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Minime. 859
- Subject: Minime. 859
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 22 Jun 2009 00:54:30 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 859 del 22 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Piove, governo ladro 2. Maria G. Di Rienzo: 167 dollari al mese 3. Giulio Vittorangeli: C'e' una alternativa al Piccolo Cesare 4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 5. Alfonso M. Iacono ricorda Aldo G. Gargani 6. Dacia Maraini: Un viaggio con Pasolini e Moravia 7. Marinella Fiume: Scritture di donne lungo il Mediterraneo 8. Riletture: Niccolo' Cusano, Il Dio nascosto 9. Riletture: Nicola Cusano, La pace della fede 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: PIOVE, GOVERNO LADRO Nel primo pomeriggio di domenica 21 giugno 2009 c'e' su Viterbo un temporale, neppure tanto violento, neppure tanto prolungato. Ma le fogne straripano. Per l'irresponsabilita' di pubblici amministratori assai peggio che inetti nella programmazione e nella gestione del territorio e dei servizi, per l'incuria delle pubbliche istituzioni e per il ritardo negli interventi, in alcuni quartieri e' un disastro. Nell'edificio in cui ha sede la redazione di questo notiziario, le acque di scarico eruttate dalle fogne allagano cantine e garage, e per quel che ci riguarda si allagano le stanze in cui teniamo la maggior parte del nostro archivio. Mentre scrivo queste righe, in un lezzo da inferno dantesco, non sono in grado di valutare compiutamente le dimensioni del danno che abbiamo subito, ma temo siano enormi: un archivio che raccoglie quattro decenni di impegno civile, innumerevoli documenti di cui e' ragionevole supporre che possedessimo l'ultima copia superstite, per non dire di migliaia di fogli manoscritti, sono stati in parte sommersi dalla fetida acqua risalita dalle fogne, e verosimilmente perduti per sempre. Guardo questa catastrofe ed e' come se mi avessero strappato brani di carne del mio stesso corpo, anni ed anni della mia vita e della mia lotta, e la memoria di tante esperienze condotte dagli anni Settanta del secolo scorso in qua con tante e tanti compagni di lotta che non sono piu', e di alcuni dei quali restava ancora traccia quasi solo in quelle carte. Questa la situazione. La lotta, naturalmente, continua. La nonviolenza e' in cammino. 2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: 167 DOLLARI AL MESE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento] Volete una moglie vietnamita? Vi costera' solo 167 dollari al mese. E tutto quello di cui avete bisogno e' una carta di credito Diners Club. Il prezzo totale della donna e' di 8.000 dollari, ma il proprietario dell'agenzia "Vietnam Brides International", il sig. Mark Lin che e' uomo di sicuro buon cuore, ha pensato alle difficolta' dei suoi clienti ed ora accetta pagamenti rateali. In aggiunta alla commissione fissa del 3% a favore del Diners Club, c'e' solo un ulteriore 2% di aumento se si salta una scadenza, il che e' conveniente e mostra una profonda comprensione umana. Ma la verita' e' che quando i possessori di carta di credito non pagano e' il Diners Club a rivalersi legalmente contro di loro (tre casi lo scorso anno) e Lin non ci perde un centesimo. E spiega: "Non e' che andiamo a riprenderci la sposa se un cliente non paga una rata. E' una situazione diversa da quella in cui se non veniamo pagati andiamo a riprenderci il prodotto. Non trattiamo le donne come oggetti, si tratta solo di un servizio che offriamo ai clienti". Sara' perche' il sig. Lin parla mandarino che lui ed io ci capiamo poco. Interrogato sull'eticita' della faccenda, ha infatti risposto: "Noi non diamo giudizi morali. La cosa piu' importante e' che il business e' legittimo". Legalizzeranno pure il traffico di droga, prima o poi, basta aver pazienza. Mi vedo gia' qualche membro dell'onorata societa' stringere la mano ad un signore della guerra mentre gli consegna il premio "Imprenditore dell'anno". E poi, cosa volete farci, e' la loro cultura, sarebbe davvero improprio giudicare chi si sceglie una moglie su un catalogo e la paga e chi quel catalogo gli offre come due schiavisti. Percio', visto che non si puo' fare, lo faccio io: le testimonianze sulle vite delle "spose" sono allucinanti per ammontare di umiliazioni e violenze. Comunque il sig. Lin non e' neppure il primo ad avere idee innovative su come si vendono donne, nell'aprile 2007 l'agenzia "Mr. Cupid" ha cominciato ad offrire spose cinesi dietro il pagamento di una caparra di un solo dollaro: il resto dei 6.000 (le cinesi costano meno, forse perchÈ sono di piu'?) si versa in dieci comode rate mensili. Soddisfatti o rimborsati. Meno male che nessuno degli "operatori del settore" mi ha detto: "Abbiamo un profondo rispetto per il mondo femminile", il che pone Lin e compagnia mezzo gradino piu' in alto, sulla scala dell'infamia, di un notissimo politico italiano. 3. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: C'E' UN'ALTERNATIVA AL PICCOLO CESARE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento Scriviamo nei giorni in cui il castello di carte dell'incantesimo berlusconiano sembra crollare su se stesso. Le difficolta' che incontra il nostro "Piccolo Cesare", la melma che quotidianamente lo sommerge, fanno pensare, ai piu' ottimisti, ad una sua uscita di scena. Quello che deve essere estremamente chiaro e' che l'íeventuale uscita di scena (il "Piccolo Cesare" non cedera' il passo tanto facilmente, ricorrera' a ogni mezzo lecito e illecito), non produrra' il rapido disfacimento del sistema di potere egemonico costruito nel corso degli anni dal capo. Resta il populismo, demagogico e reazionario, come continuazione e stabilizzazione del sistema egemonico vigente in Italia. Non a caso, la stragrande maggioranza del paese ci appare antropologicamente berlusconiana. Resta, nella piu' totale dimenticanza, l'assurda guerra in Afghanistan, dove l'Italia e' impegnata ormai da otto anni in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. Resta il razzismo del "pacchetto sicurezza", i respingimenti che sono vere deportazioni, i campi di raccolta che somigliano sempre piu' a quelli di concentramento, fino alla segregazione ed alla squadracce. E' il rovesciamento del principio fondamentale del nostro patto costituzionale sulla pari dignita' sociale di tutti i cittadini. Quando il sesso, la razza, la lingua, la religione, le condizioni personali diventano sempre piu' causa di discriminazione, e' la stessa democrazia a essere in pericolo, la stessa liberta' di agire in base a diverse opinioni politiche ad essere messa in discussione. Cosi' come deve essere chiaro che discriminare, emarginare, fare pratica costante di razzismo e di differenzialismo significa essere fascisti dentro. Resta un sistema repressivo convertito in una macchina tritatutto per i marginali mentre viene rafforzata l'impunita' per i poteri forti. "Sarebbe riduttivo pensare che siano solo gli affari berlusconiani ad esigerlo. C'e' uníemergenza sociale che si aggrava di giorno in giorno e richiedera' una stretta repressiva e un potere di controllo straordinario, per non disturbare i manovratori sempre piu' svincolati dai controlli di legalita' per continuare a depredare indisturbati" (Giuseppe Di Lello). A tutto questo, ad un modo di governare che rende sempre piu' barbari, sempre piu' imbecilli, sempre piu' mascalzoni, occorre opporsi oggi e non aspettare il domani del tifone che travolga il "Piccolo Cesare". Scontando l'incapacita' di reazione che sembra colpire anche alcune delle aree migliori della nostra societa'; scontando l'andamento negativo (per usare un eufemismo) degli attuali partiti e partitini di sinistra che ha portato alla cancellazione della rappresentanza comunista e socialista dal parlamento nazionale prima ed europeo dopo. La sconfitta elettorale dei partiti di sinistra e' stata causata anche dal fatto che il linguaggio di chi si sosteneva di battersi per un'alternativa non e' riuscito piu' ad assumere una qualsiasi validita' sociale. I milioni di astenuti a sinistra si spiegano anche cosi'. Dunque, piu' che dare ascolto a quella parte della societa' impaurita e conservatrice che viene fuori anche dai risultati elettorali macro e micro, e' meglio trovare il coraggio di forzarne le barriere mentali, rivitalizzare quel che resta di democratico nel nostro paese, prefigurare cosi' un altro mondo che tenga conto delle trasformazioni materiali ed emozionali. C'e' un'alternativa gia' oggi operante, costituita dalle persone amanti della giustizia e della liberta', della solidarieta' internazionale e della dignita' propria ed altrui. Costituita dalle lotte nonviolente per la pace, i diritti, l'ambiente l'eguaglianza; contro sfruttamento, inquinamento, guerra e maschilismo. Non si tratta di astrazioni, ma di un modo di stare ben dentro la burrascosa realta' della crisi. Valga per tutti il tema dell'uguaglianza. Lieguaglianza e' funzione della liberta', e senza liberta' non esiste. Il che spinge a pensare la liberta' come principio di solidarieta', non come sopraffazione dell'altro. Senza uguaglianza la liberta' vale come garanzia di prepotenza dei forti, cioe' come oppressione dei deboli. Da qui l'urgenza e la necessita' della lotta politica delle oppresse e degli oppressi per una societa' di persone libere e solidali, eguali in diritti e doveri. Lotta che inevitabilmente assume le caratteristiche della nonviolenza e della solidarieta' internazionale, "tenerezza dei popoli". 4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 5. LUTTI. ALFONSO M. IACONO RICORDA ALDO G. GARGANI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 giugno 2009 col titolo "La parabola filosofica di Aldo Gargani" e il sommario "Studioso di Wittgenstein, e' morto ieri a Pisa"] Riflettendo su uno dei suoi libri certamente piu' significativi, Il sapere senza fondamenti, Aldo Giorgio Gargani diceva di rispondere sempre filosoficamente in modo ritardato alle sollecitazioni che venivano dalla societa'. Il sapere senza fondamenti, che recentemente e' stato ripubblicato da Mimesis per la cura di Arnold Davidson, usci' nel 1975. Erano passati sette anni dal fatidico '68, e questo libro metteva in discussione alcuni capisaldi, allora dominanti anche nella sinistra critica, del concetto di verita' nel sapere e in particolare nel sapere scientifico. Gargani mostro' come in molti casi i discorsi sulla scienza fossero legati ai cerimoniali della comunita' scientifica e all'immagine che questa si dava. Parlo' di feticci epistemologici quando altri erano ancorati a un'idea forte - in realta' rigida - di sapere scientifico e di verita' della conoscenza. Era ancora l'epoca in cui si dividevano uomini e idee in razionali e irrazionali, buoni e cattivi e naturalmente gli irrazionali-cattivi erano di destra. Circolava un notevole manicheismo, nascosto e nello stesso tempo giustificato dal fatto che si era contro, un manicheismo che il '68 aveva in parte incrinato in parte irrigidito. Alcuni anni dopo, nel 1979, Gargani curo' per Einaudi un libro collettivo intitolato Crisi della ragione, che ospitava contributi di Bodei, Veca, Badaloni, Viano, Ginzburg tra gli altri. Anche questo volume creo' qualche imbarazzo (persino tra gli stessi coautori). Eppure Gargani stava portando alle estreme conseguenze alcuni effetti liberatori del '68 insieme a nuove interpretazioni del pensiero di Ludwig Wittgenstein, del quale era uno dei piu' illustri e importanti studiosi. Si deve anche a Gargani, sulla scia dei contributi di Brian McGuinnes che fu suo professore a Oxford, se Wittgenstein e' passato da interpretazioni fondamentalmente neopositivistiche, in gran parte legate alla filosofia della scienza, a interpretazioni dove i giochi linguistici, le pratiche filosofiche, la psicologia, il gesto, l'arte si accompagnano al sapere scientifico e vi si intrecciano in una filosofia che Gargani leggeva come analisi delle possibilita'. L'ultimo suo scritto pubblicato si intitola infatti "Wittgenstein: la filosofia come analisi delle possibilita'". E' un saggio uscito sulla rivista "Il pensiero" che sintetizza la sua precedente ricerca sul filosofo viennese edita da Cortina. Rifacendosi a una lettera di Wittgenstein del 1934 scritta al grande economista Piero Sraffa, suo caro amico nonche' amico di Antonio Gramsci, Gargani sottolinea l'atteggiamento antidogmatico dell'autore del Tractatus - scrive - "la filosofia e' una pratica simbolica che si assume e che poi si puo' rilasciare o abbandonare per poi riprenderla nell'attualita' di un problema (si tratti dei fondamenti della matematica, dell'esperienza privata, delle menti altrui, della certezza, del rapporto semantico fra la parola forse, termine non denotativo, e la parola mela, termine denotativo) nel quale ci imbattiamo perche' intriga, turba, sgomenta il nostro pensiero e magari anche la nostra vita". Per Wittgenstein non c'e' corrispondenza tra pensiero e realta' esterna, ne', scrive Gargani, c'e' un senso che diriga l'uso delle parole quando queste vengono applicate. Non c'e' regola che sia causa dell'uso del linguaggio. La regola e' un'ipotesi, che riguarda il comportamento degli uomini, ma non e' la guida per le cose a cui gli uomini si applicano. "Una storia, una narrazione, oppure un'ipotesi: questo e' cio' in cui puo' consistere l'espressione di una regola". Dal sapere senza fondamenti all'importanza della narrazione, Gargani ha percorso una strada che gli ha fatto riscoprire le teorie di Ludwig Boltzmann, ispiratore di Wittgenstein, il quale ha scritto: "Le nostre idee delle cose non sono mai identiche alla loro essenza. Sono solo immagini o anzi simboli, che rappresentano l'oggetto in modo necessariamente unilaterale, ma non possono fare altro che imitarne certi tipi di connessione, non intaccandone minimamente l'essenza". Gargani ha praticato queste idee, per esempio, in Sguardo e destino, dove la narrazione, la messa in gioco del proprio Io, la riflessione esistenziale si intrecciano per formare un'esperienza filosofica. Ha anche collaborato con Claudio Proietti per una performance filosofico-musicale sulla Vienna di fine secolo. Qualche anno fa Giorgio aveva deciso di andare in pensione. Poi se ne penti'. Gli mancava il rapporto con gli studenti. Torno' a insegnare negli ultimi anni, molto felicemente, senza dovere piu' subire l'affastellarsi delle questioni burocratiche. Forse in questi ultimi anni, liberato dal peso accademico, ha potuto esprimere fino in fondo il suo piacere di fare filosofia, condividendo con chi gli e' stato vicino questo gioco che qualunque rappresentazione o qualsivoglia narrazione non puo' descrivere ne' far rivivere. 6. RIFLESSIONE. DACIA MARAINI: UN VIAGGIO CON PASOLINI E MORAVIA [Dal "Corriere della sera" del 16 giugno 2009 col titolo "Un Paese pacifico, poi il fanatismo. Quel viaggio con Pasolini e Moravia" e il sommario "La scrittrice arrivo' alla fine degli anni Sessanta alla ricerca del set per un film. Il ricordo di Dacia Maraini: Sanaa ci apparve come sospesa. Le forme: Cieli alti e nuvole come frotte di cammelli, citta' fantasmagoriche con grattacieli di fango. L'accoglienza: L'accoglienza era un dovere religioso e i militari erano gentilissimi con gli stranieri. Le ragazze: Alle ragazze e' stato strappato di mano ogni libro, costringendole a indossare un abito scuro. La vendetta: Quando si chiede alle donne di scomparire con il loro corpo si entra in un mondo di uomini allenati solo alla vendetta"] Assistiamo sorpresi e smarriti a un processo di imbarbarimento del mondo intero. In Africa, in Asia, dove fino agli anni '70 si viaggiava tranquilli senza difese, ora e' prudente andare in giro armati, possibilmente in compagnia numerosa. Perfino chi abita li' da anni, se solo e' proprietario di una casa o di un giardino o di una automobile, e' costretto a vivere asserragliato, con guardie armate di fucile alla porta. Le strade del mondo sembrano diventate campi di battaglia anziche' vie di pellegrinaggio e conoscenza e scambio. Lo Yemen, questo paese dalle grandi alture e le strepitose discese verso il mare, questo paese in cui le montagne azzurre sembrano scivolare costantemente verso le pianure di un verde pietroso, questo paese dai cieli alti e le nuvole che corrono eternamente come frotte di cammelli, questo paese dalle citta' fantasmagoriche come Sanaa, dai grattacieli di fango dipinti di bianco e di rosso, questo paese povero ma accogliente e pacifico, e' diventato un luogo di paura e di sospetto. Ricordo ancora un viaggio fatto con Pasolini e Moravia nei tardi anni '60. Siamo arrivati con un vecchio aereo ad elica su un aeroporto dalle piste cortissime, a ridosso delle montagne. Ci siamo arrampicati con una jeep su per i tornanti di una strada nuova appena costruita dai cinesi, verso la fiabesca citta' di Sanaa. Che ci e' apparsa improvvisamente all'orizzonte come una piccola fantasia magrittiana - la citta' sospesa, la citta' rovesciata, la citta' dalle pietre di merletto -. La prima cosa che ci ha colpito era la sua completa mancanza di asfalto. Le strade erano sterrate, senza luci, e non c'erano alberghi in cui soggiornare. Abbiamo dormito in un ostello per militari, in cui ci hanno messo a disposizione un camerone con decine di letti, corredato da un unico bagno sporchissimo. Alla mensa in fondo a lunghi corridoi su cui si aprivano altri cameroni pieni di militari, servivano montagne di riso con grasso di montone e filetti di carne secca, salatissima. Birra a volonta', ma solo cinese. Ricordo Alberto che girava per i corridoi cercando un asciugamano che non c'era. Abbiamo dovuto usare il lenzuolo del letto che d'altronde aveva l'aria poco pulita. L'acqua era solo fredda e colava da un unico rubinetto dentro una specie di vasca-abbeveratoio per cavalli. Ricordo i militari che entravano e uscivano dall'ostello, armati di grandi coltelli ricoperti di perline colorate, i piedi nudi - non avevano i soldi per le scarpe - gentilissimi con gli stranieri. L'accoglienza era un dovere religioso e il visitatore doveva solo temere lo sciame di bambini che spesso si intrufolavano nelle case per rubare un pezzo di pane, un frutto, qualche centesimo. D'altronde di turisti se ne vedevano pochissimi, probabilmente perche' non c'erano alberghi dove alloggiare. L'impressione era di un paese molto povero ma orgoglioso e autonomo, dove la poverta' non era una vergogna a cui rimediare, non era un segno di debolezza sociale, ma un destino celeste a cui le persone si adattavano con candida serenita'. Pier Paolo che cercava un posto per girare il suo film era incantato da quei palazzi di fango rossiccio dalle finestre incorniciate di gesso bianco. Giravamo dalla mattina alla sera con la testa all'insu'. Chi ci accompagnava - le guance gonfie di Qat, un'erba che da' energie - raccontava di storie antiche in cui lo Yemen commerciava con i greci l'aromata, ovvero l'incenso. Raccontava di un paese talmente ricco di fonti e di sorgenti da somigliare al paradiso sognato dai grandi poeti dell'antichita'. Raccontava di case sporgenti sulle strade dalle cui finestre venivano giu' in certe ore del mattino le orine di tante abitazioni senza cesso. Ma all'interno si aprivano giardini colmi di fiori profumati e di frutti preziosi. Da Sanaa siamo scesi ad Odeida, la citta' del caffe'. Parlare di citta' e' comunque eccessivo. Attraversavamo villaggi poveri ma ben arredati, con tende e letti sospesi per sfuggire al caldo cocente delle notti estive. L'umidita' era tale che molti avevano i funghi sulla pelle. Dalla citta' di Moka arrivavano in continuazione sacchi di caffe' che venivano caricati sulle navi in partenza per il mondo. Il profumo del caffe' si mescolava a quello del pesce che marciva al sole. Ad un certo punto abbiamo visto un uomo che camminava faticosamente tirando una pesante palla di ferro legata a una caviglia con una catenella. Abbiamo chiesto alla guida che significasse. E lui ci ha spiegato che, in mancanza di prigioni, i condannati andavano in giro cosi', trascinando pesi e vivendo di elemosina. Ricordo ancora una ragazza magrissima che, pudicamente distesa su un lettuccio di pelli di pecora intrecciata, se ne stava sotto un tetto di foglie a leggere un libricino. Era strano perche' la maggioranza della popolazione era analfabeta. Ma la ragazza leggeva con tale concentrazione che non si e' neanche accorta di noi che giravamo con appresso un codazzo di bambini vocianti vestiti di stracci. Mi e' rimasta nella memoria quella immagine pacifica e gentile: due mani infantili, magrissime con i segni della fame addosso, che reggevano un libretto dalla copertina sdrucita. Un Corano? Un romanzo? Solo oggi so che quella immagine rappresentava il mondo orientale come avrebbe potuto essere senza il terrorismo, senza il fanatismo religioso. Un fanatismo che ha strappato dalle mani delle ragazze ogni libro, fosse pure di preghiera, costringendole a indossare un abito lungo, scuro, che le copre dalla testa ai piedi. Quando si chiede alle donne di scomparire con il loro corpo, con la loro voglia di apprendere, si entra in un mondo di soli uomini allenati all'odio religioso e alla vendetta da cui non si sapra' piu' come uscire. Un mondo di odio che porta oggi a uccidere senza discriminazione persone inermi che volevano solo aiutare. Forse apposta, persone inermi, per suscitare indignazione e quindi paura, e successivamente alzare il prezzo del ricatto politico. 7. RIFLESSIONE. MARINELLA FIUME: SCRITTURE DI DONNE LUNGO IL MEDITERRANEO [Dal sito www.aetnanet.org riprendiamo il seguente testo dal titolo "La difficile arte del narrare"] Appare in crescente aumento, negli ultimi decenni, la scrittura fatta da donne e che parla di donne. Ma esiste uno specifico letterario femminile all'interno dello statuto della letteratura? Si puo' parlare di letteratura femminile o la classificazione e' un'operazione riduttiva che puo' dar luogo a forme di confinamento e di emarginazione? E poi, come scrivono le donne appartenenti a culture diverse dalla nostra? Ci sono elementi comuni per aree geografiche? La risposta a queste questioni ci porterebbe lontano. Possiamo solo tentare qui di definire un ambito della "letteratura femminile" che comprenda non solo scritture che ruotano intorno alle tematiche della condizione femminile, ma anche quelle che, pur parlando d'altro, rivelino i segni della "differenza". Cosi', come non parleremo di "letteratura femminile", ma di "scritture di donne", non parleremo di "letteratura mediterranea", ma di "scritture di donne in area mediterranea", per esprimere la molteplicita' e la diversita' dei modi di scrivere delle donne, che possono trovare un elemento unificatore, non tanto o non piu' nell'appartenenza di genere, quanto nel modo di concettualizzare e vivere la pratica della scrittura a partire dalla consapevolezza di se' in quanto donna, capovolgendo nozioni di un linguaggio neutro, che in realta' assolutizza, secondo relazioni asimmetriche per sesso, razza e cultura, l'esperienza di pochi individui, basata su relazioni di dominio. La differenza del "punto di vista" delle scrittrici ha finito per innovare lo statuto, perche' per le donne "il bisogno di scrivere in modo nuovo segue un nuovo modo di essere nel mondo" (Christa Wolf). In un contesto "mediterraneo", acquista particolare complessita' il discorso relativo alla condizione delle donne, assimilabili ad altre categorie di colonizzati. La donna colta, la scrittrice in Tunisia, in Algeria come in altri paesi arabi, rimane oggetto di critiche, di discriminazioni e di violenze. Una forte valenza politica acquista in questi paesi la scrittura delle donne, in un contesto storico in cui loro patrimonio tradizionale e' stata la trasmissione orale delle conoscenze. Anche per queste scrittrici, tuttavia, le soggettivita' escono fuori dall'intreccio classe, genere, razza, etnia, mentre ne portano tutti i segni. E' il caso di Assia Djebar, prima scrittrice algerina che ha scelto come tema delle proprie opere i problemi delle donne nei paesi islamici, facendone oggetto di romanzi gia' a partire dal 1957 (La sete); e prima donna regista algerina (il film La Nouba e' premio della Critica internazionale al Festival del Cinema di Venezia del 1979). Tradotto in italiano e in diverse altre lingue, il romanzo Donne di Algeri nei loro appartamenti ha consacrato la sua notorieta' e insieme stimolato la curiosita' di conoscere un universo prima sconosciuto al grande pubblico, quello delle donne maghrebine, sepolte in casa e detentrici della sfera del privato e della parola orale, escluse dalla scrittura e delegate a celebrare le gesta dei fratelli, dei padri, dei figli, dei mariti morti. Sin dagli inizi dell'Islam, le donne sono state progressivamente espulse dalla scrittura intesa come potere e questo ha comportato la loro assenza come individui, la loro mancanza di diritti civili e politici. La stessa Algeria ha taciuto con il silenzio dei suoi intellettuali ammazzati, come scrive nell'ultimo racconto Bianco d'Algeria. D'altra parte, le numerose donne del Maghreb che scrivono usano il francese, ossia una scrittura che viene da altrove, mentre lo stesso romanzo, nel mondo arabo, e' un genere letterario importato dall'occidente e sviluppatosi in francese. Nel romanzo L'amour, la fantasia (Paris, Lattes, 1985), l'autrice si sofferma a riflettere sul significato dello scrivere in francese per una donna araba, mentre l'espressione della soggettivita' resta ancora proibita e la trasgressione e' un attentato al codice dell'onore dei padri e dei fratelli. Ma la soggettivita' non puo' esprimersi in una lingua straniera, per cui il romanzo e' la storia del fallimento dell'autobiografia e la ricerca nella "storia degli antenati" del permesso ad esprimersi. Come afferma anche nell'intervista resa a Renate Siebert, Andare ancora al cuore delle ferite, scrivere nella lingua "straniera", abbandonando l'orale del berbero delle montagne di Dahra e dell'arabo delle citta', riporta la scrittrice alla ribellione delle donne della sua infanzia, perche' scrivere non uccide la voce, ma la risveglia, per risuscitare tante sorelle scomparse. Da qui anche l'idealizzazione di certi luoghi femminili come l'harem, visto non come spazio d'esclusione e di segregazione, ma come luogo privilegiato della comunicazione tra donne. L'autrice sembra propendere per uno specifico "femminismo" d'ambito arabo-musulmano. L'eroismo delle donne immolate nel rogo della torturata Algeria d'oggi, insieme con i martiri della rivoluzione ispirano anche l'ultima raccolta, Nel cuore della notte algerina. Tra le scrittrici egiziane che continuano a battersi contro l'integralismo, ricordiamo Latifa al-Zayyat, intellettuale di sinistra, politicamente impegnata nel movimento studentesco e nazionalista, piu' volte in carcere, che scrive Carte private di una femminista, la testimonianza raccontata da una donna in terza persona, come se volesse prendere le distanze da se' per osservarsi meglio. Tra le scrittrici greche che si riferiscono spesso piu' o meno esplicitamente alla dittatura dei colonnelli ed a problematiche sociopolitiche, ricordiamo le autrici di racconti pubblicati dalla casa editrice e/o, come Maro Douka o Alki Zei, che hanno partecipato attivamente al movimento di opposizione, subendo il carcere o l'espatrio. L'interesse suscitato in Europa da queste scrittrici e' testimoniato anche dai premi letterari: il Premio Moravia per la letteratura straniera e' stato assegnato a due donne che vivono in Palestina su due opposti fronti: Sahar Khalifah, femminista palestinese, autrice di romanzi tra cui Il fico d'India, Il Girasole, La svergognata, e Ida Fink, israeliana di origine polacca che, avendo peregrinato molti anni ed essendo vissuta clandestinamente in Germania durante la guerra, approdata in Israele, comincia a scrivere, rielaborando le esperienze dell'Olocausto. Ci immettiamo ora nella problematica dei rapporti tra razza, sesso, mercato culturale che sarebbe lungo trattare e per la quale rimandiamo al bel libro di bell hooks, Elogio del margine, con prefazione e cura di Maria Nadotti (Feltrinelli). E' significativo che il seminario internazionale tenutosi a Palermo nel 1988, che ha visto la partecipazione di italiane, maghrebine, egiziane, americane, tedesche, spagnole, sia stato organizzato da Arcidonna e gli atti pubblicati (a cura di D. Corona) dalla casa editrice palermitana di donne La Luna. La stessa casa editrice che pubblicava (a cura di G. Fiume) gli atti di un seminario internazionale tenutosi ancora a Palermo l'anno prima su "Onore e storia nelle societa' mediterranee", che raccoglieva il contributo di studiosi europei, americani e dell'area maghrebina su un concetto che consente agli studiosi di scienze sociali di affermare un'ipotetica unita' culturale dei paesi dell'area mediterranea. La risposta degli studiosi piu' avvertiti e' che, per ovviare ai rischi che la "mediterraneita'" sia un inventario di luoghi di "fossili sociali", e' preferibile parlare di "societa' mediterranee". E penso all'altro convegno tenutosi ancora a Palermo, ai cantieri della Zisa, e recensito da Clelia Lombardo sulle pagine del palermitano "MezzoCielo", mensile di politica culturale e ambientale pensato e realizzato da donne, con il titolo "Narrare per convivere", sul confronto tra narrazioni, lingue e culture diverse che convivono nelle nostre citta'. La narrazione e' il genere forse piu' frequentato dalle donne perche', attraverso il racconto, alcuni eventi non solo non vengono dimenticati, ma riprendono corpo e forza, facendosi "resistenza" ad ogni forma di dominio. Narrare e' identita', scandaglio della propria esistenza, in relazione ad altre esistenze, ascolto degli altri, quelli che vivono tra noi ma che vengono da altri paesi: "la difficile arte del narrare, allora, aiuta la difficile arte del convivere". La Sicilia, "fegato" del Mediterraneo, e' inesauribile fonte di vitalita' esistenziale e letteraria di una nouvelle vague di scrittrici, che hanno una sorte migliore della conterranea Maria Messina (1887-1944), la quale trovo' non poche difficolta' ad affermarsi, mentre bisogna attendere la ristampa negli anni '80 di alcune sue opere da parte della casa editrice palermitana di Elvira Sellerio, per rompere il silenzio che tanti anni gravo' su di lei. La sua opera oscilla tra la volonta' di denunciare i meccanismi sociali di oppressione della donna e la contraddittoria accettazione acritica di modelli tradizionali interiorizzati, dalla divisione dei ruoli, all'assetto sociale classista. Si volta pagina con Maria Occhipinti (Ragusa 1921 - Roma 1996), che e' gia' una donna e una scrittrice del nostro tempo. Rappresenta la generazione delle ragazze siciliane che vanno a scuola fino alla terza elementare per andare poi ad imparare il mestiere presso una sarta; si sposa a 17 anni, quando il marito viene richiamato alle armi, riprende a studiare da autodidatta. Con grande scandalo dell'ambiente che la circonda, si iscrive alla Camera del Lavoro ma, contro le direttive del Partito Comunista in Sicilia, organizza la rivolta contro il richiamo alle armi deciso dal governo Bonomi. Confinata ad Ustica dove nasce sua figlia, viene poi trasferita nel carcere di Palermo. Tornata a Ragusa, si accorge che il divario con il marito e gli ex compagni di lotta e' ormai insanabile, per cui lascia la sua citta' girovagando per il mondo. Infine si stabilisce a Roma senza dimenticare la Sicilia, si impegna nelle lotte contro la base missilistica a Comiso. Autrice di racconti brevi ("Il carrubo"), e' piu' nota per il suo libro autobiografico Una donna di Ragusa. La milanese La tartaruga stampa l'esordiente catanese d'adozione Silvana La Spina (Morte a Palermo, 1987; Scirocco, 1992; infine Penelope, 1998) che approda alla Bompiani (Ultimo treno per Catania, 1992; Quando Marte e' in Capricorno, 1994) e alla Mondadori (Inganno dei sensi malizioso, 1995 e L'amante del paradiso, 1997). Si tratta di scrittrici che spesso vengono da studi classici e filologici e in ambito critico si occupano del rapporto tra mito e scrittura. Cosi', la La Spina analizza tra i miti di una terra "ammorbata dalla presenza di madri luttuose e terribili", il conflitto madre-figlia espresso nel mitico rapporto Demetra-Proserpina e vede nell'atteggiamento della figlia il conflitto con la tradizione, un tradimento che le costera' la colpa, il dolore, e la scrittura vissuta come giustificazione dell'esistenza. Rivisita personaggi femminili del mondo classico, come quello di Penelope consacrata dal mito come la paziente tessitrice, la sposa fedele del "rabbioso" Ulisse, colta nell'atteggiamento di raccontare la parte in ombra della propria vita: la violenza subita dal padre Icaro, la gelosia del figlio Telemaco, l'amore per un altro, il suo punto di vista, rovesciato rispetto a quello dei classici, sulla guerra di Troia, sul ritorno di Ulisse e la strage dei pretendenti, nello sforzo di liberarsi dell'ingombrante ombra del marito per incarnare la femminilita' umiliata di ogni tempo. Proviene dagli stessi studi anche Silvana Grasso, che esordisce con i racconti Nebbie di Ddraunara (La Tartaruga, 1993), cui Seguono i romanzi Il bastardo di Mautana (Anabasi, 1994), Ninna nanna del lupo (Einaudi, 1995), L'albero di Giuda (Einaudi, 1997), nei quali si inventa un codice linguistico originale che e' un impasto del dialetto delle madri siciliane ma anche un rovesciamento, perche' le parole delle madri sono le parole del pregiudizio, del dominio maschile e dell'esclusione femminile, e inchiodano le figlie ad un ruolo meramente riproduttivo, e' necessario alle figlie un "viaggio all'inferno", mettere l'oceano tra loro e le madri, per tornare ad usare il dialetto degli avi, finalmente riconosciuto come proprio. Gli interrogativi iniziali non possono, dunque, essere disciolti se ci poniamo un intento classificatorio, proprio per la complessita' di queste scritture all'interno del singolo Paese e nei Paesi della vasta area geografica. Anzi, proprio dall'impossibilita' di riassumere e sintetizzare questa letteratura, da questa "ambiguita'" in piu', dal suo costituirsi non come spazio di sintesi ma di moltiplicazione della parola, deriva il fascino della sua "diversita'". 8. RILETTURE. NICCOLO' CUSANO: IL DIO NASCOSTO Niccolo' Cusano, Il Dio nascosto, Laterza, Roma-Bari 1995, 2004, pp. XL + 120, euro 7,50. A cura di Lia Mannarino, "Il Dio nascosto. Dialogo tra un gentile e un cristiano", scritto tra il 1440 e il 1445, "La ricerca di Dio" del 1445, "La filiazione di Dio" del 1445, e le "Quattro prediche nello spirito di Eckhart" tenute tra 1453 e 1457 (ed edite con questo titolo nel 1937). Alcuni testi cruciali di quel fondamentale e straordinariamente aggettante ambito di riflessione che e' noto nella storia del pensiero come "teologia negativa". 9. RILETTURE. NICOLA CUSANO: LA PACE DELLA FEDE Nicola Cusano, La pace della fede e altri testi, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Firenze) 1993, pp. 142, lire 20.000. A cura di Graziella Federici Vescovini, la "Lettera a Rodrigo Sanchez de Arevalo" del 1442, la "Congettura sulla fine del mondo" del 1446, "La pace della fede" del 1453. Un testo classico del pensiero pacifista, accompagnato da altri scritti che lo contestualizzano efficacemente. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 859 del 22 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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