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Minime. 843
- Subject: Minime. 843
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 6 Jun 2009 00:58:47 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 843 del 6 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Opporsi alla guerra 2. Opporsi al razzismo 3. Peppe Sini: Ogni sforzo 4. Severino Vardacampi: Alcune opinioni strettamente personali sulle elezioni europee 5. Cinzia Gubbini: Il codice 6. Lo sport preferito 7. Tommaso Di Francesco intervista Edoarda Masi 8. Simone Pieranni intervista Zhang Xianling 9. Donatella Trotta intervista Predrag Matvejevic 10. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 11. Giampietro Berti: Postfazione a "La nota persona. Errico Malatesta in Italia (dicembre 1919 - luglio 1920)" di Paolo Finzi 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. OPPORSI ALLA GUERRA La guerra in corso in Afghanistan. Cui l'Italia sta prendendo parte. Nessun proclama di pace e' credibile oggi qui se non e' accompagnato da una lotta concreta contro la guerra in corso. Chi non si oppone alla guerra, delle sue stragi e' complice. 2. EDITORIALE. OPPORSI AL RAZZISMO Il tentativo del governo razzista berlusconiano di imporre nel nostro paese il regime dell'apartheid. Chi non lo contrasta ne e' complice. 3. EDITORIALE. PEPPE SINI: OGNI SFORZO Ogni sforzo occorre esercitare per contrastare il golpe razzista in corso. L'esser riusciti in questi mesi a contrastare le misure razziste del cosiddetto "pacchetto sicurezza" gia' approvate al Senato ai primi di febbraio, a contrastarle con efficacia tale da essere arrivati a giugno ed esse ancora devono tornare a un nuovo voto in Senato, e' prova del fatto che e' possibile resistere alla deriva razzista e totalitaria. Naturalmente la minaccia di quelle misure razziste incombe tuttora, ma e' ragionevole considerare che piu' facilmente esse saranno approvate dal Senato se il blocco politico e sociale razzista uscira' rafforzato da questa tornata elettorale; se invece ne uscisse sconfitto questo probabilmente metterebbe in difficolta' quel disegno di introduzione del regime dell'apartheid in Italia, e rafforzerebbe la lotta antirazzista e per la legalita' costituzionale. * Ogni sforzo occorre esercitare per contrastare il golpe razzista in corso. Tra questi sforzi tutti benedetti c'e' anche quello del voto contro la coalizione governativa alle elezioni europee ed amministrative di oggi e di domani. Ogni voto contro le forze politiche della coalizione della destra eversiva al governo e' un voto contro il golpe razzista in corso. Non trovo argomento piu' forte di questo a favore del voto. * In guisa di postilla, e per dirsela tutta: non so quale importanza attribuisca al proprio voto chi legge queste righe; per me esso non e' che un gesto tra tanti altri di gran lunga piu' nitidi e piu' impegnativi in cui si concretizza il mio lavoro politico, un gesto che compio senza investirlo di significati ultimi. Cosi' trovandomi a votare solo per le europee io voto la lista piu' a sinistra che trovo, e l'unica per quanto io ne sappia che non sia espressione del campo della guerra (la guerra cui si prostituirono tutti i partiti presenti in parlamento nella precedente legislatura), anche se so che non raggiungera' la scandalosa soglia di sbarramento ed anche se so che su alcuni punti programmatici fin sostanziali probabilmente non sono affatto d'accordo con le posizioni di quel minuscolo partito. Ma detto questo apprezzo anche ogni altro voto contro il golpe razzista, e ai candidati decenti - e ve ne sono - di una qualunque delle liste del campo democratico che si impegnino contro il razzismo. 4. RIFLESSIONE. SEVERINO VARDACAMPI: ALCUNE OPINIONI STRETTAMENTE PERSONALI SULLE ELEZIONI EUROPEE Come rimpiango quei tempi della lontana gioventu' quando approssimandosi le scadenze elettorali non solo sapevo chi votare, ma sulle piazze lo argomentavo con ferma convinzione. Da molti anni ormai ogni volta e' un tormento. E' dal secolo scorso che non trovo piu' un partito o una lista che mi sentirei di votare in serena coscienza. Eppure votare voglio, innanzitutto perche' voglio votare contro i mafiosi, i razzisti, i fascisti e i corruttori al potere. Non votare e' fargli un regalo, e questo regalo io non glielo faccio. Votero' quindi. * Votero' contro Berlusconi e il berlusconismo (quello con Berlusconi e quello senza Berlusconi). Votero' contro il colpo di stato piduista in corso. Votero' contro il razzismo e il tentativo di imporre in Italia il regime dell'apartheid (e delle deportazioni, e dei campi di concentramento e dello squadrismo). Votero' contro la guerra, la guerra in corso in Afghanistan, la guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e della legalita' costituzionale; contro la guerra, i suoi strumenti e i suoi apparati; contro la guerra, gli eserciti, le armi. Votero' contro il maschilismo, per candidate donne impegnate nelle lotte del movimento delle donne. Votero' per difendere i diritti umani di ogni essere umano, la civilta' umana, i dritti degli altri animali non umani, la biosfera. * Votero'. Per contrastare anche col voto (non solo, ma anche col voto) il regime degli sfruttatori e dei devastatori, dei divoratori onnicidi; per difendere anche col voto la dignita' e i diritti di ogni essere umano; per affermare anche col voto il diritto e il dovere delle oppresse e degli oppressi ad opporsi all'ingiustizia e alla menzogna. Con la forza della verita'. Con la scelta della nonviolenza. 5. UNA SOLA UMANITA'. CINZIA GUBBINI: IL CODICE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2009 col titolo "Scuola. Maturita' con il codice, immigrati esclusi" e il sommario "Agli esami con la tessera fiscale"] La circolare sui codici fiscali per la maturita', piu' l'imminente approvazione del "pacchetto sicurezza" (prevista per dopo le elezioni), uguale panico nelle scuole superiori di tutta Italia. Come denunciato qualche giorno fa dalla Cgil-Flc e dalla deputata del Pd Mariangela Bastico che ha presentato un'interrogazione in merito, quest'anno le scuole superiori hanno ricevuto una circolare in cui si chiede di inviare al ministero il codice fiscale di tutti gli alunni. E' una nuova procedura per rimettere in ordine l'anagrafe degli studenti, uno strumento per "monitorare l'intera carriera scolastica" del singolo studente e che al momento e' praticamente inutilizzabile. Sono troppi gli errori anagrafici dei sette milioni di iscritti nelle scuole. Nomi che non corrispondono al sesso, date di nascita sbagliate (risultano anche dei novantenni). Per questo il ministero ha deciso di avviare una ristrutturazione, a partire proprio dalle quinte superiori. Non ci sarebbe niente di male, se in questo momento il dubbio non fosse piu' che legittimo: come si fa se uno studente e' privo di permesso di soggiorno? Per avere il codice fiscale, infatti, serve il permesso. Si tratta forse di una subdola manovra per "stanare" gli immigrati "irregolari" che frequentano le nostre scuole? La decisione di partire dalla quinta classe delle superiori pare essere fatta apposta: agli esami di stato i ragazzi arrivano gia' maggiorenni, dunque privi di tutte le protezioni che (ancora) riguardano i minorenni. Nel caso uno studente avesse compiuto il suo ciclo scolastico senza mai avere un titolo di soggiorno, in quinta superiore risulta a tutti gli effetti irregolare. E espellibile. La richiesta da parte del ministero di un elenco di tutti gli studenti con annesso codice fiscale che - come specifica la circolare del 20 maggio - saranno "validati dall'Ufficio delle entrate" ha scatenato la polemica, sollevata dalla Cgil e dal Pd. Il ministro dell'Istruzione Maristella Gelmini ha assicurato che non si vuole operare "alcuna discriminazione". Ma fatto sta che dal ministero non e' uscita finora alcuna circolare o nota che chiarisca come devono fare i dirigenti scolastici per comunicare le generalita' degli studenti stranieri di quinta superiore che non detengono un codice fiscale. Il problema non e' tanto residuale come si potrebbe pensare, perche' quasi dieci anni di Bossi-Fini e di assenza di sanatorie hanno comportato un numero crescente di ragazzi "irregolari" nelle scuole, figli di persone senza permesso di soggiorno che vivono e lavorano da anni in Italia. Soprattutto nelle scuole del nord si osserva ormai da qualche anno il fenomeno di ragazzi che in quarta o quinta superiore passano alla scuola serale per poter trovare un lavoro e scampare alla clandestinita', in cui sprofonderebbero una volta maggiorenni. Intanto gli esami di maturita' si avvicinano, le commissioni di esame sono state nominate e i presidenti si chiedono: cosa dobbiamo fare se ci troviamo di fronte a un ragazzo irregolare? "La norma parla chiaro e senza possibilita' di fraintendimenti - dice Fiorella Farinelli, esperta di problemi scolastici e formativi e fino all'anno scorso direttore Studi e programmazione del ministero - gli alunni stranieri, anche se privi di documento, non solo possono iscriversi a scuola, ma possono accedere agli esami e conseguire il titolo". in effetti l'articolo 45 del decreto di attuazione del testo unico sull'immigrazione parla chiaro: l'assenza di documentazione "non pregiudica il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio delle scuole di ogni ordine e grado". "Cio' non toglie - prevede il segretario della Cgil-Flc, Mimmo Pantaleo - che gia' quest'anno c'e' stato qualche problema, che e' stato risolto anche grazie al nostro intervento. Ma l'anno prossimo, con l'approvazione del pacchetto sicurezza, il problema rischia di esplodere". Insomma, un chiarimento formale da parte del ministero sarebbe piu' che necessario. Per evitare che qualche prof. si scopra piu' realista del re. 6. LE ULTIME COSE. LO SPORT PREFERITO Mentre in Afghanistan la guerra cui partecipa anche l'esercito italiano e' in corso, mentre sono in corso le stragi, lo sport preferito di chi dal 2006 si e' prostituito alla guerra e' insultare e aggredire con ogni sorta di grottesche menzogne e strampalate idiozie chi alla guerra continua ad opporsi. Non c'e' nulla di strano: chi e' al servizio dei signori della guerra e' cosi' che agisce; anzi, una cosa bizzarra c'e': che i neofiti propagandisti della bonta' della guerra mentre adempiono alle loro basse opere pretendono di dichiararsi pacifisti e finanche amici della nonviolenza. "Senza se e senza ma", come dicono nel totalitario linguaggio loro. Come quegli imperialisti d'un tempo lontano di cui scriveva Tacito che dopo aver fatto un deserto a furia di stragi pretendevano di chiamarlo pace. 7. MEMORIA. TOMMASO DI FRANCESCO INTERVISTA EDOARDA MASI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2009 col titolo "Edoarda Masi: Fu istanza di liberta'" e il sommario "Una repressione necessaria a Deng. Il movimento della Tiananmen fu una rivendicazione di liberta' dove confluirono correnti fra loro diverse, cosi' risponde Edoarda Masi, storica collaboratrice de 'Il manifesto', che ha dedicato una vita intera alla comprensione della Cina, alla quale abbiamo rivolto alcune brevi domande nel ventennale della Tiananmen"] - Tommaso Di Francesco: Che cosa fu l'esperienza della Tiananmen e perche' esplose a quasi dieci anni dall'avvento pieno di Deng Xiaoping al potere? Il sinologo Alessandro Russo parlo' di "agora'" e di "Comune di Pechino". In sostanza: quali conseguenze ebbe nella societa' cinese e nel Pcc la repressione sanguinosa di quel sommovimento sociale che durava da mesi in tutta la Cina e che coinvolgeva ampi settori popolari, studenti ma anche operai? - Edoarda Masi: Quello che avvenne nella piazza Tiananmen e', per un verso, solo l'episodio piu' clamoroso di una rivolta che era in corso in molte citta' cinesi e durava da diversi giorni in tutta Pechino, coinvolgendo non solo giovani e studenti (c'e' in proposito uno splendido documentario cinematografico, dove fra l'altro si vedono le donne che in massa fermano i soldati sui camion gettando fra le loro braccia i propri bambini). L'attenzione mondiale fu focalizzata sulla piazza Tiananmen grazie all'attenzione dei media concentrata su quel luogo, vicino al governo di tutta la Cina. Una generale protesta di popolo assunse infatti li', per altro verso, anche il carattere (che ripeteva una tradizione) dell'assunzione di responsabilita' di fronte all'"imperatore" da parte di un settore della classe dirigente, in questo caso giovanile "figli di quadri", mi disse un cinese colto che chiaramente non esprimeva un parere personale. In realta' a Tiananmen non c'erano solo figli di quadri che intendevano aprire un dialogo con gli uomini al potere o con una parte di loro. Non collegherei neppure alla rivoluzione culturale degli anni 1966-1969 questa rivolta, che e' stata essenzialmente una rivendicazione di liberta'. Il concetto di liberta' e' ampio e anche piuttosto indefinito: cosi' poterono confluire nel movimento correnti diverse. Fu possibile la convivenza della statua della liberta' col canto dell'Internazionale. Chiunque abbia partecipato negli anni Quaranta alla nostra Resistenza conosce queste cose. Quanto agli anni trascorsi dalla svolta radicale impressa da Deng Xiaoping, va ricordato che l'attuazione della svolta stessa richiese tempi lunghi. La repressione violenta di quei giorni, secondo l'autorevole parere di Wang Hui, non fu un incidente ma fu cercata e voluta da quei settori della classe dirigente che intendevano ormai procedere spediti sulla via delle cosiddette riforme. * - Tommaso Di Francesco: Molti attribuirono alla venuta di Michail Gorbaciov a Pechino la scintilla degli avvenimenti del giugno 1989. L'esterofilia degli studenti che issarono la statua della liberta' di cartone e' nota. Ma quali furono invece le caratteristiche tutte cinesi dei fatti della Tiananmen. In una parola: non ritieni che, vista la profondita' di quella crisi, invece che di un solo '89 mondiale, valga ormai la pena parlare di tanti '89: quello politico e sociale dei paesi dell'est, quello sociale ma politicamente nazionalista dei Balcani, quello sociale e politico della Cina? - Edoarda Masi: Credo, come quasi tutti in Cina, che la visita di Gorbaciov sia stata utilizzata strumentalmente per dare piu' risonanza mediatica alla protesta. Certamente non si puo' piu' mettere assolutamente in un unico calderone quanto accadde nel 1989 nei diversi paesi, tantomeno quello che accadde in Cina. Anche se la data 1989 e l'espressione "crollo del muro" valgono a indicare simbolicamente la fine, nel mondo, del cosiddetto "socialismo reale". * - Tommaso Di Francesco: Perche' in Cina tutti prendono le distanze dai fatti della Tiananmen dell'89, non solo il Pcc, ma tutti, dagli intellettuali che convivono con il partito a quelli che dissentono, fino ai settori popolari? C'e' il timore di un riverbero nel presente o sono altri i termini del confronto in atto ora (le profonde diseguaglianze sociali, la corruzione legata alla crisi del dirigismo di partito e d'impresa, il peso della crisi internazionale ecc.)? Da questo punto di vista, qual e' l'insegnamento attuale che arriva dagli avvenimenti della Tiananmen? - Edoarda Masi: Una risposta completa a queste domande richiederebbe un'analisi della societa' cinese presente che non sono in grado di improvvisare. Credo che i cinesi di qualsiasi orientamento, a qualsiasi classe appartengano, per parlare del presente non sentano il bisogno di far riferimento a fatti di vent'anni fa. Nella marea di contraddizioni, a volte tragiche, della loro societa', reagiscono e si muovono tuttavia da uomini vivi - quali noi qui sembriamo oggi incapaci di essere. Personalmente, per motivi di salute non sono in grado di recarmi in Cina, ma anche solo la letteratura che quel paese sa produrre e' sufficiente a farci comprendere la ricchezza del patrimonio accumulato dagli anni rivoluzionari e, ad un tempo, che quella ricchezza non si manifesta nel ripetere vecchie formule ma nel restare aperti a imprevedibili sviluppi futuri. In imprevedibili direzioni. 8. MEMORIA. SIMONE PIERANNI INTERVISTA ZHANG XIANLING [Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 giugno 2009 col titolo "Se il Partito blinda la memoria" e il sommario "Il ricordo di quel 4 giugno sembra cancellato, grazie all'opera di repressione portata avanti in questi anni. Oggi, con il ventennale, la paranoia ha raggiunto livelli altissimi: blocco di internet, controlli per le strade. E i giornalisti si autocensurano"] "Dopo vent'anni posso capire perche' la gente non ne parla. I giovani di oggi non sanno cosa e' successo realmente. D'altra parte anche io ho ricevuto un'educazione comunista e ho sempre pensato che il Partito avesse ragione. Da quella notte, ho cominciato a dubitare". Zhang Xianling e' una delle madri di Tiananmen. L'ultima volta che ha visto suo figlio vivo e' stato vent'anni fa. Lo aveva incontrato per rassicurarlo, proprio in quei giorni di protesta: "Tranquillo - aveva detto al figlio poco prima che tornasse in piazza -, l'esercito non sparera' mai sul suo popolo". Invece suo figlio, 19 anni, fu una delle tante vittime della risposta del governo cinese alle contestazioni studentesche. L'esercito popolare e un intreccio di lotte interne al partito provocarono un trauma nazionale e internazionale, spingendo le vittime di quelle giornate verso un blindato dimenticatoio storico cinese. Per vent'anni all'avvicinarsi della fatidica data del 4 giugno, e piu' in generale in prossimita' dell'inizio delle contestazioni nella piazza simbolo di Pechino, il governo cinese ha sempre provato a chiudere ogni spazio che potesse far riaffiorare quegli eventi. Nel ventennale poi, la paranoia e l'ansia di controllo hanno raggiunto punte altissime: internet lento e censurato (Youtube e' piu' di un mese che non funziona), abbattimento anche di gran parte dei proxy disponibili, il sistema che consente di ovviare alla censura cinese, controllo rigoroso di quanto accade per le strade. Sul "Ming Pao", un giornale di Hong Kong, si denuncia l'impossibilita' di utilizzare negli articoli la data del 4 giugno. Spuntano notizie circa censure di speciali sull'evento e si conta il numero dei giornalisti che hanno preferito andare in vacanza durante questi giorni: "Anche nel caso in cui avessero dei reportage importanti, molti giornalisti hanno deciso di aspettare che passi il 4 giugno". Non devono accadere neanche le gaffe dell'anno scorso: una foto di un ferito o un necrologio apparsi su alcuni giornali cinesi. Si disse che chi gestiva quelle pagine fosse troppo giovane per sapere cosa fosse realmente successo in Tiananmen vent'anni fa. * Una memoria cancellata e tenuta in piedi solo da chi non ha niente da perdere, perche' ha perso tutto. "Sono stanca ma non ho paura, perche' dovrei averne? Sto lottando per mio figlio e le altre vittime e so di avere ragione. Non mi preoccupa morire, ma voglio che sia chiaro quello che sto facendo: cerco la giustizia e unitamente a questo ho anche una responsabilita' come madre". Sono le parole di Zhang Xianling, donna energica e coraggiosa, stancata dai tanti giornalisti stranieri cui ha avuto modo di raccontare la sua storia. Per aprire, almeno, un dialogo, ancora prima di ritrovare la verita': "Il nostro governo sta dialogando con tutti, con il Giappone, con i nazionalisti di Taiwan: perche' non puo' dialogare anche con noi?". E la domanda e' semplice: vuole sapere perche' suo figlio, e tanti altri, morirono in quel modo in quel tragico giugno. Sulle eventualita' che eventi del genere possano succedere ancora Zhang Xianling ha le idee piuttosto chiare, anche perche' in vent'anni e' cambiato tutto: "Il governo dice che se non avesse represso il movimento studentesco, oggi non ci sarebbe questa crescita economica. Sbagliano. Se non avessero abbattuto quel movimento, oggi ci sarebbe meno corruzione. Il sistema legislativo cinese e' migliorato molto, vero, ma la corruzione dilaga. Non credo che possa accadere un fatto del genere, di nuovo, nella Cina odierna. I pensieri degli studenti di oggi sono pratici: cosa sara' della mia vita, il mio lavoro. La loro insoddisfazione si risolve comprando una casa o un'auto. Oggi non sorgera' alcun movimento giovanile, perche' le loro preoccupazioni sono materiali. Pero' ci sono gli operai e i contadini che invece esistono e hanno capito che devono alzare la testa per proteggere i propri diritti. Questa a mio modo di vedere e' una riflessione democratica". * La democrazia, parola abusata: secondo molti cinesi non identifica neanche perfettamente quanto accadde nel 1989. E' tutto molto piu' complicato. I pochi che accettano di scambiare due parole su quella data, identificano la protesta degli studenti con la volonta' di cambiare il registro delle riforme, chiedendo piu' trasparenza e meno corruzione, piuttosto che con una richiesta esplicita di democrazia. E per tutti, anche quelli che criticano l'intervento di allora dell'esercito, la risposta a venti anni di distanza e' pratica e cinica: "Se non avessero fermato gli studenti, rischiavamo di ritrovarci come l'Unione Sovietica, un caos totale", afferma D., qualche ruolo in alcune fiction televisive e un futuro che spera da star. Luan, caos, parola rischiosa e situazione sociale rifiutata da governo e cinesi stessi, specie nel 1989 quando gli echi della rivoluzione culturale erano ancora presenti negli incubi di molte persone. "Forse Deng aveva ragione - dice A., tecnico cinese di una societa' giapponese di prodotti high tech - ma sicuramente mandare l'esercito contro il proprio popolo e' qualcosa che non fece neanche il peggiore degli imperatori". Storia, tradizione, modernita' e impossibilita' di farsi un'idea reale, vista la totale mancanza di informazioni al riguardo. "Quando il governo dira' come sono andate le cose, se ne potra' parlare tranquillamente. D'altronde venti anni sono troppo pochi per avere un'idea di quanto successo realmente", afferma Li Xiaobin, fotografo cui e' stato affidato il compito di raccogliere, in istantanee, i trent'anni di riforme cinesi. Ci sono le foto del 1976, dei costumi che cambiano, ma neanche una su quegli eventi del 1989. Eppure lui era li', ma l'argomento e' off limits. * "Democrazia - sussurra Zhang Xianling -, quello che dobbiamo dire e' che in Cina la storia dice che avevamo un imperatore che gestiva il potere attraverso la sua famiglia. Oggi abbiamo un Partito che fa lo stesso e gestisce il potere per il potere. Il termine occidentale corretto e' feudalesimo: una famiglia centrale che detiene il potere, e il resto, il popolo. Nella testa dei cinesi questa e' la struttura portante. Nel concetto di democrazia esiste il dialogo, in Cina invece esistono livellamenti di potere che rendono impensabile ogni forma di comunicazione". Tra la commozione e la voglia di lottare c'e' anche spazio per una personale opinione sulla democrazia: "Liberta' di stampa e un sistema giudiziario giusto. Finora quello che e' giusto in Cina, lo ha sempre deciso il Partito". 9. RIFLESSIONE. DONATELLA TROTTA INTERVISTA PREDRAG MATVEJEVIC [Dal quotidiano "Il mattino" del 28 maggio 2009] "Il primo pane e' nato sotto la cenere, sulla pietra. E' piu' antico della scrittura. Colui che ha visto la prima spiga ha avuto un'idea primigenia - dalla disposizione dei chicchi di grano e dal loro allineamento all'interno della spiga - della misura, della simmetrica armonia e forse dell'uguaglianza". Ha il sapore evocativo e ardente della poesia l'incipit del nuovo libro di Predrag Matvejevic, Il pane sacro e profano, in uscita in autunno per Garzanti. "E' un saggio poetico, un'opera letteraria, e non di esegesi sociologica, che intende fare gaia scienza nell'accezione che le dava Nietzsche: come il mio Breviario mediterraneo, giunto inaspettatamente alla sua decima edizione e tradotto in 22 lingue", precisa lo scrittore jugoslavo, di padre russo e di madre croata, da sempre attento con una cifra fortemente narrativa, antropologica e geolirica al Mare Nostrum, "continente liquido" tra asilo ed esilio. * - Donatella Trotta: Il pane e' un alimento, ma anche una metafora potentemente simbolica e universale: Matvejevic, come mai ha deciso di dedicarvi un libro? - Predrag Matvejevic: Questo libro viene da 25 anni di preparazione. Nasce da una necessita' interiore, legata a un mio viaggio in Russia sulle tracce della mia famiglia. Quando trovai dei cugini di mio padre, mi raccontarono che mio zio era morto in un gulag gridando "pane! pane!", proprio come Mandel'stam, o come i prigionieri di Auschwitz raccontati da Primo Levi in Se questo e' un uomo. E anche mio padre, internato in un campo nazista, mi raccontava questa carenza, questo bisogno di pane. Cibo ancestrale, la cui patria e' il Mediterraneo. Venuto dall'Oriente e accolto in Occidente, il pane ha nel mio libro due diversi approcci: uno poetico-saggistico, storico; l'altro contestualizzato nella vita sociale, dove davvero mi sembra l'unico slogan che non ha mai tradito. Per parafrasare il Mahatma Gandhi, e' naturale che in civilta' affamate Dio abbia preso la forma, il segno, del pane: non a caso, e' un'immagine sottesa anche a tutta l'iconografia e iconologia della pittura cristiana sull'Ultima Cena, ma presente anche nel Corano. * - Donatella Trotta: L'Islam, con le sue frange fondamentaliste, e' fonte di instabilita' e paura per l'equilibrio pacifico dell'area euro-mediterranea. Come valuta la proposta di Sarkozy di creare una Unione per il Mediterraneo? - Predrag Matvejevic: Non si puo' rifiutare, ma cade in un momento molto grave, tra un fallimento e una crisi che ha acquisito dimensioni di carattere planetario. Da una parte, c'e' lo scacco del "processo di Barcellona": una stagione euforica seguita, nel '95, agli accordi di Oslo del '93 sulla pace in Medio Oriente, in cui sembrava che tutti i sogni ci fossero permessi, tra i quali la creazione della zona di libero scambio entro il 2010 in tutto il Mediterraneo. Ma le aspettative sono state disattese da scontri bellici, politici e religiosi, da vecchie e nuove forme di terrorismo e integralismo, di razzismo e antisemitismo, di negazione del diritto di Israele alla propria esistenza e di quella dei palestinesi al rientro nei territori occupati. Chi poteva prevedere la tragedia dell'11 settembre 2001? gli attentati crudeli di Londra e Madrid? E come immaginare il blocco dei rapporti tra la sponda sud e nord del Mediterraneo e persino la recrudescenza di tensioni di colonialistica memoria e delle lotte fratricide in Algeria? * - Donatella Trotta: E la crisi? - Predrag Matvejevic: Della crisi si e' avuta percezione netta nel 2005, quando alla celebrazione del decennio di Barcellona nessun arabo ha partecipato; e anche di recente, quando ai primi passi dell'Unione di Sarkozy le assenze e critiche incrociate sono venute da parte araba e israeliana. * - Donatella Trotta: Quale ruolo ha a suo avviso la politica dell'Unione Europea, anche di fronte ai problemi legati all'allargamento dei Paesi membri e alle ondate migratorie? - Predrag Matvejevic: Serve molta cautela: non ci sono soldi per grandi progetti, ma si possono perseguire progetti piu' modesti e possibili, non secondo il principio di integrazione, bensi' di collaborazione; ma l'Europa continentale (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo) ha emarginato dalla sua agenda il Mediterraneo, grande spazio senza veri progetti, e persino il proprio Mezzogiorno. Questo non ha aiutato il processo di Barcellona. * - Donatella Trotta: E l'"alleanza delle civilta'" lanciata da Zapatero? - Predrag Matvejevic: Una reazione viva alla teoria dello scontro di civilta' avanzata da Huntington e accolta da alcuni falchi della Casa Bianca. Anche qui, serve un approccio molto critico, in direzione di utopie produttive e concrete. * - Donatella Trotta: Quali? - Predrag Matvejevic: Ci sono diversi campi dove si potrebbe, senza astratti discorsi demagogici, realizzare obiettivi nell'interesse di tutti: il disinquinamento; la lotta alla desertificazione; l'accessibilita' all'acqua di vaste aree dell'Africa; il controllo della pesca (la Turchia, ad esempio, non ha accettato di limitare la cattura del tonno rosso); una seria politica energetica con accordi e contratti equi; una razionalizzazione dei flussi migratori con maggiore rispetto dei diritti e della dignita' umana: prendere le impronte digitali ai bimbi zingari, per dirne una, e' insopportabile e odioso. Quando ero membro del gruppo dei saggi della Commissione europea con Prodi, contrapposi alla visione vaga e ambigua di una "cultura intermediterranea alternativa" la mia proposta, piu' vicina a Braudel e dunque realistica, di condividere una visione differenziata. Questa e' una via possibile d'uscita. * - Donatella Trotta: Cosa ostacola la sua realizzazione? - Predrag Matvejevic: Un paradosso. Che accomuna tutti i Paesi del Mediterraneo: la coesistenza di una forte identita' dell'essere e di una scarsa identita' del fare. Prenda Napoli: ha tutto, una lingua meravigliosa, passato, fascino, sogno. Ha una forte identita' dell'essere. Ma non riesce a far nascere e crescere i progetti. * - Donatella Trotta: La causa? - Predrag Matvejevic: E' alla base della stessa globalizzazione della crisi: le politiche non fanno riferimento alle culture. E' questo il nodo da sciogliere. 10. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 11. LIBRI. GIAMPIETRO BERTI: POSTFAZIONE A "LA NOTA PERSONA. ERRICO MALATESTA IN ITALIA (DICEMBRE 1919 - LUGLIO 1920)" DI PAOLO FINZI [Da "A. rivista anarchica", anno 39, n. 341, febbraio 2009, col titolo "Errico Malatesta, la nota persona" e il sommario "A distanza di 18 anni dalla prima edizione, esce sempre per le siciliane Edizioni La Fiaccola la seconda edizione del libro La nota persona. Errico Malatesta in Italia (dicembre 1919 - luglio 1920), scritto da Paolo Finzi, della redazione della nostra rivista. Questa nuova edizione e' ampliata con un aggiornamento bibliografico di Massimo Ortalli, una postfazione di Giampietro Berti e nuovi indici specifici. E' inoltre accluso un Dvd di 3 minuti e mezzo contenente delle riprese (gentilmente concesse dal Centro Studi Libertari - Archivio Pinelli di Milano) della manifestazione del primo maggio 1920 a Savona, con il comizio dello stesso Malatesta. Pubblichiamo qui di seguito lo scritto di Giampietro Berti"] Il saggio di Finzi descrive con grande rigore e puntigliosa acribia i mesi cruciali che vanno dall'attesa del ritorno in Italia di Malatesta (fine 1919) alla vigilia dell'occupazione delle fabbriche (fine luglio 1920). Perche' mesi cruciali? Perche' e' proprio in questo breve arco temporale che si dissolvono le possibilita' rivoluzionarie presentatesi in Italia nel primo dopoguerra. Una fine che Malatesta aveva paventato, sottolineando in ogni momento la necessita' di portare all'estrema conclusione lo scontro sociale scaturito dalle conseguenze incontrollabili del conflitto bellico. Nella minuziosa, e a volte ossessiva, ricostruzione finziana emerge con grande chiarezza la lucida consapevolezza dell'anarchico italiano. Essa e' manifestata dalla frenetica azione da lui svolta in buona parte della penisola, cosi' come, per l'appunto, viene delineata dalle pagine di questo lavoro. In realta', quando Malatesta arriva in Italia la situazione rivoluzionaria creatasi nel Paese presenta un aspetto ingannevole, perche' da un lato si mostra in tutta la sua forza, dall'altro il suo slancio e' sostanzialmente esaurito. Alcune delle occasioni migliori, infatti, si sono consumate nei mesi precedenti. Siamo al culmine del biennio rosso, ma, proprio per questo, nel corso del 1920 non vi sara' un crescendo rivoluzionario concertato delle varie forze di sinistra, quanto una sostanziale impasse tattica e strategica che coinvolgera' tutto il movimento operaio e socialista e che avra' il suo logico epilogo nel cul de sac dell'occupazione delle fabbriche. Allora tutti si illusero di essere alla vigilia della rivoluzione, mentre di fatto si trattava della conclusione di un ciclo di lotte privo di reali sbocchi pratici. Il disegno rivoluzionario di Malatesta si fondava sull'idea di un'alleanza di tutte le forze sovversive, dal momento che gli anarchici non erano in grado di dar corso in modo autonomo alla rivoluzione. Di qui la necessita' di accettare tutte le conseguenze negative dovute all'eterogeneita' delle varie spinte contraddittorie. Egli affermava che la rivoluzione doveva essere soprattutto "opera delle masse", per cui non era il caso di guardare troppo per il sottile. Affermando a piu' riprese che bisogna fare la rivoluzione "con tutti i mezzi", "profittando di tutte le occasioni che si possono presentare", egli intendeva contemperare molte istanze tra loro incompatibili. In conclusione, il fronte unico da lui auspicato comportava l'accettazione di alcune modalita' dello svolgimento sovversivo certamente poco in sintonia con la prospettiva libertaria ed egualitaria. Ma egli, del tutto consapevole che la situazione creatasi in Italia nel dopoguerra non potesse durare a lungo, era deciso ad affrontare comunque tutte le contraddizioni possibili, pur di non lasciar perdere un'occasione che riteneva irripetibile. Da questo punto di vista la rivoluzione non poteva essere l'espressione politica e ideologica di nessuna scuola o partito, ma doveva essere popolare, nel significato piu' ampio e generale possibile. Quindi non opera specifica della classe operaia, o dei ceti piccolo-borghesi, o delle plebi contadine, o degli emarginati sociali, ma di tutti questi e di altri ancora, insomma "delle masse, di quanta piu' massa e' possibile". La ricostruzione di Finzi si ferma alle soglie dell'occupazione delle fabbriche, quasi a voler significare che da questo momento il vento della rivoluzione prendera' un'altra direzione. Infatti questa occupazione, che al momento sembro' dare inizio alla rivoluzione socialista, era invece l'espressione piu' evidente dell'impotenza del movimento operaio e, piu' in generale, di tutto il sovversivismo italiano. Dal suo insuccesso prese il via un irreversibile arretramento delle forze di sinistra che, senza soluzione di continuita', sfocera' due anni piu' tardi nella vittoria del fascismo. L'occupazione delle fabbriche non fu un'occasione mancata di rivoluzione, ma, al contrario, l'esito ineludibile dell'assenza in Italia di una prospettiva rivoluzionaria capace di imprimere una svolta decisiva all'andamento, fino allora oscillante e incerto, del conflitto sociale. Questa occupazione non riusci' infatti a superare gli ambiti del rivendicazionismo economico entro cui era nata, e la mitizzazione della sua valenza rivoluzionaria, ad opera dei contemporanei e dei posteri, oblitero' in realta' il vero significato della sua ovvia inconcludenza. Malatesta intui' fin da subito la portata della posta in gioco perche' si rese conto che se non si fosse passati alla rivolta aperta e generalizzata, tutto sarebbe stato perduto. La rivoluzione non avvenne per la mancanza di un partito leninista, neppure perche' mancavano i rivoluzionari di professione (che comunque erano pochi). La rivoluzione non vi fu perche' la grande maggioranza della classe operaia non era rivoluzionaria e non era guidata da rivoluzionari. Trent'anni di supremazia riformista sul movimento operaio non erano passati invano. Del resto, nessuno in Italia, tranne gli anarchici, voleva veramente la rivoluzione, intesa come immediata insurrezione contro il potere costituito. Non la volevano i socialisti riformisti e i capi sindacali della C.G.D.L. e della F.I.O.M., concordi nel trasformare l'occasione dell'occupazione delle fabbriche in un momento di incontro fra la borghesia illuminata e il riformismo sociale. Non la volevano i massimalisti, del tutto impreparati a questo evento, e neppure i futuri comunisti, sia quelli facenti capo a Gramsci, sia quelli facenti capo a Bordiga. Dalle pagine di questo volume si vede invece con quanta determinazione Malatesta avesse cercato, nei pochi mesi di possibilita' rivoluzionaria, di impedire quella sconfitta che la sua lucidita' aveva drammaticamente intravisto. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 843 del 6 giugno 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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