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Minime. 874
- Subject: Minime. 874
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 7 Jul 2009 01:14:30 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 874 del 7 luglio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. L'indirizzo 2. Appello al Presidente della Repubblica contro il colpo di stato razzista 3. Appello degli intellettuali contro il ritorno delle leggi razziali in Italia 4. Appello dei giuristi contro l'introduzione dei reati di ingresso e soggiorno illegale dei migranti 5. La catastrofe afgana, e nostra 6. Bruno Accarino presenta "Descrizione dell'uomo" di Hans Blumenberg 7. Rossana Rossanda presenta la "Storia europea della letteratura italiana" di Alberto Asor Rosa 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. L'INDIRIZZO Per scrivere al Presidente della Repubblica l'indirizzo postale e': Presidente della Repubblica, piazza del Quirinale, 00187 Roma; l'indirizzo di posta elettronica e': presidenza.repubblica at quirinale.it Scrivergli occorre, per chiedergli di adempiere al suo mandato, per chiedergli di opporsi al colpo di stato razzista. Il Presidente della Repubblica non ratifichi il provvedimento razzista votato a scatola chiusa dal Senato il 2 luglio, dopo ben tre voti di fiducia imposti dal governo. Il Presidente della Repubblica, adempiendo ai suoi obblighi istituzionali, rinvii alle Camere un provvedimento incostituzionale, antigiuridico, incivile e disumano. Da tutta Italia si levi la voce di un popolo che non e' razzista e non vuole un regime razziste. In tutta Italia si manifesti la volonta' di restare un paese civile che - come recita la Costituzione della Repubblica Italiana - "riconosce e garantisce" gli inviolabili diritti umani di tutti gli esseri umani. Da tutta Italia riceva il presidente della Repubblica la richiesta di salvare la patria dalla barbarie razzista: respingendo il colpo di stato razzista. Ogni sforzo si concentri ora su questo obiettivo. 2. UNA SOLA UMANITA'. APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CONTRO IL COLPO DI STATO RAZZISTA Il colpo di stato razzista compiuto dal governo Berlusconi con la complicita' di una asservita maggioranza parlamentare puo' e deve essere respinto. E' nei poteri del Presidente della Repubblica rifiutare di avallare l'introduzione nel corpus legislativo di misure palesemente in contrasto con la Costituzione della Repubblica Italiana, palesemente criminali e criminogene, palesemente razziste ed incompatibili con l'ordinamento giuridico della Repubblica. Al Presidente della Repubblica in prima istanza facciamo ora appello affinche' non ratifichi un deliberato illegale ed eversivo che viola i fondamenti stessi dello stato di diritto e della civilta' giuridica, che viola i principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana. Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo Viterbo, 2 luglio 2009 3. UNA SOLA UMANITA'. APPELLO DEGLI INTELLETTUALI CONTRO IL RITORNO DELLE LEGGI RAZZIALI IN ITALIA Le cose accadute in Italia hanno sempre avuto, nel bene e nel male, una straordinaria influenza sulla intera societa' europea, dal Rinascimento italiano al fascismo. Non sempre sono state pero' conosciute in tempo. In questo momento c'e' una grande attenzione sui giornali europei per alcuni aspetti della crisi che sta investendo il nostro paese, riteniamo, pero', un dovere di quanti viviamo in Italia richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica europea su altri aspetti rimasti oscuri. Si tratta di alcuni passaggi della politica e della legislazione italiana che, se non si riuscira' ad impedire, rischiano di sfigurare il volto dell'Europa e di far arretrare la causa dei diritti umani nel mondo intero. Il governo Berlusconi, agitando il pretesto della sicurezza, ha imposto al Parlamento, di cui ha il pieno controllo, l'adozione di norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, quali in Europa non si vedevano dai tempi delle leggi razziali. E' stato sostituito il soggetto passivo della discriminazione, non piu' gli ebrei bensi' la popolazione degli immigrati "irregolari", che conta centinaia di migliaia di persone; ma non sono stati cambiati gli istituti previsti dalle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti. Con tale divieto si impedisce, in ragione della nazionalita', l'esercizio di un diritto fondamentale quale e' quello di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione; diritto fondamentale che in tal modo viene sottratto non solo agli stranieri ma agli stessi italiani. Con una norma ancora piu' lesiva della dignita' e della stessa qualita' umana, e' stato inoltre introdotto il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarita' amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati. Pertanto in forza di una tale decisione politica di una maggioranza transeunte, i figli generati dalle madri straniere "irregolari" diverranno per tutta la vita figli di nessuno, saranno sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali introdotte da quel regime nel 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, ne' le costringevano all'aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato. Non ci rivolgeremmo all'opinione pubblica europea se la gravita' di queste misure non fosse tale da superare ogni confine nazionale e non richiedesse una reazione responsabile di tutte le persone che credono a una comune umanita'. L'Europa non puo' ammettere che uno dei suoi Paesi fondatori regredisca a livelli primitivi di convivenza, contraddicendo le leggi internazionali e i principi garantisti e di civilta' giuridica su cui si basa la stessa costruzione politica europea. E' interesse e onore di tutti noi europei che cio' non accada. La cultura democratica europea deve prendere coscienza della patologia che viene dall'Italia e mobilitarsi per impedire che possa dilagare in Europa. A ciascuno la scelta delle forme opportune per manifestare e far valere la propria opposizione. Roma, 29 giugno 2009 Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Dacia Maraini, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, Maurizio Scaparro, Gianni Amelio 4. UNA SOLA UMANITA'. APPELLO DEI GIURISTI CONTRO L'INTRODUZIONE DEI REATI DI INGRESSO E SOGGIORNO ILLEGALE DEI MIGRANTI Il disegno di legge n. 733-B attualmente all'esame del Senato prevede varie innovazioni che suscitano rilievi critici. In particolare, riteniamo necessario richiamare l'attenzione della discussione pubblica sulla norma che punisce a titolo di reato l'ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all'uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimita' costituzionale. La norma e', anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiche' la sua sfera applicativa e' destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell'espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l'assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalita', solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ne' un fondamento giustificativo del nuovo reato puo' essere individuato sulla base di una presunta pericolosita' sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte Costituzionale (sent. 78 del 2007) ha infatti gia' escluso che la condizione di mera irregolarita' dello straniero sia sintomatica di una pericolosita' sociale dello stesso, sicche' la criminalizzazione di tale condizione stabilita dal disegno di legge si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo. L'ingresso o la presenza illegale del singolo straniero dunque non rappresentano, di per se', fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l'espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali. L'introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una crescita abnorme di ineffettivita' del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilita' sociale e condannato per cio' alla paralisi. Ne' questo effetto sarebbe scongiurato dalla attribuzione della relativa cognizione al giudice di pace (con alterazione degli attuali criteri di ripartizione della competenza tra magistratura professionale e magistratura onoraria e snaturamento della fisionomia di quest'ultima): da un lato perche' la paralisi non e' meno grave se investe il settore di giurisdizione del giudice di pace, dall'altro per le ricadute sul sistema complessivo delle impugnazioni, gia' in grave sofferenza. Rientra certo tra i compiti delle istituzioni pubbliche "regolare la materia dell'immigrazione, in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati" (Corte Cost., sent. n. 5 del 2004), ma nell'adempimento di tali compiti il legislatore deve attenersi alla rigorosa osservanza dei principi fondamentali del sistema penale e, ferma restando la sfera di discrezionalita' che gli compete, deve orientare la sua azione a canoni di razionalita' finalistica. "Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che (...) non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a 'nascondere' la miseria e a considerare le persone in condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli". Le parole con le quali la Corte Costituzionale dichiaro' l'illegittimita' del reato di "mendicita'" di cui all'art. 670, comma 1, cod. pen. (sent. n. 519 del 1995) offrono ancora oggi una guida per affrontare questioni come quella dell'immigrazione con strumenti adeguati allo loro straordinaria complessita' e rispettosi delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Costituzione a tutte le persone. 25 giugno 2009 Angelo Caputo, Domenico Ciruzzi, Oreste Dominioni, Massimo Donini, Luciano Eusebi, Giovanni Fiandaca, Luigi Ferrajoli, Gabrio Forti, Roberto Lamacchia, Sandro Margara, Guido Neppi Modona, Paolo Morozzo della Rocca, Valerio Onida, Elena Paciotti, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Carlo Renoldi, Stefano Rodota', Arturo Salerni, Armando Spataro, Lorenzo Trucco, Gustavo Zagrebelsky 5. EDITORIALE. LA CATASTROFE AFGANA, E NOSTRA La guerra terrorista e stragista in Afghanistan continua a provocare eccidi su eccidi. Ed a quella guerra l'Italia sta partecipando, nella complice indifferenza della quasi totalita' della popolazione italiana. Trepidano sgomenti solo i familiari dei soldati cola' illegalmente inviati nelle fauci della morte e chi - come noi - si oppone da sempre al crimine abominevole della guerra, si oppone da sempre alla scellerata partecipazione italiana a quel crimine, si oppone da sempre alla violazione dell'art. 11 della Costituzione della Repubblica Italiana che al nostro paese fa divieto di partecipare a quella carneficina. * Ancora una volta, e dovessimo essere le uniche persone che sanno distinguere la differenza che c'e' tra uccidere e non uccidere, qui lo gridiamo: cessi la partecipazione italiana alla guerra afgana; si adoperi l'Italia per la pace che salva le vite; la guerra e' un crimine contro l'umanita'. 6. LIBRI. BRUNO ACCARINO PRESENTA "DESCRIZIONE DELL'UOMO" DI HANS BLUMENBERG [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 settembre 2007 col titolo "Natura umana. Il miracolo di un essere esposto al fallimento" e il sommario "Un saggio dove lo studioso affronta l'evoluzione, il ruolo della tecnica e dell'uso di protesi nelle risposte all'assenza di specializzazione che caratterizza la nostra specie Continuano ad emergere preziosi materiali dal laboratorio del filosofo tedesco Hans Blumenberg. Questa volta si tratta di un testo dal taglio decisamente antropologico"] Era ampiamente prevedibile che dopo la morte (1996) sarebbero emersi dal laboratorio di Hans Blumenberg materiali preziosi. Cio' che forse non era possibile pronosticare e' che fossero di un'ampiezza paragonabile ad alcune delle opere maggiori e che avessero, in qualche caso, un taglio decisamente antropologico, anche se il lettore delle sue ultime opere aveva gia' potuto toccare con mano la propensione ad andare sempre piu' indietro, verso situazioni di partenza o verso condizioni antropogenetiche. Nel frattempo e' imminente anche la pubblicazione di un testo su Ernst Juenger e di un carteggio con Carl Schmitt, che arricchira' i materiali della disputa a suo tempo avviata da Blumenberg sulla teologia politica di Schmitt. Oggi ci troviamo di fronte ad una Descrizione dell'uomo (Beschreibung des Menschen, Suhrkamp) che e' in larga misura un omaggio a Edmund Husserl, forse l'unico vero maestro, se si concede che un personaggio della stazza di Blumenberg tolleri le strettoie del discipulato: in altri casi (Ernst Cassirer) le cose sono troppo complesse per essere definite in termini di magistero, in altri casi ancora (Erich Rothacker) affiora l'ingombro di un maestro coinvolto nell'esperienza nazista e imbarazzante per un semi-ebreo come Blumenberg, arrestato nel 1944 e poi costretto alla clandestinita' fino alla fine della guerra. * Primitivismo organico Dalla mole, come di consueto, impadroneggiabile di analisi e di suggestioni estraggo la lunga trattazione sulla genesi dell'uomo, che occupa quasi tutta la seconda parte dell'opera. Le teorie sull'ipotetico stato di partenza della filogenesi umana sono in sostanza due o al massimo tre: quella dell'uomo come animale da fuga, quella legata al nome di Louis Bolk e quella della cosiddetta proterogenesi (nascita anticipata). La domanda iniziale e' una sola e non vede ancora differenziazioni di scuola: come sia stato possibile che, in mezzo a primati specializzati e adattati a vari ambienti, si sia arrivati al tipo non specializzato, e in larga misura sprovvisto di adattamenti, che e' indispensabile presupporre come forma primordiale dell'evoluzione che porta all'uomo. Anche la prima risposta e' comune e non oggetto di disputa: il primitivismo organico (la mancanza di specializzazioni) dell'uomo e' il risultato di una regressione. Sensibilita' differenti intervengono sul punto successivo, se cioe' una siffatta regressione debba spiegarsi con il graduale venir meno di specificazioni (e dunque con il ritorno alla a-specificita'), o se si debba pensare ad una ontogenesi che si fermi allo stato primitivo. La de-specializzazione della dotazione organica umana e', come propone la teoria della "fetalizzazione" (perduranza di caratteri fetali), l'inizio di tutte le vicende umane o ne e' la fine, cioe' un programma biologico mai pienamente realizzato di esclusione delle funzioni del corpo nel padroneggiamento della realta'? Le simpatie interpretative di Blumenberg vanno abbastanza evidentemente alla teoria di Paul Alsberg, a proposito del quale si puo' ben dire che il fiuto per i grandi problemi e' in grado di sopravanzare un'allenata identita' professionale: medico di mestiere, scrisse da non-specialista un testo anche abbastanza agile (L'enigma dell'umanita', 1922) che troneggia ancora oggi, imprescindibile, in tutti gli apparati bibliografici. Quel che infatti non torna nella teoria della fetalizzazione e' l'origine di quel fenomeno straordinario che e' l'andatura eretta o la bipedia. Il vantaggio della teoria dell'animale da fuga e' nell'immaginare, in una situazione acuta o in un pre-politico stato di emergenza, la capacita' della actio per distans di farsi radice specifica del complesso delle prestazioni umane. Lo scenario originario che lo sguardo paleoantropologico ricostruisce e' quello di un animale, rappresentato come predecessore dell'uomo, che cade in un vicolo cieco o in una situazione senza via d'uscita nei confronti dei suoi inseguitori. Poiche' ha progressivamente perduto la capacita' della lotta ravvicinata o del corpo a corpo, questo animale ricorre, a fronte della minaccia, ad una riserva operativa di cui dispone proprio perche' e' un essere primitivo e non specializzato: puo' allora provvisoriamente cambiare la stazione del corpo e liberare le estremita' inferiori per difendersi con il lancio di una pietra. La distanza, questa incalcolabile conquista bio-antropologica, viene guadagnata non con il movimento, ma con un'azione preventiva attraverso lo spazio, che consente di non arrivare al contatto dei corpi. Cio' che viene inventato e' per un verso la fuga stazionaria come costruzione di una distanza rispetto agli inseguitori, per l'altro la capacita' di guadagnare tempo: non e' che l'uomo sappia esitare e temporeggiare perche' e' titolare della ragione, ma ha la ragione perche' ha imparato ad esitare e a temporeggiare. Sono le emozioni che creano l'intelligenza. * L'invenzione della distanza Protagonista e' la mano, e non solo ne' soprattutto per via del pollice opponibile. E' la mano che rende possibile cio' che si configura come "esclusione del corpo", cioe' come spostamento delle prestazioni fondamentali dell'autoconservazione sulla distanza. La fallacia finalistica e' nel credere che il predecessore dell'uomo abbia assunto la posizione eretta per liberare le mani. Il percorso piu' verosimile e' inverso: poiche' la prova del lancio difensivo della pietra viene effettuata da un essere ancora quadrupede, e' piu' corretto dire che la stazione eretta nacque perche' le mani non erano piu' libere e percio' imponevano il passaggio alla bipedia. Certo, e' difficile immaginare che la scoperta (ma meglio si direbbe: l'invenzione) della distanza, pur reiterata singolarmente migliaia di volte, fosse passibile di apprendimento o di trasmissione e di insegnamento, perche' puo' apprendere solo chi e' gia' in grado di apprendere. Ma il principio della fuga rimane di portata molto ampia: se il predecessore dell'uomo opta per la fuga difensiva restando fermo, e' anche perche' ha deciso di passare al principio della lotta e dell'accettazione dello scontro. Rispetto a Darwin, viene acquisita l'elasticita' del passaggio dalla specializzazione alla non-specializzazione e viceversa, a seconda della situazione: l'ominide si arma di uno strumento, la pietra, e si da' un'attrezzatura che non appartiene al suo corpo. Non solo Blumenberg non recepisce il postulato dell'originaria aggressivita' dell'uomo, ma vede nella lotta per l'esistenza la superiorita' di chi ha scelto di fuggire, se e' vero che la fuga si articola in uno spazio di possibilita' assolutamente sconosciute: l'ampiezza e l'apertura ottica della steppa, qualcosa di assai diverso dalla foresta vergine. * Emozioni all'orizzonte Qui il filosofo si fa restituire le redini dal paleoantropologo, al quale le aveva provvisoriamente cedute. Fuori della foresta arriva la visibilita', una delle ossessioni di Blumenberg. Detto per inciso, non ricordo di aver mai letto in lui un dialogo cosi' accanito e motivato con la sociologia dei sensi di Georg Simmel, impegnata a leggere l'intersoggettivita' sul fronte della differenza tra la vista e l'udito. Altrove Blumenberg ha ripreso il problema, di tradizione filosofica classica, della percezione sensoriale dei ciechi dalla nascita, in questo caso il cerchio si stringe attorno alle trasformazioni primordiali: il mondo dei nascondigli e dei rifugi, delle tane e delle caverne, il mondo che coincide con il biotopo della foresta, e' un ambiente privo di orizzonte. Cio' che accade non e' che venga allargato un orizzonte originariamente angusto, ma che ne venga costituito uno in quanto tale. Blumenberg sembra emozionato, ed e' comunque emozionante, nel restituire i lineamenti di questa rivoluzione: l'orizzonte e' l'insieme delle possibilita' non ancora esperite che per suo tramite entrano nella sfera della percezione. Pur essendo una soglia puramente apparente, esso e' decisivo per l'acquisizione della coscienza da parte di un essere la cui ottica e', nell'ampiezza dell'angolo visuale, delimitata dalla convergenza frontale degli occhi e dal vantaggio della vista prospettica. * Un rischio in vista Possiamo infatti vedere solo verso un lato, ma essere visti da tutti i lati, con un effetto di accrescimento della superficie della vulnerabilita' umana che fa pensare a telecamere di sorveglianza e a mostruosita' panottiche. E che puo' intervenire anche sul mito dell'espulsione dal paradiso: perche' Adamo si nasconde a Dio? Non per la sua nudita', che e' solo una circostanza accessoria sessuofobicamente sovrappostasi alla narrazione biblica, ma perche' e' sorpreso da cio' che, nei contesti della natura e dei sensi, e' improbabile: che cioe' un essere assente sia trattato come se fosse presente e che qualcuno, foss'anche Dio, possa dargli del "tu" senza che egli lo veda. Se si riprende l'intenzionalita' di fondo del discorso, balza agli occhi che alcune figure decisive - su tutte: il rischio - non hanno tratti filosoficamente invasivi. L'uomo e' un essere vivente a rischio ed esposto al fallimento; e' l'incarnazione stessa dell'improbabilita', stante il fatto che la stragrande maggioranza delle vie evolutive non porta all'uomo e che numerosissime sono le specie animali che non compaiono nella serie degli antenati dell'uomo; e' l'animale che vive "nonostante" o "tuttavia", quasi un dispettoso miracolo strappato alla natura, se il miracolo non rinviasse gia' ad una situazione satura di cultura, di credenze e di religioni. L'uomo e' una soluzione collaterale sorprendente e inconseguente del problema complessivo dell'autoaffermazione della vita sulla terra. Nulla a che vedere, pero', con le odierne infatuazioni per il rischio, che magari proiettano all'indietro, verso condizioni antropogenetiche, il fascino esercitato da una globalizzazione sentita come eccitante ed elettrizzante, quasi che l'uomo potesse finalmente scuotersi da un torpore arcaico e plurimillenario e volgersi all'avventura planetaria. Qui l'elogio estetizzante del rischio, che siano in gioco fremiti bellicistici o strizzatine d'occhio ad un mercato inselvatichito e spietato, non c'entra proprio nulla. Si tratta, piu' sobriamente, di intendere se la costituzione naturale dell'uomo consenta di gestire in chiave di controllo razionale cio' di cui un essere arrischiato non puo' fare a meno: le protesi strumentali. Le quali non rispondono - insiste Blumenberg - ad un drammatico disagio iniziale da compensare, ma ad una debolezza biologica definitiva e morfologicamente strutturale. Se la cultura ha assunto su di se' il compito di proteggere dai rischi dell'esistenza, e' anche perche' l'organismo in questione non ha piu' partecipato all'abbattimento biologico dei rischi dell'esistenza attraverso l'evoluzione: lo ha delegato alla tecnica e alla cultura. Se la pressione selettiva si allenta e faticosamente si annuncia un mondo non darwiniano, la conseguenza potrebbe essere l'inarrestabilita' di quella evoluzione strumentale che ha reso possibile controllare i rischi estremi dell'esistenza, della vita o della morte, e che oggi e' sospettata di portare in grembo un potenziale distruttivo e catastrofico. La domanda e': abbiamo il coraggio e il potere di frenare il moltiplicarsi delle protesi? * Il politico da estrarre Quando un mago della storia della cultura e dei concetti come Blumenberg,, che aveva sulla punta delle dita secoli di pensiero occidentale e una disumana quantita' di testi, retrocede a scenari lontanissimi nel tempo, bisogna allarmarsi: vuol dire che appaiono poveri e balbettanti tutti i linguaggi filosofici che si sono succeduti. Vero e' che Blumenberg non ha mai accantonato la natura, basti pensare al capitolo sul genoma che chiude La leggibilita' del mondo o alle indagini sulla svolta copernicana. Con quest'opera, poi, si registra un'ulteriore adesione allo sforzo (oggi mediaticamente quasi disperato) di opporre resistenza alla sbornia americana dell'alternativa tra darwinismo e creazionismo, che scarnifica un panorama assai piu' frastagliato e percio' recalcitrante a stendardi propagandistici e fondamentalistici. Ma oggi le cose hanno una radicalita' diversa dall'interesse suscitato dall'ultima tappa biografica di un grande pensatore. Sull'antropologia filosofica (e su quello che ne e' l'esponente piu' versatile: Helmuth Plessner, di cui la Manifestolibri ha pubblicato Potere e natura umana) sembrano convergere, come a chiedere una ricetta risolutiva, le innumerevoli delusioni profuse dalla storia e dalla politica, all'interno di un dialogo ancora balbettante con le scienze della vita e con le ultime indagini sul cervello umano. Prospettive da timore e tremore, come suol dirsi. Ma intanto la ricerca filosofico-antropologica ha cessato di essere rimasticatura dell'"arte di vivere", ricognizione delle strategie della prudentia o fenomenologia della marcia trionfale del logos: va riappropriandosi di tutto lo spettro della natura, che a sua volta ha perduto l'ovvieta' immobile di un territorio da saccheggiare. La porta stretta per la quale passare potrebbe essere quella di estrarre ambiziosamente, da questo ricominciamento, un'immagine plausibile del politico, in grado di rimpiazzare sia la politica sia quel suo sottoprodotto, rancoroso e non autenticamente antagonistico, che e' l'anti-politica. * Postilla. Dalla Leggibilita' del mondo al recente e inedito carteggio con Carl Schmitt Quasi tutte le grandi opere di Hans Blumenberg (1920-1996) sono edite dal Mulino (Bologna), da Naufragio con spettatore a La leggibilita' del mondo, da Elaborazione del mito a Tempo della vita e tempo del mondo. Da Marietti e' edita La legittimita' dell'eta' moderna. Quanto alla tradizione italiana, piace ricordare che Blumenberg ha reso omaggio per tutta la sua vita a Giordano Bruno, dei cui testi e' stato anche curatore. Il lavoro postumo su Ernst Juenger, a giorni in libreria, ha per titolo Der Mann vom Mond (L'uomo della luna), mentre e' apparsa da poco, sempre presso Suhrkamp, una Theorie der Unbegrifflichkeit (Teoria dell'inconcettualita'). Forse attualmente sopravanzato dall'aggressiva brillantezza di Peter Sloterdijk, Blumenberg si rifara' vivo nel dibattito europeo quando il ripensamento bioetico e biopolitico del corpo avra' trovato assetti piu' equilibrati di quelli oggi raggiunti: allora riaffioreranno cose che ci erano sfuggite. E che non potevano non sfuggirci, perche' non esistono letture innocenti, gratuite o "immotivate", ne' di Blumenberg ne' di nessun altro. 7. LIBRI. ROSSANA ROSSANDA PRESENTA LA "STORIA EUROPEA DELLA LETTERATURA ITALIANA" DI ALBERTO ASOR ROSA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 luglio 2009 col titolo "In viaggio con Asor Rosa nella letteratura italiana. Una sontuosa koine'" e il sommario "Di che e' fatta un'identita' italiana, ammesso che ci sia, se non dalla lingua che si e' andata secernendo, luminosa e iridata come una perla scaramazza, dalla vecchia ostrica del latino? Riflessioni a margine dei tre volumi della recente Storia europea della letteratura italiana"] Con che faccia puo' parlare dei tre volumi di Alberto Asor Rosa sulla Letteratura italiana - ed e' solo un tirare i fili del lavoro di una vita - una che ha assai mal frequentato le patrie lettere? Al mio tempo avevo ingoiato il mortifero Vittorio G. Rossi e ascoltato Fubini che faceva lezione cupamente reggendo la fronte su una mano. 1941, 1942, tempi bui. Quale corso faceva? Non ricordo. Eppure ricordo Banfi e Marangoni e Chabod. E financo la "Farsaglia" di Luigi Castiglioni - forse per lo spavento che mi incuteva. E poi perfino lettere romanze. E' la letteratura italiana che e' scomparsa dalla mente; la scuola inabissa quello che un certo insegnante o certe pagine non hanno destato con un sussulto. E dopo il 1945, che' allora giusto finivo l'universita', ci gettavamo sui libri prima introvabili, Verlaine e Joyce e Apollinaire e Mann e Hemingway e Malraux e Melville in voluttuosa confusione. Avrei reincontrato l'Italia privatamente e senza metodo. Chissa' da quando mi porto dentro tanti versi della Commedia, penso agli amici con "Guido, io vorrei ...", mi ha stupito a Vaucluse il verde profondo delle "Chiare fresche e dolci acque" e borbotto "Italia mia benche' il parlar sia indarno..."? Perche' ricordo Chichibio che se la cava con la gru piu' che un'altra novella? Capisco perche' l'Ariosto stia fra i libri a portata di mano e non il Tasso ma, non avendo mai piu' riaperto il Carducci, come mai non mi si schiodano di dosso "Teodorico di Verona, dove vai cosi' di fretta?" e il pio bove o "Tu che pasci i buoi presso Bevagna caliginosa"? Caliginosa. Poi ci sono gli inconfessabili odi, Pascoli, perfino Manzoni - a torto, a torto, mi pento (ma e' cosi', un milanese sempre a posto con tutto). Invece Leopardi e' mio da e per sempre. Dopo, ogni lettura e' un tassello del confuso vivere. Troppo poco. Che vergogna. Volevo rimettermi a studiare con ordine, uno dopo l'altro e meglio tardi che mai, sull'Asor Rosa, invece il suo ragionare mi ha messo in moto i pensieri. Specialmente uno: di che e' fatta un'identita' italiana, ammesso che ci sia, se non dalla lingua che si e' andata secernendo, luminosa e iridata come una perla scaramazza, dalla vecchia ostrica del latino? E dopo essere passata per le lingue d'oc e d'oil, come il francese? Cosa che non succedeva agli spagnoli. Soprattutto Francia e Spagna si facevano anche stati o imperi. Noi niente, per secoli; tutti ci hanno passeggiato sopra, non sono mancati, credo, che i mongoli. Distruggendo e costruendo, ammazzando e incrociandosi, rubando e lasciando, tutti insopportabili e tutti subiti (donde, suppongo, anche il peggio del paese, "Francia o Spagna pur che se magna"). Molto tardi i grandi devono avere concluso che era piu' prudente lasciar indipendente la penisola invece che annettersela, uno di loro diventando troppo grosso. C'erano gli antichissimi e innocui conti di Maurienne, poi duchi di Savoia, appollaiati sulle Alpi ad affittarne i passaggi ("portinai" delle Alpi li definisce Le Roy Ladurie) allergici alla rivoluzione francese e poi a Napoleone, scoloriti Umberti e Amedei esperti nel ribaltare alleanze, che a un certo momento hanno senz'altro lasciato alla Francia il suolo natale e prestato orecchio agli afflitti patrioti di un'Italia che non c'era. Ma non e' curioso che l'Italia, di cui non esisteva che l'italiano, sia stata unificata da una famiglia che parlava francese? E' vero che c'era l'abile Cavour, che ha saputo tessere fili e usare e gettare il Garibaldi di Teano ("Obbedisco, sire" ed e' finito a Caprera a rimuginare orribili versi, povero leone). * Quel popol disperso Le pagine di Asor mi obbligano a chiedere perche' ci hanno insegnato storia da una parte (si fa per dire), storia della lingua mai, e letteratura italiana dall'altra? Che senso ha? Leggo questi volumi, che mi aprono tante prospettive assieme, e mi viene il dubbio che non ne abbia nessuno specie per un paese come il nostro. Anche la Germania si unificava tardi dopo una coda meravigliosa di lingua e cultura, sara' un destino, ma essa almeno si faceva mettere assieme da uno dei suoi. Noi, in compenso, non siamo riusciti a farci dividere fino in 350 stati. Bah. In ogni modo e' la tempesta del 1848 che rovescia le carte e i Savoia fanno l'Italia, un millennio che esiste l'italiano e di piu' la nostra letteratura. Che mi importa della nazione? Meno che ad Asor. Mi va bene che i barbari ci abbiano percorso da nord a sud e ritorno, e i greci, gli arabi, i turchi, i francesi, gli spagnoli. Che Nelson sia passato solo per schiacciare la rivoluzione napoletana e che, con l'aiuto della Francia, i papi abbiano massacrato la repubblica romana: potremmo averne dedotto sul serio che razza di roba eravamo e che cosa e' liberta'. Invece no, non mi pare. E' esistita sola e sempre la koine' d'una splendida lingua (koine' e' meglio di nazione, identita', stato, eccetera). Mi incanta apprendere che all'inizio del Seicento un modesto tale di Udine e un modesto tale di Grottaglie non avessero in comune ne' sovrano, ne' moneta, ne' leggi, ne', credo, modo di alimentarsi, niente di niente se non un amore spropositato per il cavalier Marino. Mi appassiona che Galileo sganci la scienza, oltre che da Aristotele, dalla chiesa e dal latino e illimpidisca il volgare. Il popol disperso che nome non ha aveva questo sontuoso linguaggio. Che ha retto a venti e maree anche se parlato da pochi, i piu' sprofondati nei vigorosi dialetti. Ma basta. Credevo di suggerire la lettura di questi tre libri per scoprire questo o quel grande, annegarvi provvisoriamente come in un quieto lago, rifare il viaggio di Dante, ascoltare le novelle di Boccaccio raccontate due volte, innamorarsi di nuovo dello scettico Ariosto, costeggiare il Poliziano e farsi tentare da Ippolito Nievo piuttosto che, come e' successo a me, dalla Certosa di Parma di Stendhal. Invece mi ha avvinto il castone in cui le gemme sono collocate, quel crogiolo di eventi e idee di un'Europa nell'infuriare di eserciti belligeranti e trattati che ne amputavano e ricucivano incessantemente i territori. Le koine' linguistiche mettono in comunicazione e in forma per loro correnti profonde, veicolando tesori, scordando lo scordabile e cancelleresco, collegando le genti. Perche' diavolo ci fanno studiare tutto diviso, neanche una modesta sinopsi che metta accanto davanti ai piu' giovani la sorprendente contemporaneita' di luci ed orrori? Cosi' avevo a lungo pensato pigramente al nostro Seicento - invidiando ai francesi le grand siecle e agli spagnoli Cervantes - come peste, guerre, lontani ma decisivi trattati di Westphalia, streghe arrostite e leziose decadenze, Galilei come se fosse di un altro mondo. E invece le pagine sul barocco e la decadenza sono bellissime e inducono una messe di problemi e gettano luci su insospettati legami, perche' e' anche un secolo di filosofia, anzi di passaggio per tutte, piu' o meno amabili. E' implicito il rapporto con quella storia della chiesa, che in Italia e' coperta da un fitto velo - almeno se ne parlasse nell'ora di religione - benche' la gran parte di noi sia stata per secoli sotto le sue per niente spirituali zampe. E in latino. Credo che solo per il concilio di Tours abbia permesso qualcosa di simile all'italiano e al tedesco. Ancora adesso l'italiano le dispiace. Bisogna essere grati anche a Sabine Koester Genuini per le limpide schede sulla lingua; anch'essa torrentizia. E pensare che la nostra letteratura e' nata prima di essa, assieme al francese e agli occitani che gia' avevano sfondato il latino volgare e molto piacevano a poeti e viaggiatori della penisola dopo che i barbari vi avevano scorrazzato e prima che gli indigeni decidessero se la piu' bella del reame fosse la fiorentina, e se si', quella di Dante o quella di Guido Cavalcanti. * La chimera dell'identita' Siamo proprio un paese che fa spesso a meno di date e confini precisi. A proposito di date, si dice che il primo italiano trascritto siano state le parole d'un tale che certificava alcune terre essere appartenute da trent'anni ai benedettini. E io che credevo da una vita che la prima scritta in volgare fosse su un affresco in San Clemente a Roma e suonasse, ahime', "Tira su quella trave, figlio di puttana". Gli amici francesi cui la mostravo mi precisavano che loro, invece, avevano "Etoilette, te voila' - que la lune trait a' soi" (Eccoti, stellina, che la luna si tira accanto). Vuoi mettere? Almeno fossi autorizzata ad opporgli d'ora in poi "Meravigliosamente - un amor mi distringe"... E' in questa galassia che fluttua per secoli la chimera dell'identita' italiana, fra potentati altrui e servaggi nostri. Almeno non abbiamo l'arroganza dei francesi che della loro lingua presumono ancora che sia la sola nella quale si possa pensare. Invece le perle formatesi nella putredine del latino seguono ciascuna i loro cammini, in versi, vezzi, prose, pensieri, lampi, ragionevoli abiure. Insomma, giovani internauti, leggete gaudiosamente. Sappiate che non e' obbligatorio morire di Google. Per conto mio, stasera comincio Paolo Sarpi, che a lungo ha significato per me soltanto l'omonima via, e mi vendichera' di Ratzinger. * Postilla. Scelte di metodo "Una 'storia della letteratura' si puo' scrivere in molti modi, molti dei quali del tutto legittimi, anche se fortemente contraddittori fra loro. Protagonisti privilegiati di 'questa' storia della letteratura sono gli Autori e le Opere. Questa scelta non e' avvenuta in maniera occasionale: essa rappresenta il frutto di una precisa persuasione metodica". Con queste parole prende avvio la Storia europea della letteratura italiana di Alberto Asor Rosa, uscita da Einaudi e suddivisa in tre volumi, il primo (pp. XVIII + 694, euro 30) dedicato alle origini e al Rinascimento, il secondo intitolato "Dalla decadenza al Risorgimento" (pp. VIII + 652, euro 30) e il terzo infine (pp. VIII + 632, euro 30) sulla "Letteratura della Nazione". 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 874 del 7 luglio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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