Minime. 867



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 867 del 30 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Quattro cose da fare subito
2. Rossana Rossanda: Il quadro
3. Gregoire Allix e Laurence Caramel intervistano Amartya Sen
4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
5. Juergen Habermas: Ralf Dahrendorf
6. Riletture: Inni omerici
7. Riletture: La navigazione di San Brandano
8. Riedizioni: Leonardo Vittorio Arena, Kamikaze
9. Riedizioni: Plutarco, Vite parallele (Alessandro, Cesare, Pericle, Fabio
Massimo)
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. QUATTRO COSE DA FARE SUBITO

Contrastare il tentativo del governo golpista di introdurre in Italia il
regime dell'apartheid.
*
Ricostruire su posizioni finalmente limpidamente nonviolente un movimento
per la pace in Italia che si ponga come primo indispensabile obiettivo la
cessazione della partecipazione italiana alla guerra afgana e il ritorno
dell'Italia nell'alveo della legalita' costituzionale e del diritto
internazionale.
*
Collegare le mille sparse lotte in difesa dell'ambiente, della salute, dei
diritti e della legalita', dando ad esse una base ermeneutica e metodologica
comune caratterizzata dalla scelta teorica e pratica della nonviolenza.
*
Porre l'esigenza delle dimissioni del Consiglio dei ministri golpista e
razzista e del suo presidente corrotto e corruttore. Costruire un movimento
democratico il piu' ampio possibile convergente sulle parole d'ordine del
rispetto della legge uguale per tutti, del ripristino della civile
convivenza e del responsabile condursi, del rispetto dei diritti umani di
tutti gli esseri umani.

2. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: IL QUADRO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 giugno 2009 col titolo "Alle origini
del declino"]

La diagnosi dello stato della politica in Italia e' semplice: meta' dei
cittadini si e' astenuta alle elezioni europee, ai ballottaggi delle
amministrative, e al referendum molto di piu'. Il quadro e' simile in tutta
Europa. I socialisti hanno perduto dovunque, il parlamento europeo e'
largamente di centrodestra. Le sinistre radicali sono piu' deboli del
previsto, quelle italiane sono scomparse di scena. In Italia e' assente una
socialdemocrazia, indebolita altrove. Dovunque spunta o si rafforza una
destra estrema. Il segnale e' opposto a quello venuto dagli Stati Uniti, e
infatti in Europa per nulla raccolto.
In Italia Berlusconi non supera, come sperava, il 35% ed e' meno forte di un
anno fa. La Lega va al 10, sono inseparabili. Fini gioca un gioco suo. Se
questo portera' a una crisi di governo, sara' prodotta e gestita dalla
maggioranza (e appoggiata dal Vaticano, via Casini). La minoranza e' divisa
fra un Pd in calo, diviso e confuso e una sinistra radicale in briciole.
Neanche i Verdi sembrano fuori dalla crisi, malgrado che Obama negli Usa e
molti in Europa vedano nell'ecologia un investimento necessario e un
valore-rifugio. L'opzione bipartitica che era stata comune a Berlusconi e
Veltroni e' caduta.
*
1. Se su questo quadro sintetico siamo d'accordo, resta da vedere se si
condivide il perche' di questo esito. A mio avviso per l'Italia esso va
cercato lontano, nell'arco della mia generazione, che d'altronde non e' piu'
che un momento storico. Infatti il disastro di oggi appare piu' grande in
quanto la sinistra del dopoguerra e' stata piu' forte che altrove. Mai stata
maggioranza, come ha osservato Norberto Bobbio, anche perche' era
rappresentata, in un paese tenuto fuori dal crogiuolo degli anni Venti e
Trenta in Europa, da comunisti e socialisti e un forte sindacato, che hanno
schiacciato, fra se stessi e la Dc, una interessante terza forza (Giustizia
e Liberta').
Questa forma presa dalla sinistra, dalla Resistenza al 1956, e' alquanto
diversa dalle altre in occidente. I socialisti e i comunisti, liberi dalle
contese degli anni Trenta coperte dal fascismo, sono ancora uniti e i
comunisti appaiono - salvo alla Dc e al "partito americano" - abbastanza
svincolati dall'Urss (concepita peraltro anch'essa non come un pericolo
incombente). Cosi' dopo il 1956 e la divisione con il Ps, il Pci supera
gradualmente, in quantita' e qualita' di ascolto, il gia' piu' forte Pcf,
facendo propria una larga frangia d'opinione. E' difficile separare da esso
la messa a fondamento del senso comune repubblicano, costituzionale,
antifascista; e questo, perlopiu', colorato di un'ombra di concezione
classista (vivissima nella Resistenza anche in Giustizia e Liberta' e poi
nel cattolicesimo di Dossetti e della corrente di base della Dc).
*
2. Il quadro muta negli anni Sessanta-Settanta, in corrispondenza alla
grande modernizzazione del paese nella composizione sociale, produttiva e
culturale. Il Ps ha mutato fronte, nel Pci si apre un dibattito, il
sindacato cresce e muta la sua struttura di base, un'area di sinistra
radicale comincia ad apparire separata dai comunisti, che pero' crescono di
peso.
Il corto circuito e' determinato dal movimento del 1968. Diversamente dal
resto d'Europa esso si verifica in presenza di un forte partito comunista
che non lo attacca frontalmente, ma del quale esso chiude l'egemonia. Il
1968 ha in Italia una coda lunga un decennio. Come in nessuna parte altrove,
ha modificato diversi parametri della cultura, ha prodotto la densa
politicizzazione dei gruppi extraparlamentari diversa da quella del
movimento comunista, ha indotto un vasto associazionismo che si vive come
controcultura e contropotere.
E' una seconda e tumultuosa modernizzazione del paese che si colloca a
sinistra del Pci ma non riduce la sua forza nell'opinione di massa, anzi.
I comunisti arriveranno a un terzo dei voti, il sindacato e' forte,
l'intellettualita' e' come non mai politicizzata e diffusa. Il "movimento"
critica Pci e Cgil ma trascina l'appartenenza al sindacato (il piu'
modificato) e il voto al Pci; le elezioni del 1975 danno alla sinistra tutte
le grandi citta'.
Questa tendenza non sembra intaccata dal compromesso storico (1973), poco
percepito a livello di opinione. E' come se soltanto l'astensione comunista
del 1976 verso il governo Andreotti ne rivelasse il vero senso. E' in
quell'estate che si spezza ogni speranza delle minoranze di movimento, il
movimento stesso si divide e una piccola parte di esso (non occorrono molti
per sparare) va davvero sulle armi (omicidio di Coco a Genova).
Tuttavia l'elettorato sosterra' sempre maggiormente il Pci fino alla morte
di Berlinguer, il quale peraltro fa, negli ultimi anni, e isolato dal resto
del gruppo dirigente, una virata a sinistra.
*
3. Tardiva. Sul piano mondiale il 1968 non e' sfuggito alle classi
dominanti, che si riattrezzano. Il Pci non ha compreso il senso
dell'abolizione del gold standard, ne' quello della crisi dell'energia del
1973-74 e tanto meno i mutamenti strutturali del capitale e delle tecnologie
in atto e la ricomposizione delle strategie che ne conseguono (Trilaterale).
Ne' ha capito realmente le soggettivita' che si dibattono contro di esso.
Non intende neppure, se non in un breve sussulto concernente le donne, la
rivoluzione passiva che si compie fin dall'inizio fra generazioni nei
rapporti familiari e d'autorita'. Non capisce la portata ideale
dell'anticomunismo del movimento.
Del tutto estraneo gli e' il 1977 italiano, assai reattivo ai mutamenti del
lavoro ma errato nella previsione, come non aveva capito prima il formarsi
dell'estremismo delle Brigate rosse e di Prima linea, di cui non vede altro
che il pericolo che costituiscono per il suo accreditamento come forza di
governo. Berlinguer pratica duramente l'emergenza inseguendo Moro, anch'egli
incerto e isolato nella Dc.
Negli anni Ottanta il salto tecnologico e' avvenuto, specie
nell'informazione e in quel che ne deriva per il movimento dei capitali e
per la finanziarizzazione, ma i comunisti leggono solo in termini di
politica antisovietica la restaurazione di Thatcher e Reagan, sottovalutano
la stagnazione dell'Urss di Breznev, non capiscono il tentativo di Andropov,
esitano su Solidarnosc in Polonia come avevano esitato su Praga; la
berlingueriana "fine della forza propulsiva" del 1917 arriva quando la
scomposizione del Pcus e' ormai avanzata e tutti i rapporti con il dissenso
ancora di sinistra dell'est sono stati mancati. Cosi' fino a Gorbaciov.
Con Craxi e poi con la morte di Berlinguer e' gia' andata molto avanti,
anche se non in termini elettorali, la crisi del Pci e comincia quella della
Cgil. La fine della prima Repubblica e' soprattutto la fine loro.
*
4. Negli anni Ottanta il movimento del '68 si chiude del tutto, abbattuto
assieme alle Brigate rosse, con le quali pur non aveva avuto a che fare, il
radicalismo e anche l'estremismo essendo una cosa, passare alle armi
un'altra.
Si forma e struttura, di nuovo, soltanto il filone del secondo femminismo.
Con il 1989 la crisi del Pci semplicemente si compie, la "svolta" induce un
altro partito, idealmente e organizzativamente, e si fa senza una rivolta di
base. Rifondazione nasce come un ritorno a ieri e si dibattera' senza pace
sul come diventare una chiave per il domani; ne' il Pci ne' Rc fanno un
bilancio storico del comunismo e della loro stessa funzione in Italia.
Quella che era stata l'intera area della sinistra resta, fra disincanti e
fibrillazione, mentre precipitano socialisti e comunisti.
Bruscamente va in pezzi quel che era parso per venti anni senso comune, il
rifiuto del "sistema". Le sinistre si restringono in piccoli gruppi, alcune
si affinano, non riusciranno o forse non vorranno piu' unificarsi.
Da allora una perpetua discontinuita' produce spezzoni di movimento puntuali
e perlopiu' incomunicanti. Il sussulto di quello enorme per la pace e poi
del sindacato al Circo Massimo non daranno luogo a una ripresa costante,
anche per il senso di impotenza che deriva dalla nullita' del loro
risultato.
*
5. L'89 e' tutto gestito dalla ripresa del capitale e nella sua forma
prekeynesiana. L'ideologia dei Fukuyama e degli Huntington - fallimento ab
aeterno del socialismo e inevitabile scontro di civilta' - colpisce a fondo
la sinistra storica, che patisce i fallimenti dei socialismi reali, non li
affronta e si arrende; le socialdemocrazie altrove e gli ex comunisti in
Italia praticano con zelo e pentimento le politiche liberiste.
Ma anche le culture diffuse delle sinistre radicali galleggiano a fatica.
Molte percezioni del '68 si rovesciano su se stesse nel risentimento verso
quel che il movimento operaio, gia' venerato, non ha compreso: ha
sacrificato la persona alla collettivita', l'individuo al partito, il
conflitto dei sessi all'"economicismo", la terra allo sviluppo devastatore.
Ha sottovalutato la dimensione del sacro, dell'etnia, dei cicli. Ha
glorificato la ragione contro l'emozione, l'occidente contro le diversita',
l'avvenire rispetto al presente. Il postmoderno ha dato una mano. Questa e'
la tendenza maggioritaria. Restano, ma molto minoritari, alcuni movimenti.
La trasmigrazione verso l'ecologia e' la piu' forte.
La precipitazione della politica nella corruzione e nella bassezza e
l'emersione di Berlusconi non trovano freno. L'area gia' comunista e
socialista non tenta neppure un riallineamento verso la socialdemocrazia. La
spoliticizzazione segue alla delusione; si vive nell'oggi perche' e' dannata
la memoria del passato e non si sa che cosa volere per il futuro.
Incertezza, risentimento, paura. Protezionismo degli ancora occupati davanti
a una crisi che non intendono. Mai, per parafrasare Guicciardini, la gente
italiana e' stata cosi' infelice e cosi' cattiva.
*
6. Se "sinistra" ha avuto un senso nel XIX e XX secolo era liberta',
eguaglianza, fraternita', declinate nell'eredita' della rivoluzione
francese. La prima nell'idea di democrazia, la seconda da Marx, la terza
(diversamente dal senso che aveva avuto nel 1789) come solidarieta' fra gli
umani. Esse percorreranno fra le tragedie tutto il XX secolo. Il loro
rifiuto non significa che sia avvenuta una rideclinazione. Significa il
ripiegamento dalla liberta' all'individualismo e il volgere il bisogno di
appartenenza verso categorie metastoriche (religioni, nazionalismi, etnie e
altre presunte origini). Significa negare l'eguaglianza di diritti (e non
solo ne' tanto nell'interpretazione che ne da' parte del movimento delle
donne) e fare dell'affermazione del piu' forte il principio e motore della
societa'. Significa affogare la fraternita' nell'odio e nella paura
dell'altro e del diverso. Berlusconi e Bossi sono inimmaginabili negli anni
'60.
*
Questa e' oggi la meta' dell'Italia che parla. L'egemonia e' passata a
destra. La sua affermazione segnala una rivoluzione antropologica prima che
politica. La degenerazione della politica ne e' concausa e conseguenza.
Almeno se politica significa, non marxianamente ma arendtianamente,
"preoccuparsi del mondo".
Di questo rozzo tentar di delineare il quadro vorrei discutere.

3. RIFLESSIONE. GREGOIRE ALLIX E LAURENCE CARAMEL INTERVISTANO AMARTYA SEN
[Dal quotidiano ""La Stampa" del 10 giugno 2009 col titolo "Amartya Sen, non
si vive di solo Pil" e il sommario "Benessere e progresso devono essere
ripensati. Senza regole non e' possibile realizzarli"]

Ben prima che la crisi economica facesse riscoprire ai grandi governi
mondiali le virtu' della regolamentazione, Amartya Sen, premio Nobel per
l'Economia nel 1998, faceva parte di quegli economisti che difendevano il
ruolo dello Stato contro la moda liberista.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: La crisi economica e' l'occasione per
rivedere i nostri modelli di sviluppo?
- Amartya Sen: Offre certamente l'opportunita' di farlo. Spero proprio che
non si torni al "business as usual" una volta che il peggio sara' passato.
La crisi economica ha prodotto un grave malessere politico, soprattutto
negli Stati Uniti. Per decenni le regole erano state demolite da
un'amministrazione dopo l'altra, da Reagan a Bush. Certo, il successo
dell'economia liberale e' sempre dipeso dal dinamismo del mercato, ma anche
dai meccanismi di regolazione e di controllo, per evitare che la
speculazione e la ricerca del profitto portassero a correre troppi rischi.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: E' solo un problema di
regolamentazione, o bisogna ripensare in senso piu' ampio le nozioni di
progresso e di benessere?
- Amartya Sen: Si', bisogna ripensarle. Benessere e regolamentazione sono
questioni collegate. Se si crede che il mercato non abbia bisogno di
controllo, perche' la gente fara' automaticamente le scelte giuste, non ci
si pone neppure il problema. Se invece ci si preoccupa del benessere e della
liberta', bisogna organizzare l'economia in modo tale che queste due cose
siano realmente possibili. Allora le domande sono: quali regolamentazioni
vogliamo? Fino a quale punto? Ecco le questioni importanti che devono essere
discusse collettivamente.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: Bisogna elaborare altri indicatori
della crescita economica, a parte il prodotto interno lordo?
- Amartya Sen: E' assolutamente necessario. L'indicatore del Pil e' molto
limitato. Utilizzato da solo, e' un disastro. Gli indici della produzione o
del commercio non dicono granche' sulla liberta' e sul benessere, che
dipendono dall'organizzazione della societa'. Ne' l'economia di mercato ne'
la societa' sono processi che si autoregolano. Hanno bisogno dell'intervento
razionale dell'essere umano. La democrazia e' fatta per questo: per
discutere del mondo che vogliamo, ivi compresi i termini di regolazione dei
sistemi della sanita', dell'istruzione, delle tutele contro la
disoccupazione... Il ruolo degli indicatori e' di aiutare a portare il
dibattito su questi temi nell'arena pubblica. E' necessario per le decisioni
democratiche.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: L'indice di sviluppo umano Idh puo'
essere uno dei nuovi indicatori?
- Amartya Sen: L'Idh e' stato concepito per i Paesi in via di sviluppo.
Permette raffronti fra la Cina, l'India, Cuba... ma da' anche risultati
interessanti riguardo agli Stati Uniti, e in genere per quei Paesi che non
hanno assicurazione sanitaria universale e che sono contrassegnati da grandi
disuguaglianze sociali. Ma abbiamo bisogno anche di altri indicatori per
l'Europa e l'America del Nord, pur sapendo che non saranno mai indicatori
perfetti.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: Quando lei ha concepito l'Idh, la crisi
ambientale non era ancora stata percepita in tutta la sua gravita'. Tenendo
conto di questo nuovo aspetto, lei modificherebbe la sua visione della lotta
alla poverta'?
- Amartya Sen: Il declino della qualita' dell'ambiente incide sulle nostre
vite. Lo fa in modo immediato, nel nostro quotidiano, ma anche riducendo le
possibilita' di sviluppo a lungo termine. L'impatto del cambiamento
climatico e' piu' pesante sulle societa' dei Paesi piu' poveri. Prendere ad
esempio l'inquinamento urbano: quelli che lo subiscono di piu' sono coloro
che vivono in strada. La maggior parte degli indicatori della poverta' o
della qualita' della vita dipendono anche dalle condizioni ambientali. Ecco
perche' e' importante che le questioni della poverta' e della disuguaglianza
siano tenute in considerazione nei negoziati internazionali sul clima.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: In che modo?
- Amartya Sen: Innanzitutto i Paesi in via di sviluppo devono avere una
rappresentanza nei negoziati. L'allargamento dal G8 al G20 puo' segnare un
parziale progresso. Adesso il punto di vista della Cina, dell'India, del Sud
Africa e degli altri Paesi emergenti viene preso in considerazione. Ma non
e' sufficiente dare la parola a questi Paesi che sono maggiormente riusciti
a farsi valere nel mondo dell'economia: bisogna accogliere anche le istanze
dei piu' poveri. Nel G20 l'Africa resta troppo trascurata. Una cosa da fare
e' rafforzare il ruolo dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. E'
quella la sola istituzione in cui qualunque Paese, a prescindere dal peso
economico, si puo' esprimere su un piano di uguaglianza con ogni altro.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: I suoi studi hanno mostrato come la
diffusione di istituzioni democratiche abbia sollecitato i governi a
combattere il problema della fame in maniera piu' determinata ed efficace.
Questa nozione si potrebbe applicare anche alla crisi alimentare attuale?
- Amartya Sen: La democrazia permette di evitare la fame, perche' la fame e'
un problema contro il quale e' molto facile mobilitare l'opinione pubblica,
quando questa si puo' esprimere liberamente. A partire da quando l'India si
e' governata democraticamente, cioe' dal 1947, non ha piu' conosciuto la
fame nel senso stretto del termine. D'altra parte, la democrazia di per se'
non e' in grado di evitare la malnutrizione, che e' un problema piu'
complesso. Serve un impegno fortissimo dei partiti politici e dei mass media
per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su questo problema e
sollevare un dibattito pubblico.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: La inquieta vedere che la superficie
destinata alla coltivazione dei biocarburanti si sta allargando a scapito
delle coltivazioni alimentari?
- Amartya Sen: Si', mi preoccupa molto osservare che spesso e' piu'
profittevole utilizzare i prodotti agricoli per distillare etanolo che per
sfamare la gente. Le crisi alimentari non si spiegano piu' con ragioni
malthusiane - non e' un problema di nutrire sei oppure nove miliardi di
persone. Le ragioni della penuria sono piu' complesse, penso soprattutto
agli usi alternativi della terra, ma anche ai cambiamenti del regime
alimentare in Cina e in India, dove la domanda di nutrimento per abitante si
accresce con l'incremento dei redditi individuali.
*
- Gregoire Allix e Laurence Caramel: Lei denuncia l'approccio coercitivo
delle politiche demografiche. Perche'?
- Amartya Sen: Ci sono due modi per vedere l'umanita': come una popolazione
inerte, che si contenta di produrre e di consumare per soddisfare dei
bisogni; o come un insieme di individui dotati della capacita' di ragionare,
di liberta' d'azione, di valori. I malthusiani appartengono alla prima
categoria, e cosi' pensano che per risolvere il problema della
sovrappopolazione basti limitare il numero dei figli per famiglia. Diversi
Paesi ci hanno provato, ma non hanno avuto molto successo. Il caso della
Cina e' piu' complesso di quanto sembri: a mio parere si da' troppo rilievo
alla politica del figlio unico, mentre altri programmi a favore
dell'istruzione femminile e dell'accesso al lavoro hanno fatto moltissimo
per limitare la crescita demografica. Non dimentichiamo che per Malthus alla
fine del XVIII secolo un miliardo di esseri umani sarebbe gia' stato troppo.

4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

5. PROFILI. JUERGEN HABERMAS: RALF DAHRENDORF
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 19 giugno 2009 col titolo "Ralf
Dahrendorf, il sociologo che amo' le virtu' della politica" e la nota
redazionale "Questo testo e' stato pronunciato in occasione degli ottanta
anni di Ralf Dahrendorf. E' stato pubblicato sulla 'Frankfurter Allgemeine
Zeitung' il 2 maggio scorso"]

Con un senso di patriottismo per me inconsueto vorrei ricordare che prima di
vivere a Londra e a Oxford, Ralf Dahrendorf ha avuto una vita precedente in
Germania: un mondo parallelo dove rimane di lui un'eco tuttora molto viva e
presente. Di fatto quest'intellettuale, autore erudito e acuto pubblicista,
che a piu' riprese ha formulato analisi diagnostiche del tempo in cui
viviamo, non ha mai veramente lasciato la Germania. E solo nel momento in
cui e' diventato Lord ci siamo visti costretti a prendere atto del
collaterale percorso britannico di questo docente di sociologia, gia' tanto
presente nella sfera internazionale.
Peraltro, non e' stato il mondo anglofono a conferirgli per primo la sua
notorieta'. Quando ci incontrammo per la prima volta, 54 anni fa, Dahrendorf
era gia' un astro nascente. Nel lontano 1955 Helmut Schelsky invito' ad
Amburgo un gruppo di giovani e promettenti sociologi. Io ero presente solo
in veste di giornalista, incaricato di descrivere per la "Frankurter
Allgemeine Zeitung" le attivita' di questa giovane schiera. Quel convegno
chiamo' a raccolta la maggior parte dei sociologi della nostra generazione,
che in seguito si sarebbero fatti un nome. In quello che in una visione
retrospettiva della vecchia Repubblica federale tedesca appare come un
circolo di illustri studiosi, un giovane di Saarbruecken emergeva con
notevole distacco su tutti gli altri. Questo pensatore dalla mente
brillante, che all'arte dell'ermeneutica aveva preferito la chiarezza nella
costruzione di tipologie ideali di particolare incisivita', attiro' ben
presto l'attenzione, non solo per la sua straordinaria eloquenza ma anche
per un atteggiamento alieno da ogni compromesso, che fin da allora gli
conferiva autorevolezza. A farlo emergere tra i suoi colleghi era la fiducia
in se stesso e nella sua posizione d'avanguardia, quella sua disponibilita'
a lasciar cadere vecchie formule per dare spazio al nuovo.
Si era colpiti innanzitutto dalla precocita' della sua carriera. Laureato in
filosofia e studi classici, a soli 26 anni era gia' libero docente, dopo
aver scritto una tesi di dottorato su Marx e ottenuto alla London School of
Economics il PhD in sociologia - un titolo che a quei tempi ci appariva
esotico. Subito dopo divenne il piu' giovane professore di ruolo
dell'universita' di Tuebingen. Ma cio' che gli valse il rispetto dei
colleghi fu soprattutto la sua competenza e familiarita' col pensiero
sociologico del mondo anglofono, cosi' come la sua posizione critica nei
confronti di Talcott Parsons, cui contendeva il passo all'avanguardia della
ricerca: un autore allora in primo piano sulla scena internazionale, che noi
studenti degli ultimi banchi ancora dovevamo leggere.
Il senso della sua critica era chiaro: i conflitti di classe, in ultima
istanza sempre radicati nei rapporti di potere, sarebbero trainanti per gli
sviluppi sociali; e in quanto tali sono da considerarsi auspicabili. Dunque,
piu' che a risolverli, si dovrebbe tendere a istituzionalizzarli e ad
affrontarli in forme civili. Negli anni '50 e all'inizio degli anni '60 fu
Dahrendorf a stabilire i termini dei nostri dibattiti internazionali. Senza
di lui, in Germania non vi sarebbe stata la discussione sulla teoria dei
ruoli, e neppure la celebre disputa sul positivismo. I suoi primi libri, in
particolare Class and conflict in the industrial society (1957), Homo
sociologicus (1961) e Gesellschaft und Freiheit (Societa' e liberta') (1961)
sono ormai dei classici; e contengono gia' le due ipotesi centrali che sono
alla base del percorso intellettuale seguito da questo pensatore liberale
per tutto il corso della sua vita, con ammirevole tenacia.
La prima di queste ipotesi contrapponeva Kant e Max Weber a Rousseau, mentre
il bersaglio non dichiarato era Marx: in base ad essa le disuguaglianze
sociali non si spiegherebbero in primis in termini di distribuzione
diseguale della proprieta', ma risulterebbero dalla necessita' di applicare
sanzioni per imporre il rispetto di comportamenti sociali rispondenti alle
norme. Le disuguaglianze sarebbero dunque il prodotto collaterale di una
struttura di potere intrinseca alla societa' in quanto tale. La seconda
ipotesi, rivolta alla socialdemocrazia classica, giustifica il mercato come
il meccanismo centrale di diffusione della liberta': l'uguaglianza giuridica
garantita dalla cittadinanza democratica dovrebbe essere letta innanzitutto
come parita' di opportunita', e non come concetto generatore di
rivendicazioni; quantomeno, in caso di conflitto, la liberta' della privata
ricerca della felicita' dovrebbe pesare sulla bilancia piu' del fardello
della disuguaglianza sociale. Ma ovviamente Durkheim non e' del tutto
dimenticato: se la vita sociale fosse ridotta solo alle varie opportunita'
tra cui poter scegliere piu' o meno razionalmente, la coesione sociale
correrebbe un grave pericolo.
Benche' la tendenza anti-utopistica del moderato liberalismo di mercato (con
tutti i suoi risvolti egualitari e democratici) fosse in netto contrasto con
le mie vedute, ero conquistato dalla passione con cui Dahrendorf sosteneva
le tradizioni politiche dell'Illuminismo. Facendo appello alla coscienza dei
suoi connazionali, egli sosteneva che tendenzialmente i problemi della
Germania sono sempre stati nazionali e sociali, piu' di quelli liberali e
democratici delle nazioni all'avanguardia delle liberta'. Il suo libro
Societa' e democrazia in Germania, pubblicato nel 1965, e' probabilmente
lí'opera che ha avuto il maggiore impatto sulla mentalita' politica della
popolazione tedesco-occidentale, nel suo lungo cammino verso una democrazia
che solo nel corso dei primi tre o quattro decenni del dopoguerra e'
riuscita a spogliarsi dei residui di tradizioni autoritarie.
Dahrendorf ha sempre inteso la sociologia come teoria sociale; e non ha mai
rinunciato, anche nel mezzo di un processo sempre piu' accelerato di
crescente complessita' sociale, a utilizzare le sue conoscenze professionali
come strumento per aggiornare via via la diagnosi di una modernita' in
continua evoluzione. A un dato momento, la sociologia ha ereditato dalla
filosofia il compito di "cogliere nel pensiero il proprio tempo". E tuttavia
la maggior parte dei sociologi ha ormai largamente abbandonato
l'interpretazione classica di questa disciplina. Oggi, qualunque sociologo
che voglia attenersi al compito di fornire orientamenti e dare un contributo
alla concezione complessiva che una societa' ha di se stessa e' chiamato a
giustificare il proprio operato. Ma per quanto lo riguarda, Dahrendorf ha
sempre portato avanti la sua attivita' accademica come "homo politicus",
vivendo, pensando e scrivendo dalla posizione privilegiata conferitagli
dalla sua esperienza: quella di una generazione di tedeschi che non poteva
non prendere posizione a fronte della svolta epocale del 1945.
A questo riguardo, l'ultimo libro di Dahrendorf, Versuchungen der
Unfreiheit, Tentazioni della illiberta', del 2006 (tradotto da Laterza con
il titolo Erasmiani - ndr), e' illuminante. Prendendo ad esempio un gruppo
di eroi post-eroici, egli sviluppa in questo testo un'etica della virtu'
politica. Non cerchero' di stabilire quanto sia convincente la selezione
degli eroi della sua galleria, ne' fino a che punto le virtu' di questi
osservatori incorruttibili ancorche' impegnati risultino entusiasmanti. Cio'
che piu' mi interessa e' il formato che il sociologo Dahrendorf ha conferito
alla sua etica della virtu'; e il modo in cui descrive la storia delle
giustapposte mentalita' politiche di una specifica generazione, quella dei
nati tra il 1900 e il 1919, descritta da Ernst Glaeser nel suo celebre
romanzo Jahrgang 1902 (Classe 1902). Il protagonista di questo romanzo
rappresenta la "generazione degli irriducibili", da cui vennero reclutati,
negli anni '20 e '30, gli elementi piu' attivi e coriacei dei maggiori
movimenti ideologici di quel periodo. In altri termini, il romanzo presenta
una figura di militante antitetica alle icone liberali di Dahrendorf -
personalita' come Aron, Popper, Berlin, che a differenza di molti
intellettuali hanno mantenuto le distanze dai movimenti totalitari, sia di
destra che di sinistra. Ovviamente, il testo di Dahrendorf non lascia dubbi
sul carattere esemplare di quest'ultima posizione. E' stato l'amore della
liberta' a immunizzare questi pensatori dalle tentazioni del secolo dei
totalitarismi.
Colpisce pero' un'omissione dell'autore. Indipendentemente dalla direzione
nella quale abbia marciato o meno la generazione dei nati nel 1902, per un
certo aspetto essa e' cresciuta in circostanze simili a quelle di chi, come
lo stesso Dahrendorf, e' nato nel 1929. Gli uni e gli altri avevano undici o
dodici anni all'inizio, e quindici o sedici alla fine di una delle due
grandi guerre del secolo. Piu' delle rispettive posizioni sulle vicende del
loro tempo, a determinare in maniera tanto drastica il profilo politico di
quelle due generazioni, e' stato il carattere provocatorio degli eventi
stessi a sfidarli, spingendoli a prendere posizione. Nel suo libro,
Dahrendorf non si sofferma sulla propria generazione, piu' fortunata, meno
soggetta a quelle tentazioni; ma anche in assenza di un confronto esplicito,
i paralleli, e piu' ancora le evidente differenze hanno certamente inciso
sul suo modo di vedere la scorsa generazione di intellettuali, costretti a
mettersi alla prova e rischiare di sbagliare tutto.
La generazione successiva e' stata al riparo dalla tentazione totalitaria e
dal rischio di errori tanto estremi. In quelle circostanze, molti di noi
potevano certo essere tentati a giostrare senza sforzo tra le costellazioni
del passato, per identificarsi con la parte moralmente superiore senza dover
pagare alcun prezzo. Ma anche in questo senso Dahrendorf rappresenta un caso
eccezionale: a soli quindici anni, un'eta' in cui altri erano immersi fino
al collo nel privato delle crisi adolescenziali, si era esposto
politicamente, tanto da farsi arrestare dalla Gestapo; per lui quindi non
vale l'accusa di atteggiarsi a radicale a cose fatte. Se tuttavia si puo'
discernere un'ombra di rimpianto per la natura non eroica del tempo in cui
siamo vissuti, e persino per qualche lievissima traccia di quietismo nelle
biografie delle figure erasmiane da lui tanto ammirate, il motivo va
senz'altro ricercato nell'impegno appassionato e impaziente di un
intellettuale che in barba a un sano e sensato razionalismo non aveva mai
perso la sua combattivita'. Quando mai un uomo di questa tempra potra'
lodare - come Brecht - dal profondo del cuore, "un Paese che non ha bisogno
di eroi"?

6. RILETTURE. INNI OMERICI
Inni omerici, Fondazione Lorenzo Valla, 1975, Mondadori, Milano 1994, pp.
LXXXVI + 652, lire 17.000. A cura di Filippo Cassola, testo greco a fronte,
ampio commento. Trovo di una bellezza abbagliante questi relitti di una
remota umanita'. Essi parlano al mio cuore con voce cosi' nitida e profonda
che non so piu' se e' la lontananza da cui provengono a commuovermi, o
veramente quel volto e' ancora il nostro.

7. RILETTURE. LA NAVIGAZIONE DI SAN BRANDANO
La navigazione di San Brandano, Sellerio, Palermo 1992, pp. 128, lire
10.000. A cura di Alberto Magnani, uno dei testi fondativi di quell'immagine
favolosa del Medioevo e del Nord che tanto corso avra' nella successiva
storia della cultura dell'occidente, e reduplicazione e seme e specchio di
una metafora che si schiudera' in infiniti frutti di poesia e pensiero
ancora.

8. RIEDIZIONI. LEONARDO VITTORIO ARENA: KAMIKAZE
Leonardo Vittorio Arena, Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi,
Mondadori, Milano 2003, Societa' europea di edizioni, Milano 2009, pp. VI +
322, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una
interessante, agile monografia sulla vicenda dei piloti suicidi giapponesi
nella seconda guerra mondiale. L'autore e' docente di filosofie dell'Estremo
Oriente all'Universita' di Urbino.

9. RIEDIZIONI. PLUTARCO: VITE PARALLELE (ALESSANDRO, CESARE, PERICLE, FABIO
MASSIMO)
Plutarco, Vite parallele (Alessandro, Cesare, Pericle, Fabio Massimo),
Rizzoli, Milano 1987, Rcs, Milano 2009, pp. 756, euro 7,90 (in supplemento
al "Corriere della sera"). Testo greco a fronte, traduzioni e note di
Domenico Magnino e Anna Santoni, introduzioni dello stesso Magnino, Antonio
La Penna, Philip A. Stradter, Roberto Guerrini, contributi di Barbara
Scardigli e Mario Manfredini. Anche per me adolescente Plutarco (le Vite,
ovviamente, solo assai piu' tardi lessi i Moralia) fu una lettura di
formazione, che m'insegnava come l'uom s'illustra ed alle gesta ancora
m'esortava. Che anche la mia vita sia fallita, come sovente o forse sempre
accade, non diminuisce la gratitudine che provo per il sapiente di Cheronea.
Quel che di buono sono o son stato, per poco che sia, anche all'insegnamento
suo lo debbo. Cosi' dicevami Annibale Zagaglia iersera all'osteria del cane
nero.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 867 del 30 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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