[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 830
- Subject: Minime. 830
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 24 May 2009 00:55:26 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 830 del 24 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Una lettera aperta al Presidente della Repubblica 2. Mimmo Battaglia: Accoglienza 3. Marinella Correggia: Clima e giustizia globale 4. Il 5 per mille al Movimento Nonviolento 5. Alcuni estratti da "Un giorno o l'altro" di Franco Fortini (parte seconda e conclusiva) 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. REPETITA IUVANT. UNA LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Lettera aperta al Presidente della Repubblica affinche' non ratifichi le incostituzionali e criminali misure razziste contenute nel cosiddetto "ddl sicurezza" Signor Presidente della Repubblica, qualora dopo la Camera dei Deputati anche il Senato della Repubblica dovesse approvare le misure razziste ed incostituzionali contenute nel cosiddetto "ddl sicurezza", con la presente la preghiamo di non ratificare lo scellerato tentativo di introdurre nel nostro paese il regime dell'apartheid e di legalizzare lo squadrismo. La preghiamo di voler adempiere rigorosamente al suo ruolo istituzionale, ed in tal veste respingere il protervo e barbaro tentativo governativo di violare la legalita' costituzionale per imporre norme razziste, criminali e criminogene. Sia difensore e garante della Costituzione della Repubblica Italiana, e quindi della legalita' democratica, della civilta' giuridica, dei diritti umani. Respinga il razzismo, crimine contro l'umanita'. Distinti saluti, Il "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo Viterbo, 15 maggio 2009 2. UNA SOLA UMANITA'. MIMMO BATTAGLIA: ACCOGLIENZA [Dal sito www.progettouomo.net col titolo "Immigrazione. L'ignota bellezza del diverso..." e il sommario "La riflessione del presidente della Federazione italiana comunita' terapeutiche"] La Federazione italiana comunita' terapeutiche, impegnata da sempre nell'accoglienza, nell'incontro con l'altro, con il diverso, con l'ignota bellezza che si nasconde dietro alla diffidenza verso l'estraneo, non puo', in questi giorni, non interrogarsi sull'atteggiamento che l'Italia sta tenendo nei confronti delle navi cariche di umanita' disperata in partenza dalle coste nordafricane. Io, figlio di emigranti, non posso non chiedermi: siamo stati fermati noi quando nei primi anni del '900 siamo partiti per le Americhe? Sarebbe stato impossibile: nessuna volonta' politica, nessuna legge, nessuna punizione, nessun rigore avrebbe potuto chiudere le porte alla speranza di una vita migliore, alla necessita' di sopravvivere. Ed ora che siamo dall'altra parte del benessere, possiamo chiudere le nostre lunghe coste, 800 km solo in Calabria, a barconi pieni di uomini, di donne, di bambini disperati, spinti dalla miseria, dai bisogni piu' profondi e primari, dalla speranza di sopravvivere? Davvero crediamo di poter fermare con la legge un processo che ha cause cosi' profonde, radicato nell'istinto di sopravvivenza? Quale governo, quale politico si prendera' la responsabilita' di bombardare le navi in arrivo, dal momento che solo un'azione militare e cruenta potrebbe fermare la fame di vita? In cuor mio sono convinto che nessuno arrivera' a tanto... Inoltre, parlando di immigrazione, non sarei fedele alla nostra filosofia di base se tralasciassi di ricordare che dietro a questo concetto, ci sono dei volti, delle storie, delle paure: delle persone e delle speranze. Sono nomi, occhi, cuori, carne, ossa, anime. Sono dolore e speranza. L'oltraggio di un passato incapace di garantire un futuro; la speranza disperata di un presente che possa restituire il futuro rubato. E' importante parlare di persone e non di concetti sociologici, perche' le parole assumono un significato totalmente diverso se pronunciate in luoghi e contesti differenti: diritti, legalita', giustizia, sicurezza, clandestinita'... significano cose diversissime se pronunciate nelle nostre aule istituzionali, nei nostri salotti, nei microfoni delle sale convegni o piuttosto nel silenzio, nel buio e nel gelo di una notte in alto mare, se pronunciati da sazi o con lo stomaco vuoto, da liberi o da perseguitati. Perche' le parole diventano l'arma di difesa di una democrazia in panne, diventano arma per tenere fuori le difficolta' e le differenze, diventano mura. Le parole pronunciate da chi e' sazio, da chi e' forte della propria sazieta' ed opulenza perdono la loro dignita' per divenire offese. Le stesse parole a cui oggi, in questi mesi, nei nostri centri, stiamo cercando di dare un senso diverso, piu' profondo, piu' reale. Piu' umano. Mi chiedo allora: potremo mai accogliere tutti? Anche questa domanda ha diritto di cittadinanza. E la risposta ad una domanda complessa non puo' in alcun modo essere semplice ed immediata. Per impedire gli imbarchi, prima che gli approdi, nelle condizioni disumane che abbiamo conosciuto, su relitti del mare che troppo spesso condannano a morte, la soluzione e' ragionare in termini di cause e non di sintomi, la soluzione e' lavorare per fare rifiorire l'Africa e le zone sottosviluppate di questo mondo. Zone sfruttate ed abbandonate che possono ancora diventare terre pronte ad accogliere nuovi segni di civilta'. Ma questi nuovi segni non si trovano nelle donazioni di riso transgenico, ma con politiche serie di sviluppo ed innanzitutto di incontro e di giustizia, con l'abbattimento del debito estero verso i paesi occidentali. Esiste una risposta civile all'incivilta' della miseria, che e' quella della giustizia sociale, non piu' costruita solo all'interno delle nazioni ma in una scala piu' grande, unica scala possibile in un mondo globalizzato. Lo stesso mondo in cui, paradossalmente, le merci hanno diritto di spostamento mentre gli uomini, merci di scarto, non hanno tale diritto. Un problema che e' del mondo lo si puo' risolvere solo globalmente, collettivamente, schierandosi concretamente non dalla parte delle merci ma degli uomini e delle donne, di donne e uomini dalla pelle scura e il sorriso spento. La Federazione italiana comunita' terapeutiche, che accoglie nelle sue strutture tante di queste persone, che ne conosce i talenti, ancora una volta sceglie la parte degli impoveriti, proponendo soluzioni diverse e complesse, concrete ed impegnative, piuttosto che accontentarsi di quelle facili del "no, non si puo' fare". Soluzioni di riflessione e di scelta, di amore verso la propria terra, considerata un dono da custodire e condividere piuttosto che un possesso. Soluzioni possibili ed urgenti in cui il mondo politico, i cattolici ed i credenti di ogni fede devono necessariamente schierarsi, con la consapevolezza che lo schierarsi sta sempre dalla parte dell'accoglienza, della giustizia, dell'amore. L'umanita' ha bisogno di umanita'. Allora, dobbiamo aggrapparci ai valori universali. A questi dobbiamo affidarci se vogliamo davvero chiederci "se questo e' un uomo"; se vogliamo capire come agire per fare in modo che torni ad essere uomo pienamente e, allo stesso tempo, dimostrare a noi stessi ed al mondo che vogliamo continuare ad essere chiamati uomini anche noi. Ho davanti a me un pagina di Martin Luther King: "Ho un sogno: che un giorno i miei figli non verranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il contenuto del loro carattere. Ho il sogno che un giorno i miei figli siederanno a mensa con tutti gli altri...". Mi fermo qui. Perche' fa male. 3. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: CLIMA E GIUSTIZIA GLOBALE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 maggio 2009 col titolo "New Internationalist"] Il mensile "New Internationalist" (Ni), realizzato da una cooperativa editoriale, ha come sottotitolo "Persone, idee e azioni nell'impegno per la giustizia globale". Un nuovo internazionalismo, radicale e pratico. Il numero quasi monografico intitolato "Climate justice" (giustizia climatica) e' uno strumento di conoscenza e azione utile e chiaro (per acquistarlo: www.newint.org). L'analisi del "Ni" parte dalle tre ingiustizie collegate al caos climatico: il riscaldamento globale ricade e ricadra' in primo luogo sulla testa dei piu' poveri; i piu' colpiti sono e saranno soprattutto quelli che non hanno provocato il fenomeno e che non possono fare granche' per fermarlo; infine, i responsabili (irresponsabili), paesi o imprese che siano, non pagano. Invece, i principi della giustizia climatica sono quattro. Primo. I ricchi (paesi e gruppi sociali) si assumono le proprie responsabilita', ovvero 90% di tagli alle proprie emissioni al piu' presto e comunque entro il 2050, fine di sovrapproduzione e iperconsumo, sostegno finanziario a titolo di restituzione del debito ecologico al Sud del mondo che dovra' affrontare anche enormi costi di adattamento. Secondo. Lasciare il piu' possibile i combustibili fossili sottoterra bloccando alla fonte le emissioni, e cambiando dunque i modelli energetici, produttivi e sociali. Terzo. Eguale accesso alle risorse del pianeta: terra, energia, acqua, foreste. Quarto. Operare la transizione verso una societa' a emissioni zero o quasi che protegga diritti dei popoli, lavoro e benessere di tutti. Molte invece le false soluzioni che il "Ni" smaschera. Oltre alle costose, elitarie e non immediatamente attuabili opere di "geoingegneria", e alla "carbon tax" che ha dato risultati limitati, c'e' l'iniquita' del meccanismo di Kyoto ("Grandfathering of Kyoto Targets"), per il quale le ridottissime riduzioni delle emissioni erano previste a partire dai singoli livelli nazionali del 1990: un modo per assicurare la perpetuazione della disuguaglianza. No anche al solito mercato delle indulgenze: l'"Emission Trading", mercato dei diritti di emissione che il "Ni" propone a tutti gli attivisti di screditare e che purtroppo potrebbe essere la via principale per i ricchi paesi industrializzati di arrivare a rispettare gli eventuali obblighi di riduzione senza dover rivoluzione l'economia e la vita. Il che potrebbe stravolgere il meccanismo "Redd" (Riduzione delle emissioni dalla deforestazione e dal degrado delle foreste) come ha fatto con il "Cdm" (Meccanismo per lo sviluppo pulito). Un sistema equo deve invece essere basato sulle emissioni pro capite (la "Contrazione e Convergenza" del Global Commons Institute), conteggiando le responsabilita' storiche (debito ecologico) e la capacita' di pagare. Il G77 - in realta' 130 un po' confusi paesi in via di sviluppo - e alcune associazioni hanno parlato di Greenhouse Development Rights, meccanismo per il quale la responsabilita' dell'azione climatica sarebbe assegnata ai paesi anche sulla base della percentuale di cittadini miseri o ricchi che essi hanno; cio' assicurerebbe che le ormai estese elite del Sud non siano escluse dagli oneri. I G77 hanno anche chiesto che i paesi ricchi finanzino a mo' di restituzione un "Fondo globale per l'adattamento e la mitigazione". Una nuova proposta e' poi il "Kyoto 2": qualunque compagnia estrattiva di combustibili fossili dovrebbe acquistare permessi di emissione, con un tetto massimo abbassato ogni anno. Il ricavato sarebbe gestito dall'Onu per proteggere le foreste, pagare le misure di adattamento dei paesi poveri e fare la rivoluzione della sostenibilita'. 4. APPELLI. IL 5 PER MILLE AL MOVIMENTO NONVIOLENTO [Dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente appello] Anche con la prossima dichiarazione dei redditi sara' possibile sottoscrivere un versamento al Movimento Nonviolento (associazione di promozione sociale). Non si tratta di versare soldi in piu', ma solo di utilizzare diversamente soldi gia' destinati allo Stato. Destinare il 5 per mille delle proprie tasse al Movimento Nonviolento e' facile: basta apporre la propria firma nell'apposito spazio e scrivere il numero di codice fiscale dell'associazione. Il Codice Fiscale del Movimento Nonviolento da trascrivere e': 93100500235. Sono moltissime le associazioni cui e' possibile destinare il 5 per mille. Per molti di questi soggetti qualche centinaio di euro in piu' o in meno non fara' nessuna differenza, mentre per il Movimento Nonviolento ogni piccola quota sara' determinante perche' ci basiamo esclusivamente sul volontariato, la gratuita', le donazioni. I contributi raccolti verranno utilizzati a sostegno della attivita' del Movimento Nonviolento e in particolare per rendere operativa la "Casa per la Pace" di Ghilarza (Sardegna), un immobile di cui abbiamo accettato la generosa donazione per farlo diventare un centro di iniziative per la promozione della cultura della nonviolenza (seminari, convegni, campi estivi, eccetera). Vi proponiamo di sostenere il Movimento Nonviolento che da oltre quarant'anni, con coerenza, lavora per la crescita e la diffusione della nonviolenza. Grazie. Il Movimento Nonviolento * Post scriptum: se non fate la dichiarazione in proprio, ma vi avvalete del commercialista o di un Caf, consegnate il numero di Condice Fiscale e dite chiaramente che volete destinare il 5 per mille al Movimento Nonviolento. Nel 2007 le opzioni a favore del Movimento Nonviolento sono state 261 (corrispondenti a circa 8.500 euro, non ancora versati dall'Agenzia delle Entrate) con un piccolo incremento rispetto all'anno precedente. Un grazie a tutti quelli che hanno fatto questa scelta, e che la confermeranno. * Per contattare il Movimento Nonviolento: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 5. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "UN GIORNO O L'ALTRO" DI FRANCO FORTINI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Franco Fortini, Un giorno o l'altro, Quodlibet, Macerata 2006] Sul "diritto alle colonne" Quando Trombadori scandalizza Muscetta dichiarando brutalmente che se in un'opera d'arte la "storia" non e' "giusta e vera", l'opera e' mancata, dice una importantissima mezza-verita'. Un'opera d'arte e', insieme, interpretazione, espressione e superamento di tutto il suo passato, della sua preistoria fino al proprio nascere; del "mondo" cioe' in mezzo a cui appare. Questo mondo non e' immobile, procede, ha un senso che diciamo, in senso generalissimo, politico; e, in ogni istante e per ogni atto degli uomini, nella rete della composizione delle forze, nel dedalo delle scelte individuali e collettive, c'e' una e una sola verita' (mi pare lo dica anche Lenin). Ebbene, l'opera d'arte puo' essere - nel suo ordine estetico - piu' o meno partecipante e cooperante a quella verita'; e la sua capacita' di sopravvivenza (posso schizzare una risposta al dilemma di Marx a proposito dell'arte greca?) sara' proporzionale non gia' alla sua capacita' di attingere l'eterno dallo spirito (estetica idealistica e platonica) bensi' proporzionale alla vivacita', sopravvivenza e conservazione per entro la storia umana di quelle successive verita', di quegli scopi che l'umanita' si prefisse e che raggiunse, ma mai una volta per tutte. Cosi' lo Eschilo che Marx rileggeva ogni anno nel testo greco sopravvive nella proporzione in cui sopravvive, per entro i nuovi compiti del nostro presente, quella che probabilmente fu la verita'-chiave del suo mondo greco ateniese: l'educazione, la paideia, dell'individuo, dell'uomo a tutto tondo e l'interiorizzazione della legge politica e morale; non sopravvive la struttura religiosa del Fato, travolta dalla fine dello schiavismo, eccetera. Questo il senso della "ragione" di Trombadori contro Muscetta. Ma a questo punto, con Muscetta, domando: chi giudichera' del "giusto e del vero" di un'opera d'arte? La riprova pratica che e' decisiva per il politico e per lo scienziato che forme potrebbe assumere per l'arte? Il consenso popolare? Una commissione di esperti "politici"? Lasciamo andare. Non dimentichiamo che, poi, e proprio per il suo carattere politico, un'opera d'arte puo' essere una vera e propria critica del presente, ma di lentissima verifica, stante il principio troppo spesso dimenticato per cui la mutazione delle sovrastrutture non e' necessariamente contemporanea di quella delle strutture. E poi, in questa ansia di "contenuti" non ci si avvede (penso a quanto sembra accadere, ad esempio, in certi paesi di nuova democrazia) che si tiene sovente in piedi la "forma" morta, non solo come tecnica ma anche come forma tradizionale, fantoccio dell'artista anarchico-borghese, pittore di "quadri" e poeta di lirici deliri, purche' dipinga e "canti" storie "giuste e vere"; quando invece si tratta di smontare proprio quella forma anarchico-borghese, commettendo, che so, illustrazioni ai primi e antologie scolastiche (invece che "romanzi del realismo socialista", scritti con la sintassi mentale di ottanta anni fa) ai secondi. Chi ha detto che "anche il popolo ha diritto alle colonne"? No, il "popolo" (ossia noi tutti) non ha diritto all'errore. * Da pagina 77 Socialdemocrazia e amministrazione della catastrofe [1950] Non si capisce nulla del nostro paese e di noi se non si tiene continuamente presente la convivenza di forme culturali remote fra loro; e di forme produttive; di "concezioni del mondo". [...] Non si tratta di isole, ma di intere parti del corpo nazionale. Non e' neppur arretratezza (le citta' e cittadine e paesi, non diro' del sud, ma dell'Italia centrale: i loro ospedali, le scuole, gli uffici pubblici); e' un particolare modo di accettare la sovrapposizione di strati diversi; l'incapacita' a trarre delle conseguenze dalla simultaneita' delle pratiche superstiziose con l'evoluzione scientifica, da quella della morale formalistica in materia sessuale con il mondo presentato dal cinema ecc. E' questo uno degli argomenti della nostra esperienza quotidiana che conferma la classica critica alla socialdemocrazia: senza il "salto" la quantita' non mutera' mai la qualita'. La "modernizzazione" dell'Italia arretrata farebbe strato, non altererebbe i rapporti sostanziali fra culture; mentre, se e' necessario bisognera' anche, secondo il motto leninista, vincere l'arretratezza contadina dando in mano a questa classe "l'arma intelligente costruita dall'operaio", cioe' la macchina, non v'e' dubbio che condizione necessaria alla effettiva capacita' dirigente della minoranza operaia e' la qualificazione della propria "situazione" storico-culturale, il non essere meri produttori di tecnica destinata al contadino arretrato ma anche produttori di "ideologia"; di cultura, in una parola. Contro l'illusione socialdemocratica e contro il meccanicismo provvidenziale, burocratico (e catastrofico). Questa nota e' un buon esempio di previsione errata e di come, cinque anni dopo la fine della guerra, fosse difficilissimo immaginare la omologazione (come la chiamera' Pasolini) che vent'anni piu' tardi sarebbe stata evidente per tutti. Ricordo Delfino Insolera, che era ingegnere e molto attento a quanto accadeva negli Stati Uniti, mostrare un pessimismo durissimo sulla possibilita' di preservare alcuni caratteri essenziali dell'Italia del passato sotto i colpi della industrializzazione e del consumismo. Allora e per molti anni considerai quel punto di vista come una sorta di disfattismo, molto frequente fra i materialisti a matrice positivistica, che si coniuga facilmente con un "disperazionismo", forte o "debole", e con l'estetismo. Nei quindici anni immediatamente successivi il ceto contadino sarebbe uscito di scena, la "cultura operaia" si sarebbe rivelata inesistente, si sarebbero rivelate egualmente inadeguate, nel corso degli anni Sessanta, tanto le ipotesi (piu' internazionali che nazionali) di "accerchiamento della citta' da parte delle campagne" quanto quella di una alterazione rivoluzionaria degli equilibri sociali dovuta alla "fabbrica espansa". * Da pagina 83 Sulla Resistenza [1950] Non e' stata data, e chissa' per quanti anni ancora non sara' data, una interpretazione autentica della Resistenza e del 25 aprile 1945. Chissa' per quanti anni continuera' a servire da esercizio di ipocrisia e di patriottismo. Le mani dei compagni e dei parenti accenderanno i lumi sotto i marmi dei paesi, mentre nelle citta' si inaugureranno ancora monumenti. Ma nulla sara' vero finche' vivranno la falsita' e l'ingiustizia che tutti gli uomini della Resistenza, anche quelli che non portavano fazzoletti rossi, volevano uccidere con i fascisti e i tedeschi. Gli avversari stupiscono o s'indignano che i partiti rivoluzionari abbiano, come loro dicono, "monopolizzata" la Resistenza; ma che cosa ne avrebbero fatto, essi? Che interpretazione ne avrebbero dato? Che senso avrebbero potuto proporre alla guerra civile? Perche' guerra civile fu, e non solo guerra nazionale. Guerra di scelte politiche, e percio' anche di classe. Non soltanto di bandiera. Ecco perche' oggi, di quanti episodi furono fra l'otto settembre e il venticinque aprile, quello che si dovrebbe meditare e' forse il piu' sgradevole degli incerti: via Rasella. Qualcuno ha detto, a proposito degli intellettuali che esaltavano il combattimento, ch'essi sono quasi sempre altrove, quando taluno preme un grilletto. Ma qui, a noi che eravamo davvero altrove, ci era permessa la parola. Non c'era nulla da esaltare, infatti, nessun inno da sciogliere. Parole come eroismo, come martirio, non facevano parte del lessico mentale dei nostri compagni di via Rasella. C'era una cosa da compiere, una cosa in se' trista come la bisogna del soldato vero, che ama la casa e la pace sua e degli altri, non la strage; una volta compiuta quella bisogna, e si fosse scampata la vita, restava (come a chiunque non fugga la propria memoria) una eternita' di minuti per interpretare, ciascuno a sua misura, quell'avvenimento, quella esplosione in una via di Roma, ma (vorrei dire) quel qualsiasi episodio della resistenza, quel sabotaggio, quell'imboscata, quell'esecuzione. E la "salvezza" o la "condanna" private di quei nostri compagni sarebbero consistite appunto nelle interpretazioni da essi medesimi via via offerte. Per questo oggi possiamo, senza alzar la voce, ringraziarli, tutti noi che per fortuna o per debolezza non abbiamo sparso sangue, di aver assunto su di se' quelle morti; di non essere stati loro, dei fucilati (tanto facile aver pieta' per i caduti; meno facile far giustizia a chi sopravvive); di non essersi presentati. Ringraziarli per aver allora non soltanto sfidato la rappresaglia tedesca, ma l'opinione dei servi e le corone d'alloro della gente perbene; per aver colpito ed essere riusciti a fuggire; per aver dovuto portare su di se' l'orrore delle Ardeatine; per non aver concesso nulla alla platea, alla volgarita' dei bei gesti. Ringraziarli, a nome di quanti sanno davvero quanto preziosa sia la vita degli altri e soprattutto quella dei propri nemici, di essere oggi ingiuriati ed oltraggiati da coloro per i quali essi hanno assunto la parte pesante, la parte buia. Essi offrono, in giorni cosi' poco lieti, un motivo di serenita', a noi che odiamo solo l'odio, che amiamo la vita e non la morte: ci sara' sempre del tritolo per distruggere gli stranieri e i servi-padroni che abitano fra noi, per rompere l'aria di Roma, quando divenisse irrespirabile. Non lamentiamo percio', in questo 25 aprile, gli esibiti dinieghi di giustizia e le persecuzioni. Sappiamo (ma non abbiamo sempre saputo, noi figli della borghesia: non avevamo prima sperimentato l'indifferenza feroce della classe che mando' i suoi figli, i nostri compagni di allora, alla guerra inutile) come, nel nostro paese, la fazione che al momento prevale o ha l'omerta' della classe dominante non sappia misurar la vittoria e si sfreni. I padroni di oggi, quelli lontani, d'America e San Pietro, e i loro funzionari vicini, le eminenze e gli ambasciatori, i ministri e i magistrati (con le cravatte e le collane, le donne e i figli, le ulcere e le carie, i giornalisti e i portaspada), mettono in serbo quotidianamente un tesoro di collera per il giorno dell'ira. Essi ridono ora e pensano che scamperanno, come altre volte hanno scampato; e, in verita', che importa a noi della loro vita? Li lasciamo avvolti nei loro libri morti, nei loro giornali confortevoli come cucce, nelle loro dalmatiche e toghe che un soffio d'aria puo' dissolvere in cenere, come quelle di certi corpi creduti incorrotti e esposti fuori dalle arche al vento del secolo; li lasciamo alle loro lunghissime e sottilissime paure. Se pensassimo che ha ragione chi vince non varremmo (preparandoci, come facciamo, a vincere) piu' di loro; vince invece chi ha ragione, chi piu' pazientemente ha ragionata fiducia e costanza nella dignita' degli uomini e nella ragionevolezza degli eventi. Per questo la nostra parte vince da cento anni; e fa delle sue temporanee sconfitte gradino al suo avanzamento mentre essi non sanno fare, delle loro temporanee vittorie, altro che bende di cecita'. C'era una fratellanza possibile intorno a quei ventidue mesi di resistenza; c'era la possibilita' di un culto comune, fra via Rasella e le Ardeatine; c'era anche luogo alla pieta' e al perdono. Fra i tedeschi uccisi, vittime di Hitler e i trecento fucilati, vittime della feroce stoltezza italiana. Quella possibile fraternita', quel terreno di rispetto e di pace, essi l'hanno voluta sempre piu' negare, sempre piu' abbandonare; e quel che avanza agli stipendi per i generali, ai miliardi per armare ancora una volta la miseria contro la miseria, ne fanno e faranno derisori monumenti, lacrime di cera e fiori falsi di carta. Sia dunque come essi vogliono, per i decenni avvenire, in aperta lotta. E' una storia che abbiamo da insegnare ai nostri figli, se ce li lasceranno crescere. * Da pagina 373 Dare forma alla esistenza [1967] Dare forma alla esistenza significa assumere quel potere sulla materia vitale che e' pedagogia quindi educazione, direzione, finalita'. Nelle societa' di classe quel potere e' privilegio: lo si possiede nella misura in cui altri ne e' spossessato. Sapere che cosa si fara' domani, volere un adempimento, esercitare le virtu' dianoetiche, progettare, scegliersi il lavoro, la causa, la morte: tutto questo e' nella storia ottenuto mediante la distruzione anzi la dissoluzione delle forme che la classe dominata si tramandava come sua cultura. Le culture subalterne sono colpite di inessenzialita' e divengono derisorie anzitutto ai margini, sulle frange contigue alle forme e ai valori delle classi superiori. L'uomo subalterno e' un colonizzato, vive fra le ombre di forme inutili. Esiste senza limite; sarebbe una semplice intenzione se non si portasse i residui delle forme morenti e se - soprattutto - quei residui, "rigenerati", non gli venissero continuamente proposti dalla classe dirigente. Naturalmente la forma del privilegio e' autentica in quanto e' del privilegio mentre e' inautentica in quanto puo' essere solo per sottrazione di autenticita' ad altri, per reificazione degli altri. La sostanza umana degli altri diventa la materia prima della vita privilegiata. La necessita' non diventa coscienza, i progetti impossibili, la passivita' lasciano come colare una lava di esistenza con cui il privilegiato risparmia la propria. Nella societa' contemporanea, il partecipe del privilegio nuota, alla lettera, nella semenza umana e se ne ricava le forme, i modelli... (La dialettica di forma ed esistenza - o contenuto - ci rammenta che ogni forma e' forma di qualcosa, che a sua volta ha una sua forma). Quando si dice che "la classe rivoluzionaria, in quanto matrice della societa' avvenire, porta la verita' poetica" e che "quel suo moto ha una sua legge interna, organizza il proprio [...] secondo una metrica" si vuole dire che anzitutto l'arte e la poesia (non "eterne" ma quali si specificano nelle estetiche borghesi e marxiste fino ad oggi) in quanto organizzazioni specifiche della forma sono propriamente privilegiate, o meglio che l'uso della forma artistica e' inseparabile dalla disponibilita' di un uso formale della vita. Per non parlare di societa' storiche ma solo di quelle contemporanee, sembra molto probabile che con le nozioni di superfluo e di sublimazione a livello delle energie vitali e biologiche si costituisca una sfera di disponibilita'. La distinzione fra un significato della forma in quanto tale e il significato della forma in quanto forma di un dato contenuto va posta in relazione a fasi diverse dello sviluppo sociale. La fruizione della forma artistica in quanto forma - quello che chiamiamo formalismo - e' il risultato di una astrazione, anzi di un vero e proprio abbandono del suolo estetico (o sensibile) verso una "norma" che trascende il concreto (e questo spiega il naturale trapasso di ogni estetismo in pseudo-eticita', in mistica e in "religio"). Esso corrisponde a quella fase in cui il privilegio diventa incapace di usare la propria medesima energia formatrice. Contrariamente a quello che si crede di solito, la "vita come opera d'arte" non e' una parola d'ordine dell'estetismo formalista, pone un segno di uguaglianza fra i due termini ma quel segno di uguaglianza e' una immobilita' cadaverica. Mentre il privilegio gode della propria capacita' formatrice. * Il socialismo non e' inevitabile [1967] Aver atteso dalla trasformazione delle strutture economico-sociali l'automatica trasformazione dei rapporti fra gli uomini o, non vedendola cosi' facilmente sopraggiungere, averla dichiarata come gia' compiuta: questo uno degli errori del socialismo sovietico, che non si deve ripetere. In un paese a struttura diseguale come il nostro e in un mondo spaventosamente "scalare", la lotta si svolge tanto per il cosiddetto progresso tecnico-materiale quanto per quello del controllo democratico del potere. In quest'ultimo senso, mi pare certo che compito del socialismo non sia quello di trasformare il mondo in una valle di polli in scatola, di edizioni economiche, di antifecondativi, di computers e di "tempo libero". La questione non e' pero' neanche quella di lottare contro la civilta', o la barbarie, della tecnologia e dell'industria di massa (la lotta apparente per i "valori dello spirito" e' condotta benissimo dagli agenti della stessa industria culturale-spiritualistica di massa); ma e' quello invece di conquistare, e di tenere, il controllo della tecnologia della grande industria; o, in altri termini, non appena di toglier di mezzo i padroni dei mezzi di produzione, ma di controllare e dirigere la cosiddetta logica interna della tecnica; di controllare gli uomini e le macchine che nelle societa' tecnicamente piu' avanzate controllano e dirigono l'uomo consumatore, l'uomo lavoratore, l'uomo "morale", i suoi desideri, paure e fantasie. Il socialista sa che questa nuova specie di guerra, tema del nostro tempo ovunque, a Mosca come a San Francisco, e a Londra come a Pechino, puo' essere condotta solo se si traduce correttamente in lingua moderna la vecchia frase di Marx secondo la quale "la filosofia e' la testa del proletariato e il proletariato e' l'arma della filosofia", e se quindi si lavora ad unire le piu' avanzate minoranze di intellettuali (quelli cioe' che si siano impadroniti delle forme estreme assunte dalla scienza, dalla tecnica e dalle "scienze umane", in breve: dalla cultura) con le masse che piu' violentemente subiscono lo sfruttamento economico e ideologico: masse economicamente sottosviluppate (popoli coloniali, semicoloniali, aree depresse) e masse ideologicamente corrotte (piccoli neoborghesi, operai e impiegati schiavizzati dai compromessi riformisti e dalla industria pseudo-culturale, vuotati d'ogni realta' dalla apparente umanita' del benessere o della sua parvenza). E voi dite che la via per il socialismo non si dimostra abbastanza ricca di quell'"altro" senza di cui la politica non vi sembra degna di esser vissuta? Eppure "non avete da perdere che le vostre catene", catene che oggi vi paiono solo mentali e intellettuali; e "avete da guadagnare tutto un mondo", un mondo di solidarieta' da stabilire, di "cose da fare", di verita' da ottenere e trasmettere. Ma un partito politico non e' una chiesa, ne' una fede, ne' un padre; puo' essere un "universale concreto" per la realizzazione di fini concreti. Non avvicinatevi al Partito Socialista Italiano, e alla sua storia ora molto gloriosa ora molto triste, chiedendo ad esso o ai suoi dirigenti "qualcosa in cui credere". Questo qualcosa dovete cercarlo da voi, voi e i compagni che vi scegliete piu' prossimi; e anzi, misurando l'immensita' dei compiti che il socialismo propone su scala mondiale con le quotidiane difficolta' che si incontrano nella vita di un partito politico, con tutto quello che vi e' in esso di rattristante e scoraggiante, soprattutto oggi, vi accorgerete che moltissimo resta da fare; e capirete perche' il vero uomo di partito e' quello che sta sempre sull'orlo del partito, anche se e' un dirigente; che e' sempre sul margine, dove il partito non e' piu' e dove la classe e' ancora, fra la parte e la causa, fra una necessita' presente ed una di piu' largo ambito. Secondo me (e proprio questo e' uno di quei motivi che potreste chiamare "ideali", del socialismo) la scelta fondamentale che dovete fare non e' tra uno o un altro partito; ma fra prospettive non socialiste e prospettive socialiste, fra accettazione e negazione del mondo-com'e', fra rassegnazione ad una societa' di beneducate distinzioni (fin qui la politica, piu' in la' la morale, ancor piu' in la' l'arte; fin qui il privato, piu' in la' il pubblico, eccetera) e la volonta' o la lenta lotta per qualcosa che, con la divisione del lavoro e delle classi, superi le divisioni inutili dell'uomo entro se stesso. Identificare quest'ordine di scelte con un partito e' stato possibile ai comunisti (e, in un certo senso, anche ai socialisti) in un dato periodo; non lo e' piu' oggi, anche se statuti o retorica lo ripetono; puo' tornare ad esserlo, o ad essere necessario, domani, nella misura in cui si riuscisse a far coincidere i confini della scelta maggiore, quella in cui si risolve la parte maggiore della nostra coscienza, con i confini di una organizzazione; e i veri compagni con i "compagni" del linguaggio ufficiale. A questo punto dovrei rispondere alla seconda delle vostre questioni: perche' i dirigenti del Psi parlano cosi' di rado di quelle "altre" cose? Perche' non danno prospettive per l'avvenire? Perche' si disinteressano di tutte le domande vive della cultura di massa e dell'industria culturale? Perche' lo stesso dibattito ideologico e' pressoche' inesistente? Perche', insomma, il Partito Socialista Italiano sembra aver dato in appalto alle strutture tradizionali della cultura borghese il compito di pensare e interpretare la nostra realta'? Ma le risposte sono nella storia recente d'Italia. Sono anche, se non del tutto, nei "dieci inverni" della guerra fredda, se mi e' lecito richiamare il titolo di un libro dove ho raccolto parte degli scritti nei quali, per dieci anni, appunto, mi son posto ed ho posto le vostre medesime domande senza trovare, debbo pur confessarlo, uno che mi rispondesse come oggi vi rispondo io. * Da pagina 513 1977 Ultimo dell'anno Quando avevo dieci o dodici anni, la sera dell'ultimo dell'anno, e i miei genitori erano usciti per uno spettacolo o una cena con gli amici, andavo a mezzanotte a mettermi davanti a uno specchio e li' giuravo a me stesso di durare cosi' com'ero, di continuare a scrivere poesie per tutta la vita e di non diventare mai come gli altri, come gli adulti. Ora ho sessant'anni e mi pare di aver tenuto fede a quella promessa, non sono mai diventato del tutto un adulto, certe volte mi chiedo se la vita non debba ancora cominciare. Tutto questo potrebbe essere anche sereno, se non felice. Qualche volta mi da' angoscia. Se ho scritto tanto, in versi e in prosa, se ho tradotto tanto e se ho lavorato senza requie per quasi quarant'anni e' perche' non sono mai riuscito a capire chi fosse veramente quello che in me lavorava e scriveva. Questa divisione, questi rapporti con uno sconosciuto, si chiamano con certi nomi; e sono i nomi che vengono dati dalle religioni e dalle psicologie. Non ce la faccio piu' a cercare di sapere se sono una persona o due o cinque. Non so chi sono e devo confessare che non me ne importa piu'. Non so chi sono ma cerco di sapere chi sono stato, ossia in quale rete di storia e di societa' mi sono trovato a vivere. L'angolo di mondo, che si chiama Italia, i rapporti fra la gente, fra gli analfabeti, i semianalfabeti, gli studiati, la gente colta, le sinistre borghesi, i borghesi di sinistra, i nuovi veri irraggiungibili privilegiati, i mangiatori di uomini, diciamo, che incontro ogni giorno, ai quali sorrido affabilmente ed ai quali spero piaccia il mio lavoro... tutto questo cerco, si', di capirlo come posso. Non e' vero che non sono stato felice. La felicita' e' stata nei momenti di accordo fra l'esperienza e la parola mentale. Nei momenti di novita', anche, quando la promessa di mutamento diventava decisione. Vorrei dire quando lo sono stato. Ma non ci riesco. L'ho scritto tanti anni fa, in versi. E in questo momento avrei voglia di scherzare. Ma come fare a scherzare senza strafare? Non ho messaggi. Quando si sono scritte tante pagine, i messaggi, se ci sono, sono li'. Mi viene in mente il poscritto che un grande uomo, uno scrittore e combattente della liberta' del suo paese, il cubano Jose' Marti', quasi ottant'anni fa vergo' in una lettera a sua madre. Le annunciava che era sul punto di partire per una spedizione, uno sbarco nell'isola, contro gli occupanti spagnoli, come il nostro Pisacane; che sapeva del rischio (fu ucciso, infatti, dopo lo sbarco e una lunga guerriglia). Scriveva quell'uomo che aveva piu' di quarant'anni, alla madre, come tanti di noi hanno scritto, chiedendo perdono di mettersi nei pericoli ma riconoscendo che, se lo fanno, e' anche per l'insegnamento che le madri gli hanno dato. E dopo aver firmato ("tuo figlio Jose'"), aggiunge: "La verita' e la tenerezza non passeranno". La verita' e la tenerezza, contrapposte e unite. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 830 del 24 maggio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Voci e volti della nonviolenza. 335
- Next by Date: La domenica della nonviolenza. 217
- Previous by thread: Voci e volti della nonviolenza. 335
- Next by thread: La domenica della nonviolenza. 217
- Indice: