Voci e volti della nonviolenza. 355



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 355 del primo agosto 2009

In questo numero:
1. Roberto Barzanti: Per la motivazione del premio Pozzale 2008 a Renato
Solmi
2. Andrea Casalegno presenta l'"Autobiografia documentaria" di Renato Solmi
3. Vittorio Gregotti presenta l'"Autobiografia documentaria" di Renato Solmi
4. Alberto Papuzzi presenta l'"Autobiografia documentaria" di Renato Solmi
5. Michele Sisto presenta l'"Autobiografia documentaria" di Renato Solmi
6. Et coetera


1. MAESTRI. ROBERTO BARZANTI: PER LA MOTIVAZIONE DEL PREMIO POZZALE 2008 A
RENATO SOLMI
[Dal sito del "L'ospite ingrato" (www.ospiteingrato.org) riprendiamo il
testo della motivazione dell'attribuzione del premio Pozzale 2008 a Renato
Solmi]

Rievocando il momento - 1954 - in cui usci' in italiano Minima moralia di
Theodor W. Adorno, tradotto e introdotto da Renato Solmi allora
ventisettenne, Franco Fortini scrisse: "Leggere le cinquanta pagine
introduttive e' chiedersi come un giovane da poco uscito d'universita' abbia
potuto scrivere pagine di tanta assoluta intelligenza e lucidita' storica; e
come simile risultato si sia dato in una situazione politica e intellettuale
di chiusura, di dimissione e irrigidimento" (1).
Il grato stupore di Fortini, ad oltre mezzo secolo di distanza dall'anno in
cui apparvero quelle pagine, e' ancora il nostro, anzi e' cresciuto nel
tempo, perche' ora ci e' dato comprendere meglio che intellettuali della
levatura di Renato Solmi sono casi rarissimi nel nostro Paese, e ne
travalicano ampiamente i confini.
Autobiografia documentaria (Verbarium - Quodolibet, Macerata 2007) attesta
una lunga e faticosa, quanto strenua e coerente, tensione di ricerca. Nel
libro che raccoglie gli scritti di Renato Solmi dal 1950 al 2004 risaltano
le stagioni di un impegno, vissuto con schiva onesta' e curiosita'
inappagata, fin dai mesi trascorsi all'Istituto di Studi Storici di Napoli e
dal successivo fervore con il quale egli partecipa a "Discussioni", una
rivista-incunabolo sulla soglia degli Anni Cinquanta di tormentati
confronti. Solmi si schiera a favore di una "politicita' consapevole e
volontaria della cultura" contro una partitarieta' obbligante e
disciplinata. Era un modo per opporsi alle gabbie dello stalinismo e per
rivendicare un marxismo come campo aperto, "sintesi di forze molteplici".
Quindi e' la volta del lavoro editoriale in Casa Einaudi, della scoperta,
entusiasta, dello "storicismo sconsolato" di Adorno e della Scuola di
Francoforte, della quale si sente spinto a diventare "semplice adepto".
Dopo l'allontanamento dall'Einaudi i trent'anni di insegnamento di storia e
filosofia nei licei e lo studio appassionato e partecipe di movimenti che
fanno intravedere nuove modalita' di organizzazione e una nuova radicalita':
dai "Quaderni rossi" ai "Quaderni Piacentini", alla "nuova Internazionale
pacifista e nonviolenta" che - ritiene Solmi - si sta sviluppando un po'
dovunque nel mondo.
Renato Solmi e' stato ed e' nei luoghi di fecondi e minoritari gruppi
ereticali. Al fianco: come compagno ostinato, e maestro severo.
Autobiografia documentaria ha una rilevanza da Opera omnia: testi e
esperienze vi si rispondono a vicenda in stretta complementarita'. La
modestia di Renato Solmi nello scegliere il titolo e' stata eccessiva, ma e'
pur vero che non si potrebbe facilmente scovare un titolo unitario per un
libro cosi' ricco, straripante d'intelligenza e lucidita', visto che le
pagine - scarne e necessarie, prive di qualsiasi artificio e ben lontane da
ogni accomodante autobiografismo filtrato dal senno di poi - su De Martino,
su Clausewitz, Brecht o Raniero Panzieri non sono meno importanti di quelle
dedicate a Walter Benjamin, Guenther Anders, Leo Spitzer. Con la stessa
liberta' e penetrazione con cui tratta questi autori, di alcuni dei quali
egli ha dato traduzioni definitive, Solmi sa parlarci dei problemi della
scuola in Italia e dei movimenti della sinistra americana. E proprio nelle
pagine sulla Nuova sinistra americana sono disseminate osservazioni e
intuizioni che risultano lungimiranti, da meditare con attenzione. Anche se
Solmi, sempre scontento e pronto ad additare vuoti e scompensi,
inadeguatezze e illusioni, semplificazioni e ingenuita', rifiuta la benche'
minima boria profetica e non lesina riflessioni autocritiche. Non si tratta
di tracciare un bilancio o lanciare ammonimenti, ma di un invito a pensare e
a capire oltre il contingente.
Nella Prefazione Solmi confessa la propria impressione che "questo libro,
che e', se cosi' si puo' dire, un sommario dettagliato della sua vita, sia
tutto rivolto verso il passato".
L'Autobiografia documentaria di Renato Solmi ci aiuta, in realta', a
interpretare il passato perche' ha presente ad ogni riga un futuro che mai
e' stato. E ci interroga. Non offre soluzioni ma propone domande, incita
indirettamente ad agire. Nella consapevolezza, adorniana, delle difficolta'
e delle sconfitte: "Comunque agisca, l'intellettuale sbaglia. Egli
sperimenta radicalmente, come una questione di vita, l'umiliante alternativa
di fronte alla quale il tardo capitalismo mette segretamente tutti i suoi
sudditi: diventare un adulto come tutti gli altri o restare un bambino" (2).
Il premio letterario "Pozzale - Luigi Russo" e' fiero, a sessant'anni dalla
sua fondazione, di scrivere nel suo album di insigni protagonisti di
un'Italia civile e combattiva il nome caro, fraternamente amico, di Renato
Solmi.
Roberto Barzanti
Empoli, 15 luglio 2008
*
Note
1. Quando arrivo' Adorno, "Corriere della sera", 6 febbraio 1977.
2. Th. W. Adorno, Minima moralia, Einaudi, Torino 1954, p. 127.

2. LIBRI. ANDREA CASALEGNO PRESENTA L'"AUTOBIOGRAFIA DOCUMENTARIA" DI RENATO
SOLMI
[Dal quotidiano "Il Sole 24 Ore" del 20 gennaio 2008 col titolo "Impegno nel
nome di Adorno" e il sommario "Raccolti gli scritti di una delle figure piu'
schive della nostra cultura. Introdusse in Italia i Minima moralia, fu
cacciato dall'Einaudi"]

Sempre di piu', mentre la vita avanza, tocchiamo con mano che poche cose
contano davvero: la salute, come ben sapeva Massimo Troisi, e gli affetti, e
fra questi il piu' nobile e disinteressato, l'amicizia. Un monumento
all'amicizia e' Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004 di Renato
Solmi: un grande volume magistralmente curato dall'amico Luca Baranelli, uno
dei migliori redattori che abbia mai avuto l'editoria italiana, finanziato
da piu' di 70 amici generosi e da varie istituzioni culturali, tra cui
spiccano l'Associazione culturale Michele Ranchetti, l'Istituto piemontese
per la storia della Resistenza e il Centro studi Piero Gobetti, e
soprattutto traboccante di amicizia nei contenuti. Il primo carattere di
Renato, accanto alla severita' verso se stesso, e' il riconoscimento
caloroso senza riserve del merito altrui.
Nato ad Aosta nel 1927 dal poeta Sergio Solmi, una figura importante nella
cultura italiana del Novecento, Renato e' l'intellettuale schivo e troppo
modesto che, chiamato dalla casa editrice Einaudi a 24 anni, e' stato
"l'importatore" di Theodor Wiesengrund Adorno e di Walter Benjamin in
Italia. E' stato lui a tradurre e a scrivere l'introduzione ai due
capolavori apparsi per primi nel nostro Paese, Minima moralia, il grande e
difficile libro di aforismi di Adorno, e la mirabile antologia Angelus novus
di Benjamin, un libro che fece epoca.
Solmi lesse i Minima moralia. Meditazioni dalla vita offesa fin dal 1952,
quando uscirono in Germania, e li propose subito all'Einaudi, incontrando
notevoli difficolta'. Poi, innamoratosi del pensiero della Scuola di
Francoforte, la raggiunse e la frequento' nel 1956-57. Adorno e' sempre
rimasto per Renato "il mio grande maestro". Basterebbe questo per meritargli
un posto nella cultura del dopoguerra, accanto alla sua vasta attivita' di
traduttore e saggista. Non minore apprezzamento merita la precocita' con cui
scese in campo, nella disputa politico-culturale, contro lo stalinismo
allora dominante nella sinistra.
Impossibile affrontare anche solo di scorcio i temi di un volume che in
pratica raccoglie l'opera omnia di Solmi, con studi che spaziano dalla
filosofia greca (Solmi si laureo' con una tesi su Platone in Sicilia) ai
classici del marxismo, con articoli, introduzioni, saggi, interventi
politici oggi introvabili. Ma uno almeno va citato. Nel saggio "I miei anni
all'Einaudi" Solmi racconta fedelmente e senza rancore la nota vicenda del
1963: la sua defenestrazione dalla casa editrice. Il gruppo dirigente si era
opposto compatto, spaccando pero' il consiglio editoriale, alla
pubblicazione di L'immigrazione meridionale a Torino di Goffredo Fofi, che
uscira' poi da Feltrinelli, la prima inchiesta importante sull'argomento; e
subito dopo si vendico' contro i redattori che avevano apertamente
contestato quella decisione. Cacciando sia Solmi sia Raniero Panzieri, il
fondatore dei "Quaderni rossi". A dire le cose come stavano, la casa
editrice aveva ricevuto da poco un sostanzioso contributo dalla Fiat; cosi'
racconta Piero Bairati nella sua biografia di Valletta. "Se la cosa fosse
stata presentata francamente in questi termini - commenta Renato - la
validita' di quei motivi sarebbe stata riconosciuta, sia pure con amarezza.
A suscitare l'indignazione dell'autore e dei curatori interni dell'opera fu
il modo obliquo e indiretto" con cui venne attaccata, ricorrendo
ipocritamente a "obiezioni di carattere stilistico e formale". La cattiva
coscienza non giova alle battaglie culturali.

3. LIBRI. VITTORIO GREGOTTI PRESENTA L'"AUTOBIOGRAFIA DOCUMENTARIA" DI
RENATO SOLMI
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 26 gennaio 2008 col titolo "La lezione
di Francoforte" e il sommario "Allievo di Adorno ha fatto conoscere il suo
pensiero in Italia e lo ha sostenuto discutendo con Cesare Cases l'aspetto
apparentemente antilluminista"]

Anche se ho conosciuto suo padre Sergio (a cui e' dedicato un bel testo in
questa raccolta), non ho mai incontrato personalmente Renato Solmi, che ha
esattamente la mia stessa eta'. Tuttavia posso dire che, a piu' riprese,
alcuni dei suoi scritti hanno cambiato la mia vita di architetto.
Naturalmente delle ottocento pagine che raccolgono in questa meritevolissima
raccolta di tutti i suoi scritti a cura di Michele Ranchetti (Renato Solmi,
Autobiografia documentaria, scritti 1950-2004, Quodlibet, pp. 836, 60 euro)
ne conoscevo solo una piccola parte ed in particolare quelli dedicati alla
scuola di Francoforte: a cominciare dall'introduzione a Minima Moralia che
ha fatto scoprire nel 1954, almeno al pubblico dei non specialisti come me,
le idee di Theodor Wiesengrund Adorno (di cui egli e' stato allievo a meta'
degli anni Cinquanta) e l'intera importanza della scuola di Francoforte.
Infine, otto anni piu' tardi, la prefazione alla sua traduzione di Angelus
Novus di Benjamin.
Negli anni successivi sono andato alla caccia dei suoi testi, sovente di
difficile reperimento, ma molti di questa raccolta erano a me sconosciuti.
Qualche anno fa sono tornato a leggere, in occasione di un testo che stavo
scrivendo intorno all'uso della nozione di realismo critico in architettura,
la sua traduzione del celebre libro di Lukacs sull'argomento. Ne' posso
dimenticare a questo proposito il suo dibattito con l'amico Cesare Cases
(ripreso poi in varie occasioni) a proposito dell'aspetto apparentemente
antilluminista di Adorno per i suoi caratteri radicalmente critici; peraltro
messi in discussione anche dalla scuola fenomenologica di Enzo Paci.
Al di la' di quelli intorno alla Sozialforschung di Francoforte, il volume
raccoglie scritti che coprono piu' di mezzo secolo e sono organizzati
cronologicamente, ma anche per argomenti di interesse via via piu' rilevanti
per Renato Solmi, anche se alcuni temo non lo abbandonano mai.
Dai due primi gruppi dedicati prima all'antropologia poi, piu'
accentuatamente, alla politica si passa ad un terzo che e' soprattutto
connesso al suo lavoro presso la casa editrice Einaudi: scritti su Thomas
Mann, su Giaime Pintor, su Norberto Bobbio e sul Disgelo di Ilya Ehrenburg.
Poi viene il lungo capitolo dei saggi su Adorno, Benjamin e Marcuse.
Nel capitolo successivo Solmi, diventato professore di liceo, scrive
soprattutto sulle condizioni della scuola: a partire dalle esperienze di
contestazione del '68 riguardate con profonda simpatia. Il penultimo
capitolo e' intitolato "la nuova sinistra americana, la guerra del Vietnam e
lo sviluppo dei movimenti pacifisti", un pacifismo fondato su convinzioni
teoretiche profonde che mi sembra l'atteggiamento dominante anche nei suoi
ultimi anni. Infine un'ultima parte contiene una serie di scritti sul
proprio passato e ripensa al suo intero percorso intellettuale criticamente,
senza rimpianti o smentite. A questi ricordi appartiene,  nella descrizione
in uno scritto del 2000 dei suoi anni presso Einaudi, una frase che mi ha
colpito per la precisione in cui come generazione mi sono identificato:
"Quella polarita' - egli scrive - di comunismo e di nichilismo, di
solidarieta' umana e di disperazione individuale, che anch'io, come molti
altri, ritengo, della mia generazione, nati e cresciuti nell'epoca del
fascismo e della seconda guerra mondiale, sentivo vivere e agitarsi dentro
di me".
Ho scritto all'inizio che alcuni saggi di Solmi hanno cambiato la mia vita
di architetto, ma credo anche abbiano influito sull'atteggiamento generale
della mia generazione e voglio schematicamente spiegare perche'. Ancor piu'
degli sconvolgimenti portati sulla cultura dall'ottimismo un po' burocratico
della sinistra politica, l'effetto della ragione dialettica del pensiero
negativo sul semplificato pensiero teoretico degli architetti fu di
importanza decisiva per la comprensione dello scivolamento del progetto
moderno in architettura verso una sua interpretazione positivista,
interpretazione che accompagno' il dilagare del suo successo dopo il 1950.
Il nostro fu, invece, un tentativo di ricollocare il movimento moderno a
confronto critico con il contesto e con la tradizione storica della propria
disciplina.
Il pensiero della scuola di Francoforte, pur nelle sue interne differenze,
assunto come metodo della dialettica della ragione, fu cio' che permise alla
mia generazione un'interpretazione dello stato dell'architettura in grado di
ripensare, pur senza illusioni, le radici ideali di liberazione che una
parte importante della tradizione del moderno in architettura aveva messo in
campo: compreso il problema della sua revisione di fronte a nuovi ostacoli.
Proprio di fronte a tali nuovi ostacoli e confusioni il contributo degli
scritti di Renato Solmi potrebbe contare ancora molto anche per i destini
della mia disciplina oggi.

4. LIBRI. ALBERTO PAPUZZI PRESENTA L'"AUTOBIOGRAFIA DOCUMENTARIA" DI RENATO
SOLMI
[Dal quotidiano "La Stampa" del 20 dicembre 2007 col titolo "Renato Solmi,
autobiografia della cultura italiana"]

E' un volume di oltre ottocento pagine, nella collana "Verbarium"
dell'editore Quodlibet (euro 60), e segna la nascita di un nuovo genere,
come si evince dal titolo: Autobiografia documentaria, cioe' autobiografia
costruita semplicemente attraverso una collazione di scritti saggistici, che
documentano la storia sia intellettuale sia professionale di un protagonista
della vita culturale italiana. In questo primo caso si tratta di Renato
Solmi (Aosta, 1927), il germanista che ha il merito della traduzione e della
cura di due testi fondamentali del pensiero moderno come i Minima moralia di
Adorno e Angelus novus di Benjamin.
Figlio del poeta Sergio Solmi, laureatosi a Milano in storia greca, conosce
due esperienze che ne segnano la vita: fra il 1951 e il 1963 lavora nella
redazione della casa editrice di Giulio Einaudi e alla meta' degli Anni
Cinquanta passa un periodo di studio in Germania; a Francoforte, seguendo
gli insegnamenti di Theodor W. Adorno. Sugli anni einaudiani il volume
raccoglie una testimonianza apparsa sulla rivista "L'Indice" nell'estate del
1999, che racconta fra l'altro il licenziamento in tronco da via Biancamano,
insieme con l'amico Raniero Panzieri, a causa della burrascosa vicenda
attorno a L'immigrazione meridionale a Torino, libro di Goffredo Fofi poi
edito da Feltrinelli. Alla Scuola di Francoforte, che per primo Solmi
introdusse in Italia, e' dedicata un'altra sezione del volume, con le
introduzioni a Minima moralia e a Angelus novus, una riflessione su Herbert
Marcuse, una discussione con Cesare Cases e un profetico intervento della
primavera del 1959, sulla rivista "Passato e presente", a proposito di
televisione e cultura di massa.
Questa singolare autobiografia e' in realta' un affascinante viaggio a
ritroso nel tempo, attraverso fasi memorabili della storia della cultura
italiana, fra il 1950 e il 2004: dalle ricerche di Ernesto De Martino,
l'autore del Mondo magico, al lavoro militante attorno al foglio
ciclostilato "Discussioni", che riproponeva il dibattito sui limiti della
situazione della cultura in Urss. Quindi il lavoro editoriale con interventi
su Thomas Mann, su Giaime Pintor e soprattutto sul bobbiano Politica e
cultura, e il lavoro nella scuola, perche' Solmi, lasciata l'Einaudi ha
insegnato in licei di Torino e Aosta. Infine i classici temi che hanno
attanagliato la sinistra negli anni Settanta: l'America, il Vietnam, la
sorte di Eatherly, il pilota di Hiroshima. In chiusura il senso di questa
vita fra impegno e ricerca e' ricapitolato con una sezione da titolo
sintomatico: "Sguardi sul passato".

5. LIBRI. MICHELE SISTO PRESENTA L'"AUTOBIOGRAFIA DOCUMENTARIA" DI RENATO
SOLMI
[Dal sito "Nazione indiana" (www.nazioneindiana.com) riprendiamo questa
recensione apparsa col titolo "Sulla linea piu' avanzata del fronte". Una
stesura con lievi varianti e' nel sito www.germanistica.it]

"La mia generazione ha un trucco buono
Critica tutti per non criticar nessuno
E fa rivoluzioni che non fanno male
Cosi' che poi non cambi mai
Essere innocui insomma che se no e' volgare"
(Afterhours, Baby, fiducia)
*
"... Negli anni che stiamo attraversando, quando una greve cappa di inerzia
e di rassegnazione, un clima soffocante di ottusita' e di atonia, sembra
quasi paralizzare noi stessi e la maggior parte dei nostri conoscenti: al
punto da farci desiderare che qualcuno possa tornare [...] a destarci dal
nostro sonno pesante, a farci sentire la scossa elettrica di una corrente
vitale, a risvegliare in noi le energie sopite e la coscienza di cio' che
sappiamo e ci sforziamo invano di dimenticare".
Tra i miei coetanei - sono nato nel 1976 - o meglio, tra quelli di loro che
come me si sono avviati, e i migliori non senza remore e perplessita', alla
carriera "intellettuale" e dedicano gran parte della loro giornata a leggere
e scrivere in universita', istituti di ricerca, case editrici, redazioni di
riviste, il nome di Renato Solmi suscita un misto di curiosita' e
ammirazione. Insieme a Cesare Cases, Franco Fortini, Sebastiano Timpanaro e
non molti altri Solmi, sebbene piu' giovane di loro, fa parte di quella leva
di maestri che in Italia, con particolare efficacia negli anni Cinquanta e
Sessanta, ha dato senso e dignita' al ruolo dell'intellettuale, e alla quale
la mia generazione guarda con crescente interesse dopo decenni, nel campo
culturale, di stanchezza e, come ci capita di sbottare quando parliamo tra
noi, di dominio quasi incontrastato della piu' vacua fuffa. In quei decenni
ci e' stato insegnato, tra l'altro, che non e' di buon gusto, in uno scritto
che si pretende scientifico, esprimersi in prima persona, dire "io". Ma
d'altra parte sono persuaso che l'unico modo di rendere giustizia a questo
libro di Renato Solmi sia assumerne - o almeno provarci, per lo spazio di
una recensione - l'atteggiamento mentale, l'habitus: proprio cio' che, per
la sua inattualita', suscita l'interesse dei miei coetanei. Non mi
soffermero' molto, dunque, come questa sede richiederebbe, sul Solmi
germanista, che peraltro e' anche il piu' noto, poiche' le sue introduzioni
a Minima moralia di Adorno (1954) e ad Angelus novus di Benjamin (1962) sono
state per decenni le porte d'accesso al pensiero di questi due autori. (Meno
nota e' forse la sua intensa frequentazione con Gyorgy Lukacs, del quale nel
1957 ha tradotto Il significato attuale del realismo critico e nel 1961 Il
giovane Hegel e i problemi della societa' capitalistica, e con Guenther
Anders, di cui ha tradotto nel 1960 Essere o non essere e nel 1962 La
coscienza al bando). Quanto segue e' il tentativo di descrivere questo
habitus, la sua genesi e cio' che a sua volta ha prodotto, e di ricavarne
una serie di indicazioni che possano essere di qualche utilita'
nell'orientare chi e' interessato a dare un senso e una direzione a cio' che
sta facendo, e fara'.
*
Già negli Studi e recensioni - la prima delle sette sezioni in cui questa
Autobiografia documentaria e' suddivisa - dei primissimi anni Cinquanta si
riconosce la disposizione di Solmi, che proviene da un ambiente borghese e
intellettuale (suo padre, com'e' noto, e' il poeta e saggista Sergio Solmi),
a superare i limiti dellì"illusione scolastica" (Pierre Bourdieu), dominante
tanto nell'"alta cultura universitaria, del tutto apolitica e
disinteressata" quanto in famiglia, nella figura del padre che, come molti
intellettuali della sua generazione, "aveva in mente solo una cosa: la
poesia, o, in senso piu' ampio, la letteratura". La critica che Solmi muove
alla generazione dei padri, svelando ad esempio il "segreto desiderio di
fuga dalla realta' presente" implicito nell'ideale umanistico di un Werner
Jaeger, si inserisce a pieno titolo nella resa dei conti avviata
nell'immediato dopoguerra tra il vecchio storicismo idealista che faceva
capo a Croce e il nuovo storicismo materialista di cui si era fatto
interprete Gramsci. Si tratta, in sostanza, di affermare la verita'
materialistica che non e' il pensiero (lo Spirito) a determinare la realta',
ma la realta' ("i fenomeni infrastrutturali, l'evoluzione economica e
politica") a determinare il pensiero: per questo Solmi trova di grande
interesse il tentativo compiuto da Ernesto de Martino nel Mondo magico (e
presto rinnegato nel nome dell'ortodossia crociana) di storicizzare le
categorie della coscienza moderna, ovvero di dire che non esiste una
razionalita' innata ma che la stessa razionalita', il nostro modo di pensare
(cosi' come il linguaggio, la morale, la sensibilita' estetica) e' il
prodotto storico di determinate condizioni e - questa e' l'acquisizione piu'
gravida di conseguenze - come esso e' mutato dal passato al presente, cosi'
esso potra' mutare in futuro, al determinarsi di nuove condizioni
infrastrutturali. E ciascuno e' responsabile di decidere se riprodurre le
condizioni che ha ereditato o di produrre il cambiamento.
Il riconoscimento di questo principio, dell'ineludibile politicita' della
cultura, comporta, per l'intellettuale, un'assunzione di responsabilita'
politica, in altri termini la necessita' di "un impegno attivo e
volontario".
Non vorrei concedere troppo alla tentazione di disegnare qui un percorso
troppo lineare, ma i saggi raccolti nella terza sezione, Il lavoro
editoriale, siamo nel 1952-55, appaiono, riletti oggi, proprio come la
ricerca di una declinazione pratica di questo "impegno". E da subito questa
ricerca e' impostata - o si impone - come "compito generazionale".
Constatando che "l'isolamento culturale [...] e', in questo momento, il
destino comune degli intellettuali (e non dei peggiori) delle classi piu'
giovani" Solmi da' il benvenuto alla rivista "Il Mulino", appena fondata, e
suggerisce ai giovani che la animano di non indulgere all'indulgenza: "una
certa 'violenza' del pensiero (che non ha niente a che fare con quella delle
parole) e' indispensabile - scrive - a dissipare la cortina di nebbia che si
riproduce continuamente intorno a noi. Una volonta' lucida, una critica
intransigente: ecco cio' di cui abbiamo bisogno oggi". Il modello di questa
che definirei autocoscienza generazionale e' individuato, non a caso, in
Giaime Pintor - che questa coscienza aveva molto netta - ed e' nel recensire
Il sangue d'Europa che Solmi insiste di piu' sul pronome "noi". Per dire,
pero', che in dieci anni, dal 1943 al '53 (Solmi e' di soli otto anni piu'
giovane di Pintor), la situazione storica e' mutata, i compiti sono altri e
il compito e' affrontarne "apertamente gli aspetti cruciali". Ora Solmi ha
ventisei anni. Ora comincia ad agire. E con una capacita' di presa sulla
realta', di individuare gli "aspetti cruciali", che per almeno due decenni
appare sbalorditiva, e anche in seguito - nonostante una riconosciuta
"stanchezza" - non viene mai meno.
*
Anziche' soffermarmi su alcuni dei temi o dei saggi raccolti nelle altre
sezioni - La scuola di Francoforte (4), La contestazione nella scuola (5),
La nuova sinistra americana, la guerra del Vietnam e lo sviluppo dei
movimenti pacifisti (6) e Sguardi sul passato (7) - vorrei provare a trarne
alcune indicazioni pratiche, una sorta di prontuario ad uso di un giovane
intellettuale. Sono consapevole della forzatura, ma vorrei avventurarmi
ugualmente su questa via confortato dalla disposizione educativa, e in fondo
morale, riconoscibile in Solmi e in gran parte dei suoi maestri, da Adorno a
Lukacs, da Brecht a Delfino Insolera, al quale il volume e' dedicato.
*
E vorrei cominciare da questo: in Solmi la cultura e' uno strumento, non un
fine. "Raccogliere e neutralizzare nel pantheon culturale, in una biblioteca
o in un museo immaginario, le creazioni dell'arte e del pensiero, significa
toglier loro la punta, tradirle nell'atto in cui si finge di riconoscerle",
sostiene Adorno. E cosi' Adorno stesso viene trattato da Solmi, che
nell'introduzione a Minima moralia ne recepisce il pensiero solo nella
misura in cui gli fornisce strumenti concettuali per meglio comprendere lo
stato delle cose e lo respinge in quanto non da' indicazioni per cambiarlo.
Dopo averlo tradotto, interpretato e difeso di fronte ai possibili critici,
non esita infatti a concludere che "chi si e' formato sui testi dei
classici, di Lukacs, di Gramsci, e vive in paesi dove la lotta di classe ha
ancora un senso, non puo' condividere il pessimismo di Adorno". Con questa
presa di posizione Solmi mostra di aver fatto passi avanti nel liberarsi
dall'illusione scolastica, verso la concretezza; e ne fara' numerosi altri,
sebbene ancora a distanza di anni si senta tenuto a riconoscere la sua
ammirazione per chi come Raniero Panzieri ne e' a tal punto esente da
ritenere non solo Adorno "inutile ai fini di un movimento rivoluzionario",
ma anche Lukacs "idealistico e fumoso".
Se la cultura non è un fine, allora ai maestri si deve rispetto, non
venerazione. Si può misurare questo atteggiamento sul caso di Walter
Benjamin, di cui Solmi e' ad un tempo il primo divulgatore in Italia e il
primo critico. Nell'introduzione ad Angelus novus si preoccupa di "guidare
l'attenzione sulla parte piu' positiva e originale del suo pensiero",
mettendone in luce tutta la "fragilita' teoretica", e di "salvaguardarlo
dagli equivoci piu' grossolani": che si sono poi puntualmente verificati,
con l'affermarsi negli anni Ottanta di "una specie di culto esoterico della
sua figura". Ma, soprattutto, Angelus novus e' una selezione molto
orientata, si potrebbe tranquillamente dire "militante", dei saggi allora
editi in Germania: operazione che, per quanto oggi a un giovane della mia
generazione possa apparire semplicemente sconsiderata, e' molto piu'
coraggiosa e utile, perche' impone la responsabilita' di una presa di
posizione critica, che "farlo tutto", come si e' deciso più tardi. Non
importa qui, vorrei sottolineare, il giudizio dato allora su Benjamin o su
Adorno, che Solmi stesso piu' tardi ha in parte corretto: importa invece la
disposizione, la liberta' con cui il giudizio e' stato formulato. Direi da
pari a pari.
*
E anche: nel tentativo di raggiungere una "sintesi tra teoria e pratica,
impegno sociale e visione storica complessiva". La prosa di Solmi e' fitta
di appelli a cogliere la "sostanza della questione", a individuare le
"dinamiche latenti" dei processi, a suggerire "orientamenti", una
"prospettiva", "germi del futuro", la "direzione giusta", una "risposta
adeguata", "indicazioni valide per lo sviluppo di un'azione di rinnovamento
e di trasformazione". La ruota del suo argomentare si rifiuta di girare a
vuoto, di scivolare sul terreno senza aderirvi. La ricerca di prassi
alternative a quelle esistenti e' evidente gia' negli anni del lavoro
editoriale, nel "rudimentale tentativo di organizzare i rapporti tra una
casa editrice e il suo pubblico" attraverso la Settimana del libro Einaudi o
nella creazione di una collana orientata alla "pratica" come i Libri
bianchi, ma si manifesta pienamente solo dopo il passaggio al mondo della
scuola, negli anni della contestazione studentesca e dei tentativi di
realizzare una pedagogia progressiva: in particolare nelle cronache dei casi
di Luciano Rinero e Margherita Marmiroli. Recalcitrando alla divisione
capitalistica del lavoro, che sempre piu' vuole il pensiero separato dalla
prassi, in una drammatica incoerenza appena riscattata dall'ironia con cui
l'intellettuale prende le distanze dal prodotto del suo lavoro e si sottrae
alla verifica delle sue implicazioni o ricadute, l'argomentazione di Solmi
fa appello alla totalita'. Non c'e' separatezza o autonomia per niente e
nessuno. "Non si puo' pretendere di educare senza educare - scrive nel
saggio sulla Marmiroli -; non si puo' fingere di insegnare evitando di
parlare di cio' che e' veramente necessario a coloro a cui si insegna".
Se, come scrive Adorno, "nessuna emancipazione e' possibile senza
l'emancipazione della societa'", e' evidente che anche la cultura dev'essere
un'impresa collettiva. E' vivissimo, nelle pagine sulla Marmiroli, il senso
della lotta, che, a partire dall'ostinata fermezza con cui una professoressa
di liceo pretende di attenersi ai principi - ministeriali! - di una scuola
rinnovata, arriva a coinvolgere gli studenti, i loro genitori e a
costringere la classe dirigente di Cremona e nazionale a prendere posizione,
svelando il proprio volto autoritario o lasciando che la prassi
dell'insegnamento cambi realmente. Perche' il cambiamento e' possibile; la
lotta collettiva produce risultati. Nel saggio su "La nuova sinistra
americana" possiamo leggere la pacata epopea del movimento dei neri del sud,
che in pochi anni non solo ottiene la legislazione sui diritti civili e la
sua applicazione, ma accende la miccia del movimento studentesco e di quello
antimilitarista che confluiranno nel '68. Da queste esperienze trae alimento
la speranza concreta di Solmi, che lo scorso anno, mentre la sua
Autobiografia documentaria andava in stampa, manifestava a Vicenza contro
l'allargamento della base Nato.
*
Non vorrei, con queste parole, trasmettere l'immagine, che sarebbe falsa, di
un Solmi intemperante e trascinatore. Se dovessi scegliere tre parole per
descrivere cosa si trae da questo libro direi: pazienza; umilta'; fiducia.
Attraverso il trauma del licenziamento dall'Einaudi e la lunga attivita' di
base degli anni successivi Solmi sviluppa una singolare sensibilita' per i
costi umani dell'impegno. Si sofferma, nelle sue cronache, sulle
"conversioni somatiche delle tensioni psichiche" di Rinero, o sulla
"pressione fisica che si esercita da parte dell'ambiente circostante" sulla
Marmiroli. E nell'87 raccomanda agli studenti: "Pensate anzitutto a voi,
anche come singoli individui. Non lasciatevi mai assorbire interamente da
una causa"; infatti "bisogna diffidare di chi e' disposto a sacrificare se
stesso, e' molto probabile che sacrifichi se stesso, ma e' assolutamente
certo che anzitutto sacrifichi qualcun altro". Anche se "nel mondo in cui
viviamo sarebbe ridicolo pensare di poter programmare la propria esistenza
individuale o quella della propria famiglia o dei propri figli senza porsi,
direi, anche solo e semplicemente il problema della sopravvivenza del genere
umano, che purtroppo oggi e' all'ordine del giorno". Erano gli anni in cui
il problema veniva assumendo proporzioni tali - la parola chiave era
Cernobyl, ma oggi sarebbe Kyoto - che si e' reagito, generalmente,
rimuovendolo del tutto (questo e' anche un mea culpa). E invece Solmi
persiste nel non abdicare alla totalita': suggerisce di accostarla senza
impazienza, cominciando dai problemi che si pongono "in termini chiari ed
urgenti", come fu per il Vietnam, come e' per Vicenza: "l'unita', la
totalita' verranno dopo".
*
Una delle caratteristiche piu' ricorrenti nel volume, soprattutto negli
scritti piu' recenti, e' l'ammissione di aver sbagliato. Dagli anni Ottanta
in poi molti hanno condannato l'ideologia, i limiti di un pensiero portato
alle sue conseguenze estreme, prendendone le distanze; pochissimi invece
hanno riconosciuto in se stessi gli errori e i limiti che hanno impedito o
sviato i tentativi di cambiamento. Ma il riconoscere di aver sbagliato,
riconoscere anche la propria cattiva coscienza e', nella modestia
autocritica di Solmi, un'arma potentissima, che gli permette di rimanere "in
buoni rapporti con la verita'", ovvero di non rinunciare alla totalita' e di
continuare a cercare le vie del cambiamento. La certezza hegeliana che cio'
che e' razionale e' reale non va perduta, e si resta immuni dalle derive
irrazionalistiche, dal misticismo religioso all'economicismo liberista, che
hanno dominato la fine secolo. Libero dall'incombenza di giustificare (o
rimuovere) il proprio passato, Solmi puo' continuare a guardare al futuro,
porsi "il problema di quanto, nella tradizione socialista e marxista, e'
tuttora pienamente valido, e puo' fornire ancora i lineamenti essenziali di
una concezione complessiva della societa' e del mondo". La stessa umilta' si
manifesta nella disposizione a farsi mediatore: Solmi non e', ne' pretende
di essere, un pensatore originale, rifiutando cosi' quello che e' forse il
paradigma dominanti negli ambienti intellettuali. Rinunciando
all'originalita' a tutti i costi, e' libero di cercare nel lavoro altrui e
di far conoscere idee buone e spesso gia' collaudate nella prassi.
*
La fiducia, terza e ultima parola marcante, e' nella Umwaelzung, nella
rivoluzione: nella tranquilla convinzione che verra'. Si tratta, per Solmi,
di capire da dove e di "partecipare [...], in uno spirito di solidarieta'
appassionata e di comprensione attiva, al movimento". In modo non molto
dissimile da Sebastiano Timpanaro, portavoce dei limiti naturali dell'uomo
(la malattia, la morte, il conflitto "leopardiano" con la natura), che negli
anni Ottanta prosegue la sua militanza marxista-leninista nel movimento
ecologista (si vedano gli scritti de Il rosso e il verde), cosi' Solmi
riconosce i germi di una nuova Internazionale nel movimento nonviolento.
Sebbene si presenti come un neofita, giunto solo tardivamente agli studi
sulla pace, la sua attenzione a questi temi data almeno dai primi anni '60,
dagli incontri con Guenther Anders, dagli studi sulla Nuova sinistra
americana sorta intorno allo Student nonviolent coordinating committee
(Sncc), sul pilota di Hiroshima Claude Eatherly, e svariati altri. Proprio
nello studio sulla Nuova sinistra americana pubblicato nei "Quaderni
piacentini" nel 1965 - quanto avra' influenzato il movimento studentesco
questo vero e proprio prontuario di prassi politiche alternative, che
fornisce "indicazioni" tuttora utilissime tanto ai Social forum quanto ai
movimenti No Tav, No base, ecc.? - Solmi constata per la prima volta che "vi
e', senza dubbio, un rapporto fra l'ideologia della nonviolenza [...] e la
tendenza ad elaborare forme nuove ed aperte di organizzazione politica,
profondamente diverse dai partiti tradizionali di stampo socialdemocratico o
bolscevico" e che "sembra che questa tendenza getti le sue radici in
esigenze profonde dello sviluppo e della trasformazione in senso socialista
delle societa' capitalistiche a livello avanzato". E gia' in quello scritto
e' messo a fuoco l'obiettivo politico che Solmi ritiene tuttora prioritario:
realizzare l'incontro - sul piano pratico come su quello teorico - dei
movimenti di orientamento nonviolento con la tradizione e l'ideologia del
movimento socialista. La fiducia che questo incontro debba e possa
realizzarsi e' rimasta inalterata, cosi' come l'idea che ciascuno puo' fare
la sua parte.
*
Ora, nulla ci impedirebbe di trattare questo libro come qualsiasi altro buon
libro, trovandovi molti spunti da approfondire e qualche frase da citare
nella nostra prossima monografia; ma significherebbe non afferrarne il senso
piu' profondo. Solmi non e' - non e' mai stato - un germanista o uno
studioso di letteratura tout court, e a volerlo intendere per tale lo si
fraintenderebbe. Il suo habitus e' quello di chi sconfina, e si ostina a
occuparsi di cose che esulano dalle sue strette competenze disciplinari.
Assumerlo e' pericoloso e salutare ad un tempo: perche' da una parte ci
espone al rischio di cadere, per inesperienza, in un astratto velleitarismo;
dall'altra ci costringe a riflettere senza sosta sui presupposti, sulle
condizioni di possibilita' del nostro lavoro. Che farcene, allora? Forse si
puo' seguire un suggerimento implicito di Cases, che nelle Confessioni di un
ottuagenario assegna a Solmi il ruolo di suo "consigliere in politicis":
sceglierlo come un compagno di viaggio che ci interroga sul senso e lo scopo
del nostro andare. Ha una sporta di argomenti, che ha ricavato da un lungo
dialogo con Panzieri, Lukacs e Adorno, coi "maestri" della "Monthly review"
e coi propri studenti a scuola, con Guenther Anders e Alexander Langer, con
Jonathan Schell. E ci invita a non perdere mai di vista, nel nostro mestiere
e fuori di esso, "la linea piu' avanzata del fronte che separa il passato
dal futuro".

6. ET COETERA

Renato Solmi ha introdotto in Italia opere fondamentali della scuola di
Francoforte e del pensiero critico contemporaneo, e' uno dei maestri
autentici e profondi di generazioni di persone impegnate per la democrazia e
la dignita' umana, che attraverso i suoi scritti e le sue traduzioni hanno
costruito tanta parte della propria strumentazione intellettuale; e'
impegnato nel Movimento Nonviolento del Piemonte e della Valle d'Aosta. Dal
risvolto di copertina del recente volume in cui sono raccolti taluni dei
frutti maggiori del suo magistero riprendiamo la seguente scheda: "Renato
Solmi (Aosta 1927) ha studiato a Milano, dove si e' laureato in storia greca
con una tesi su Platone in Sicilia. Dopo aver trascorso un anno a Napoli
presso l'Istituto italiano per gli studi storici di Benedetto Croce, ha
lavorato dal 1951 al 1963 nella redazione della casa editrice Einaudi. A
meta' degli anni '50 ha passato un periodo di studio a Francoforte per
seguire i corsi e l'insegnamento di Theodor W. Adorno, da lui per primo
introdotto e tradotto in Italia. Dopo l'allontanamento dall'Einaudi, ha
insegnato per circa trent'anni storia e filosofia nei licei di Torino e di
Aosta. E' impegnato da tempo, sul piano teorico, e da un decennio anche su
quello della militanza attiva, nei movimenti nonviolenti e pacifisti
torinesi e nazionali. Ha collaborato a numerosi periodici culturali e
politici ("Il pensiero critico", "Paideia", "Lo Spettatore italiano", "Il
Mulino", "Notiziario Einaudi", "Nuovi Argomenti", "Passato e presente",
"Quaderni rossi", "Quaderni piacentini", "Il manifesto", "L'Indice dei libri
del mese" e altri). Fra le sue traduzioni - oltre a quelle di Adorno,
Benjamin, Brecht (L'abici' della guerra, Einaudi, Torino 1975) e Marcuse (Il
"romanzo dell'artista" nella letteratura tedesca, ivi, 1985), che sono in
realta' edizioni di riferimento - si segnalano: Gyorgy Lukacs, Il
significato attuale del realismo critico (ivi, 1957) e Il giovane Hegel e i
problemi della societa' capitalistica (ivi, 1960); Guenther Anders, Essere o
non essere (ivi, 1961) e La coscienza al bando (ivi, 1962); Max Horkheimer e
Th. W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo (ivi, 1966 e 1980); Seymour
Melman, Capitalismo militare (ivi, 1972); Paul A. Baran, Saggi marxisti
(ivi, 1976); Leo Spitzer, Lettere di prigionieri di guerra italiani
1915-1918 (Boringhieri, Torino 1976)". Opere di Renato Solmi: segnaliamo
particolarmente la sua recente straordinaria Autobiografia documentaria.
Scritti 1950-2004, Quodlibet, Macerata 2007.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 355 del primo agosto 2009

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