Minime. 843



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 843 del 6 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Opporsi alla guerra
2. Opporsi al razzismo
3. Peppe Sini: Ogni sforzo
4. Severino Vardacampi: Alcune opinioni strettamente personali sulle
elezioni europee
5. Cinzia Gubbini: Il codice
6. Lo sport preferito
7. Tommaso Di Francesco intervista Edoarda Masi
8. Simone Pieranni intervista Zhang Xianling
9. Donatella Trotta intervista Predrag Matvejevic
10. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento
11. Giampietro Berti: Postfazione a "La nota persona. Errico Malatesta in
Italia (dicembre 1919 - luglio 1920)" di Paolo Finzi
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. OPPORSI ALLA GUERRA

La guerra in corso in Afghanistan. Cui l'Italia sta prendendo parte.
Nessun proclama di pace e' credibile oggi qui se non e' accompagnato da una
lotta concreta contro la guerra in corso.
Chi non si oppone alla guerra, delle sue stragi e' complice.

2. EDITORIALE. OPPORSI AL RAZZISMO

Il tentativo del governo razzista berlusconiano di imporre nel nostro paese
il regime dell'apartheid.
Chi non lo contrasta ne e' complice.

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: OGNI SFORZO

Ogni sforzo occorre esercitare per contrastare il golpe razzista in corso.
L'esser riusciti in questi mesi a contrastare le misure razziste del
cosiddetto "pacchetto sicurezza" gia' approvate al Senato ai primi di
febbraio, a contrastarle con efficacia tale da essere arrivati a giugno ed
esse ancora devono tornare a un nuovo voto in Senato, e' prova del fatto che
e' possibile resistere alla deriva razzista e totalitaria.
Naturalmente la minaccia di quelle misure razziste incombe tuttora, ma  e'
ragionevole considerare che piu' facilmente esse saranno approvate dal
Senato se il blocco politico e sociale razzista uscira' rafforzato da questa
tornata elettorale; se invece ne uscisse sconfitto questo probabilmente
metterebbe in difficolta' quel disegno di introduzione del regime
dell'apartheid in Italia, e rafforzerebbe la lotta antirazzista e per la
legalita' costituzionale.
*
Ogni sforzo occorre esercitare per contrastare il golpe razzista in corso.
Tra questi sforzi tutti benedetti c'e' anche quello del voto contro la
coalizione governativa alle elezioni europee ed amministrative di oggi e di
domani.
Ogni voto contro le forze politiche della coalizione della destra eversiva
al governo e' un voto contro il golpe razzista in corso.
Non trovo argomento piu' forte di questo a favore del voto.
*
In guisa di postilla, e per dirsela tutta: non so quale importanza
attribuisca al proprio voto chi legge queste righe; per me esso non e' che
un gesto tra tanti altri di gran lunga piu' nitidi e piu' impegnativi in cui
si concretizza il mio lavoro politico, un gesto che compio senza investirlo
di significati ultimi.
Cosi' trovandomi a votare solo per le europee io voto la lista piu' a
sinistra che trovo, e l'unica per quanto io ne sappia che non sia
espressione del campo della guerra (la guerra cui si prostituirono tutti i
partiti presenti in parlamento nella precedente legislatura), anche se so
che non raggiungera' la scandalosa soglia di sbarramento ed anche se so che
su alcuni punti programmatici fin sostanziali probabilmente non sono affatto
d'accordo con le posizioni di quel minuscolo partito.
Ma detto questo apprezzo anche ogni altro voto contro il golpe razzista, e
ai candidati decenti - e ve ne sono - di una qualunque delle liste del campo
democratico che si impegnino contro il razzismo.

4. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNE OPINIONI STRETTAMENTE PERSONALI
SULLE ELEZIONI EUROPEE

Come rimpiango quei tempi della lontana gioventu' quando approssimandosi le
scadenze elettorali non solo sapevo chi votare, ma sulle piazze lo
argomentavo con ferma convinzione. Da molti anni ormai ogni volta e' un
tormento. E' dal secolo scorso che non trovo piu' un partito o una lista che
mi sentirei di votare in serena coscienza.
Eppure votare voglio, innanzitutto perche' voglio votare contro i mafiosi, i
razzisti, i fascisti e i corruttori al potere. Non votare e' fargli un
regalo, e questo regalo io non glielo faccio.
Votero' quindi.
*
Votero' contro Berlusconi e il berlusconismo (quello con Berlusconi e quello
senza Berlusconi).
Votero' contro il colpo di stato piduista in corso.
Votero' contro il razzismo e il tentativo di imporre in Italia il regime
dell'apartheid (e delle deportazioni, e dei campi di concentramento e dello
squadrismo).
Votero' contro la guerra, la guerra in corso in Afghanistan, la guerra cui
l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e della
legalita' costituzionale; contro la guerra, i suoi strumenti e i suoi
apparati; contro la guerra, gli eserciti, le armi.
Votero' contro il maschilismo, per candidate donne impegnate nelle lotte del
movimento delle donne.
Votero' per difendere i diritti umani di ogni essere umano, la civilta'
umana, i dritti degli altri animali non umani, la biosfera.
*
Votero'. Per contrastare anche col voto (non solo, ma anche col voto) il
regime degli sfruttatori e dei devastatori, dei divoratori onnicidi; per
difendere anche col voto la dignita' e i diritti di ogni essere umano; per
affermare anche col voto il diritto e il dovere delle oppresse e degli
oppressi ad opporsi all'ingiustizia e alla menzogna. Con la forza della
verita'. Con la scelta della nonviolenza.

5. UNA SOLA UMANITA'. CINZIA GUBBINI: IL CODICE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2009 col titolo "Scuola.
Maturita' con il codice, immigrati esclusi" e il sommario "Agli esami con la
tessera fiscale"]

La circolare sui codici fiscali per la maturita', piu' l'imminente
approvazione del "pacchetto sicurezza" (prevista per dopo le elezioni),
uguale panico nelle scuole superiori di tutta Italia. Come denunciato
qualche giorno fa dalla Cgil-Flc e dalla deputata del Pd Mariangela Bastico
che ha presentato un'interrogazione in merito, quest'anno le scuole
superiori hanno ricevuto una circolare in cui si chiede di inviare al
ministero il codice fiscale di tutti gli alunni. E' una nuova procedura per
rimettere in ordine l'anagrafe degli studenti, uno strumento per "monitorare
l'intera carriera scolastica" del singolo studente e che al momento e'
praticamente inutilizzabile. Sono troppi gli errori anagrafici dei sette
milioni di iscritti nelle scuole. Nomi che non corrispondono al sesso, date
di nascita sbagliate (risultano anche dei novantenni). Per questo il
ministero ha deciso di avviare una ristrutturazione, a partire proprio dalle
quinte superiori. Non ci sarebbe niente di male, se in questo momento il
dubbio non fosse piu' che legittimo: come si fa se uno studente e' privo di
permesso di soggiorno? Per avere il codice fiscale, infatti, serve il
permesso. Si tratta forse di una subdola manovra per "stanare" gli immigrati
"irregolari" che frequentano le nostre scuole? La decisione di partire dalla
quinta classe delle superiori pare essere fatta apposta: agli esami di stato
i ragazzi arrivano gia' maggiorenni, dunque privi di tutte le protezioni che
(ancora) riguardano i minorenni. Nel caso uno studente avesse compiuto il
suo ciclo scolastico senza mai avere un titolo di soggiorno, in quinta
superiore risulta a tutti gli effetti irregolare. E espellibile. La
richiesta da parte del ministero di un elenco di tutti gli studenti con
annesso codice fiscale che - come specifica la circolare del 20 maggio -
saranno "validati dall'Ufficio delle entrate" ha scatenato la polemica,
sollevata dalla Cgil e dal Pd. Il ministro dell'Istruzione Maristella
Gelmini ha assicurato che non si vuole operare "alcuna discriminazione". Ma
fatto sta che dal ministero non e' uscita finora alcuna circolare o nota che
chiarisca come devono fare i dirigenti scolastici per comunicare le
generalita' degli studenti stranieri di quinta superiore che non detengono
un codice fiscale.
Il problema non e' tanto residuale come si potrebbe pensare, perche' quasi
dieci anni di Bossi-Fini e di assenza di sanatorie hanno comportato un
numero crescente di ragazzi "irregolari" nelle scuole, figli di persone
senza permesso di soggiorno che vivono e lavorano da anni in Italia.
Soprattutto nelle scuole del nord si osserva ormai da qualche anno il
fenomeno di ragazzi che in quarta o quinta superiore passano alla scuola
serale per poter trovare un lavoro e scampare alla clandestinita', in cui
sprofonderebbero una volta maggiorenni. Intanto gli esami di maturita' si
avvicinano, le commissioni di esame sono state nominate e i presidenti si
chiedono: cosa dobbiamo fare se ci troviamo di fronte a un ragazzo
irregolare? "La norma parla chiaro e senza possibilita' di fraintendimenti -
dice Fiorella Farinelli, esperta di problemi scolastici e formativi e fino
all'anno scorso direttore Studi e programmazione del ministero - gli alunni
stranieri, anche se privi di documento, non solo possono iscriversi a
scuola, ma possono accedere agli esami e conseguire il titolo". in effetti
l'articolo 45 del decreto di attuazione del testo unico sull'immigrazione
parla chiaro: l'assenza di documentazione "non pregiudica il conseguimento
dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e
grado". "Cio' non toglie - prevede il segretario della Cgil-Flc, Mimmo
Pantaleo - che gia' quest'anno c'e' stato qualche problema, che e' stato
risolto anche grazie al nostro intervento. Ma l'anno prossimo, con
l'approvazione del pacchetto sicurezza, il problema rischia di esplodere".
Insomma, un chiarimento formale da parte del ministero sarebbe piu' che
necessario. Per evitare che qualche prof. si scopra piu' realista del re.

6. LE ULTIME COSE. LO SPORT PREFERITO

Mentre in Afghanistan la guerra cui partecipa anche l'esercito italiano e'
in corso, mentre sono in corso le stragi, lo sport preferito di chi dal 2006
si e' prostituito alla guerra e' insultare e aggredire con ogni sorta di
grottesche menzogne e strampalate idiozie chi alla guerra continua ad
opporsi.
Non c'e' nulla di strano: chi e' al servizio dei signori della guerra e'
cosi' che agisce; anzi, una cosa bizzarra c'e': che i neofiti propagandisti
della bonta' della guerra mentre adempiono alle loro basse opere pretendono
di dichiararsi pacifisti e finanche amici della nonviolenza. "Senza se e
senza ma", come dicono nel totalitario linguaggio loro.
Come quegli imperialisti d'un tempo lontano di cui scriveva Tacito che dopo
aver fatto un deserto a furia di stragi pretendevano di chiamarlo pace.

7. MEMORIA. TOMMASO DI FRANCESCO INTERVISTA EDOARDA MASI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2009 col titolo "Edoarda Masi:
Fu istanza di liberta'" e il sommario "Una repressione necessaria a Deng. Il
movimento della Tiananmen fu una rivendicazione di liberta' dove confluirono
correnti fra loro diverse, cosi' risponde Edoarda Masi, storica
collaboratrice de 'Il manifesto', che ha dedicato una vita intera alla
comprensione della Cina, alla quale abbiamo rivolto alcune brevi domande nel
ventennale della Tiananmen"]

- Tommaso Di Francesco: Che cosa fu l'esperienza della Tiananmen e perche'
esplose a quasi dieci anni dall'avvento pieno di Deng Xiaoping al potere? Il
sinologo Alessandro Russo parlo' di "agora'" e di "Comune di Pechino". In
sostanza: quali conseguenze ebbe nella societa' cinese e nel Pcc la
repressione sanguinosa di quel sommovimento sociale che durava da mesi in
tutta la Cina e che coinvolgeva ampi settori popolari, studenti ma anche
operai?
- Edoarda Masi: Quello che avvenne nella piazza Tiananmen e', per un verso,
solo l'episodio piu' clamoroso di una rivolta che era in corso in molte
citta' cinesi e durava da diversi giorni in tutta Pechino, coinvolgendo non
solo giovani e studenti (c'e' in proposito uno splendido documentario
cinematografico, dove fra l'altro si vedono le donne che in massa fermano i
soldati sui camion gettando fra le loro braccia i propri bambini).
L'attenzione mondiale fu focalizzata sulla piazza Tiananmen grazie
all'attenzione dei media concentrata su quel luogo, vicino al governo di
tutta la Cina. Una generale protesta di popolo assunse infatti li', per
altro verso, anche il carattere (che ripeteva una tradizione)
dell'assunzione di responsabilita' di fronte all'"imperatore" da parte di un
settore della classe dirigente, in questo caso giovanile "figli di quadri",
mi disse un cinese colto che chiaramente non esprimeva un parere personale.
In realta' a Tiananmen non c'erano solo figli di quadri che intendevano
aprire un dialogo con gli uomini al potere o con una parte di loro. Non
collegherei neppure alla rivoluzione culturale degli anni 1966-1969 questa
rivolta, che e' stata essenzialmente una rivendicazione di liberta'. Il
concetto di liberta' e' ampio e anche piuttosto indefinito: cosi' poterono
confluire nel movimento correnti diverse. Fu possibile la convivenza della
statua della liberta' col canto dell'Internazionale. Chiunque abbia
partecipato negli anni Quaranta alla nostra Resistenza conosce queste cose.
Quanto agli anni trascorsi dalla svolta radicale impressa da Deng Xiaoping,
va ricordato che l'attuazione della svolta stessa richiese tempi lunghi. La
repressione violenta di quei giorni, secondo l'autorevole parere di Wang
Hui, non fu un incidente ma fu cercata e voluta da quei settori della classe
dirigente che intendevano ormai procedere spediti sulla via delle cosiddette
riforme.
*
- Tommaso Di Francesco: Molti attribuirono alla venuta di Michail Gorbaciov
a Pechino la scintilla degli avvenimenti del giugno 1989. L'esterofilia
degli studenti che issarono la statua della liberta' di cartone e' nota. Ma
quali furono invece le caratteristiche tutte cinesi dei fatti della
Tiananmen. In una parola: non ritieni che, vista la profondita' di quella
crisi, invece che di un solo '89 mondiale, valga ormai la pena parlare di
tanti '89: quello politico e sociale dei paesi dell'est, quello sociale ma
politicamente nazionalista dei Balcani, quello sociale e politico della
Cina?
- Edoarda Masi: Credo, come quasi tutti in Cina, che la visita di Gorbaciov
sia stata utilizzata strumentalmente per dare piu' risonanza mediatica alla
protesta. Certamente non si puo' piu' mettere assolutamente in un unico
calderone quanto accadde nel 1989 nei diversi paesi, tantomeno quello che
accadde in Cina. Anche se la data 1989 e l'espressione "crollo del muro"
valgono a indicare simbolicamente la fine, nel mondo, del cosiddetto
"socialismo reale".
*
- Tommaso Di Francesco: Perche' in Cina tutti prendono le distanze dai fatti
della Tiananmen dell'89, non solo il Pcc, ma tutti, dagli intellettuali che
convivono con il partito a quelli che dissentono, fino ai settori popolari?
C'e' il timore di un riverbero nel presente o sono altri i termini del
confronto in atto ora (le profonde diseguaglianze sociali, la corruzione
legata alla crisi del dirigismo di partito e d'impresa, il peso della crisi
internazionale ecc.)? Da questo punto di vista, qual e' l'insegnamento
attuale che arriva dagli avvenimenti della Tiananmen?
- Edoarda Masi: Una risposta completa a queste domande richiederebbe
un'analisi della societa' cinese presente che non sono in grado di
improvvisare. Credo che i cinesi di qualsiasi orientamento, a qualsiasi
classe appartengano, per parlare del presente non sentano il bisogno di far
riferimento a fatti di vent'anni fa. Nella marea di contraddizioni, a volte
tragiche, della loro societa', reagiscono e si muovono tuttavia da uomini
vivi - quali noi qui sembriamo oggi incapaci di essere. Personalmente, per
motivi di salute non sono in grado di recarmi in Cina, ma anche solo la
letteratura che quel paese sa produrre e' sufficiente a farci comprendere la
ricchezza del patrimonio accumulato dagli anni rivoluzionari e, ad un tempo,
che quella ricchezza non si manifesta nel ripetere vecchie formule ma nel
restare aperti a imprevedibili sviluppi futuri. In imprevedibili direzioni.

8. MEMORIA. SIMONE PIERANNI INTERVISTA ZHANG XIANLING
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2009 col titolo "Se il Partito
blinda la memoria" e il sommario "Il ricordo di quel 4 giugno sembra
cancellato, grazie all'opera di repressione portata avanti in questi anni.
Oggi, con il ventennale, la paranoia ha raggiunto livelli altissimi: blocco
di internet, controlli per le strade. E i giornalisti si autocensurano"]

"Dopo vent'anni posso capire perche' la gente non ne parla. I giovani di
oggi non sanno cosa e' successo realmente. D'altra parte anche io ho
ricevuto un'educazione comunista e ho sempre pensato che il Partito avesse
ragione. Da quella notte, ho cominciato a dubitare". Zhang Xianling e' una
delle madri di Tiananmen. L'ultima volta che ha visto suo figlio vivo e'
stato vent'anni fa. Lo aveva incontrato per rassicurarlo, proprio in quei
giorni di protesta: "Tranquillo - aveva detto al figlio poco prima che
tornasse in piazza -, l'esercito non sparera' mai sul suo popolo". Invece
suo figlio, 19 anni, fu una delle tante vittime della risposta del governo
cinese alle contestazioni studentesche.
L'esercito popolare e un intreccio di lotte interne al partito provocarono
un trauma nazionale e internazionale, spingendo le vittime di quelle
giornate verso un blindato dimenticatoio storico cinese. Per vent'anni
all'avvicinarsi della fatidica data del 4 giugno, e piu' in generale in
prossimita' dell'inizio delle contestazioni nella piazza simbolo di Pechino,
il governo cinese ha sempre provato a chiudere ogni spazio che potesse far
riaffiorare quegli eventi. Nel ventennale poi, la paranoia e l'ansia di
controllo hanno raggiunto punte altissime: internet lento e censurato
(Youtube e' piu' di un mese che non funziona), abbattimento anche di gran
parte dei proxy disponibili, il sistema che consente di ovviare alla censura
cinese, controllo rigoroso di quanto accade per le strade. Sul "Ming Pao",
un giornale di Hong Kong, si denuncia l'impossibilita' di utilizzare negli
articoli la data del 4 giugno. Spuntano notizie circa censure di speciali
sull'evento e si conta il numero dei giornalisti che hanno preferito andare
in vacanza durante questi giorni: "Anche nel caso in cui avessero dei
reportage importanti, molti giornalisti hanno deciso di aspettare che passi
il 4 giugno". Non devono accadere neanche le gaffe dell'anno scorso: una
foto di un ferito o un necrologio apparsi su alcuni giornali cinesi. Si
disse che chi gestiva quelle pagine fosse troppo giovane per sapere cosa
fosse realmente successo in Tiananmen vent'anni fa.
*
Una memoria cancellata e tenuta in piedi solo da chi non ha niente da
perdere, perche' ha perso tutto. "Sono stanca ma non ho paura, perche'
dovrei averne? Sto lottando per mio figlio e le altre vittime e so di avere
ragione. Non mi preoccupa morire, ma voglio che sia chiaro quello che sto
facendo: cerco la giustizia e unitamente a questo ho anche una
responsabilita' come madre". Sono le parole di Zhang Xianling, donna
energica e coraggiosa, stancata dai tanti giornalisti stranieri cui ha avuto
modo di raccontare la sua storia. Per aprire, almeno, un dialogo, ancora
prima di ritrovare la verita': "Il nostro governo sta dialogando con tutti,
con il Giappone, con i nazionalisti di Taiwan: perche' non puo' dialogare
anche con noi?". E la domanda e' semplice: vuole sapere perche' suo figlio,
e tanti altri, morirono in quel modo in quel tragico giugno.
Sulle eventualita' che eventi del genere possano succedere ancora Zhang
Xianling ha le idee piuttosto chiare, anche perche' in vent'anni e' cambiato
tutto: "Il governo dice che se non avesse represso il movimento studentesco,
oggi non ci sarebbe questa crescita economica. Sbagliano. Se non avessero
abbattuto quel movimento, oggi ci sarebbe meno corruzione. Il sistema
legislativo cinese e' migliorato molto, vero, ma la corruzione dilaga. Non
credo che possa accadere un fatto del genere, di nuovo, nella Cina odierna.
I pensieri degli studenti di oggi sono pratici: cosa sara' della mia vita,
il mio lavoro. La loro insoddisfazione si risolve comprando una casa o
un'auto. Oggi non sorgera' alcun movimento giovanile, perche' le loro
preoccupazioni sono materiali. Pero' ci sono gli operai e i contadini che
invece esistono e hanno capito che devono alzare la testa per proteggere i
propri diritti. Questa a mio modo di vedere e' una riflessione democratica".
*
La democrazia, parola abusata: secondo molti cinesi non identifica neanche
perfettamente quanto accadde nel 1989. E' tutto molto piu' complicato. I
pochi che accettano di scambiare due parole su quella data, identificano la
protesta degli studenti con la volonta' di cambiare il registro delle
riforme, chiedendo piu' trasparenza e meno corruzione, piuttosto che con una
richiesta esplicita di democrazia. E per tutti, anche quelli che criticano
l'intervento di allora dell'esercito, la risposta a venti anni di distanza
e' pratica e cinica: "Se non avessero fermato gli studenti, rischiavamo di
ritrovarci come l'Unione Sovietica, un caos totale", afferma D., qualche
ruolo in alcune fiction televisive e un futuro che spera da star. Luan,
caos, parola rischiosa e situazione sociale rifiutata da governo e cinesi
stessi, specie nel 1989 quando gli echi della rivoluzione culturale erano
ancora presenti negli incubi di molte persone. "Forse Deng aveva ragione -
dice A., tecnico cinese di una societa' giapponese di prodotti high tech -
ma sicuramente mandare l'esercito contro il proprio popolo e' qualcosa che
non fece neanche il peggiore degli imperatori". Storia, tradizione,
modernita' e impossibilita' di farsi un'idea reale, vista la totale mancanza
di informazioni al riguardo. "Quando il governo dira' come sono andate le
cose, se ne potra' parlare tranquillamente. D'altronde venti anni sono
troppo pochi per avere un'idea di quanto successo realmente", afferma Li
Xiaobin, fotografo cui e' stato affidato il compito di raccogliere, in
istantanee, i trent'anni di riforme cinesi. Ci sono le foto del 1976, dei
costumi che cambiano, ma neanche una su quegli eventi del 1989. Eppure lui
era li', ma l'argomento e' off limits.
*
"Democrazia - sussurra Zhang Xianling -, quello che dobbiamo dire e' che in
Cina la storia dice che avevamo un imperatore che gestiva il potere
attraverso la sua famiglia. Oggi abbiamo un Partito che fa lo stesso e
gestisce il potere per il potere. Il termine occidentale corretto e'
feudalesimo: una famiglia centrale che detiene il potere, e il resto, il
popolo. Nella testa dei cinesi questa e' la struttura portante. Nel concetto
di democrazia esiste il dialogo, in Cina invece esistono livellamenti di
potere che rendono impensabile ogni forma di comunicazione".
Tra la commozione e la voglia di lottare c'e' anche spazio per una personale
opinione sulla democrazia: "Liberta' di stampa e un sistema giudiziario
giusto. Finora quello che e' giusto in Cina, lo ha sempre deciso il
Partito".

9. RIFLESSIONE. DONATELLA TROTTA INTERVISTA PREDRAG MATVEJEVIC
[Dal quotidiano "Il mattino" del 28 maggio 2009]

"Il primo pane e' nato sotto la cenere, sulla pietra. E' piu' antico della
scrittura. Colui che ha visto la prima spiga ha avuto un'idea primigenia -
dalla disposizione dei chicchi di grano e dal loro allineamento all'interno
della spiga - della misura, della simmetrica armonia e forse
dell'uguaglianza".
Ha il sapore evocativo e ardente della poesia l'incipit del nuovo libro di
Predrag Matvejevic, Il pane sacro e profano, in uscita in autunno per
Garzanti. "E' un saggio poetico, un'opera letteraria, e non di esegesi
sociologica, che intende fare gaia scienza nell'accezione che le dava
Nietzsche: come il mio Breviario mediterraneo, giunto inaspettatamente alla
sua decima edizione e tradotto in 22 lingue", precisa lo scrittore
jugoslavo, di padre russo e di madre croata, da sempre attento con una cifra
fortemente narrativa, antropologica e geolirica al Mare Nostrum, "continente
liquido" tra asilo ed esilio.
*
- Donatella Trotta: Il pane e' un alimento, ma anche una metafora
potentemente simbolica e universale: Matvejevic, come mai ha deciso di
dedicarvi un libro?
- Predrag Matvejevic: Questo libro viene da 25 anni di preparazione. Nasce
da una necessita' interiore, legata a un mio viaggio in Russia sulle tracce
della mia famiglia. Quando trovai dei cugini di mio padre, mi raccontarono
che mio zio era morto in un gulag gridando "pane! pane!", proprio come
Mandel'stam, o come i prigionieri di Auschwitz raccontati da Primo Levi in
Se questo e' un uomo. E anche mio padre, internato in un campo nazista, mi
raccontava questa carenza, questo bisogno di pane. Cibo ancestrale, la cui
patria e' il Mediterraneo. Venuto dall'Oriente e accolto in Occidente, il
pane ha nel mio libro due diversi approcci: uno poetico-saggistico, storico;
l'altro contestualizzato nella vita sociale, dove davvero mi sembra l'unico
slogan che non ha mai tradito. Per parafrasare il Mahatma Gandhi, e'
naturale che in civilta' affamate Dio abbia preso la forma, il segno, del
pane: non a caso, e' un'immagine sottesa anche a tutta l'iconografia e
iconologia della pittura cristiana sull'Ultima Cena, ma presente anche nel
Corano.
*
- Donatella Trotta: L'Islam, con le sue frange fondamentaliste, e' fonte di
instabilita' e paura per l'equilibrio pacifico dell'area euro-mediterranea.
Come valuta la proposta di Sarkozy di creare una Unione per il Mediterraneo?
- Predrag Matvejevic: Non si puo' rifiutare, ma cade in un momento molto
grave, tra un fallimento e una crisi che ha acquisito dimensioni di
carattere planetario. Da una parte, c'e' lo scacco del "processo di
Barcellona": una stagione euforica seguita, nel '95, agli accordi di Oslo
del '93 sulla pace in Medio Oriente, in cui sembrava che tutti i sogni ci
fossero permessi, tra i quali la creazione della zona di libero scambio
entro il 2010 in tutto il Mediterraneo. Ma le aspettative sono state
disattese da scontri bellici, politici e religiosi, da vecchie e nuove forme
di terrorismo e integralismo, di razzismo e antisemitismo, di negazione del
diritto di Israele alla propria esistenza e di quella dei palestinesi al
rientro nei territori occupati. Chi poteva prevedere la tragedia dell'11
settembre 2001? gli attentati crudeli di Londra e Madrid? E come immaginare
il blocco dei rapporti tra la sponda sud e nord del Mediterraneo e persino
la recrudescenza di tensioni di colonialistica memoria e delle lotte
fratricide in Algeria?
*
- Donatella Trotta: E la crisi?
- Predrag Matvejevic: Della crisi si e' avuta percezione netta nel 2005,
quando alla celebrazione del decennio di Barcellona nessun arabo ha
partecipato; e anche di recente, quando ai primi passi dell'Unione di
Sarkozy le assenze e critiche incrociate sono venute da parte araba e
israeliana.
*
- Donatella Trotta: Quale ruolo ha a suo avviso la politica dell'Unione
Europea, anche di fronte ai problemi legati all'allargamento dei Paesi
membri e alle ondate migratorie?
- Predrag Matvejevic: Serve molta cautela: non ci sono soldi per grandi
progetti, ma si possono perseguire progetti piu' modesti e possibili, non
secondo il principio di integrazione, bensi' di collaborazione; ma l'Europa
continentale (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo) ha emarginato dalla sua
agenda il Mediterraneo, grande spazio senza veri progetti, e persino il
proprio Mezzogiorno. Questo non ha aiutato il processo di Barcellona.
*
- Donatella Trotta: E l'"alleanza delle civilta'" lanciata da Zapatero?
- Predrag Matvejevic: Una reazione viva alla teoria dello scontro di
civilta' avanzata da Huntington e accolta da alcuni falchi della Casa
Bianca. Anche qui, serve un approccio molto critico, in direzione di utopie
produttive e concrete.
*
- Donatella Trotta: Quali?
- Predrag Matvejevic: Ci sono diversi campi dove si potrebbe, senza astratti
discorsi demagogici, realizzare obiettivi nell'interesse di tutti: il
disinquinamento; la lotta alla desertificazione; l'accessibilita' all'acqua
di vaste aree dell'Africa; il controllo della pesca (la Turchia, ad esempio,
non ha accettato di limitare la cattura del tonno rosso); una seria politica
energetica con accordi e contratti equi; una razionalizzazione dei flussi
migratori con maggiore rispetto dei diritti e della dignita' umana: prendere
le impronte digitali ai bimbi zingari, per dirne una, e' insopportabile e
odioso. Quando ero membro del gruppo dei saggi della Commissione europea con
Prodi, contrapposi alla visione vaga e ambigua di una "cultura
intermediterranea alternativa" la mia proposta, piu' vicina a Braudel e
dunque realistica, di condividere una visione differenziata. Questa e' una
via possibile d'uscita.
*
- Donatella Trotta: Cosa ostacola la sua realizzazione?
- Predrag Matvejevic: Un paradosso. Che accomuna tutti i Paesi del
Mediterraneo: la coesistenza di una forte identita' dell'essere e di una
scarsa identita' del fare. Prenda Napoli: ha tutto, una lingua meravigliosa,
passato, fascino, sogno. Ha una forte identita' dell'essere. Ma non riesce a
far nascere e crescere i progetti.
*
- Donatella Trotta: La causa?
- Predrag Matvejevic: E' alla base della stessa globalizzazione della crisi:
le politiche non fanno riferimento alle culture. E' questo il nodo da
sciogliere.

10. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO
[Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il
seguente appello]

Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile
sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di
promozione sociale).
Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente
soldi gia' destinati allo Stato.
Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e'
facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il
numero di codice fiscale dell'associazione.
Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235.
Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille.
Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non
fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola
quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato,
la gratuita', le donazioni.
I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del
Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la
Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la
generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la
promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi
estivi, eccetera).
Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre
quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della
nonviolenza. Grazie.
Il Movimento Nonviolento
*
Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del
commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite
chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento.
Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261
(corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle
Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a
tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno.
*
Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

11. LIBRI. GIAMPIETRO BERTI: POSTFAZIONE A "LA NOTA PERSONA. ERRICO
MALATESTA IN ITALIA (DICEMBRE 1919 - LUGLIO 1920)" DI PAOLO FINZI
[Da "A. rivista anarchica", anno 39, n. 341, febbraio 2009, col titolo
"Errico Malatesta, la nota persona" e il sommario "A distanza di 18 anni
dalla prima edizione, esce sempre per le siciliane Edizioni La Fiaccola la
seconda edizione del libro La nota persona. Errico Malatesta in Italia
(dicembre 1919 - luglio 1920), scritto da Paolo Finzi, della redazione della
nostra rivista. Questa nuova edizione e' ampliata con un aggiornamento
bibliografico di Massimo Ortalli, una postfazione di Giampietro Berti e
nuovi indici specifici. E' inoltre accluso un Dvd di 3 minuti e mezzo
contenente delle riprese (gentilmente concesse dal Centro Studi Libertari -
Archivio Pinelli di Milano) della manifestazione del primo maggio 1920 a
Savona, con il comizio dello stesso Malatesta. Pubblichiamo qui di seguito
lo scritto di Giampietro Berti"]

Il saggio di Finzi descrive con grande rigore e puntigliosa acribia i mesi
cruciali che vanno dall'attesa del ritorno in Italia di Malatesta (fine
1919) alla vigilia dell'occupazione delle fabbriche (fine luglio 1920).
Perche' mesi cruciali? Perche' e' proprio in questo breve arco temporale che
si dissolvono le possibilita' rivoluzionarie presentatesi in Italia nel
primo dopoguerra. Una fine che Malatesta aveva paventato, sottolineando in
ogni momento la necessita' di portare all'estrema conclusione lo scontro
sociale scaturito dalle conseguenze incontrollabili del conflitto bellico.
Nella minuziosa, e a volte ossessiva, ricostruzione finziana emerge con
grande chiarezza la lucida consapevolezza dell'anarchico italiano. Essa e'
manifestata dalla frenetica azione da lui svolta in buona parte della
penisola, cosi' come, per l'appunto, viene delineata dalle pagine di questo
lavoro. In realta', quando Malatesta arriva in Italia la situazione
rivoluzionaria creatasi nel Paese presenta un aspetto ingannevole, perche'
da un lato si mostra in tutta la sua forza, dall'altro il suo slancio e'
sostanzialmente esaurito. Alcune delle occasioni migliori, infatti, si sono
consumate nei mesi precedenti.
Siamo al culmine del biennio rosso, ma, proprio per questo, nel corso del
1920 non vi sara' un crescendo rivoluzionario concertato delle varie forze
di sinistra, quanto una sostanziale impasse tattica e strategica che
coinvolgera' tutto il movimento operaio e socialista e che avra' il suo
logico epilogo nel cul de sac dell'occupazione delle fabbriche. Allora tutti
si illusero di essere alla vigilia della rivoluzione, mentre di fatto si
trattava della conclusione di un ciclo di lotte privo di reali sbocchi
pratici.
Il disegno rivoluzionario di Malatesta si fondava sull'idea di un'alleanza
di tutte le forze sovversive, dal momento che gli anarchici non erano in
grado di dar corso in modo autonomo alla rivoluzione. Di qui la necessita'
di accettare tutte le conseguenze negative dovute all'eterogeneita' delle
varie spinte contraddittorie. Egli affermava che la rivoluzione doveva
essere soprattutto "opera delle masse", per cui non era il caso di guardare
troppo per il sottile. Affermando a piu' riprese che bisogna fare la
rivoluzione "con tutti i mezzi", "profittando di tutte le occasioni che si
possono presentare", egli intendeva contemperare molte istanze tra loro
incompatibili.
In conclusione, il fronte unico da lui auspicato comportava l'accettazione
di alcune modalita' dello svolgimento sovversivo certamente poco in sintonia
con la prospettiva libertaria ed egualitaria. Ma egli, del tutto consapevole
che la situazione creatasi in Italia nel dopoguerra non potesse durare a
lungo, era deciso ad affrontare comunque tutte le contraddizioni possibili,
pur di non lasciar perdere un'occasione che riteneva irripetibile. Da questo
punto di vista la rivoluzione non poteva essere l'espressione politica e
ideologica di nessuna scuola o partito, ma doveva essere popolare, nel
significato piu' ampio e generale possibile. Quindi non opera specifica
della classe operaia, o dei ceti piccolo-borghesi, o delle plebi contadine,
o degli emarginati sociali, ma di tutti questi e di altri ancora, insomma
"delle masse, di quanta piu' massa e' possibile".
La ricostruzione di Finzi si ferma alle soglie dell'occupazione delle
fabbriche, quasi a voler significare che da questo momento il vento della
rivoluzione prendera' un'altra direzione. Infatti questa occupazione, che al
momento sembro' dare inizio alla rivoluzione socialista, era invece
l'espressione piu' evidente dell'impotenza del movimento operaio e, piu' in
generale, di tutto il sovversivismo italiano. Dal suo insuccesso prese il
via un irreversibile arretramento delle forze di sinistra che, senza
soluzione di continuita', sfocera' due anni piu' tardi nella vittoria del
fascismo. L'occupazione delle fabbriche non fu un'occasione mancata di
rivoluzione, ma, al contrario, l'esito ineludibile dell'assenza in Italia di
una prospettiva rivoluzionaria capace di imprimere una svolta decisiva
all'andamento, fino allora oscillante e incerto, del conflitto sociale.
Questa occupazione non riusci' infatti a superare gli ambiti del
rivendicazionismo economico entro cui era nata, e la mitizzazione della sua
valenza rivoluzionaria, ad opera dei contemporanei e dei posteri, oblitero'
in realta' il vero significato della sua ovvia inconcludenza.
Malatesta intui' fin da subito la portata della posta in gioco perche' si
rese conto che se non si fosse passati alla rivolta aperta e generalizzata,
tutto sarebbe stato perduto. La rivoluzione non avvenne per la mancanza di
un partito leninista, neppure perche' mancavano i rivoluzionari di
professione (che comunque erano pochi).
La rivoluzione non vi fu perche' la grande maggioranza della classe operaia
non era rivoluzionaria e non era guidata da rivoluzionari. Trent'anni di
supremazia riformista sul movimento operaio non erano passati invano. Del
resto, nessuno in Italia, tranne gli anarchici, voleva veramente la
rivoluzione, intesa come immediata insurrezione contro il potere costituito.
Non la volevano i socialisti riformisti e i capi sindacali della C.G.D.L. e
della F.I.O.M., concordi nel trasformare l'occasione dell'occupazione delle
fabbriche in un momento di incontro fra la borghesia illuminata e il
riformismo sociale. Non la volevano i massimalisti, del tutto impreparati a
questo evento, e neppure i futuri comunisti, sia quelli facenti capo a
Gramsci, sia quelli facenti capo a Bordiga.
Dalle pagine di questo volume si vede invece con quanta determinazione
Malatesta avesse cercato, nei pochi mesi di possibilita' rivoluzionaria, di
impedire quella sconfitta che la sua lucidita' aveva drammaticamente
intravisto.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 843 del 6 giugno 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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