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Minime. 867
- Subject: Minime. 867
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 30 Jun 2009 00:53:10 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 867 del 30 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Quattro cose da fare subito 2. Rossana Rossanda: Il quadro 3. Gregoire Allix e Laurence Caramel intervistano Amartya Sen 4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 5. Juergen Habermas: Ralf Dahrendorf 6. Riletture: Inni omerici 7. Riletture: La navigazione di San Brandano 8. Riedizioni: Leonardo Vittorio Arena, Kamikaze 9. Riedizioni: Plutarco, Vite parallele (Alessandro, Cesare, Pericle, Fabio Massimo) 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. QUATTRO COSE DA FARE SUBITO Contrastare il tentativo del governo golpista di introdurre in Italia il regime dell'apartheid. * Ricostruire su posizioni finalmente limpidamente nonviolente un movimento per la pace in Italia che si ponga come primo indispensabile obiettivo la cessazione della partecipazione italiana alla guerra afgana e il ritorno dell'Italia nell'alveo della legalita' costituzionale e del diritto internazionale. * Collegare le mille sparse lotte in difesa dell'ambiente, della salute, dei diritti e della legalita', dando ad esse una base ermeneutica e metodologica comune caratterizzata dalla scelta teorica e pratica della nonviolenza. * Porre l'esigenza delle dimissioni del Consiglio dei ministri golpista e razzista e del suo presidente corrotto e corruttore. Costruire un movimento democratico il piu' ampio possibile convergente sulle parole d'ordine del rispetto della legge uguale per tutti, del ripristino della civile convivenza e del responsabile condursi, del rispetto dei diritti umani di tutti gli esseri umani. 2. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: IL QUADRO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 giugno 2009 col titolo "Alle origini del declino"] La diagnosi dello stato della politica in Italia e' semplice: meta' dei cittadini si e' astenuta alle elezioni europee, ai ballottaggi delle amministrative, e al referendum molto di piu'. Il quadro e' simile in tutta Europa. I socialisti hanno perduto dovunque, il parlamento europeo e' largamente di centrodestra. Le sinistre radicali sono piu' deboli del previsto, quelle italiane sono scomparse di scena. In Italia e' assente una socialdemocrazia, indebolita altrove. Dovunque spunta o si rafforza una destra estrema. Il segnale e' opposto a quello venuto dagli Stati Uniti, e infatti in Europa per nulla raccolto. In Italia Berlusconi non supera, come sperava, il 35% ed e' meno forte di un anno fa. La Lega va al 10, sono inseparabili. Fini gioca un gioco suo. Se questo portera' a una crisi di governo, sara' prodotta e gestita dalla maggioranza (e appoggiata dal Vaticano, via Casini). La minoranza e' divisa fra un Pd in calo, diviso e confuso e una sinistra radicale in briciole. Neanche i Verdi sembrano fuori dalla crisi, malgrado che Obama negli Usa e molti in Europa vedano nell'ecologia un investimento necessario e un valore-rifugio. L'opzione bipartitica che era stata comune a Berlusconi e Veltroni e' caduta. * 1. Se su questo quadro sintetico siamo d'accordo, resta da vedere se si condivide il perche' di questo esito. A mio avviso per l'Italia esso va cercato lontano, nell'arco della mia generazione, che d'altronde non e' piu' che un momento storico. Infatti il disastro di oggi appare piu' grande in quanto la sinistra del dopoguerra e' stata piu' forte che altrove. Mai stata maggioranza, come ha osservato Norberto Bobbio, anche perche' era rappresentata, in un paese tenuto fuori dal crogiuolo degli anni Venti e Trenta in Europa, da comunisti e socialisti e un forte sindacato, che hanno schiacciato, fra se stessi e la Dc, una interessante terza forza (Giustizia e Liberta'). Questa forma presa dalla sinistra, dalla Resistenza al 1956, e' alquanto diversa dalle altre in occidente. I socialisti e i comunisti, liberi dalle contese degli anni Trenta coperte dal fascismo, sono ancora uniti e i comunisti appaiono - salvo alla Dc e al "partito americano" - abbastanza svincolati dall'Urss (concepita peraltro anch'essa non come un pericolo incombente). Cosi' dopo il 1956 e la divisione con il Ps, il Pci supera gradualmente, in quantita' e qualita' di ascolto, il gia' piu' forte Pcf, facendo propria una larga frangia d'opinione. E' difficile separare da esso la messa a fondamento del senso comune repubblicano, costituzionale, antifascista; e questo, perlopiu', colorato di un'ombra di concezione classista (vivissima nella Resistenza anche in Giustizia e Liberta' e poi nel cattolicesimo di Dossetti e della corrente di base della Dc). * 2. Il quadro muta negli anni Sessanta-Settanta, in corrispondenza alla grande modernizzazione del paese nella composizione sociale, produttiva e culturale. Il Ps ha mutato fronte, nel Pci si apre un dibattito, il sindacato cresce e muta la sua struttura di base, un'area di sinistra radicale comincia ad apparire separata dai comunisti, che pero' crescono di peso. Il corto circuito e' determinato dal movimento del 1968. Diversamente dal resto d'Europa esso si verifica in presenza di un forte partito comunista che non lo attacca frontalmente, ma del quale esso chiude l'egemonia. Il 1968 ha in Italia una coda lunga un decennio. Come in nessuna parte altrove, ha modificato diversi parametri della cultura, ha prodotto la densa politicizzazione dei gruppi extraparlamentari diversa da quella del movimento comunista, ha indotto un vasto associazionismo che si vive come controcultura e contropotere. E' una seconda e tumultuosa modernizzazione del paese che si colloca a sinistra del Pci ma non riduce la sua forza nell'opinione di massa, anzi. I comunisti arriveranno a un terzo dei voti, il sindacato e' forte, l'intellettualita' e' come non mai politicizzata e diffusa. Il "movimento" critica Pci e Cgil ma trascina l'appartenenza al sindacato (il piu' modificato) e il voto al Pci; le elezioni del 1975 danno alla sinistra tutte le grandi citta'. Questa tendenza non sembra intaccata dal compromesso storico (1973), poco percepito a livello di opinione. E' come se soltanto l'astensione comunista del 1976 verso il governo Andreotti ne rivelasse il vero senso. E' in quell'estate che si spezza ogni speranza delle minoranze di movimento, il movimento stesso si divide e una piccola parte di esso (non occorrono molti per sparare) va davvero sulle armi (omicidio di Coco a Genova). Tuttavia l'elettorato sosterra' sempre maggiormente il Pci fino alla morte di Berlinguer, il quale peraltro fa, negli ultimi anni, e isolato dal resto del gruppo dirigente, una virata a sinistra. * 3. Tardiva. Sul piano mondiale il 1968 non e' sfuggito alle classi dominanti, che si riattrezzano. Il Pci non ha compreso il senso dell'abolizione del gold standard, ne' quello della crisi dell'energia del 1973-74 e tanto meno i mutamenti strutturali del capitale e delle tecnologie in atto e la ricomposizione delle strategie che ne conseguono (Trilaterale). Ne' ha capito realmente le soggettivita' che si dibattono contro di esso. Non intende neppure, se non in un breve sussulto concernente le donne, la rivoluzione passiva che si compie fin dall'inizio fra generazioni nei rapporti familiari e d'autorita'. Non capisce la portata ideale dell'anticomunismo del movimento. Del tutto estraneo gli e' il 1977 italiano, assai reattivo ai mutamenti del lavoro ma errato nella previsione, come non aveva capito prima il formarsi dell'estremismo delle Brigate rosse e di Prima linea, di cui non vede altro che il pericolo che costituiscono per il suo accreditamento come forza di governo. Berlinguer pratica duramente l'emergenza inseguendo Moro, anch'egli incerto e isolato nella Dc. Negli anni Ottanta il salto tecnologico e' avvenuto, specie nell'informazione e in quel che ne deriva per il movimento dei capitali e per la finanziarizzazione, ma i comunisti leggono solo in termini di politica antisovietica la restaurazione di Thatcher e Reagan, sottovalutano la stagnazione dell'Urss di Breznev, non capiscono il tentativo di Andropov, esitano su Solidarnosc in Polonia come avevano esitato su Praga; la berlingueriana "fine della forza propulsiva" del 1917 arriva quando la scomposizione del Pcus e' ormai avanzata e tutti i rapporti con il dissenso ancora di sinistra dell'est sono stati mancati. Cosi' fino a Gorbaciov. Con Craxi e poi con la morte di Berlinguer e' gia' andata molto avanti, anche se non in termini elettorali, la crisi del Pci e comincia quella della Cgil. La fine della prima Repubblica e' soprattutto la fine loro. * 4. Negli anni Ottanta il movimento del '68 si chiude del tutto, abbattuto assieme alle Brigate rosse, con le quali pur non aveva avuto a che fare, il radicalismo e anche l'estremismo essendo una cosa, passare alle armi un'altra. Si forma e struttura, di nuovo, soltanto il filone del secondo femminismo. Con il 1989 la crisi del Pci semplicemente si compie, la "svolta" induce un altro partito, idealmente e organizzativamente, e si fa senza una rivolta di base. Rifondazione nasce come un ritorno a ieri e si dibattera' senza pace sul come diventare una chiave per il domani; ne' il Pci ne' Rc fanno un bilancio storico del comunismo e della loro stessa funzione in Italia. Quella che era stata l'intera area della sinistra resta, fra disincanti e fibrillazione, mentre precipitano socialisti e comunisti. Bruscamente va in pezzi quel che era parso per venti anni senso comune, il rifiuto del "sistema". Le sinistre si restringono in piccoli gruppi, alcune si affinano, non riusciranno o forse non vorranno piu' unificarsi. Da allora una perpetua discontinuita' produce spezzoni di movimento puntuali e perlopiu' incomunicanti. Il sussulto di quello enorme per la pace e poi del sindacato al Circo Massimo non daranno luogo a una ripresa costante, anche per il senso di impotenza che deriva dalla nullita' del loro risultato. * 5. L'89 e' tutto gestito dalla ripresa del capitale e nella sua forma prekeynesiana. L'ideologia dei Fukuyama e degli Huntington - fallimento ab aeterno del socialismo e inevitabile scontro di civilta' - colpisce a fondo la sinistra storica, che patisce i fallimenti dei socialismi reali, non li affronta e si arrende; le socialdemocrazie altrove e gli ex comunisti in Italia praticano con zelo e pentimento le politiche liberiste. Ma anche le culture diffuse delle sinistre radicali galleggiano a fatica. Molte percezioni del '68 si rovesciano su se stesse nel risentimento verso quel che il movimento operaio, gia' venerato, non ha compreso: ha sacrificato la persona alla collettivita', l'individuo al partito, il conflitto dei sessi all'"economicismo", la terra allo sviluppo devastatore. Ha sottovalutato la dimensione del sacro, dell'etnia, dei cicli. Ha glorificato la ragione contro l'emozione, l'occidente contro le diversita', l'avvenire rispetto al presente. Il postmoderno ha dato una mano. Questa e' la tendenza maggioritaria. Restano, ma molto minoritari, alcuni movimenti. La trasmigrazione verso l'ecologia e' la piu' forte. La precipitazione della politica nella corruzione e nella bassezza e l'emersione di Berlusconi non trovano freno. L'area gia' comunista e socialista non tenta neppure un riallineamento verso la socialdemocrazia. La spoliticizzazione segue alla delusione; si vive nell'oggi perche' e' dannata la memoria del passato e non si sa che cosa volere per il futuro. Incertezza, risentimento, paura. Protezionismo degli ancora occupati davanti a una crisi che non intendono. Mai, per parafrasare Guicciardini, la gente italiana e' stata cosi' infelice e cosi' cattiva. * 6. Se "sinistra" ha avuto un senso nel XIX e XX secolo era liberta', eguaglianza, fraternita', declinate nell'eredita' della rivoluzione francese. La prima nell'idea di democrazia, la seconda da Marx, la terza (diversamente dal senso che aveva avuto nel 1789) come solidarieta' fra gli umani. Esse percorreranno fra le tragedie tutto il XX secolo. Il loro rifiuto non significa che sia avvenuta una rideclinazione. Significa il ripiegamento dalla liberta' all'individualismo e il volgere il bisogno di appartenenza verso categorie metastoriche (religioni, nazionalismi, etnie e altre presunte origini). Significa negare l'eguaglianza di diritti (e non solo ne' tanto nell'interpretazione che ne da' parte del movimento delle donne) e fare dell'affermazione del piu' forte il principio e motore della societa'. Significa affogare la fraternita' nell'odio e nella paura dell'altro e del diverso. Berlusconi e Bossi sono inimmaginabili negli anni '60. * Questa e' oggi la meta' dell'Italia che parla. L'egemonia e' passata a destra. La sua affermazione segnala una rivoluzione antropologica prima che politica. La degenerazione della politica ne e' concausa e conseguenza. Almeno se politica significa, non marxianamente ma arendtianamente, "preoccuparsi del mondo". Di questo rozzo tentar di delineare il quadro vorrei discutere. 3. RIFLESSIONE. GREGOIRE ALLIX E LAURENCE CARAMEL INTERVISTANO AMARTYA SEN [Dal quotidiano ""La Stampa" del 10 giugno 2009 col titolo "Amartya Sen, non si vive di solo Pil" e il sommario "Benessere e progresso devono essere ripensati. Senza regole non e' possibile realizzarli"] Ben prima che la crisi economica facesse riscoprire ai grandi governi mondiali le virtu' della regolamentazione, Amartya Sen, premio Nobel per l'Economia nel 1998, faceva parte di quegli economisti che difendevano il ruolo dello Stato contro la moda liberista. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: La crisi economica e' l'occasione per rivedere i nostri modelli di sviluppo? - Amartya Sen: Offre certamente l'opportunita' di farlo. Spero proprio che non si torni al "business as usual" una volta che il peggio sara' passato. La crisi economica ha prodotto un grave malessere politico, soprattutto negli Stati Uniti. Per decenni le regole erano state demolite da un'amministrazione dopo l'altra, da Reagan a Bush. Certo, il successo dell'economia liberale e' sempre dipeso dal dinamismo del mercato, ma anche dai meccanismi di regolazione e di controllo, per evitare che la speculazione e la ricerca del profitto portassero a correre troppi rischi. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: E' solo un problema di regolamentazione, o bisogna ripensare in senso piu' ampio le nozioni di progresso e di benessere? - Amartya Sen: Si', bisogna ripensarle. Benessere e regolamentazione sono questioni collegate. Se si crede che il mercato non abbia bisogno di controllo, perche' la gente fara' automaticamente le scelte giuste, non ci si pone neppure il problema. Se invece ci si preoccupa del benessere e della liberta', bisogna organizzare l'economia in modo tale che queste due cose siano realmente possibili. Allora le domande sono: quali regolamentazioni vogliamo? Fino a quale punto? Ecco le questioni importanti che devono essere discusse collettivamente. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: Bisogna elaborare altri indicatori della crescita economica, a parte il prodotto interno lordo? - Amartya Sen: E' assolutamente necessario. L'indicatore del Pil e' molto limitato. Utilizzato da solo, e' un disastro. Gli indici della produzione o del commercio non dicono granche' sulla liberta' e sul benessere, che dipendono dall'organizzazione della societa'. Ne' l'economia di mercato ne' la societa' sono processi che si autoregolano. Hanno bisogno dell'intervento razionale dell'essere umano. La democrazia e' fatta per questo: per discutere del mondo che vogliamo, ivi compresi i termini di regolazione dei sistemi della sanita', dell'istruzione, delle tutele contro la disoccupazione... Il ruolo degli indicatori e' di aiutare a portare il dibattito su questi temi nell'arena pubblica. E' necessario per le decisioni democratiche. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: L'indice di sviluppo umano Idh puo' essere uno dei nuovi indicatori? - Amartya Sen: L'Idh e' stato concepito per i Paesi in via di sviluppo. Permette raffronti fra la Cina, l'India, Cuba... ma da' anche risultati interessanti riguardo agli Stati Uniti, e in genere per quei Paesi che non hanno assicurazione sanitaria universale e che sono contrassegnati da grandi disuguaglianze sociali. Ma abbiamo bisogno anche di altri indicatori per l'Europa e l'America del Nord, pur sapendo che non saranno mai indicatori perfetti. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: Quando lei ha concepito l'Idh, la crisi ambientale non era ancora stata percepita in tutta la sua gravita'. Tenendo conto di questo nuovo aspetto, lei modificherebbe la sua visione della lotta alla poverta'? - Amartya Sen: Il declino della qualita' dell'ambiente incide sulle nostre vite. Lo fa in modo immediato, nel nostro quotidiano, ma anche riducendo le possibilita' di sviluppo a lungo termine. L'impatto del cambiamento climatico e' piu' pesante sulle societa' dei Paesi piu' poveri. Prendere ad esempio l'inquinamento urbano: quelli che lo subiscono di piu' sono coloro che vivono in strada. La maggior parte degli indicatori della poverta' o della qualita' della vita dipendono anche dalle condizioni ambientali. Ecco perche' e' importante che le questioni della poverta' e della disuguaglianza siano tenute in considerazione nei negoziati internazionali sul clima. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: In che modo? - Amartya Sen: Innanzitutto i Paesi in via di sviluppo devono avere una rappresentanza nei negoziati. L'allargamento dal G8 al G20 puo' segnare un parziale progresso. Adesso il punto di vista della Cina, dell'India, del Sud Africa e degli altri Paesi emergenti viene preso in considerazione. Ma non e' sufficiente dare la parola a questi Paesi che sono maggiormente riusciti a farsi valere nel mondo dell'economia: bisogna accogliere anche le istanze dei piu' poveri. Nel G20 l'Africa resta troppo trascurata. Una cosa da fare e' rafforzare il ruolo dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. E' quella la sola istituzione in cui qualunque Paese, a prescindere dal peso economico, si puo' esprimere su un piano di uguaglianza con ogni altro. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: I suoi studi hanno mostrato come la diffusione di istituzioni democratiche abbia sollecitato i governi a combattere il problema della fame in maniera piu' determinata ed efficace. Questa nozione si potrebbe applicare anche alla crisi alimentare attuale? - Amartya Sen: La democrazia permette di evitare la fame, perche' la fame e' un problema contro il quale e' molto facile mobilitare l'opinione pubblica, quando questa si puo' esprimere liberamente. A partire da quando l'India si e' governata democraticamente, cioe' dal 1947, non ha piu' conosciuto la fame nel senso stretto del termine. D'altra parte, la democrazia di per se' non e' in grado di evitare la malnutrizione, che e' un problema piu' complesso. Serve un impegno fortissimo dei partiti politici e dei mass media per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su questo problema e sollevare un dibattito pubblico. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: La inquieta vedere che la superficie destinata alla coltivazione dei biocarburanti si sta allargando a scapito delle coltivazioni alimentari? - Amartya Sen: Si', mi preoccupa molto osservare che spesso e' piu' profittevole utilizzare i prodotti agricoli per distillare etanolo che per sfamare la gente. Le crisi alimentari non si spiegano piu' con ragioni malthusiane - non e' un problema di nutrire sei oppure nove miliardi di persone. Le ragioni della penuria sono piu' complesse, penso soprattutto agli usi alternativi della terra, ma anche ai cambiamenti del regime alimentare in Cina e in India, dove la domanda di nutrimento per abitante si accresce con l'incremento dei redditi individuali. * - Gregoire Allix e Laurence Caramel: Lei denuncia l'approccio coercitivo delle politiche demografiche. Perche'? - Amartya Sen: Ci sono due modi per vedere l'umanita': come una popolazione inerte, che si contenta di produrre e di consumare per soddisfare dei bisogni; o come un insieme di individui dotati della capacita' di ragionare, di liberta' d'azione, di valori. I malthusiani appartengono alla prima categoria, e cosi' pensano che per risolvere il problema della sovrappopolazione basti limitare il numero dei figli per famiglia. Diversi Paesi ci hanno provato, ma non hanno avuto molto successo. Il caso della Cina e' piu' complesso di quanto sembri: a mio parere si da' troppo rilievo alla politica del figlio unico, mentre altri programmi a favore dell'istruzione femminile e dell'accesso al lavoro hanno fatto moltissimo per limitare la crescita demografica. Non dimentichiamo che per Malthus alla fine del XVIII secolo un miliardo di esseri umani sarebbe gia' stato troppo. 4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 5. PROFILI. JUERGEN HABERMAS: RALF DAHRENDORF [Dal quotidiano "La Repubblica" del 19 giugno 2009 col titolo "Ralf Dahrendorf, il sociologo che amo' le virtu' della politica" e la nota redazionale "Questo testo e' stato pronunciato in occasione degli ottanta anni di Ralf Dahrendorf. E' stato pubblicato sulla 'Frankfurter Allgemeine Zeitung' il 2 maggio scorso"] Con un senso di patriottismo per me inconsueto vorrei ricordare che prima di vivere a Londra e a Oxford, Ralf Dahrendorf ha avuto una vita precedente in Germania: un mondo parallelo dove rimane di lui un'eco tuttora molto viva e presente. Di fatto quest'intellettuale, autore erudito e acuto pubblicista, che a piu' riprese ha formulato analisi diagnostiche del tempo in cui viviamo, non ha mai veramente lasciato la Germania. E solo nel momento in cui e' diventato Lord ci siamo visti costretti a prendere atto del collaterale percorso britannico di questo docente di sociologia, gia' tanto presente nella sfera internazionale. Peraltro, non e' stato il mondo anglofono a conferirgli per primo la sua notorieta'. Quando ci incontrammo per la prima volta, 54 anni fa, Dahrendorf era gia' un astro nascente. Nel lontano 1955 Helmut Schelsky invito' ad Amburgo un gruppo di giovani e promettenti sociologi. Io ero presente solo in veste di giornalista, incaricato di descrivere per la "Frankurter Allgemeine Zeitung" le attivita' di questa giovane schiera. Quel convegno chiamo' a raccolta la maggior parte dei sociologi della nostra generazione, che in seguito si sarebbero fatti un nome. In quello che in una visione retrospettiva della vecchia Repubblica federale tedesca appare come un circolo di illustri studiosi, un giovane di Saarbruecken emergeva con notevole distacco su tutti gli altri. Questo pensatore dalla mente brillante, che all'arte dell'ermeneutica aveva preferito la chiarezza nella costruzione di tipologie ideali di particolare incisivita', attiro' ben presto l'attenzione, non solo per la sua straordinaria eloquenza ma anche per un atteggiamento alieno da ogni compromesso, che fin da allora gli conferiva autorevolezza. A farlo emergere tra i suoi colleghi era la fiducia in se stesso e nella sua posizione d'avanguardia, quella sua disponibilita' a lasciar cadere vecchie formule per dare spazio al nuovo. Si era colpiti innanzitutto dalla precocita' della sua carriera. Laureato in filosofia e studi classici, a soli 26 anni era gia' libero docente, dopo aver scritto una tesi di dottorato su Marx e ottenuto alla London School of Economics il PhD in sociologia - un titolo che a quei tempi ci appariva esotico. Subito dopo divenne il piu' giovane professore di ruolo dell'universita' di Tuebingen. Ma cio' che gli valse il rispetto dei colleghi fu soprattutto la sua competenza e familiarita' col pensiero sociologico del mondo anglofono, cosi' come la sua posizione critica nei confronti di Talcott Parsons, cui contendeva il passo all'avanguardia della ricerca: un autore allora in primo piano sulla scena internazionale, che noi studenti degli ultimi banchi ancora dovevamo leggere. Il senso della sua critica era chiaro: i conflitti di classe, in ultima istanza sempre radicati nei rapporti di potere, sarebbero trainanti per gli sviluppi sociali; e in quanto tali sono da considerarsi auspicabili. Dunque, piu' che a risolverli, si dovrebbe tendere a istituzionalizzarli e ad affrontarli in forme civili. Negli anni '50 e all'inizio degli anni '60 fu Dahrendorf a stabilire i termini dei nostri dibattiti internazionali. Senza di lui, in Germania non vi sarebbe stata la discussione sulla teoria dei ruoli, e neppure la celebre disputa sul positivismo. I suoi primi libri, in particolare Class and conflict in the industrial society (1957), Homo sociologicus (1961) e Gesellschaft und Freiheit (Societa' e liberta') (1961) sono ormai dei classici; e contengono gia' le due ipotesi centrali che sono alla base del percorso intellettuale seguito da questo pensatore liberale per tutto il corso della sua vita, con ammirevole tenacia. La prima di queste ipotesi contrapponeva Kant e Max Weber a Rousseau, mentre il bersaglio non dichiarato era Marx: in base ad essa le disuguaglianze sociali non si spiegherebbero in primis in termini di distribuzione diseguale della proprieta', ma risulterebbero dalla necessita' di applicare sanzioni per imporre il rispetto di comportamenti sociali rispondenti alle norme. Le disuguaglianze sarebbero dunque il prodotto collaterale di una struttura di potere intrinseca alla societa' in quanto tale. La seconda ipotesi, rivolta alla socialdemocrazia classica, giustifica il mercato come il meccanismo centrale di diffusione della liberta': l'uguaglianza giuridica garantita dalla cittadinanza democratica dovrebbe essere letta innanzitutto come parita' di opportunita', e non come concetto generatore di rivendicazioni; quantomeno, in caso di conflitto, la liberta' della privata ricerca della felicita' dovrebbe pesare sulla bilancia piu' del fardello della disuguaglianza sociale. Ma ovviamente Durkheim non e' del tutto dimenticato: se la vita sociale fosse ridotta solo alle varie opportunita' tra cui poter scegliere piu' o meno razionalmente, la coesione sociale correrebbe un grave pericolo. Benche' la tendenza anti-utopistica del moderato liberalismo di mercato (con tutti i suoi risvolti egualitari e democratici) fosse in netto contrasto con le mie vedute, ero conquistato dalla passione con cui Dahrendorf sosteneva le tradizioni politiche dell'Illuminismo. Facendo appello alla coscienza dei suoi connazionali, egli sosteneva che tendenzialmente i problemi della Germania sono sempre stati nazionali e sociali, piu' di quelli liberali e democratici delle nazioni all'avanguardia delle liberta'. Il suo libro Societa' e democrazia in Germania, pubblicato nel 1965, e' probabilmente lí'opera che ha avuto il maggiore impatto sulla mentalita' politica della popolazione tedesco-occidentale, nel suo lungo cammino verso una democrazia che solo nel corso dei primi tre o quattro decenni del dopoguerra e' riuscita a spogliarsi dei residui di tradizioni autoritarie. Dahrendorf ha sempre inteso la sociologia come teoria sociale; e non ha mai rinunciato, anche nel mezzo di un processo sempre piu' accelerato di crescente complessita' sociale, a utilizzare le sue conoscenze professionali come strumento per aggiornare via via la diagnosi di una modernita' in continua evoluzione. A un dato momento, la sociologia ha ereditato dalla filosofia il compito di "cogliere nel pensiero il proprio tempo". E tuttavia la maggior parte dei sociologi ha ormai largamente abbandonato l'interpretazione classica di questa disciplina. Oggi, qualunque sociologo che voglia attenersi al compito di fornire orientamenti e dare un contributo alla concezione complessiva che una societa' ha di se stessa e' chiamato a giustificare il proprio operato. Ma per quanto lo riguarda, Dahrendorf ha sempre portato avanti la sua attivita' accademica come "homo politicus", vivendo, pensando e scrivendo dalla posizione privilegiata conferitagli dalla sua esperienza: quella di una generazione di tedeschi che non poteva non prendere posizione a fronte della svolta epocale del 1945. A questo riguardo, l'ultimo libro di Dahrendorf, Versuchungen der Unfreiheit, Tentazioni della illiberta', del 2006 (tradotto da Laterza con il titolo Erasmiani - ndr), e' illuminante. Prendendo ad esempio un gruppo di eroi post-eroici, egli sviluppa in questo testo un'etica della virtu' politica. Non cerchero' di stabilire quanto sia convincente la selezione degli eroi della sua galleria, ne' fino a che punto le virtu' di questi osservatori incorruttibili ancorche' impegnati risultino entusiasmanti. Cio' che piu' mi interessa e' il formato che il sociologo Dahrendorf ha conferito alla sua etica della virtu'; e il modo in cui descrive la storia delle giustapposte mentalita' politiche di una specifica generazione, quella dei nati tra il 1900 e il 1919, descritta da Ernst Glaeser nel suo celebre romanzo Jahrgang 1902 (Classe 1902). Il protagonista di questo romanzo rappresenta la "generazione degli irriducibili", da cui vennero reclutati, negli anni '20 e '30, gli elementi piu' attivi e coriacei dei maggiori movimenti ideologici di quel periodo. In altri termini, il romanzo presenta una figura di militante antitetica alle icone liberali di Dahrendorf - personalita' come Aron, Popper, Berlin, che a differenza di molti intellettuali hanno mantenuto le distanze dai movimenti totalitari, sia di destra che di sinistra. Ovviamente, il testo di Dahrendorf non lascia dubbi sul carattere esemplare di quest'ultima posizione. E' stato l'amore della liberta' a immunizzare questi pensatori dalle tentazioni del secolo dei totalitarismi. Colpisce pero' un'omissione dell'autore. Indipendentemente dalla direzione nella quale abbia marciato o meno la generazione dei nati nel 1902, per un certo aspetto essa e' cresciuta in circostanze simili a quelle di chi, come lo stesso Dahrendorf, e' nato nel 1929. Gli uni e gli altri avevano undici o dodici anni all'inizio, e quindici o sedici alla fine di una delle due grandi guerre del secolo. Piu' delle rispettive posizioni sulle vicende del loro tempo, a determinare in maniera tanto drastica il profilo politico di quelle due generazioni, e' stato il carattere provocatorio degli eventi stessi a sfidarli, spingendoli a prendere posizione. Nel suo libro, Dahrendorf non si sofferma sulla propria generazione, piu' fortunata, meno soggetta a quelle tentazioni; ma anche in assenza di un confronto esplicito, i paralleli, e piu' ancora le evidente differenze hanno certamente inciso sul suo modo di vedere la scorsa generazione di intellettuali, costretti a mettersi alla prova e rischiare di sbagliare tutto. La generazione successiva e' stata al riparo dalla tentazione totalitaria e dal rischio di errori tanto estremi. In quelle circostanze, molti di noi potevano certo essere tentati a giostrare senza sforzo tra le costellazioni del passato, per identificarsi con la parte moralmente superiore senza dover pagare alcun prezzo. Ma anche in questo senso Dahrendorf rappresenta un caso eccezionale: a soli quindici anni, un'eta' in cui altri erano immersi fino al collo nel privato delle crisi adolescenziali, si era esposto politicamente, tanto da farsi arrestare dalla Gestapo; per lui quindi non vale l'accusa di atteggiarsi a radicale a cose fatte. Se tuttavia si puo' discernere un'ombra di rimpianto per la natura non eroica del tempo in cui siamo vissuti, e persino per qualche lievissima traccia di quietismo nelle biografie delle figure erasmiane da lui tanto ammirate, il motivo va senz'altro ricercato nell'impegno appassionato e impaziente di un intellettuale che in barba a un sano e sensato razionalismo non aveva mai perso la sua combattivita'. Quando mai un uomo di questa tempra potra' lodare - come Brecht - dal profondo del cuore, "un Paese che non ha bisogno di eroi"? 6. RILETTURE. INNI OMERICI Inni omerici, Fondazione Lorenzo Valla, 1975, Mondadori, Milano 1994, pp. LXXXVI + 652, lire 17.000. A cura di Filippo Cassola, testo greco a fronte, ampio commento. Trovo di una bellezza abbagliante questi relitti di una remota umanita'. Essi parlano al mio cuore con voce cosi' nitida e profonda che non so piu' se e' la lontananza da cui provengono a commuovermi, o veramente quel volto e' ancora il nostro. 7. RILETTURE. LA NAVIGAZIONE DI SAN BRANDANO La navigazione di San Brandano, Sellerio, Palermo 1992, pp. 128, lire 10.000. A cura di Alberto Magnani, uno dei testi fondativi di quell'immagine favolosa del Medioevo e del Nord che tanto corso avra' nella successiva storia della cultura dell'occidente, e reduplicazione e seme e specchio di una metafora che si schiudera' in infiniti frutti di poesia e pensiero ancora. 8. RIEDIZIONI. LEONARDO VITTORIO ARENA: KAMIKAZE Leonardo Vittorio Arena, Kamikaze. L'epopea dei guerrieri suicidi, Mondadori, Milano 2003, Societa' europea di edizioni, Milano 2009, pp. VI + 322, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una interessante, agile monografia sulla vicenda dei piloti suicidi giapponesi nella seconda guerra mondiale. L'autore e' docente di filosofie dell'Estremo Oriente all'Universita' di Urbino. 9. RIEDIZIONI. PLUTARCO: VITE PARALLELE (ALESSANDRO, CESARE, PERICLE, FABIO MASSIMO) Plutarco, Vite parallele (Alessandro, Cesare, Pericle, Fabio Massimo), Rizzoli, Milano 1987, Rcs, Milano 2009, pp. 756, euro 7,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Testo greco a fronte, traduzioni e note di Domenico Magnino e Anna Santoni, introduzioni dello stesso Magnino, Antonio La Penna, Philip A. Stradter, Roberto Guerrini, contributi di Barbara Scardigli e Mario Manfredini. Anche per me adolescente Plutarco (le Vite, ovviamente, solo assai piu' tardi lessi i Moralia) fu una lettura di formazione, che m'insegnava come l'uom s'illustra ed alle gesta ancora m'esortava. Che anche la mia vita sia fallita, come sovente o forse sempre accade, non diminuisce la gratitudine che provo per il sapiente di Cheronea. Quel che di buono sono o son stato, per poco che sia, anche all'insegnamento suo lo debbo. Cosi' dicevami Annibale Zagaglia iersera all'osteria del cane nero. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 867 del 30 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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