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Minime. 849
- Subject: Minime. 849
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 12 Jun 2009 00:49:03 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 849 del 12 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Riportiamoli a casa vivi. Cessi la partecipazione italiana alla guerra afgana 2. Il Consiglio superiore della magistratura dimostra e denuncia l'illegittimita' e l'insensatezza delle misure razziste contenute nel cosiddetto "pacchetto sicurezza" 3. La nuova legge sulle intercettazioni telefoniche spiegata al popolo in tre facili lezioni 4. "Azione nonviolenta" di giugno 5. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 6. Alcuni estratti da "Asia Maggiore" di Franco Fortini 7. Riletture: Quentin Bell, Virginia Woolf 8. Riletture: Paul Froelich, Rosa Luxemburg 9. Riletture: Simone Petrement, La vita di Simone Weil 10. Riletture: Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: RIPORTIAMOLI A CASA VIVI. CESSI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA AFGANA La guerra afgana si prolunga ormai dall'inizio del secolo per quanto riguarda la fase in cui sono coinvolte anche le forze armate italiane; ma in realta' si prolunga da decenni, se si considera il suo reale inizio. E' una guerra che ha gia' provocato sofferenze infinite alla popolazione. E' una guerra insensata e criminale come tutte le guerre. E' una guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale. * La guerra non serve contro il terrorismo, poiche' la guerra e' essa stessa terrorismo ed alimenta ulteriore terrorismo. La guerra non serve per costruire la giustizia, poiche' la guerra e' essa stessa l'ingiustizia massima. La guerra non serve per portare la pace, poiche' essa e' il contrario della pace. La guerra uccide gli esseri umani. La guerra sempre e solo consiste nell'uccidere gli esseri umani. * Troppo a lungo tanta parte della societa' italiana ha taciuto dinanzi ai massacri della guerra afgana. Troppo a lungo il governo e il parlamento italiano hanno continuato a far partecipare l'Italia a una guerra cui la Costituzione della Repubblica Italiana proibisce al nostro paese di partecipare. Troppo a lungo governo e parlamento hanno reso complice il popolo italiano del crimine abominevole della guerra. * Cessi immediatamente la partecipazione italiana alla guerra. Riportiamo subito a casa vivi tutti i soldati italiani. Aiutiamo la popolazione afgana con aiuti umanitari, con opere di pace, col sostegno materiale ai diritti umani di tutti gli esseri umani che la guerra stanno subendo da decine d'anni. L'Italia ripudi la guerra e s'impegni a costruire la pace. Solo la pace salva le vite. 2. STATO DI DIRITTO. IL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA DIMOSTRA E DENUNCIA L'ILLEGITTIMITA' E L'INSENSATEZZA DELLE MISURE RAZZISTE CONTENUTE NEL COSIDDETTO "PACCHETTO SICUREZZA" [Dal Televideo della Rai (www.televideo.rai.it) col titolo "Il Csm boccia il reato di clandestinita'"] Ledono i diritti dei "clandestini" e dei loro figli alcune delle norme del pacchetto sicurezza, come quella che richiede per la dichiarazione di nascita l'esibizione del permesso di soggiorno da parte del genitore. Lo sostiene la sesta commissione del Csm. La norma si pone in contrasto - scrivono i consiglieri - "con il diritto del minore alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin dalla nascita". L'introduzione del reato di clandestinita' determinera' inoltre "un eccezionale aggravio" all'attivita' giudiziaria, in particolare per i giudici di pace, "gravati da centinaia di migliaia di nuovi processi". 3. LO STATO DELL'ARTE. LA NUOVA LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE SPIEGATA AL POPOLO IN TRE FACILI LEZIONI Lezione prima. Dei criminali commettono dei delitti, poi se ne vantano parlandone tra loro per telefono. Lezione seconda. Quei criminali sono scoperti e vengono processati. Lezione terza. Quei criminali vincono le elezioni politiche - anche grazie al potere accumulato proprio con quei medesimi delitti -, collocano in parlamento il bivacco dei loro manipoli, e infischiandosene della legge, della morale, della logica e del principio di realta' deliberano: a) di restare impuniti; b) che dei loro delitti e' proibito parlarne; c) che la magistratura e l'informazione non devono piu' esistere. Si sta cosi' bene nel paese del Grande Fratello. 4. STRUMENTI. "AZIONE NONVIOLENTA" DI GIUGNO [Dalla redazione di "Azione nonviolenta" (per contatti: an at nonviolenti.org) riceviamo e diffondiamo] E' uscito il numero di giugno 2009 di "Azione nonviolenta", rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. In questo numero: Un'amicizia senza confine: Gandhi (Bapu) e sorella Maria (Allodola), di Enrico Peyretti; L'educazione nella pace per l'intelligenza, contro la stupidita', di Antonio Vigilante; A Narges Mohammadi (Iran) il premio internazionale Alexander Langer 2009, a cura della Redazione; Un campo Internazionale "Ponti, non muri", di Enrico Bartolomei e Virginia Fiume; Il nucleare e' impossibile, lo dicono i dati di fatto, di Giorgio Nebbia; Alla ricerca del femminile, del virile, e del dialogo fra le culture, Wilma Massucco intervista Stefano De Santis; "Piccole donne" in azione per il bene comune, legato alla loro terra e alla loro quotidianita', di Claudia Bernacchi; Memoria della Liberazione con la nonviolenza, di Bassiano Moro; Donare un libro e' atto d'amore, di Mao Valpiana. Le rubriche: Educazione. Omaggio a Boal, fondatore del Teatro dell'Oppresso, a cura di Pasquale Pugliese; Economia. Una libera universita' per l'energia pulita, a cura di Paolo Macina; Per Esempio. Uccidere innocenti non e' servire Dio in alcun modo, a cura di Maria G. Di Rienzo; Cinema. I diabolici strumenti di seduzione del potere, a cura di Enrico Pompeo; Libri. La bicicletta come l'arcolaio, a cura di Sergio Albesano, Il calice. Il bluff della modernita', a cura di Christoph Baker. In copertina: Bapu e Allodola, due spiriti senza confini verso la luce della verita'. In seconda: La nostra piccola economia. In terza di copertina: Materiale disponibile. In ultima: L'ultima di Biani, Iran: giovani donne per i diritti umani. * Redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org * Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 30 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". 5. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 6. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "ASIA MAGGIORE" DI FRANCO FORTINI [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Franco Fortini, Asia Maggiore. Viaggio nella Cina e altri scritti, Manifestolibri, Roma 2007 (prima edizione 1956)] Indice del volume Prefazione di Edoarda Masi; "Contraddizioni e identita' fra noi": Fortini e la Cina di Donatello Santarone; Giustificazione e conclusione; Biglietto d'andata; Pechino: Primo incontro, Dalla finestra, La folla, Parco Imperiale, All'Universita', Il te', Biblioteca nazionale, L'Opera, Dimensioni, Mercato Orientale, Nuova Pechino, Punti di vista, Le minoranze nazionali, Vigilia, Primo Ottobre, Una statua, Draghi e melograni, Ciu En-lai, Marco Polo, Giardino d'estate, Prigionieri, La signora Ien, Il Tempio del Cielo, Saluto; Mukden: I contadini, La miniera, I vecchi minatori, Delle Carte, Pallacanestro, La Grande Muraglia, Gli interpreti; Ricordo di Leningrado; Shanghai: Tumuli, Le poesie di Mao, Finestrino, "La condition humaine", Quartieri dell'Ovest, Manifesti, Una scuola, Scambi culturali, Alle undici di sera, Magazzini generali, Fotografie, Casa dei Pionieri, Dialogo coi professori di marxismo, Un'ora difficile, Ombre bianche, A Marx via Confucio, Missioni, Tsu Min, Pomeriggio sul Hwang Pu, Pietre preziose, Lu Hsun, "Il sogno del padiglione rosso"; Illustrazioni (fotografie dell'autore); Ricordo di Mosca; Hangchow: Un ventaglio, Snobismo occidentale-orientale, Sottane, La Pagoda, Hu Feng, La discussione in treno, Museo di marionette, In treno, Le cose che non abbiamo capito, Alfabeti, Emanuelli, "Brain Washing", I topolini, Canton, Ultima sera, Passaggio a Hong Kong; Biglietto di ritorno. Appendice: altri scritti cinesi. Lo spettro cinese (1968); Lu Hsun, la mancanza (1970); Lettera da Shanghai (1977); Postfazione di Edoarda Masi; Indice delle illustrazioni: fotografie dell'autore: Bambini in una via di Shanghai, Una delle porte della Citta' Proibita di Pechino, La bibliotecaria del Parco Imperiale di Pechino, Vecchia strada a Pechino, Preparativi per la festa del Primo Ottobre, Stanza di un minatore nell'ospizio di Fu hsin, Giovane madre di Pechino, Un dirigente contadino manciuriano, Contadino al lavoro, Una ragazza dello Yunnan, In una via di Shanghai, Dalle finestre della Casa di Cultura Operaia di Shanghai, Le battelliere di Hangchow, Tsu Min, Una vallata dello Kwangtung, verso Canton, Kowloon (Hong Kong). I conduttori di ricscio', Victoria (Hong Kong). Il mercato dei marciapiedi. * Da pagina 7 "Contraddizioni e identita' fra noi": Fortini e la Cina, di Donatello Santarone Di fronte alle odierne societa' multiculturali, frutto di lunghe storie di migrazioni internazionali che continuano e crescono nel mondo del capitalismo globalizzato, e' necessario includere nel nostro corredo concettuale e percettivo una conoscenza meno sommaria, meno esotica, meno etnocentrica del cosiddetto Altro. Il quale, in verita', e' molto meno "altro" di quanto appaia ad una prima superficiale impressione; il quale, ormai da mezzo secolo, si e' prepotentemente affacciato da protagonista nello scenario della storia grazie alle lotte di affrancamento dal colonialismo; il quale, infine, e' in mezzo a noi, vive e lavora tra noi. Si tratta di assumere una prospettiva di contemporaneita' tra pari, di coesistenza di simili. "Il fatto e' che in tanti aspetti noi siamo anche la Costa d'Avorio, lo Zambia o l'Algeria. E proprio per questo motivo abbiamo bisogno di un'area recintata, di quel vallo di cui parlo, che l'Occidente ha messo intorno a se stesso. Sentivo parlare di un film fantascientifico dove si immaginavano eserciti europei pronti ad aprire il fuoco sulle masse sterminate di africani decisi a varcare il mare, a Gibilterra, proprio come quando i mori passarono 'd'Africa il mare, e in Spagna nocquer tanto' come diceva l'Ariosto. Questa idea, nella sua forma appunto ridicola, da fantascienza, pero' contiene un elemento certamente vero e cioe' la tendenza dell'Occidente a chiudersi in se stesso. Anche nella sinistra non e' facile parlare correttamente di queste cose. Troppo spesso ci si accontenta di dichiararsi 'tutti fratelli', si aprono le braccia all'altro, ma l'altro, appunto, e' l'altro. Cioe' e' sempre l'extra qualche cosa: non e' qualcuno con cui realmente ci si confronti nella sua specificita', nella sua nazionalita': il muro c'e', e' costruito. Noi siamo da una parte, gli 'altri' dall'altra: poi a determinate condizioni, ovviamente, si possono aprire benissimo le porte, ma intanto il muro viene confermato". E ancora: "Lo straniero e' sensibile, arrivando, a disuguaglianze e sopraffazioni che invece per gli abitanti del luogo rientrano nella assoluta normalita', e questo e' un invito a vedere il nostro stesso paese, l'Italia voglio dire, con occhi di straniero se ne vogliamo afferrare l'immagine reale". Includere la Cina nella nostra mente (il discorso, ovviamente, vale per l'India, l'Africa, l'America Latina...) significa iniziare a comprenderne la storia, la geografia e la cultura. Lo scienziato americano Jared Diamond, ad esempio, sottolinea "come la Cina divenne cinese", mettendo in luce una specificita' particolare del grande paese asiatico: la sua omogeneita' linguistica, culturale, politica. A differenza delle societa' multiculturali e multietniche, che rappresentano la stragrande maggioranza delle societa' contemporanee, quella cinese e' una societa' che ha conosciuto fin da tempi molto antichi un processo massiccio di accentramento e unificazione. Prendere sul serio la Cina significa riconoscere una civilta' millenaria a cui dobbiamo molto, ricordando pure che l'Italia ha stabilito contatti antichi con la Cina, documentati almeno dall'antichita' romana per poi continuare fino a Marco Polo, a padre Matteo Ricci, solo per citare i nomi piu' famosi. Si tratta di nomi emblematici che testimoniano le antiche relazioni tra Italia e Cina. Matteo Ricci rappresento' un modo nuovo, rispettoso della cultura cinese, di avvicinarsi all'Altro. Anche se non va dimenticato che l'avvicinamento ai letterati confuciani era strumentale alla politica gesuitica di conquista delle classi dirigenti, ne' il fatto che egli arrivo' in Cina appoggiandosi alla colonizzazione portoghese e dai portoghesi fu largamente finanziato. Tuttavia, provo' a farsi cinese tra i cinesi e non e' senza significato che, con il nome cinese Xitai, che significa "il Grande personaggio dell'Occidente", sia sepolto nella citta' di Pechino. Ma il metodo di Matteo Ricci non fu sempre seguito. Nel 1900 l'Italia partecipo' all'aggressione imperialista delle potenze europee alla Cina per aggiudicarsi altri scali portuali e nel giugno 1902 ebbe la concessione di un lembo della baia di Tien Tsin. Si tratto' di un'altra pagina nera nella storia ancora del tutto rimossa del colonialismo italiano. Attraverso lo studio dei numerosi scrittori italiani del Novecento che hanno parlato della Cina possiamo aprire nuovi orizzonti di conoscenze e di interpretazioni. Bastera' qui ricordare - oltre ad Asia Maggiore di Fortini - i libri di Carlo Cassola, Viaggio in Cina (1956), Curzio Malaparte, Io, in Russia e in Cina (1957), Carlo Bernari, Il gigante Cina (1957), Goffredo Parise, Cara Cina (1966), Giorgio Manganelli, Cina e altri orienti (1974), Alberto Arbasino, Cina (1981), Luigi Malerba, Cina Cina (1985). Senza considerare alcuni "ritorni", come quello di Alberto Moravia che si reco' tre volte in Cina e scrisse Cina 1937, articoli per la "Gazzetta del Popolo" di Torino, La rivoluzione culturale in Cina nel 1967 e cinque articoli per il "Corriere della sera" nel 1986. "Ho avuto, posso dire, tutto uno scaffale mentale, di testi sulla Cina, che vanno da opere divulgative sulla sua storia a frammenti della sua letteratura antica e moderna, letti in traduzioni di inverificabile qualita'. Una quotidiana discussione mentale sui significati del 'Paese di Mezzo' mi e' durata per oltre venticinque anni e non puo' quindi, in nessun modo, venir descritta in termine di pagine di libri. Questi furono, certo, molti, da poeti antichi a Mao, da Il sogno della Camera Rossa a Lu Hsun; ma soprattutto furono opere di ricerca storica, di memorialistica e di politica, da Needham a Snow o da Hinton a Schurmann o Schramm. Credo che la dizione 'paesi allegorici', che ebbi a impiegare per una sezione di Questioni di frontiera, debba essere presa nel suo senso piu' forte. La cultura e l'esperienza di Edoarda Masi mi sono state un tramite necessario perche' mi fosse possibile tracciare (con la rozza energia di una ignoranza che si ignora) i confini di un'altra parte del genere umano. Un libro come il suo Per la Cina vissuto tra la morte di Mao e la caduta della 'Banda dei Quattro' e' stato, per me, un luogo intellettuale e morale, che mi ha riassunto, come ho detto, venticinque anni di riflessioni e letture su quel tema. Finche' ho capito che non avrei potuto andare oltre. Al di la' c'e' la Cina odierna, non piu' fantasma ne' proiezione, un paese come gli altri paesi, da decifrare o ignorare, ma senza piu' pensarlo come m'era parso nel 1955, ossia 'altra faccia della luna'". * Da pagina 37 Biglietto d'andata Non ho mai sognata, mai immaginata la Cina. Quando sono stato invitato, ho fatto una breve ricapitolazione della mia ignoranza. Sono d'una generazione che ha passato l'adolescenza a sognare l'Europa, non il resto del mondo. Parigi, Londra, Madrid, e le citta' universitarie tedesche; quei luoghi che gli anni fascisti allontanavano o vietavano. E tutto e' venuto solo dopo la guerra; molto tardi. Dire Cina era come dire Luna. Non sono moderno, in questo. L'Inde, la Chine, come cent'anni fa - luoghi remoti, quasi irreali, che rimavano con amours enfantines. L'urto, l'emozione, era nel sentire che quel paese remoto bussava ormai tanto forte al nostro, da venire a chiamare proprio me. "Stamattina - mi sono alzato - e ho incontrato - Mao Tze-dun...". L'ironica canzone popolare del tempo della guerra di Corea diventava realta'. Zurigo, dodici anni dopo. Passeggiare lungo il Limmatquai, in un pomeriggio di domenica, era tornare al tempo di guerra. "E' tanto mutata, vedrai", m'avevano detto; ma era sempre la stessa Zurigo, gli stessi tram bianco-azzurri, il Dolder nebbioso, la brava gente a spasso. La mattina dopo, l'autobus che ci portava a Kioten, per l'aereo, e' passato per Stampfenbachstrasse; e a un certo punto, di la', con una rampa di qualche gradino si va in Obstgartenstrasse, dove abitava, nel 1944, Fernando Schiavetti; e sua moglie, la signora Giulia, che ora e' morta. L'ultimo dell'anno gettammo insieme il piombo fuso nell'acqua, a scrutare il futuro. Conobbi in quella casa di italiani coraggiosi non pochi uomini dell'emigrazione antifascista, della generazione dei nostri padri; e ora so che cosa ha voluto dire per me quell'inverno. Per questo, andando verso Schaffhauserplatz, mi sono voltato a guardare gli alberi e le casette di quella via e ho ricordato la signora Giulia. L'aspetto della gente, a Praga, sembra fatto apposta per la gioia professionale di certi giornalisti. Una folla "declassata". Gesti ed abiti, stanchi come da noi nel primo dopoguerra. Sembra non sia stato ancora inventato un costume, un portamento nuovo. La folla in piazza Venceslao. Le vie deserte intorno al Cimitero Ebraico. Sulla Moldava, piantato in mezzo alla collina, brutto piu' che la parola possa esprimere, il monumento all'Armata Rossa. Dal teatro del Conservatorio, la musica di un concerto; sulle gradinate, fra due leoni di bronzo, studenti, ragazze, silenziosi. Passammo qualche ora tra il Palazzo Reale, la Cattedrale e le vie di Mala Strana. Nella Cattedrale, suonavano l'organo. Dietro l'abside passo', con una eco aspra nei cortili, un picchetto di soldati. Il cielo era divenuto altissimo. Il sole accese qua e la' vetri, cupole, campanili. Poi palazzi, chiese, portali, statue, cartigli, tutta una splendida vegetazione barocca parve mutarsi per alchimia in una materia fossile, un carbone sinistro. Scendevo verso il fiume. Solo Venezia ho veduto, di novembre, annerire cosi'. Le statue del ponte Carlo, le chiese che lo fronteggiano e poi, volte buie, case sull'acqua, una tenebra nitida, ormai un diamante. La sera finisce in una birreria o caffe', affollato, fumoso, dai divani di velluto rosso; in discussioni sui prezzi scorti nelle vetrine, in calcoli difficili di cambi e valute; in una stanza d'albergo disperata, forse la stanza delle sguattere, fredda e sporca. Mi stringevo nella mente quella nerissima gloria di cuspidi e croci, lanterne, stelle. Varsavia e' un attimo, sotto l'aereo che scende: il grattacielo di tipo sovietico nel centro della citta', il trapezio verde dove fu il Ghetto. Un aeroporto semideserto. Poi, nel pomeriggio nuvoloso, la Bielorussia. Ripercorro in aereo la medesima rotta di poco tempo fa, Minsk, Orcha, Mosca, la strada delle invasioni. Boschi, fiumi e paludi. L'aereo sovietico, che ha visibile l'indicatore di altitudine, comincia la discesa, si direbbe, goccia a goccia. Mosca, tra le nuvole. Si cala nel buio, a Gorki, in un odore di concime e petrolio. Ma quando ci si leva e' gia' alba, il Volga roseo. Sverdlovsk, Omsk, Novosibirsk, Krasnojarsk, Irkutsk. Citta' immense, americane, western. Ciminiere, altiforni, fabbriche; sterminati quartieri di abitazione. Aeroporti in terra battuta dove si posano, come piccole mosche verdi, gli aerei che collegano i villaggi e le citta'. Non piu' la Russia. Qui sento che cosa significa Unione Sovietica. Un continente colonizzato, scoperto. Spazio. A Sverdlovsk, cioe' Jekaterinburg, dove ammazzarono i Romanov, abbiamo mangiato in una saletta elegantemente apparecchiata, con luccicanti bicchieri di cristallo. Finito di mangiare, Treccani si e' messo a disegnare una delle cameriere, una ragazza strana e bella. Una testa pallida e nobile, con una bocca casta, un po' dolorosa e sdegnosa, la treccia bionda intorno al capo; sapeva di essere bella e nei gesti manteneva una distanza stupita. Da Irkutsk si e' subito fra i monti. Monti siberiani, verdi, folti. Si percorre una valle e, tutt'a un tratto, il turchino-grigio del Baikal. Le rive alte, a strapiombo, a scogliera. A nord, il lago si dilata come un mare. All'orizzonte, montagne di neve. Varcato il lago (che in quel punto sara' largo trenta o quaranta chilometri), si entra in un paesaggio d'altopiano, sempre piu' arido, di color bruciato, la Mongolia. Si scorgono accampamenti di tende bianche, circolari; tracciati di citta' di tende, abbandonate; greggi. Poi, la capitale dei nomadi, Ulan Bator e il suo aeroporto. Aria netta, vivace; odore di erbe aromatiche. Si e' a circa mille metri, circondati da montagne color terra di Siena bruciata, desertiche. Pastori a cavallo, luce illimitata. Qui, solo qui, per la prima volta, dopo l'America siberiana, e' Asia. Ci saluta un piccolo gruppo di abitanti, uomini donne e bambini, vestiti di stoffe a colori vivaci, ricamate; di turbanti; decorati di pendagli d'argento. Una robusta ragazza siberiana ci versa il te', per un pranzo di uova sode, salame, pane e burro. L'aereo riparte. Poco a poco le colline paiono sprofondare, divengono grige, nerastre, bianche, tormentate da letti di fiumi disseccati, da laghi inariditi, pietraie, fino all'orizzonte, da ogni parte. E' il Gobi, il deserto, e lo sorvoliamo per quasi quattro ore. Un filo, la ferrovia, lo attraversa: la nuova linea della Transiberiana, che abbrevia di duemila chilometri il percorso Mosca-Pechino. Lentamente, tracce di vegetazione cominciano a combattere con l'aridita'. Ed e' un seguito di montagne, di catene dalle forme paradossali, dove l'erosione ha messo a nudo una sostanza bluastra, violetta, per creare la piana cinese verso la quale voliamo. Non ho mai veduto ne' immaginato nulla di simile. E' uno spettacolo straordinario. E si avverte una enorme presenza umana, nei villaggi e nelle citta' lungo i fiumi, su per i terrazzamenti delle risaie che dispongono le loro curve di livello lungo le pendici dei monti. Ora, su quel caos tumultuoso di forme, il sole disegna l'assurdo festone della Muraglia. Un'ultima catena di monti e improvvisa, unita, distesa, la pianura; una pianura di colore verde e arancio tutta alberi orti case pagode strade risaie. Pechino. * Da pagina 41 Pechino "Se una donna smette di tessere tre uomini saranno senza vesti. Se un uomo smette di arare otto bocche saranno senza pane. E quando fame e freddo ci tormentano e' cosi' facile sbagliare! Che cosa chiede il cuore della gente? Che ci si possa a vicenda aiutare. Questa e' la legge da tenere a mente e il sapiente la deve conservare". Yanc K'i (secolo XIV) Primo incontro. Scendiamo dall'aereo, accolti dagli applausi di una quindicina di signori sorridenti, in giacche color sabbia e blu, mentre una piccola fanfara suona dagli altoparlanti. Ci fanno sedere intorno a un lungo tavolo; alle pareti, disposti senza distinzioni di gerarchia, i ritratti dei capi cinesi e di quelli sovietici, Stalin come Mao, Bulganin come Ciu En-lai, Mikojan come Ciu Teh. Ma quando le auto partono verso la citta' e ognuno di noi fissa dal finestrino quel tanto di campagna che riesce a vedere - e' certo un momento che non riusciremo piu' a trovare nella memoria, tanto i giorni seguenti ci renderanno familiare quel paesaggio. E, dicendo "Cina", ciascuno evochera' questo o quel luogo o viso o luce, ma probabilmente non quel primo percorso tra la polvere di una sera d'estate, dove tutto era quasi sorpreso dal viaggiatore prima del suo vero spiegarsi, e tutto su due dimensioni, ma non come una delle citta' dove siamo passati o abbiamo dormito, che' quelle avevano appunto il dovere di mostrarsi, per cosi' dire, solo di profilo, segnate dall'abbandono, tappe e non luoghi d'arrivo, citta' e paesaggi che potevano servire ad immagini e a nozioni, ma queste separate da quelle, vere si' ma della ambigua verita' del film; qui avremmo avuto piu' punti di vista, piu' giorni, e quel primo contatto si colorava, si specificava come primo d'una serie, era una "sentinella perduta" destinata al sacrificio. Stupore, ma stupore di cose gia' note, gia' viste, come se avessimo fatto meta' del giro del mondo per ritrovarci nella piana di Caserta o di Fidenza. Il rapporto tra gli alberi e le case dei contadini, la pergola e il pozzo, la bicicletta e la viottola; il colore dei muri, dei visi umani, degli ortaggi; lo spartito dei campi, del granturco; i bambini sulle aie; i ciclisti operai che tornavano dalla citta' - tutto era un settembre italiano, con i suoi fossi, l'ozio prima di cena, il fumo dalle casipole, le nubi danzanti di moscerini, la conversazione col casellante del passaggio a livello, il carro di fieno che ingombra la strada e, diffusa con la luce, la presenza tiepida degli esseri umani per tutta la campagna. Ora veniva un sobborgo, una fila di capre, una folla che cresceva... Su tre successive collinette poco alte, quasi dei tumuli, ho visto raccolti tre gruppi d'uomini. Stavano in piedi o seduti sui talloni. Accanto ad uno dei gruppi c'era piantata una bandierina rossa. - Che cos'e'? - ho chiesto. - La riunione dopo il lavoro, istruzione e autocritica - ci hanno risposto. La prima impressione, di gia' veduto, di gia' noto, era finita. * Da pagina 43 La folla. Nessun'altra folla cinese e', come quella di Pechino, composta e degna, fosse pur quella dei quartieri piu' miseri. Folla di ciclisti lungo viali che paiono senza fine e che levano contro il baglio dell'orizzonte la grigia parete d'una porta; folla di sfaccendati per le sale dei magazzini generali, folla dei tram, delle librerie, dei bazar. Ma folla tranquilla, senza chiasso, abituata a code beneducate. Al quadrivio del Mercato Orientale, come a Charing Cross, ti senti portato dalla gente, senza che nessuno ti urti. Un formicolio piu' blu meno blu, dove s'inseriscono i toni grigio sabbia dei funzionari, quelli pesca dei poliziotti, qualche giubba di seta femminile, qualche lungo gabbano di taglio antico, le calzette a vivaci colori delle ragazze, i fiocchi rossi e verdi dei bambini. Si distinguono bene, in questa folla, i vari ordini della societa' cinese; un fondo, che direi antico piu' che vecchio, anche se corrisponde agli uomini e alle donne d'eta' avanzata, visi e corpi distrutti, di vecchi magri appoggiati al bastone, lo zucchetto in testa, i fili di barba penduli sul petto e - quando il gabbano non la cela - l'andatura lenta sulle ginocchia piegate, che un tempo era segno di distinzione; di lavoratori sfiniti, animali da soma vestiti di stracci, che tirano carri o portano pesi; vecchie donne dai piedi ridotti a due monconi, che trafficano sulle soglie delle botteghe, fumando; un fondo umano fisicamente debole, come segnato dall'oppio, rassegnato. Ma da questo fondo, quasi senza transizione, l'ondata della generazione nuova: quella dei "quadri" medi, funzionari, militari, occhi intelligentissimi, vigili, che portano con orgoglio i panni dimessi di tela, le donne cui le lunghe trecce nere danno un'espressione di giovane sfida e che talvolta vedi, tra la folla, sorreggere secondo il costume confuciano - loro, emancipate ed energiche - la vecchia madre o suocera, zoppicante sui piedi deformi. E poi i giovanissimi, gli adolescenti, con le facce piene di vita appassionata, le pupille allegre, brillanti di humour, sciami di ragazze dalle facce tonde, dai libri sottobraccio, che s'accompagnano a ragazzi, anch'essi pieni di un fervore e di una sicurezza ammirevolmente corretti da un filo di modestia. * Da pagina 49 Il te'. Trasparente e al profumo di gelsomino nel nord, e' nei treni un infuso di foglie verdi, dove piu' volte si rinnova l'acqua calda, per diventare somigliante al te' bruno, al te' inglese, nella regione di Canton. Di regola, non contiene zucchero, ne' latte, ma nei vagoni ristoranti dell'espresso Shanghai-Canton portano in tavola le scatole del latte condensato e lo zucchero in piccole scaglie. Penso, con disagio, che qui il te', seppur non e' accompagnato dal cerimoniale complicato dei giapponesi, deve tuttavia possedere una sua ricca dignita', una tradizione dalla quale siamo esclusi; e che invece e' nota anche alla piu' povera gente che seduta sui talloni scalda, a piccolo fuoco di canipoli, l'acqua del te' sulle soglie, per la via, sotto la pioggia. Di qui l'importanza "rivoluzionaria" dell'episodio che segue. Una sera, a Pechino, fummo invitati ad uno spettacolo di complessi artistici stranieri; la sala, nuova e degna, doveva essere quella di un consiglio municipale o statale, perche' un banco correva lungo le poltrone della platea. Il presidente Mao assiste' allo spettacolo; e al suo ingresso il pubblico, quasi esclusivamente composto di stranieri venuti a Pechino per le celebrazioni del Primo Ottobre, applaudi' lungamente. Era una serata, si direbbe, di gala. Ma nell'intervallo, se si voleva bere del te', e altro non c'era, bisognava prendere dai tavoli disposti nel foyer una di quelle tazze smaltate che i soldati dell'Esercito popolare portano spesso appesa alla cintura, poi mettersi in coda presso alcuni grandi recipienti forniti di rubinetto e pieni di te'. Preceduti e seguiti da altri ospiti stranieri o attaches d'ambasciata o mogli di funzionari si giungeva dinanzi ad una vaschetta mezza colma di una soluzione al permanganato, rosso barbera; vi si sciacquava la tazza dove altri aveva bevuto, poi la si passava in un'altra vaschetta d'acqua e quindi si aspettava il proprio turno al rubinetto del te'. Riversato su di un foglio di carta spiegato sul tavolo, c'era lo zucchero. Questa procedura igienico-militaresca, questa semplicita' spartana rappresenta bene il momento, lo stile, della Nuova Cina, un momento che dura da cinque anni e non accenna affatto a passare. Direi che, a mantenerlo, contribuisce proprio la particolare evoluzione del socialismo cinese, la coscienza di aver certo vinta la propria battaglia fondamentale ma di dover evitare in ogni modo la fretta. L'austerita' dei dirigenti politici, dei quadri del partito e dei giovani, il senso di "essere in guerra" e' aumentata proprio dal fatto che per le vie delle citta' cinesi incontri ancora l'imprenditore privato, l'industriale, sua moglie, i suoi figli, protetti dalla qualifica di "borghesia nazionale". In un certo senso l'austerita' dei nuovi "quadri" e' garantita dalla sopravvivenza degli avversari. (E in treno, una notte, due soldati dormivano nelle due cuccette di sinistra del mio scompartimento. Il giorno seguente, venuta la luce, li ho veduti conversare insieme da camerati. Solo qualche ora piu' tardi ho saputo che erano un maggiore e il suo attendente. A distinguerli, non c'era che qualche ruga sul viso dell'ufficiale). * Da pagina 54 Dimensioni. Pechino e', approssimativamente, quadrata, e circondata da una muraglia. A circa due terzi del quadrato, una muraglia interna, identica a quelle esterne, spartisce la citta' in due e una linea ferroviaria la segue. La parte maggiore o citta' cinese (Nei Cheng) e' a nord, la minore o citta' tartara (Wai Cheng) a sud. I lati della citta' sono lunghi fra sei e otto chilometri; tutta Milano vi starebbe benissimo dentro, ma la popolazione e' piu' vicina, credo, ai tre che ai due milioni. A meta' corre da est a ovest (tutta la citta' e' rigidamente orientata) un largo e lunghissimo viale che nel centro della capitale si apre col Ten An Men, la Piazza Rossa della Cina. Essa e' anche l'ingresso meridionale della Citta' Proibita, cioe' del complesso di edifici e di giardini imperiali. La Citta' Proibita e' un rettangolo circondato da muraglie, situato nel mezzo della citta': le sue dimensioni sono all'incirca quelle del trapezio che va da Castel Sant'Angelo a Porta Pia, da qui a Porta San Giovanni e da Porta San Giovanni a Porta San Paolo. Contiene tre laghi, un numero grande di edifici e padiglioni, due colline artificiali. Dentro la Citta' Proibita, cintato anch'esso da muraglie dipinte di color cinabro, c'e' il Palazzo Imperiale vero e proprio, cortili, padiglioni, scalinate, canali. Lunghezza, un chilometro; larghezza, seicento metri. Quando lo si attraversa non ci si rende conto delle sue dimensioni, perche' molte suddivisioni interne lo spartiscono in tanti cortili. Cinque o sei vasti cortili consecutivi stanno sull'asse centrale; diecine di altri si aprono a destra e a sinistra. Nella parte meridionale della citta' uno spazio molto grande e' occupato dagli edifici e dai giardini del Tempio del Cielo. Ma una buona parte della parte meridionale, pur cintata di muraglie, non ha costruzioni urbane. Nonostante la pianta assai semplice, ad angolo retto, a Pechino e' difficile orizzontarsi. Compaiono improvvisamente le eterne muraglie interminabili, sempre eguali. Si e' costretti a lunghi giri per passare dall'una all'altra parte della citta'. * Mercato orientale. Nulla o poco del pittoresco che il nome potrebbe suggerire; eppure uno dei luoghi piu' incantati di Pechino. Vi sono tornato non so quante volte. M'avvedo che e' difficile a descrivere: e' un quartiere intero dissimulato dietro altre case e negozi con entrate e uscite che poco si distinguono da quelle vicine, un po' come l'ingresso del Tribunale nel Processo. Un quartiere di vicoli - anche qui! - veneziani, complicati e come raddoppiati da bancherelle d'ogni sorta; ma su tutto, un alto tetto nerastro che costringe alla illuminazione elettrica; o, di rado, un lembo di cielo. In questa fittissima citta' di vetrine e di empori, una folla silenziosa: gli unici rumori sono quelli di qualche radio che trasmette opera cinese o il violento spurgarsi di un venditore di valigie. Oltre ai negozi di oggetti di paglia, di berretti, guanti, pellicce, scarpe, dolci, balocchi, liquori - con quanta pazienza, a gesti, hanno capito che volevo una specie di cognac cinese, che dovevo poi scoprire profumato, non so, alla trementina; e la cassiera ascoltava assorta i miagolii e gli schianti di gong che da una piccola radio trasmettevano una vicenda di duemila anni or sono - i piu' singolari sono quelli dei venditori di cineserie e i librai antiquari. Sembra che un secolo di predominio straniero abbia lasciato qui le sue spoglie intellettuali: perche' accanto alle cataste di antiche pubblicazioni cinesi su carta di riso si aprono scaffali e scaffali di libri europei, di vecchie riviste, che evocano gli ozi o gli studi o le nostalgie di funzionari, e delle loro mogli, libri che datano in modo ridicolo e straziante dai begli anni, quando Pechino era capitale degli ultimi Manciu' e dei primi generali repubblicani, quando i nostri addetti militari cavalcavano nel glacis delle Legazioni, e la sera, andando a teatro, si potevano vedere esposte, accanto all'ingresso, le teste dei soldati che avevano cercato di entrare senza biglietto, decapitati per ordine di un generale moralista... Numeri spaiati del "Crapouillot", romanzi di Dekobra; ma anche intere biblioteche inglesi di opere ponderose su tutti gli aspetti della vita, della geografia, della cultura e della storia cinese - prova della scrupolosa attenzione con la quale il Colonial Office aveva studiato questo paese - e i classici della letteratura e della filosofia (chi acquistera' quella bella edizione delle opere complete di Nietzsche? Rocco C., che mi ha accompagnato la' una sera, ha voluto, non senza melanconica civetteria, un Chaucer stampato a Oxford). In grandissima maggioranza, opere inglesi; poi tedesche; infine francesi. Ho bouquine' a lungo; e di italiano non ho trovato che un dizionarietto; forse i nostri attaches non son riusciti a vendere i loro D'Annunzio e i loro Pitigrilli... In compenso, quanta musica italiana; in grige legature, i dischi dell'Otello o del Barbiere. Ma su questo disfatto cimitero europeo, cui siedono guardiani piccoli cinesi in pantofole leggendo un loro libro, canta un grammofono a tromba, erto fra album, annate del "Punch", cartoline-ricordo: Ramona... 7. RILETTURE. QUENTIN BELL: VIRGINIA WOOLF Quentin Bell, Virginia Woolf, Garzanti, Milano 1974, 1994, pp. 557, lire 26.000. Una utile biografia di una delle nostre maestre piu' grandi. 8. RILETTURE. PAUL FROELICH: ROSA LUXEMBURG Paul Froelich, Rosa Luxemburg, Rizzoli, Milano 1987, pp. 474, lire 10.000. Una utile biografia di una delle nostre maestre piu' grandi. 9. RILETTURE. SIMONE PETREMENT: LA VITA DI SIMONE WEIL Simone Petrement, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 1994, pp. XXIV + 688, lire 85.000. Una utile biografia di una delle nostre maestre piu' grandi. 10. RILETTURE. ELISABETH YOUNG-BRUEHL: HANNAH ARENDT Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt 1906-1975. Per amore del mondo, Bollati Boringhieri, Torino 1990, 1994, pp. 642, lire 40.000. Una utile biografia di una delle nostre maestre piu' grandi. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 849 del 12 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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