioso gruppo dirigente del giornale che
si era fatto allora anche partito, Pintor era quello che sentivo piu'
distante e profondo. Anche la Rossanda, altera incarnazione della cultura
europea tutta, la percepivi come ti guardasse da un'alta torre (non cosi'
Magri, la Castellina, la Menapace, ne' Milani, ne' Notarianni, ne' Parlato,
ne' gli altri, tutti piu' amichevoli, meno monumentali), ma Pintor recava in
se' qualcosa di tellurico e di sacrale, un lutto immedicabile, una distanza
siderale, un eccesso di umanita' e una cognizione del dolore che tu capivi
che nei suoi corsivi distillava e combatteva, e quella scrittura perfetta
era un suo modo di combattere il male, diagnosi e terapia, e conflitto e
liberazione ad un tempo, e la fiducia che donava ad altri col rigore suo
nasceva da una personale disperazione, solidale disperazione, come Leopardi;
o come in quel verso di Fortini: "ironia che resiste e contesa che dura". E
quando nel corso delle vicende degli anni '70 (che furono anni di molte
insensate rotture tra quanti pur condividevano molto seppur tra
fraintendimenti immensi) ci si allontano', fu il dirigente del distacco dal
quale sentii il morso - il rimorso - piu' acerbo, piu' crudo, piu' fondo,
un'amarezza e quasi un rancore provandone - perche' Pintor non era piu' con
noi? - come capita ai giovani. Negli anni, nei decenni che vennero poi - e
che furon durissimi - anch'io come tutti malamente invecchiando, sempre piu'
ho sentito un afflato, una sintonia con quel suo tragitto, ed anche con quel
suo carattere di resistente senza illusioni - emerso sempre piu' chiaramente
dai suoi libri di scritti non giornalistici, non immediatamente "militanti".
Un pessimismo ormai senza lenimenti, un'abissale disperazione, e insieme un
continuare la lotta, un contrasto fermo e luminoso come di faro e di torre
ad ogni oppressione, ad ogni menzogna; e un risolvere in forma
letteratissima i compiti dell'ora, in quella splendida scrittura restituendo
quella felicita' che l'oppressione storica e biologica nella vita e nella
societa' ci nega... E vale anche per lui quel che di Leopardi scriveva De
Sanctis in quell'indimenticabile saggio del 1858 in forma di dialogo tra A e
D.

7. RILETTURE. LUIGI PINTOR: IL NESPOLO
Luigi Pintor, Il nespolo, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 120. Franto
in brevi e brevissimi scritti organizzati in tre parti corrispondenti a tre
anni, dal 1997 al 1999, ed ogni parte divisa per mesi (ma non tutti i mesi
sono presenti), di una scrittura ad un tempo aforistica e narrativa per
ardite scorciatoie, e ancora una volta e' una resa dei conti con la propria
vita, con la vicenda del Novecento, questo libriccino e' un incandescente -
e raggelato per virtu' di stile - amalgama di memorialismo, moralismo,
saggio storico e politico; testimonianza, osservazione e distanziamento che
ad un tempo pudicamente esibisce e fieramente cauterizza ferite che giammai
cicatrizzano.

8. RILETTURE. LUIGI PINTOR: POLITICAMENTE SCORRETTO
Luigi Pintor, Politicamente scorretto. Cronache di un quinquennio 1996-2001,
Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. VIII + 306. Una raccolta quasi
completa degli editoriali di Luigi Pintor apparsi sul "Manifesto" tra il
1996 e il 2001. Con una cronologia politica della XIII legislatura e un
indice dei nomi.

9. RILETTURE. LUIGI PINTOR: I LUOGHI DEL DELITTO
Luigi Pintor, I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp.
80. Datata all'ultima pagina nell'"Ultimo semestre 2001", l'ultima -
sublime, e chirurgica una volta di piu' - operetta morale di Pintor.

10. RILETTURE. LUIGI PINTOR: PUNTO E A CAPO
Luigi Pintor, Punto e a capo. Scritti sul Manifesto 2001-2003,
Manifestolibri, Roma 2004, pp. 160. Una raccolta di corsivi di Luigi Pintor
apparsi sul "Manifesto" tra il 2001 e il 2003 (l'anno in cui e' deceduto).

11. RILETTURE. AA. VV.: DIBATTITO SUL "MANIFESTO" QUOTIDIANO
AA. VV., Dibattito sul "Manifesto" quotidiano, Alfani, Roma 1975, pp. 224.
Il dibattito sul quotidiano "Il manifesto" che, aperto da Pintor (che firma
anche la prefazione a questo volume), sul medesimo "Manifesto" si svolse nel
marzo-aprile 1975, con quasi cento interventi. In appendice un estratto da
un articolo apparso sul "Manifesto" mensile nel 1970 che l'esigenza del
quotidiano poneva; e un dibattito sul medesimo tema apparso sul settimanale
"L'Espresso" nel '71 tra Nello Ajello, Umberto Eco e Luigi Pintor. Quando
anni fa chi stende queste note si persuase dell'esigenza odierna di un
quotidiano - cartaceo, che giunga nelle edicole - della nonviolenza, era
anche memore di quell'antica esperienza che nel contesto di allora poteva
forse essere adeguato ed esatto uno svolgimento, e fu invece dipoi
un'occasione persa. Oggi - e son dieci anni almeno - quel che occorre, piu'
necessario del pane, e' un quotidiano della nonviolenza che metta a
disposizione di tutte le persone di volonta' buona il punto di vista e la
strumentazione ermeneutica ed operativa della nonviolenza, che proponga la
nonviolenza come la prospettiva e il principio necessari per la lotta che
oggi e' da condurre per difendere, promuovere, inverare i diritti umani di
tutti gli esseri umani e per salvare la biosfera dalla catastrofe.

==============================
VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
==============================
Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 356 del 4 agosto 2009

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it