Nonviolenza. Femminile plurale. 257



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 257 del 9 luglio 2009

In questo numero:
1. Eleonora Bellini: Signor Presidente della Repubblica, che cosa diremo ai
bambini?
2. Donata Borgonovo: L'argine
3. Letizia Lanza: Al Presidente della Repubblica
4. Maria Novella De Luca: Donne globali ci guardano
5. Monica Lanfranco: Il ministero della "Semplificazione". E la memoria
della "Soluzione finale"
6. Giancarla Codrignani: Monoteismo patriarcale
7. Simona Forti: Hannah Arendt, Verso un'ontologia del presente

1. UNA SOLA UMANITA'. ELEONORA BELLINI: SIGNOR PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA,
CHE COSA DIREMO AI BAMBINI?

Stimatissimo signor Presidente,
mi unisco ai numerosi italiani che gia' si sono rivolti a Lei, preoccupati
ed indignati per le misure razziste e incostituzionali contenute nel
cosiddetto "pacchetto sicurezza" approvato dal Senato in seconda lettura il
2 luglio 2009. Anch'io Le chiedo, come molti, di rinviarlo alle Camere
chiedendone la modifica nelle parti palesemente incompatibili con la
Costituzione della nostra Repubblica e con le norme del diritto
internazionale.
La Sua azione esemplare potrebbe restituire ai nostri connazionali e a quei
partiti che lo hanno dimenticato o non lo hanno mai conosciuto - e penso
innanzitutto all'aggressivo, violento e pericoloso porsi della Lega nord nei
confronti di ogni tipo di diversita', nei confronti della sofferenza di
tanti onesti che giungono nel nostro Paese, nei confronti addirittura di
altri italiani appena al di la' dei loro confini comunali e regionali - il
senso della dignita' di un popolo che, come quello italiano, ha sofferto
l'emigrazione e l'esilio in tempi nemmeno tanto lontani. Penso che poche
famiglie italiane possano affermare di non avere avuto - o avere ancora -
parenti emigrati in Paesi piu' o meno lontani: le loro difficolta' e
sofferenze, le discriminazioni patite, talvolta con rassegnazione, talaltra
superate con orgoglio e coraggio, saranno rese vane se una legge ingiusta
riversera' su altri fratelli - e senza tener conto ne' degli insegnamenti
della storia, ne' dei piu' elementari principi di solidarieta' umana -
ingiustizia e discriminazione.
Gli illuministi, oltre due secoli orsono, hanno affermato in Europa i
principi di liberta', fratellanza ed eguaglianza, l'imparzialita' e la
certezza della legge, l'esercizio della ragione, presente in tutti gli
esseri umani e fattore fondante di quella morale del bene comune che
desideriamo presieda la nostra vita privata e pubblica. E il bene comune non
si concilia con provvedimenti che pongono pesanti ed ingiuste
discriminazioni tra persone.
Signor Presidente,
sono assessore alla cultura in un piccolo Comune del Piemonte; mi sono
adoperata per diffondere tra i concittadini, specialmente tra i piu'
giovani, la conoscenza della nostra Costituzione e della Dichiarazione dei
Diritti Umani; per commemorare i martiri di un eccidio nazifascista che
avvenne in paese nel 1944; per favorire la reciproca conoscenza tra
cittadini e culture diverse presenti nel borgo, luogo di massiccia
immigrazione dal sud d'Italia. Non tutto e' stato compreso e nulla puo'
essere considerato definitivo, certo, ma se passa una legge ingiusta e
razzista che cosa diremo ai bambini? Ecco, signor Presidente, questa e' la
domanda da porsi: che cosa diremo ai bambini?
Per questo confido in un Suo intervento.
Con stima La saluto,
Eleonora Bellini
Borgo Ticino (Novara)

2. UNA SOLA UMANITA'. DONATA BORGONOVO: L'ARGINE

Ho scritto al Presidente Napolitano chiedendogli di non ratificare le norme
licenziate dal Parlamento la cui incostituzionalita' e' innegabile.
Confido che l'impegno (e la vergogna) di tanti cittadini riesca a porre un
argine a quanto sta avvenendo.
Con fiducia,
Donata Borgonovo,
ricercatrice di Istituzioni di diritto pubblico, Facolta' di Giurisprudenza,
Universita' di Trento

3. UNA SOLA UMANITA'. LETIZIA LANZA: AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Egregio Signor Presidente,
come molti e molte hanno gia' fatto, mi permetto anchpio di scriverLe per
esprimere il mio profondo disagio e rivolgerLe una preghiera della massima
urgenza.
Sinceramente, da quando Pdl e Lega sono al potere provo malessere e vergogna
per il fatto di vivere in questa disgraziata Italia, preda ormai di
un'evasione fiscale selvaggia e dunque irrimediabilmente (pare) divisa tra
una parte becera e ignobilmente ricca e un'altra parte, assai piu'
consistente in termini numerici ma di scarso rilievo mediatico, turlupinata
e sempre piu' povera (per non dire affamata).
A incorniciare il quadro, arriva adesso il ddl "sicurezza" approvato in
seconda lettura al Senato il 2 luglio 2009, che prevede l'introduzione del
reato di clandestinita', il prolungamento a sei mesi del periodo di
permanenza coatta nei centri di identificazione, la legalizzazione delle
ronde.
Il pressante appello che anch'io Le rivolgo e' quindi di non ratificare - in
quanto incostituzionali - le norme razziste e criminogene, rinviando
viceversa il cosiddetto "pacchetto sicurezza" alle Camere per le necessarie
modifiche.
Ringrazio per l'attenzione, mentre porgo i piu' rispettosi saluti.
Letizia Lanza,
antichista veneziana, docente e saggista

4. UNA SOLA UMANITA'. MARIA NOVELLA DE LUCA: DONNE GLOBALI CI GUARDANO
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 5 luglio 2009 col titolo "Migranti. Le
donne globali ci guardano" e il sommario "Un milione e duecentomila, la
meta' adesso fuorilegge: e' il popolo fantasma di colf, badanti, baby sitter
straniere che abitano le nostre case. Una fotografa romana ha messo in mano
a dieci di loro delle fotocamere per descrivere la vita quotidiana delle
famiglie per cui lavorano. Ne sono nati una mostra e un libro che rovesciano
molti punti di vista. Pietro e Elena mangiano per merenda empanadas e banane
fritte, perche' la convivenza crea contaminazione di culture. L'ecuadoregna
Graciela ha cinque bambini, tre maschi e due femmine, da accudire per far
studiare le sue tre figlie dall'altra parte del mondo. Immagini di abbracci,
di baci della buonanotte, grembiuli di scuola, scherzi tra fratelli, un
padre che si cimenta ai fornelli. In quegli scatti ci sono l'abbondanza e il
disordine, i giocattoli e il frigo pieno, i panni da stirare, la lavatrice
mai ferma"]

Fotografano l'abbondanza, il disordine, i colori, il cibo, i frigoriferi
pieni, i panni da stirare, i letti da rifare, i giocattoli da raccogliere,
un borsellino pieno di soldi, le lavatrici che non si fermano mai. Catturano
immagini di abbracci domestici, il grembiule della scuola, gli scherzi tra
fratelli, il bacio della buonanotte, un padre che cucina, un neonato che
dorme, il campanello d'argento con cui la "signora" chiama, richiama, e
chiama ancora. Raccontano il loro lavoro nelle nostre case, la fatica
invisibile di pulire, mettere in ordine, sostenere gli anziani, allevare i
bambini, la cura dell'inizio e della fine della vita, i momenti piu'
fragili, quelli piu' delicati. Si chiamano Maria Acioly, Agripina Aguilar,
Graciela Ayala, Monica Daniliuc, Irene Martin, Isabelita Mendiola, Arcelie
Pagdilao, Narciza Riasco, Iaroslava Skolozdra, Sandra Tafur, hanno dai
venticinque ai cinquantacinque anni, e sono tutte collaboratrici domestiche.
Dieci donne immigrate regolari a cui una fotografa romana, Simona Filippini,
ha chiesto di descrivere con le immagini la quotidianita' nelle case
italiane in cui lavorano. Un progetto da cui e' nata una mostra e poi un
libro dal titolo Di Lei. Donne globali raccontano, edito da Iacobelli, che
sara' presentato la prossima settimana a Roma. Un viaggio nell'intimita'
delle famiglie in cui queste donne prestano servizio, e dunque vivono,
coabitano, e da qui mantengono figli, mariti e genitori, con lontananze
spesso lunghe anni e anni, e la nostalgia che non da' tregua. Sacrificio che
le porta pero' a costruire: con i soldi guadagnati in Italia nei loro paesi
comprano case, terreni, attivita' e a volte la vita diventa migliore. Cosi'
i loro scatti digitali sorprendono riempiendo di colore tutto cio' che e'
ordinario: un mucchietto di bucce di mela, una pentola di sugo, una tazza di
te'.
Maria, Graciela, Monica, "donne globali", cosi' le ha definite la sociologa
americana Barbara Ehrenreich in un saggio scomodo dove vengono indagati i
risvolti psicologici di questa migrazione di massa di donne dal Sud al Nord
del mondo, per supplire a un "lavoro di cura" che la societa' occidentale, e
in particolare le donne, non puo' e non vuole piu' fare. Una popolazione
nella popolazione: nel nostro paese colf, tate e badanti sono oltre un
milione e duecentomila, di cui solo seicentomila in regola. Le altre sono
"invisibili", protette dalle mura del lavoro domestico, ma prive di tutele,
spesso sfruttate, oggi addirittura fuorilegge con le norme appena approvate.
"All'inizio piangevo spesso - ricorda Iaroslava, ucraina, che in Italia
chiamano Gloria -, lasciare i miei figli mi e' costato moltissimo, ma volevo
che a loro non mancasse nulla. Piangevo sempre, poi ho trovato la forza di
restare".
Un universo "dietro", silenzioso, poco conosciuto. Spezzoni di realta' che
da sempre appassionano Simona Filippini, presidente dell'associazione di
fotografi "Camera 21", e a cui ha dedicato piu' di un reportage. Andando a
scavare nel mondo separato delle suore di clausura, o tra i bambini di
Forcella chiamati a raccontare il quartiere, o tra gli studenti di un liceo
romano incaricati di scattare e poi di osservare il proprio autoritratto.
"Sempre di piu', dopo aver lavorato con i bambini e gli adolescenti, e
soprattutto oggi con la diffusione del digitale, mi convinco di quanto sia
appassionante ed utile lo studio delle fotografie realizzate dalla gente
comune, dai non professionisti. In questo caso - racconta Simona Filippini -
ho chiesto a dieci donne immigrate di raccontare il loro quotidiano
all'interno delle case italiane in cui lavorano. D'accordo con le famiglie,
che hanno accettato di farsi riprendere nell'intimita' delle loro giornate,
anche nel disordine, nell'imperfezione. Sono cosciente di aver rappresentato
soltanto un angolo 'per bene' di questo mondo, dove le regole vengono
rispettate. Il risultato e' che queste dieci donne ci hanno raccontato se
stesse, ma hanno descritto anche noi, dal loro punto di osservazione". Gli
interni descrivono situazioni benestanti (ma non ricche), dove gli spazi si
intersecano, i bambini giocano dappertutto e i mariti partecipano al menage
di ogni giorno.
Accanto a ogni "reportage domestico" Maria e le altre aprono il cassetto dei
ricordi e dei progetti. Cosi' Agripina Aguilar, peruviana, nelle
testimonianze raccolte da Manuela De Leonardis, descrive la vita difficile
nel villaggio andino di Pampachiri, il sogno impossibile di studiare
ingegneria a Lima, lo sbarco a Roma nel 2007, e l'incontro con la signora
Teodolinda, novantadue anni, il suo "maledetto" campanello ad ogni ora del
giorno e della notte, e l'ostinazione nel chiamarla Clementina invece di
Agripina. "Clementina che ore sono? Clementina portami la medicina,
Clementina questo cibo e' salato...". Ma piano piano la paziente Agripina
riesce a trovare un rapporto con Teodolinda. "Il giorno del suo compleanno
la signora era circondata dalla sua famiglia, ma ci ha tenuto ad invitarmi a
mangiare la torta con loro". Agripina resiste, perche' vuole tornare in
Peru', costruirsi una casa nel terreno che si e' comprata con i suoi
risparmi a San Martin e poi sposare Raul che "mi chiama ogni domenica".
Ana Graciela Ayala dice che i figli della "signora Carla" e' come se fossero
suoi. Cinque bambini, tre maschi e due femmine, di cui questa donna
ecuadoregna di cinquantotto anni si occupa da dieci anni, per far studiare
dall'altra parte del mondo le sue tre figlie. "Con la signora Carla mi sono
sentita subito al sicuro. All'epoca mi sentivo inutile, la signora mi ha
aiutato ad affrontare i miei problemi". Ma e' nei bambini di cui si occupa
che Graciela trova quei sostituti d'affetto che sembrano alleviare la
nostalgia: i baci di Elena, la piu' piccola, gli abbracci di Pietro, "a cui
proprio io ho insegnato a giocare a calcio, e quando ha vinto la prima coppa
l'ha regalata a me", dice orgogliosa. Pietro ed Elena mangiano per merenda
empanadas e banane fritte, perche' il lavoro domestico crea contaminazioni
di linguaggi, consuetudini, culture. E spesso accade cosi' che i piu'
piccoli confondano l'idioma dell'affetto con la lingua di chi li accudisce:
spagnolo, filippino, polacco, romeno, russo, in un mescolarsi globalizzato
di favole, filastrocche, ninne nanne, prime parole.
Anche Arcelie Pagdilao e' una che ce l'ha fatta, da quindici anni vive in
Italia, dove si e' sposata e ha avuto due figlie. Eppure se ricorda il suo
viaggio clandestino nel 1991 da Manila a Zurigo, e poi da Zurigo a Bucarest,
e da Bucarest in una roulotte nella Jugoslavia in guerra, quindi nascosta in
un tir fino a Trieste, e poi a Roma, Arcelie ammette: "Se avessi saputo a
cosa andavo incontro non sarei mai partita".

5. UNA SOLA UMANITA'. MONICA LANFRANCO: IL MINISTERO DELLA
"SEMPLIFICAZIONE". E LA MEMORIA DELLA "SOLUZIONE FINALE"
[Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: monica.lanfranco at gmail.com) per
averci messo a disposizione il seguente articolo dal titolo "Grazie, non
abbiamo bisogno di niente" per il quotidiano "Liberazione"]

"Io ho paura dell'Italia. Ora non esito a dirlo. Il 22 giugno, a Limbiate,
mio padre e' stato aggredito da sei persone a calci e bastonate. Per un
parcheggio. Una famiglia intera, figli giovani compresi, e' scesa in strada
perche' mio padre aveva osato parcheggiare a qualche metro dalla loro casa,
e lo ha picchiato, dopo avergli urlato, naturalmente, tornatene al tuo
paese". Cosi' racconta Randa Ghazi, classe 1986, scrittrice, nata in Italia
da genitori egiziani, su "Internazionale" di questa settimana.
Potessimo almeno dare la colpa alla calura, ma non ci crederemmo nemmeno
noi. L'onda xenofoba che pervade l'Italia e' purtroppo alimentata anche a
livello istituzionale, non da oggi, e fa registrare l'ennesimo pubblico
intervento governativo destinato a far accapponare la pelle a livello
europeo.
Per una volta non si tratta del capo del governo, ma di un suo ministro, il
padano Calderoli  (che l'anno scorso defini' la collega Rula Jebral "quella
abbronzata", e  che l'anno ancora prima invoco' un "maiale day" contro la
costruzione della moschea a Bologna, e si potrebbe continuare citando perle
di civilta', educazione e saggezza).
Secondo il ministro, opportunamente a capo del nuovo dicastero della
"Semplificazione", la soluzione all'emergenza creata dal pacchetto sicurezza
per tutte le persone che non hanno il permesso di soggiorno, ma hanno un
lavoro (per lo piu' di assistenza ad anziani e anziane) e di rimando per le
famiglie che li hanno assunti, e', ovviamente, semplice: via dall'Italia.
Non solo: il ministro, che si suppone data la carica fondamentale che
ricopre sara' piu' che informato sulle reali dimensioni del fenomeno,
dichiara senza problemi: "Chi dice che ci sono cinquecentomila badanti e
colf irregolari in Italia? La maggior parte sono badanti del sesso e della
droga. Dal 2002 di sanatorie e di possibilita' di regolarizzazioni ce ne
sono state diverse - ha aggiunto Calderoli - io penso che se ci sono ancora
delle situazioni in nero e' perche' qualcuno cosi' ha preferito: in qualche
caso puo' aver fatto comodo ai datori di lavoro, ma altri casi non
riguardano di sicuro i lavori di colf e badanti". E a chi gli obbietta che
il Veneto e' pieno di badanti irregolari, il ministro leghista replica,
scientifico e documentato: "Non ci credo. E, comunque, chi non e' regolare
e' di certo perche' non ha voluto farlo rimanendo a lavorare in nero. Cosi'
non vengono pagate tasse e contributi. Io me lo ricordo quando abbiamo fatto
le verifiche per valutare le domande di ingresso delle badanti nel nostro
Paese. E' venuto fuori che i due terzi di queste richieste erano
prostitute". A chi chiede una sanatoria proprio per chi in Italia svolge i
lavori maggiormente richiesti alle migranti, ovvero l'assistenza domiciliare
a persone anziane, il ministro risponde prontamente: "A me dispiace per
qualche badante che dovra' andare via. Ma se per regolarizzarne una devo far
entrare dieci prostitute e cinquanta spacciatori, allora preferisco lasciar
perdere tutto". Gli dispiace.
La Conferenza Episcopale Italiana definisce colf e badanti "struttura
portante dell'assistenza", e invoca la sanatoria "perche' c'e' da sanare una
situazione che va avanti da tanto tempo". In Italia il malcostume delle
sanatorie per decenni e' stato pratica a tutto campo, da applicare a case
abusive, discariche abusive, speculazioni e cementificazioni che hanno
devastato vaste porzioni di territorio, che costa montagne di denaro
smantellare. Ma no, quando si tratta di esseri umani, che sono qui tra noi a
condividere quotidianamente la fatica, la sofferenza e persino qualche gioia
dell'esistenza terrena, allora si deve essere inflessibili. E offendere. Si
puo' tollerare che Roberto Zanetti, assessore della Lega alle Attivita'
produttive e presidente degli artigiani di Cartigliano, comune in provincia
di Vicenza, tenesse nel capannone di sua proprieta' un laboratorio di
confezionamento di abbigliamento con nove cinesi costretti a lavorare in
condizioni pietose. Ma come potrebbe il paese sopportare altre prostitute,
specialmente se straniere? Anche perche', e' cronaca recente, risulta che
gli utilizzatori finali al governo preferiscano le risorse nazionali, per
feste e festini, e quindi grazie, non abbiamo bisogno di niente.

6. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: MONOTEISMO PATRIARCALE
[Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente articolo
dal titolo "Monoteismo patriarcale. Il potere piu' escludente" e il sommario
"'Naturale' che i forti siano superiori ai deboli in senso fisico e
metafisico, e che fortissimi tra tutti siano gli 'uomini del sacro'"]

A fine maggio ho partecipato a Trento ad un convegno organizzato per
"rileggere il Concilio di Trento" con il contributo "di genere" del
Coordinamento delle teologhe italiane. Il titolo "Si quis dixerit..."
rappresentava una provocazione, perche' nel linguaggio clericale al "se mai
qualcuno dicesse..." seguiva implacabile l'anathema sit, la scomunica...
Oggi tutto quello che pensano le donne del loro rapporto con la vita, la
storia e la stessa religione sarebbe per la Chiesa scomunicabile; tuttavia
la sfida resta sempre quella di capire non solo come e' nata la
discriminazione del femminile, ma come ne e' stata storicamente "benedetta"
(e quindi generalizzata anche per i laici) l'irrilevanza.
Le donne, ovviamente, a Trento non c'erano, ne' erano neppure indirettamente
menzionabili, anche se i cardinali vietarono ai genitori di costringere le
figlie a matrimoni non voluti. Senza conseguenze effettive, ma in teoria la
Chiesa - che sapeva delle ragazze attraverso le lacrime del confessionale -
liberava le donne. Sempre in teoria. Solo pochi decenni fa Papa Giovanni
colloco' tra i "segni dei tempi" (insieme con l'emancipazione dei popoli e
della classe lavoratrice) l'avanzata delle donne, ma oggi l'americana
Glendon, ammessa in Concilio a rappresentare le donne, si e' sottratta a un
incontro con Obama per non avere a che fare con un abortista.
Giovanni Paolo II rese omaggio al genio femminile e anche Benedetto XVI ha
espresso piu' volte il suo apprezzamento, ribadendo con il suo predecessore
che la genialita' va esercitata in famiglia, aiuto per l'uomo e per una
societa' fondata sul potere dei maschi e sulla famiglia-ammortizzatore
sociale. In teoria; in realta' complimenti come il baciamano alle dame.
Il far credere che le chiese sanno e fanno il bene delle donne e', dunque,
ancora un punto su cui conviene ragionare, per domandarsi apertamente non
solo se e' bene che la sacralita' maschile detti norme sempre piu' dominanti
nella societa' civile, ma anche se e' bene per le chiese che siano gli
uomini a fissare regole "universali". Infatti, a mano a mano che le donne -
con diritti propri o per omologazione - ottengono riconoscimento paritario,
tutte le istituzioni vanno in momentanea crisi, per riprendere forza
imponendo gradualmente anche alle donne il modello unico. Se immaginiamo
che, quando la chiesa impoverita di clero maschile autorizzera' il
sacerdozio femminile, le religiose assumeranno il ruolo di "questo" prete,
sara' del tutto evidente il senso negativo dell'omologazione oggi abbastanza
sperimentata (e accolta da molte di noi) in ambito politico e lavorativo.
"Liberta' femminile versus autorita' clericale" e' un bel rebus. Infatti,
finito il tempo in cui l'uomo ignorava la sua parte nella riproduzione ed
era indotto a vedere la divinita' nel femminile fecondo, e' incominciata la
storia di "dio", nome sempre maschile, in cui l'uomo riconosce la propria
immagine e si fa divino. Anche oggi si nomina dio, per affermarlo, per
negarlo, per usarlo a fini politici; ma nessuno si domanda di che "genere"
sia e, anche quando lo collochiamo nel "neutro", quel neutro equivale al
maschile. Infatti anche l'ateo si sente dio e comanda, con tanti saluti alle
proclamazioni di laicita'.
In genere tutte le religioni - orientali, africane, animiste, politeiste,
monoteiste - hanno dato piu' o meno grande rilievo a figure femminili; ma
difficilmente hanno dato loro poteri sovrani, tranne quelli, forse i piu'
grandi ma assolutamente astratti, della vita, della morte e, spesso, del
male. Si comprende che per le donne "la" questione e' il significato del
potere.
Il contesto attuale - in cui neppure i cattolici praticanti si accorgono di
essere pagani - e' chiamato cristiano: chi ha letto i Vangeli sa che anche
il terzo millennio "dopo Cristo" e' ben lontano dal potersi definire tale.
Le stesse autorita' vaticane fanno ancora prevalere la legge, non la
profezia: menzionano poco il Vangelo, interferiscono strumentalmente con le
liberta' delle istituzioni civili e dividono gli umani come se dio non fosse
uno solo per tutte le fedi.
Ma non e' cristiano tenere nell'irrilevanza le donne, se e' vero che Gesu'
interpella gli uomini davanti all'adultera, risana la donna che soffre di
perdite (reietta perche' donna e perche' maligno e' il sangue femminile e
ancora, per credenza popolare, la mestruata inaridisce le piante) e sostiene
le ragioni di Maria intellettuale rispetto alla casalinga Marta.
Un dotto amico che si occupa di teologia, Piero Stefani, ricorda l'aneddoto
sulla figlia di Maometto che mando' a chiamare il padre perche' il suo
bambino era morente. Il profeta le fece rispondere che Dio da' e Dio toglie:
sopportasse la sventura e si acquistasse cosi' dei meriti. La figlia torno'
a supplicarlo e il padre, commosso, ando' da lei. "Gli fu mostrato il
bambino che rantolava quasi fosse soffocato dentro un otre. Le lacrime
traboccarono dagli occhi del profeta. Gli disse Said: 'O inviato da Dio che
cos'e' questo pianto?'. Rispose: 'Questa e' la misericordia che Dio ha posto
nel cuore dei suoi servi misericordiosi: Dio avra' misericordia solo dei
misericordiosi'". Anche se Stefani non fa riferimento alle donne, il brano
dice quanto sia importante, anche ai fini della conoscenza di Dio, la
cultura femminile. L'intuizione, facolta' attribuita prevalentemente alle
donne e percio' sottovalutata ai fini conoscitivi, nell'uomo e' soffocata da
pregiudizi perfino inconsapevoli. Cosi' nell'Islam la pratica di un jihad
che, da impegno di coscienza, e' diventata aggressivita' e violenza
contraddice l'invocazione a un Dio "grande e misericordioso". Maometto
impara dalla figlia e recupera la dimensione amorosa del divino, il dolore
umano, il pianto. Non hanno imparato i signori delle legge dell'Islam
contemporaneo.
Per le donne, comunque, fin dalle origini le religioni consacrano
l'inferiorita' che si conferma nelle istituzioni sociali e politiche,
storicamente sempre sottomesse al "sacro".
I Greci, capostipiti fondativi della nostra civilta' (e del Cristianesimo,
come ritiene Benedetto XVI), si erano inventati dodici aspetti del divino,
sei maschili e sei femminili, ma dopo genealogie che portano dal Caos alla
Giustizia, e' Zeus che incorpora Metis, l'Intelligenza, e diviene "re degli
dei e degli uomini", impersonando il potere insieme con il patriarcato. Per
i Romani, Giove non solo rappresenta il potere, ma lo autentica nel destino
di Roma e dei suoi governanti: se tutto e' potere, il femminile ne subisce
l'esclusione.
Secondo la via monoteista dell'ebraismo, la Bibbia e' Parola e la creazione
indica la rilevanza del divino riflesso sia nell'uomo sia nella donna ("Dio
creo' simile a se' l'essere umano, uomo e donna"); tuttavia la narrazione,
che si conforma anche su grandi stereotipi femminili, evidenzia crimini
orribili "di genere": basta pensare alla donna del levita abbandonata agli
stupri e fatta a pezzi di Giudici, 19.
Con Gesu' le cose cambiano radicalmente: dove l'uomo antico ringraziava Dio
di non essere nato ne' pagano, ne' schiavo, ne' donna, il femminile diventa
simbolo iniziale e finale di una liberazione destinata a tutti e le donne
vengono riconosciute come portatrici autonome di grazia. La chiesa non si
volle mai rendere conto del valore teologico della morte di Gesu', avvenuta
alla presenza solo delle donne e dell'amico di sempre, e del significato
escatologico della resurrezione e del mandato trasmesso a Maria di Magdala.
Il primo potere che penetra la comunita' cristiana fin dai primi secoli e',
infatti, quello patriarcale; dopo verranno la trasformazione gerarchica del
primato, il privilegio dell'altare, i principi dell'autorita' e
dell'obbedienza. Il potere spiazza la profezia e gli stati riceveranno
identita' (e ragione di guerra) dalla confessionalita'.
Come la Maddalena si ritrovo' "prostituta redenta" e penitente per puro
prevalere interpretativo dei maschi, cosi' tutte le donne subirono non tanto
l'ostracismo della chiesa, quanto la conferma sacralizzata universalmente
della loro inferiorita'. Il sesso "debole" non doveva andare a scuola,
veniva esclusa dal voto, doveva mantenersi vergine e accettare un marito e
come santa Rita sopportarne le abitudini violente. Il prete resta celibe per
sacramento e si sente superiore a chi cede alla tentazione della donna: se
si innamora sono guai, perche' puo' peccare, ma non divenire adulto
nell'autenticita' della coppia.
Il tentativo in corso di fare della famiglia il principale ammortizzatore
sociale si accompagna, in ambito cattolico, all'enfasi sulla sua funzione
riproduttiva e assistenziale: le donne hanno, come sempre, tutto da perdere.
A meno che...
A meno che non siano tentate dall'omologazione: se "questi" poteri sono
immutabili, allora possono appropriarsene. Fanno gia' le soldate, sono
spesso manager, anche se "sotto il tetto di cristallo", potranno ottenere di
piu': carriere e danaro, come gli uomini. Le considerazioni teoriche sul
sacerdozio non produrranno ambizioni curiali, poco interessanti perfino per
la "vanita'" dello splendore non piu' simbolico degli apparati.
Le diverse tradizioni cristiane si sono divise per mille ragioni, mai per
contestarne l'unius "viri" dominatus. Nel nostro tempo l'ecumenismo potrebbe
trovare nelle donne un aiuto valido, perche' nessuna e' contenta del
trattamento che riceve nella propria chiesa. Invece, competitivita' e
antagonismi si acuiscono proprio a partire dalle diverse valutazioni della
sessualita' e del ruolo femminili: l'apertura anglicana del sacerdozio puo'
nascondere un'involontaria sfida "antipapista" (tanto si sa che, prima o
poi, anche Roma dovra' cedere), ma e' scopertamente sessista la rivalsa
vaticana che, superando i limiti del postulato misogino celibatario, ha
accolto i preti anglicani dissidenti e ammogliati. L'ortodossia e le chiese
orientali non illudono neppure i preti desiderosi di avere una compagna
perche' li escludono dall'episcopato. E' intollerabile, almeno per noi
moderni, che le chiese cristiane abbiano ridotto le finalita' del matrimonio
alla procreazione e a quel remedium concupiscentiae che diciamo in latino
per attenuarne la vergogna.
Le donne rifuggono dal potere - almeno per ora - proprio perche' lo
conoscono bene per esserne state, in piu' modi, le vittime privilegiate. I
maschi, che l'hanno inventato, lo tramandano, nel convincimento che sia
"naturale" che i forti siano superiori ai deboli in senso fisico e
metafisico, e che fortissimi tra tutti siano gli "uomini del sacro", che
hanno il potere di confermare le imprese umane con il sigillo presunto della
volonta' divina.
Anche in questo nostro tempo problematico (si potra', per esempio, reagire
con i divieti e le scomuniche, cosi' come con l'ignoranza e
l'irresponsabilita' alle prospettive della scienza e delle biotecnologie?) i
poteri laici e religiosi, nonostante tutte le statistiche confermino che
ovunque, anche nel Sud del mondo, le donne hanno capacita' e competenze
inedite da utilizzare a beneficio di tutti, si richiudono pericolosamente in
reciproche (e interne) competizioni. Come diceva papa Giovanni XXIII per i
conflitti, e' demenziale, alienum a ratione. Ma neppure i Papi si analizzano
per contestarsi i poteri.
Gesu' Cristo aveva insegnato ben altro. Ma la sua chiesa, che non gli e' mai
stata troppo fedele, oggi rischia molto: potra' ottenere, forse, una
dilazione alla caduta del proprio potere, ma puo' anche indurre, se non si
converte (e le teologhe femministe non negano l'aiuto), a perdere la
credibilita' del messaggio.

7. MAESTRE. SIMONA FORTI: HANNAH ARENDT, VERSO UN'ONTOLOGIA DEL PRESENTE
[Da Archivio Arendt. 2. 1950-1954; Feltrinelli, Milano 2003, riprendiamo il
seguente estratto (pp. VII-X) dalla prefazione della curatrice Simona Forti.
Simona Forti e' docente universitaria di storia del pensiero politico;
laureatasi in filosofia presso l'Universita' di Bologna, ha conseguito il
dottorato di ricerca nel 1989 in storia del pensiero politico presso
l'Universita' di Torino; ha svolto attivita' di ricerca e didattica presso
l'Universita' di Bologna, di Torino e presso la Graduate Faculty della New
School for Social Research di New York. Fa parte del comitato di redazione
di "Filosofia politica" e collabora a numerose riviste tra cui "Teoria
politica", "Il Mulino", "L'Indice dei libri", "MicroMega", "Iride". E' nel
comitato di redazione della rivista internazionale "Arendt's Newsletter"; e'
autrice di numerosi saggi sulla filosofia politica contemporanea e sul
pensiero di Hannah Arendt. Tra le opere di Simona Forti: Vita della mente e
tempo della polis. Hannah Arendt tra filosofia e politica, Milano, Franco
Angeli, Milano 1994, 1996; (a cura di), Filosofia e politica. Saggi su
Hannah Arendt, Bruno Mondadori, Milano 1999; Il totalitarismo, Laterza,
Roma-Bari 2001; (a cura di), La filosofia di fronte all'estremo.
Totalitarismo e riflessione filosofica, Einaudi, Torino 2004. Ha curato e
introdotto i due volumi: Archivio Arendt 1, Feltrinelli, Milano 2001;
Archivio Arendt 2, Feltrinelli, Milano 2003; ha curato anche la
"Bibliografia delle opere di e su Hannah Arendt", in Hannah Arendt, La vita
della mente, il Mulino, Bologna 1987 (poi ristampata in Roberto Esposito (a
cura di), La pluralita' irrappresentabile. Il pensiero politico di Hannah
Arendt, Quattroventi, Urbino 1987).
Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva
di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe
all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le
massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne
ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista
rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel
1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti
tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo
l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione
originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951),
Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen
(1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti,
Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli,
Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e'
apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di
brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano,
1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969.
Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra
amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975,
Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio
Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2.
1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita'
e giudizio, Einaudi, Torino 2004; la recente Antologia, Feltrinelli, Milano
2006; i recentemente pubblicati Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007. Opere su
Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl,
Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici:
Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito,
L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996;
Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti,
Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona
Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi
politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994;
Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001; Julia
Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005. Per chi legge il tedesco due
piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato
iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei
Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000]

Verso un'ontologia del presente
Combattuti tra il dolore e l'ironia, tra un coinvolgimento sofferto e una
lucidita' radicale, i saggi compresi in questa raccolta sono sicuramente tra
le pagine piu' intense di Hannah Arendt, tra quelle che meglio restituiscono
al Novecento tutta la sua tragica ambivalenza. Se li si confronta con i
"quaderni" di quegli stessi anni, risulta chiaro che lungi dall'essere il
semplice materiale grezzo da cui prenderanno forma le principali opere
successive, essi strutturano, in maniera definita, una riflessione che si
presenta come una vera e propria "ontologia del presente", in un senso molto
vicino a quello che la locuzione assumera' piu' tardi in Michel Foucault. Se
nel Novecento anche la filosofia ha perso la propria innocenza, il pensiero
non potra' piu' pacificamente presentarsi come un'analitica della verita'
universale, ma sara' costretto a imboccare la strada di un'indagine critica,
interminabile e impietosa dell'"attualita'". La riflessione di Hannah Arendt
dimostra qui tutta la sua grandezza, nel saper trarre da un disastro
storico, culturale e personale, la liberta' e l'energia per indagare, anche
filosoficamente, eventi, "contingenti e assoluti" a un tempo, che hanno
segnato e segneranno ancora per molto le vite di tutti.
In questi scritti dei primi anni Cinquanta, e' gia' ferma la volonta' di dar
forma a un pensiero che si traduca si' in un atteggiamento riflessivo, ma
non contemplativo, un pensiero che non si sottragga alla lotta per la
comprensione degli eventi del mondo. L'imperativo arendtiano ritorna quasi
in ogni saggio: il pensiero nasce dall'esperienza, dall'accadimento, dal
presente, e a essi deve rimanere legato come "il cerchio al suo centro". Ma
come si caratterizza questo presente, come riusciamo a interpretare la
nostra attualita'? Che cosa ci ha insegnato Auschwitz sulla "natura umana"?
Quale tipo di negazione e affermazione della realta' ha inaugurato la
"tecnica totalitaria"? Perche' il potere si e' rivolto direttamente alla
"nuda vita"? Sono queste le domande che Hannah Arendt inizia
sistematicamente a porsi, nella convinzione che le scienze sociali e le
scienze storiche non riescano da sole a far luce sul presente. Non abbiano
cioe' la forza per comprendere quanto vi e' di epocale ed esemplare, al
contempo, in avvenimenti unici e singolari. Interrogare l'evento totalitario
comporta infatti un'interrogazione sulla nostra stessa modernita'; chiuderlo
nello spazio dell'eccezione, dell'accidente significa precludersi la
comprensione di un'intera epoca.
L'ontologia del presente deve allora trovare la giusta misura tra la vigile
attenzione verso i "fatti bruti" e l'idonea distanza che permette di
osservarli in connessione; deve mantenersi, cioe', nel difficile equilibrio
tra coinvolgimento e distacco. Una volta trovata la debita collocazione,
rimarra' da valutare quali strumenti della filosofia possono ancora servire
e quali invece sono da archiviare, perche' ormai inservibili. Alla messa a
fuoco di questa doppia strategia, ricerca del punto prospettico sul presente
e scelta dei possibili strumenti filosofici, sono dedicati questi testi:
insostituibili testimonianze della laboriosa definizione di un pensiero che,
passo dopo passo, perplessita' dopo perplessita', sta mettendo alla prova la
propria coerenza. Primo dovere dell'ethos del pensiero sara' quello di
lasciarsi colpire dall'"assolutamente nuovo", per trasformare solo in un
secondo momento quell'"inaudita novita'" in patrimonio teorico. Il presente
non e' mai la ripetizione semplice del passato. La sua differenza va
pertanto nominata. Il termine "totalitarismo", se vuole restare un utile
strumento per la comprensione, non deve trasformarsi in una categoria
ideologica. Deve rimanere un nome proprio che indica la violenta eccedenza
dell'evento, di cio' che ha fatto irruzione al di la' di ogni previsione.
Tuttavia, per quanto esso nomini una costellazione storica singolare non
puo' indicare una parentesi rassicurante entro cui isolare, spazialmente e
temporalmente, il senso di cio' che e' avvenuto in Germania e in Unione
Sovietica. Il totalitarismo deve produrre, oltre allo sconcerto, quello
stupore che i greci indicavano come origine di ogni autentica riflessione.
In quanto emerso in un mondo non-totalitario, esso deve aprire l'indagine
sul "nostro secolo", in particolare sul luogo specifico della modernita' in
cui siamo collocati.
E' dunque cio' che la Arendt chiama "il potere delle cose reali", quel
potere che la realta' detiene di oltrepassare ogni nostra aspettativa, a
innescare il processo della comprensione: quel "circolo vizioso" in cui i
pensieri ritornano ininterrottamente su loro stessi impegnando la mente
umana nell'interminabile dialogo con le cose del mondo. La superiorita' del
pensiero riflessivo sulle scienze sociali e storiche sta appunto nel non
congelare la questione del senso in categorie tipologiche, ma nel lasciarla
aperta per rilanciarla di continuo in un nuovo confronto. Solo cosi' il
fenomeno analizzato, la cui novita' cogliamo immediatamente grazie a
un'intuizione di cui tuttavia non ci fidiamo, evita di venir "normalizzato"
in una serie ordinata di cause storiche, sociali ed economiche. Per cogliere
la singolarita' degli eventi non possiamo sussumerla sotto gli universali,
non possiamo dunque affidarci al giudizio determinante. Eppure
quell'unicita' va colta, anche se gli strumenti di cui disponiamo sono
perlopiu' inservibili; anche se il linguaggio comune si trasforma spesso nel
piu' pericoloso veicolo del fraintendimento. Sin da ora e' evidente che il
giudizio riflettente, lungi dal costituire l'epilogo "kantiano e
contemplativo" a cui la riflessione arendtiana approderebbe, e' la cifra di
un'ingiunzione duplice e contraddittoria che attraversa ogni fase della sua
opera.
E' un difficile equilibrio quello che la Arendt sta cercando tra pensiero e
realta'. Perche' se e' vero che la comprensione addomestica l'effetto
estraniante della novita' rendendocela familiare, essa non puo' tuttavia
"perdonarla", consegnarla cioe' a una conciliazione nel senso hegeliano. Il
reale, quel reale che si e' manifestato cosi' violentemente nel
totalitarismo, non potra' mai diventare razionale. Ma non e' nemmeno
possibile liquidarlo come irrazionale. Nel processo di comprensione non e'
pertanto semplicemente in gioco lo statuto della realta', ma anche la
responsabilita' stessa del pensiero. E se il soccorso chiesto ora dalla
Arendt all'immaginazione lascera' il posto al piu' solido ausilio fornito
dal giudizio riflettente, la partita non verra' mai definitivamente
conclusa. Anche perche' nessuna epistemologia, nessuna scienza cognitiva,
potra' mai risolvere il mistero di un "pensiero comprendente" che e' per lei
tutt'uno con l'enigma stesso dell'esistenza: "La comprensione", infatti,
"rappresenta il modo specificamente umano di rimanere vivi".

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 257 del 9 luglio 2009

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