Voci e volti della nonviolenza. 318



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 318 del 30 marzo 2009

In questo numero:
1. Aldo Capitini: Teoria della nonviolenza (parte prima)
2. Et coetera

1. ALDO CAPITINI: TEORIA DELLA NONVIOLENZA (PARTE PRIMA)
[Riproduciamo ancora una volta l'opuscolo che riporta alcuni testi di Aldo
Capitini, Teoria della nonviolenza, Edizioni del Movimento Nonviolento,
Perugia 1980 (richiedibile presso la redazione di "Azione nonviolenta",
e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)]

Principi di nonviolenza
La nonviolenza risulta dall'insoddisfazione verso cio' che, nella natura,
nella societa', nell'umanita', si costituisce o si e' costituito con la
violenza; e dall'impegno a stabilire dal nostro intimo, unita' amore con gli
esseri umani e non umani, vicini e lontani. La manifestazione piu' concreta
ed anche piu' evidente di questa unita' amore e' l'atto di non uccidere
questi esseri e di non operare su di loro mediante l'oppressione e la
tortura. Questo impegno non e' che un punto di partenza (come nessuno nella
poesia, nella musica, puo' pretendere di esaurirle), e le imperfezioni del
nostro atto di unita' amore non possono essere compensate che dal proposito
di essere attivissimi in essa, nel tu che diciamo agli esseri nella loro
singola individualita', mai dicendo che basta. La nonviolenza non e'
l'esecuzione di un ordine, ma e' una persuasione che pervade mente, cuore ed
agire, ed e' un centro aperto: il che significa che ognuno prende
l'iniziativa di unita' amore senza aspettare che prima tutti si innamorino,
e la concreta in modi particolari che egli decide con sincerita', e con
dolore per ogni limite e impedimento che lo stato attuale della
realta'-societa'-umanita' ancora mette a sviluppare pienamente questa unita'
con tutti.
Vi sono, dunque, tanti gradi e tante espressioni della nonviolenza, ma, al
punto in cui siamo, esse si concentrano in un modo fondamentale, che e' di
non uccidere esseri umani. Mentre si sta stabilendo, oggi piu' che mai,
anche economicamente politicamente culturalmente, l'unita' mondiale
dell'umanita', l'atto di affetto all'esistenza di ogni essere umano ci porta
al punto di questa unita' umana. Verso gli altri esseri viventi ma non
umani, come gli animali e le piante, tutto cio' che e' fatto nell'affetto e
rispetto alla loro esistenza, apre l'unita' amore anche a loro e abitua a
sentire, di riflesso, il valore del non uccidere esseri piu' complessi e
piu' simili a noi, come sono gli uomini. La prassi del vegetarianesimo ha
percio' grande importanza.
La nonviolenza non e' soltanto contro la violenza del presente, ma anche
contro quelle del passato; e percio' tende a un rinnovamento della realta'
dove il pesce grande mangia il pesce piccolo, della societa' dove esiste
l'oppressione e lo sfruttamento, dell'umanita' nella sua chiusura egoistica
e nelle sue abitudini conformistiche e gusto della potenza. Ma finche' diamo
col pensiero e con l'atto la morte, non possiamo protestare contro la
realta' che da' la morte. E perche' la societa' non torni sempre oppressiva
sotto un nome od un altro, deve cambiare l'uomo e il suo modo di sentire il
rapporto con gli altri: la nonviolenza e' impegno alla trasformazione piu'
profonda, dalla quale derivano tutte le altre; e percio' non si colloca
nella realta' pensando che tutto resti com'e', ma sentendo che tutto puo'
cambiare, e che com'e' stata finora la realta' societa' umanita' non era che
un tentativo secondo i modi della potenza e della distruzione, e che vien
dato un nuovo corso alla vita con i modi dell'unita' amore e della
compresenza di tutti.
La nonviolenza e' in una continua lotta, con le tendenze dell'animo e del
corpo e dell'istinto e la paura e la difesa, con la realta' dura,
insensibile, crudele, con la societa', con l'umanita' nelle sue attuali
abitudini psichiche: non puo' fare compromessi con questo mondo cosi com'e',
e percio' il suo amore e' profondo, ma severo; ama svegliando alla
liberazione e sveglia alla liberazione amando; quindi distingue nettamente
tra le persone e gli esseri tutti che unisce nell'amore, tutti avviati alla
liberazione, e le loro azioni, delitti, peccati, stoltezze, assumendo il
compito di aiutare questi esseri ad accorgersi del male, e, se proprio non
e' possibile altro, contribuendo a liberarli dando, piu' che e' possibile,
il bene.
La nonviolenza e' attivissima, per conoscere gli aspetti della violenza e
smascherarli impavidamente; per supplire all'efficacia dei mezzi violenti
col moltipllcare i mezzi nonviolenti, facendo percio' come le bestie piccole
che sono piu' prolifiche delle grandi; per vincere l'accusa e il pericolo
intimo che essa sia scelta perche' meno faticosa e meno rischiosa; per dare
effettivamente un contributo alla societa', che ci da', in altri modi. altri
contributi. Proprio in questo tempo la nonviolenza ha il suo preciso posto
nell'indicare una svolta decisiva e nell'inserire il fatto nuovo. Che non si
veda un altro impero romano e un altro impero barbarico, e sempre
oppressioni e rivolte, nascere e uccidere e morire, e l'uomo dolorante e
illusoriamente lieto, perche' ancora non ha imparato a fondo quanto
dinamismo rinnovatore hanno l'interiorita', la liberta', l'amore. Proprio
appassionandoci per l'esistenza degli esseri viventi, rispettandoli piu' che
si puo', e dolendoci della loro morte, noi impariamo a sentire immortali i
morti e uniti all'intima presenza.
Chi e' nonviolento e' portato ad avere simpatia particolare con le vittime
della realta' attuale, i colpiti dalle ingiustizie, dalle malattie, dalla
morte, gli umiliati, gli offesi, gli storpiati, i miti e i silenziosi, e
percio' tende a compensare queste persone ed esseri (anche il gatto malato e
sfuggito) con maggiore attenzione e affetto, contro la falsa armonia del
mondo ottenuta buttando via le vittime.
La nonviolenza e' impegnata a parlare apertamente su cio' che e' male, costi
quello che costi, non cedendo mai su questa liberta', e rivendicandola per
tutti; e a non associarsi mai a compiere cio' che ritiene il male. Contro
imperialismo, tirannia, sfruttamento, invasione, il metodo della nonviolenza
e' di non collaborare al male; e di creare difficolta' all'esplicazione di
quei modi, senza sospendere mai l'amore per le singole persone, anche
autrici di quei mali, ma non esaurentisi in essi; cosi' si riconosce di
avere un alleato alla solidarieta' che si stabilisce tra gli oppressi,
nell'intimo stesso degli oppressori.
Chi e' persuaso della nonviolenza tende alla comunita' aperta, e percio' a
mettere in comune il piu' largamente le sue iniziative di lavoro, la
proprieta', non sfruttatrice, che egli possiede, la cultura (partecipando e
celebrando i valori culturali con altre persone), la liberta' (favorendola
con altri in assemblee nonviolente per il controllo e lo sviluppo
amministrativo della vita).
(Principi elaborati per il Centro di Perugia per la Nonviolenza costituito
nel 1952)
*
La nonviolenza nella prospettiva individuale e in quella sociale

La nonviolenza e' lotta
Agli uomini usciti dalle guerre, agli animi che sentono il peso di
un'immensa stanchezza e il bisogno di un riposo che talvolta e' perfino
sogno di annullamento e piu' spesso e' idoleggiamento di uno stato lento,
comodo, col gusto di piaceri che non vengano tolti; prospettare l'idea e le
conseguenze della nonviolenza produce un urto doloroso; ed essi domandano
tra stizziti e allarmati: "ma e' cosi difficile ricomporre una vita
tranquilla, una casa, un orario giornaliero, e la fruizione dei beni della
terra; e bisogna invece affrontare un problema cosi sconcertante e
paradossale? Noi vogliamo la pace, l'umanita' vuole, merita la pace".
Penso che questa gente abbia una sensazione esatta. E' un errore credere che
la nonviolenza sia pace, ordine, lavoro e sonno tranquillo, matrimoni e
figli in grande abbondanza, nulla di spezzato nelle case, nessuna
ammaccatura nel proprio corpo.
La nonviolenza non e' l'antitesi letterale e simmetrica della guerra: qui
tutto infranto, li' tutto intatto. La nonviolenza e' guerra anch'essa, o,
per dir meglio, lotta, una lotta continua contro le situazioni circostanti,
le leggi esistenti, le abitudini altrui e proprie, contro il proprio animo e
il subcosciente, contro i propri sogni, che sono pieni, insieme, di paura e
di violenza disperata.
La nonviolenza significa esser preparati a vedere il caos intorno, il
disordine sociale, la prepotenza dei malvagi, significa prospettarsi una
situazione tormentosa. La nonviolenza fa bene a non promettere nulla del
mondo, tranne la croce. E quegli uomini che dicevo prima non vogliono la
croce: disfatti o disorientati preferirebbero ritagliarsi una parte anonima
della vita, con uno stipendio immancabile, e frequenti "bicchierini" per
tirare avanti. Gli uomini, la civilta' infine del "bicchierino" per reggere;
e il bicchierino puo' essere liquore, fumo, vincita di lotteria, vita
sensuale, un appoggio insomma che ci sia realmente, un qualche cosa di
sensibile, che dica all'uomo attraverso un piacere: tu sei.
Questi uomini furono ingannati perfettamente dal fascismo, il quale di rado
era scomodo, ma nell'insieme ordinato e piacevole; e quando divenne pieno di
punte problematiche quegli uomini gli si ribellarono contro con una
sincerita' tale come se gli fossero stati avversi dall'inizio.
Per scoprire l'inganno del fascismo sarebbe bisognato non prendere l'ordine
per cosa assoluta; e per reagire sarebbe bisognato non prendere per cosa
assoluta il comodo proprio e circostante.
I regimi politici che assicurano comunque un ordine trovano sempre
moltissimi che li accettano, senza badare se l'ordine esterno non e' tradito
potenzialmente da una mentalita' sopraffattrice e avventuriera.
Si diceva durante il fascismo: "Nel '21 c'era il disordine, scioperi, i
treni non partivano; il fascismo ha stabilito l'ordine, la concordia tra
capitale e lavoro". E si diceva cosa insulsa; perche' il fascismo non
risolse i problemi del dopoguerra, quelli che generavano il "disordine"; e
se delle due fazioni avesse invece trionfato la socialista, avrebbe essa
stabilito il suo ordine; e allora e' da discutere sull'essenza, sulla
qualificazione dell'ordine: ordine fascista o ordine socialista? Che cosa
fosse l'ordine fascista si poteva intrinsecamente gia' vedere con l'occhio
alla sua sostanza morale; ma si vide nel fatto: partirono, si', i treni, ma
sono partite poi anche le stazioni.

La nonviolenza non e' appoggio all'ingiustizia
Ma oltre l'equivoco della nonviolenza come pace, io vorrei chiarire e
dissipare un altro equivoco, che e' ancor piu' insinuante e pericoloso.
Nella lotta politica e sociale, necessaria in una societa' di ingiustizia e
di privilegi, la nonviolenza fa tirare un sospiro di sollievo ai tiranni di
ogni specie; e questo sospiro di sollievo e' per noi oltremodo tormentoso.
Se la nonviolenza dovesse essere interpretata, o comunque risolversi in
un'acquiescenza all'ingiustizia, a quella violenza di secoli cristallizzata
in potere e in privilegi decorati ora di una apparente legittimita', non ci
sarebbe una piu' tentatrice sollecitazione a metterla in dubbio ed
abbandonarla.
La nonviolenza non e' soltanto rifiuto della violenza attuale, ma e'
diffidenza contro il risultato ingiusto di una violenza passata. Di quanto
piu' di violenza e' carico un regime capitalistico o tirannico, tanto piu'
il nonviolento entra in stato di diffidenza verso di esso.
Bisogna aver ben chiaro che la nonviolenza non colloca dalla parte dei
conservatori e dei carabinieri, ma proprio dalla parte dei propagatori di
una societa' migliore, portando qui il suo metodo e la sua realta'. Il
nonviolento che si fa cortigiano e' disgustoso: migliore e' allora il
tirannicida, Armodio, Aristogitone, Bruto. Due grandi nonviolenti come Gesu'
Cristo e San Francesco si collocarono dalla parte degli umiliati e degli
offesi. La nonviolenza e' il punto della tensione piu' profonda del
sovvertimento di una societa' inadeguata.

La nonviolenza e' attiva e modesta
Percio', e cosi chiariamo il terzo equivoco, la nonviolenza e' attivissima.
La nonviolenza e' prova di sovrabbondanza interiore, per cui all'uso della
violenza che sarebbe ovvio, naturale, possibilissimo, viene sostituita, per
ulteriore ricerca e sforzo, la nonviolenza.
Sarebbe anche qui falsificazione intendere il nonviolento come un pedante
occupato esclusivamente a torcere il volto davanti ad ogni menomo atto
violento, senza addentrarsi nella vita e nei suoi motivi. Tra il nonviolento
inerte e il soldato che si esercita faticosamente ed arrischia, la
possibilita' di un valore morale e' piu' nel secondo che nel primo.
Il nonviolento deve essere attivissimo sia per conoscere le ragioni della
violenza, per individuare la violenza implicita che si ammanta di legalita'
e smascherarla impavidamente; sia per supplire all'efficacia dei mezzi
violenti con il moltipllcarsi dei mezzi nonviolenti, facendo come le bestie
piccole che sono piu' prolifiche (e anche sopravvivono alle specie delle
bestie grandi); sia per vincere l'accusa e il pericolo intimo che la
nonviolenza venga scelta perche' meno faticosa e meno rischiosa: il
nonviolento deve portarsi alla punta di ogni azione, di ogni causa giusta,
appunto per curare il proprio sentimento che potrebbe stagnare e per farsi
perdonare dalla societa' la propria singolarita'. E' noto che gli obbiettori
di coscienza (cioe' coloro che non hanno voluto collaborare alla
coscrizione) sono stati uccisi a migliaia dai governi totalitari; e dove
sono stati tollerati, hanno chiesto spesso servizi rischiosi e dolorosi, per
esempio di sottoporsi agli esperimenti medici o di raccogliere i feriti
nelle prime linee.
E infine sara' opportuno chiarire anche un quarto equivoco, che cioe' il
nonviolento pretenda essere superiore per il suo atto di nonviolenza.
Non e' l'atto di nonviolenza per se stesso, ma tutto cio' che sta con esso e
all'origine di esso, che puo' costituire un valore.
L'animo, l'intenzione, l'amore, gli sforzi fatti, quanto di proprio
sacrificio ci sia stato messo: qui e' il valore sia dell'atto di violenza
che dell'atto di nonviolenza. E' evidentissimo che tra colui che per evitare
l'uccisione di un bambino si slanciasse con l'arma in mano a difenderlo a
rischio di essere ucciso egli stesso, e il nonviolento che se ne stesse ben
lontano e inerte, avrebbe maggior valore il primo, quando il secondo non si
fosse gettato tra l'uccisore e il bambino a persuadere ed anche a offrire il
suo corpo, avanti a quello del bambino, al colpo mortale.

Concetti e modi della nonviolenza
Chiariti e dissolti questi equivoci, sara' bene ora prender contatto con il
concetto stesso della nonviolenza.
Violenza e' un concetto relativo all'oggetto sul quale si esercita una certa
azione. Quanto meno io considero quell'oggetto in cio' che esso e' per se
stesso, tanto piu' mi avvio alla violenza contro di esso.
La nonviolenza e' una presa di contatto col mondo circostante nella sua
varieta' di cose, di esseri subumani, e di esseri umani, e' un destarsi di
attenzione alle singole individualita' di tutti questi oggetti circostanti
per porsi un problema: "che cosa e' questo singolo oggetto? qual e' la sua
caratteristica, la sua vita, la sua liberta', il suo formarsi dal di
dentro?".
E' la sospensione dell'attivismo che consideri tutto, senza eccezione, come
mezzo, fino a quei casi tipici che sono come il lusso e il gioco di questo
attivismo, come l'incendio di Roma da parte di Nerone per vederne la
bellezza, o il letto su cui il brigante greco Procuste stendeva i suoi
prigionieri stirandoli o stroncandoli secondo che fossero piu' corti o piu'
lunghi. Sospensione di attivismo che e' attivissima moltiplicazione
d'attenzione, d'interesse, di affetto, potenziamento della vita interiore
proprio mediante questo collegamento in atto di tutto il reale nelle sue
innumerevoli individuazioni con l'intimo nostro.
Ma questo non e' che un punto di partenza, perche' di qui comincia un
movimento, una tensione.
Ad una parte degli oggetti assegno un compito di collaborazione, prendendo
interamente su di me la definizione del fine del lavoro con cui essi
collaborano; e questi oggetti chiamo cose.
Nei riguardi delle "cose" io non mi pongo altro dovere che di adoperarle
bene, di chiamarle a collaborare ad atti di cui assumo la responsabilita'; e
la malvagita' sta non nell'usare l'acqua per un bagno, ma se nel bagno
affogo il bambino, invece di lavarlo semplicemente, buttando l'acqua ad
altro destino. Per il carbone fossile stare nell'interno della terra o
muovere una locomotiva puo' essere indifferente, come per la pietra che sta
nel monte, in un monumento o come polvere sulle strade.
Puo' darsi che un giorno il nostro occhio scopra altro e diventi possibile
ridurre il campo delle cose, stabilendo con alcune di esse un rapporto di
collaborazione meno imperioso e meno antropocentrico: e' un problema questo
non vano, e di un orizzonte vastissimo, schiuso proprio dal principio della
nonviolenza, che e' inquietudine continua, passione mai saziata di interesse
per le individualita'.
Vi e' poi il gruppo di esseri subumani. E c'e' come un gruppo di passaggio
in tutti quegli esseri di minima vita, microrganismi e microbi, rispetto ai
quali non possiamo fare che una valutazione di "cose" sempre pero' con
quella speranza e quel problema, che nuove indagini e nuove intuizioni
permettano una collaborazione migliore: chissa', per esempio, che non si
riesca a trovare il modo di volgere a benefica l'azione malefica di molti
microbi.
Ma quando incontriamo vite piu' sviluppate, individualita' con cui e'
possibile stabilire un rapporto complesso, qui sentiamo la gioia di salvarci
con piu' ragione dalla considerazione di "cose". Cio' non toglie che ci si
possa interessare a cose minime, rispettarle nel loro essere; che io possa
appassionarmi all'individualita' di quella farfalla che ho visto nel
boschetto e che vivra' oramai una settimana, di quel filo d'erba, di quel
sasso. Questo prova che la nonviolenza, essendo unita'-amore e' espressione
nostra, e' collocazione e scelta volontaria, non un dogma; e ognuno puo' a
sua ispirazione (Spiritus ubi vult spirat) dirigerla. San Francesco voleva
che l'ortolano non lavorasse tutto l'orto, ma ne lasciasse una parte dove le
cosi' dette erbacce potessero crescere liberamente, perche' per lui la
spontaneita' di quel crescere, la bellezza di quelle erbe, e che esse
attestassero e lodassero Dio, era la stessa cosa. E cosi egli preferiva che
l'albero si tagliasse lasciandogli la radice e la possibilita' di crescere
nuovamente.
Noi possiamo su tutta la scala degli esseri non umani istituire a noi stessi
delle direttive, che anche se non sempre attuate, provano che in noi vive un
problema, una passione, una direzione.
Preferire, per esempio, di regalare piante intere piuttosto che fiori,
rinunciare alla caccia, adoperarsi per addomesticare bestie selvagge.
Il vegetarianesimo, per esempio, e' una cospicua scelta che viene fatta nel
campo degli esseri subumani. Si decide di rinunciare al cibo che comporti
uccisione di animali; e con cio' stesso muta il nostro modo di avvicinarsi
ad essi, il nostro modo di considerarli; si accetta sorridendo ma con
fermezza l'apparente stranezza che galline e pecore, dopo averci dato uova e
lana, "muoiano di vecchiaia": si amplia, al posto della violenza spietata
alle sofferenze e all'uccisione, quel piano di collaborazione in cui
consiste l'incremento della civilta'.
Questa "sospensione" introdotta nella leggerezza sterminatrice e nella
freddezza utilitaria si riflette in accrescimento di valore interiore. Ma
c'e' di piu' e forse di meglio. Io debbo confessare che, pur avendo un
notevole interesse all'esistenza degli animali, mi decisi al vegetarianesimo
nel 1932, quando, nell'opposizione al fascismo, mi convinsi che l'esitazione
ad uccidere animali, avrebbe fatto risaltare ancor meglio l'importanza del
rispetto dell'esistenza umana.
Consideriamo, dunque, la nonviolenza in questi gradi anteriori come un
addestramento che ha due atteggiamenti, quello di considerare cio' che e'
altro da noi come "cosa" ma con l'impegno a servirsene per un fine degno e
alto; e l'atteggiamento di considerarlo come "esistente", rispettato e amato
percio' come tale.
Due atteggiamenti, come ho detto, non rigidi, ma in dialettica, in
travaglio, e appunto percio' prova della vitalita' interiore di un
appassionamento. Ma sia come un prologo al mondo umano. Noi sappiamo che
tutte le volte che in pedagogia ci si e' posti il problema del piu' basso,
di cio' che e' infimo, si e' fatto un grande passo: quando si e' cercata
l'educazione dei deficienti, o dei molto piccoli o dei molto poveri, si sono
scoperti sempre metodi che hanno dato risultati prodigiosi applicati agli
altri.
E cosi in questo prologo ci siamo posti dei temi: portiamoli ora nel mondo
umano, e sentiremo una risonanza grandiosa.
Riguardo ad esseri umani la nonviolenza e' l'appello continuo e intenso alla
comprensione, alla spontaneita', alla capacita' che ha l'altro essere umano
di giungere ad una decisione razionale.
Nel campo umano la dedizione a questo appello ha un fondamento piu' saldo
che per ogni altro essere: basta che io pensi che colui che incontro,
potrebbe essere mio figlio: nulla di eccezionale in questo sentimento di
genitura, per la somiglianza umana che c'e' tra noi.
Del resto, io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo
richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui; che debbo
abituarmi a costituire costantemente questo atteggiamento nel mio intimo;
che, insomma, almeno per una volta, esaurite e sfogate se si vuole, tutte le
altre possibilita', io debbo domandarmi: "ma mi sono anche considerato pur
per un istante madre di costui? come agirei se fossi sua madre, certo una
madre non stolta, ma pronta a vedere che cosa c'e' a favore di lui, a
sperare per lui?".
La nonviolenza, porgendo l'appello alla razionalita' altrui, e' anche un
potenziamento del tu, e dell'interesse a che l'altro viva, si svolga, e come
un generarlo dall'intimo nostro, una gioia perche' l'altro esiste, un
appassionamento alla radice. Come noi potremmo avvicinarci all'infinita
miseria degli esseri umani, alle loro limitazioni, curare le loro
infermita', sopportarli, se non portassimo un infinito compiacimento che
l'altro esiste e proprio come essere umano? In questo atto si va oltre lo
stato di felicita' e infelicita', e si vive il sacro per cui ogni essere che
viene alla luce entra in qualche cosa di positivo, di la' dalla sua miseria
e dalla sua grandezza. Lo spirito lo tocca, e io posso raggiungerlo col mio
atto: qui siamo nella presenza religiosa, che e' piu' di ogni limitatezza,
deformita', malattia, bruttezza. La nonviolenza mi fa risaltare l'importanza
dell'atto col quale mi avvicino ad uno, atto di presenza aperta, superiore
alla felicita' o infelicita', a cio' che puo' accadermi o accadergli.
E se io voglio che l'altro sia in un certo modo, il ripudio dei mezzi
violenti mi induce ad una tensione interiore perche' io anzitutto viva
quello che voglio dall'altro, perche' io prenda su di me il compito di
attuare quel meglio, di portarmi a quel grado, di purificarmi, di
sacrificarmi, fino al sacrificio supremo di dare l'atto di nonviolenza al
posto dell'atto di violenza, e di trasferire con atto d'amore nell'intimo
dell'altro il punto a cui ero giunto. In questa nonviolenza si attua la fede
nell'unita' di tutti, e nell'efficacia che cio' a cui mi tendo io (o cio'
per cui io prego, per dirla nei termini tradizionali) influisce su di un
altro, pur lontano, quanto piu' di sacrificio e di purezza interiore io vi
metto.
Sarebbe piu' agevole che con un mezzo esteriore e violento io agissi
sull'altro, ma quanto perderei di interiorita', di qualita'!

Attuazione della nonviolenza
Un principio che sta dentro l'atto della nonviolenza e' la potente
sollecitazione dell'impegno della propria persona.
La radice della nonviolenza sta nell'essere nonviolento, internamente, prima
dell'atto rivolto agli altri; e anche questo conferma che la nonviolenza non
e' un atto puntuale, ma una disposizione, una formazione, un'educazione,
un'intenzione, un insieme. Se la nonviolenza e' promovimento della tua
razionalita', della tua bonta', della tua spiritualita' superiore, bisogna
che io anzitutto mi tenda alla mansuetudine e alla ragionevolezza. Non si
puo' insegnare la nonviolenza con l'odio e le fucilate. Se io voglio che tu
agisca da persuaso interiormente, bisogna che io prima sia in tutto persuaso
e non retore. Se io voglio che nel mondo ci sia qualche cosa, e in questo
caso, un atto di unita'-amore insistente fino anche al sacrificio, se non ci
metti tu questo atto, o ancora non ce lo metti, ce lo metto io.
Quanto ai modi dell'attuazione della nonviolenza io vorrei sottrarli a
quella casistica che sorge per ogni proposito di azione, e anche per questo.
Tutti quelli che hanno esperienza di questo proposito, hanno anche
esperienza di una lunga discussione con se stessi e con gli altri sui casi,
sui modi. Piu' di quindici anni di questa esperienza mi hanno confermato che
e' lo spirito che conta, ed e' l'approfondimento di questo che fa progredire
la civilta'.
C'e' una scala di attuazione, una scelta, una creazione; non e' un dogma e
un ordine di chissa' chi: la nonviolenza e' una creazione che uno attua. Ci
puo' essere un'attuazione cosi' meticolosa da far sorridere; e non c'e'
nulla di male. Una civilta' che consuma tanto suo tempo in mille cose futili
e fatue, puo' ben consumarlo in questo campo. C'e' un eccesso e un ridicolo
che e' in funzione del sublime. Un discepolo di San Francesco aveva spinto
cosi' oltre il precetto dell'imitazione della santita', che ripeteva ogni
atto che vedesse fare al Santo, perfino sputare. E San Francesco ne
sorrideva. Tutti sappiamo che vi sono diverse interpretazioni e attuazioni
della nonviolenza, fino a quella che non si puo' parlare di "violenza"
quando si colpisce per diritto e a giusta ragione. Io qui esporro'
l'interpretazione che risulta dalla mia esperienza.
Considererei come un grande dolore se nel momento della morte di un
qualsiasi essere umano io non desiderassi con tutte le mie forze che quella
morte non avvenisse.
Non posso accettare come veramente mio il mondo dove le persone cadono come
oggetti, ma quello dove tutti sono soggetti, vivono, si svolgono. Se non
sentissi sempre questo, se avessi fatto qualche eccezione a questo, oggi
dovrei moltipllcare la mia tensione per riparare al passato.
E realmente io debbo riparare al passato, che oltre che mio, e' di tutte le
civilta' trascorse; e, istruito da questa insufficienza, oggi non sono tanto
disposto a farmi sorprendere dall'indifferenza, e sto attento perche' non
perda questa passione fondamentale ad ogni momento in cui la morte si
manifesta in questa realta'.
Percio' e' inutile che io raccolga armi vicino a me e mi addestri ad usarle,
se so gia' quale sarebbe la mia posizione domani. Da questo si riflette uno
stimolo ad atteggiare il mio fare in modo che senta di non poter far conto
su mezzi violenti, e che a mia disposizione non c'e' che il prestigio
dell'esempio, l'intima trasparenza, la razionalita' della persuasione, la
forza dell'anima. Potro', a parte il ripudio della uccisione, ricorrere a
dei mezzi che diminuiscano l'effetto della violenza dell'altro, specialmente
se in uno stato di furia; ma sempre tali che non lo mettano in uno stato di
tortura ne' in uno stravolgimento della sua possibilita' di razionalita'.
L'importante e' che in quel momento io mi immedesimi col problema
dell'altro, e della sua formazione verso la liberta', la razionalita', la
bonta'; e che, assicurate queste dalla parte mia, mi rifiuti ai mezzi che la
turbino nell'altro. La tortura, cioe' che io provochi in te il dolore per
ottenere qualche cosa da te, che senza la tortura mi rifiuteresti, non e'
per me giustificata da nulla, perche' io non voglio mai provocare il dolore,
ma riparare al dolore: essere non al punto in cui si causa il dolore (che e'
questa realta' e il mondo della limitatezza), ma al punto in cui si supera
il dolore, che e' la realta' autentica, il mondo del valore. Se questo mondo
e' la mia croce, ma io sono piu' del mondo, sono dall'infinito. Come davanti
alla morte, cosi davanti alla sofferenza di un altro, ho la passione di
essere non dalla parte del mondo ma del sopramondo eterno che qui si apre,
non dalla materia ma dalla forma, non dall'esteriorita' ma
dall'interiorita', non con un Dio che batte, ma con un Dio che porta nel
valore dell'amore che sempre si accresce, e che, come la liberta', non
esiste, se non si fa ancora piu' amore, ancora piu' liberta'.

La nonviolenza e la societa'
A questo punto, dopo aver guardato la cosa dall'individuo, bisogna guardarla
dalla societa'; altrimenti mi si potrebbe dire che tutto quello che ho detto
e' "prima della nascita della societa', dello Stato". L'obbiezione piu'
formidabile e' questa: "non faccio questione di me come singolo, della mia
difesa, della mia esistenza, ma della societa', del suo ordine, della norma
che io debbo sostenere e contribuire a tener viva, per cui non e' lecito che
uno si serva della violenza: come potro' far questo senza l'uso della forza?
come potra' avvenir questo se il cittadino manca al suo dovere di
riconoscere la necessita' dell'uso della forza in qualche caso? Una societa'
non ha connessione senza l'uso parco e regolato della forza".
Qui debbo richiamare quel carattere drammatico della nonviolenza del quale
ho parlato all'inizio. Ho gia' detto che per intendere la nonviolenza
bisogna lasciar di guardare l'ordine, la compostezza, la pace: bisogna,
invece, prender su' risolutamente una responsabilita', che puo' essere anche
in mezzo all'avversione e al biasimo; e' una scelta severa e tremenda. La
nonviolenza non e' per conservare alcuna cosa di questo mondo, sia
dell'individuo o della societa': non il piacere, il comodo, la casa, il
letto, la roba, la vita, le cose fatte, costruite, l'ordine sociale, la
regolarita' dei servizi pubblici, l'esistenza dei cari, degl'innocenti. Non
e' un accrescimento di sicurezza che tutte queste cose permangano; anzi e'
una rinuncia interiore a questa sicurezza; e' in potenza la morte di tutto
questo. E' la possibilita' di perdere tutto cio' che e' nel mondo, il
Memento mori, non immaginazione oziosa, ma legato a un impegno, a un'azione.
Perche' nello stesso tempo la nonviolenza afferma un valore; ed e' dunque
atto, resurrezione. La societa' col suo ordine, la vita con i suoi oggetti,
non possono costituire quell'assoluto che si imponga indiscutibile e tolga
la possibilita' di un contributo, di un'iniziativa. Siamo davanti, in questo
tempo, ad una societa' impiantata cosi' che vorrei chiamarla "la societa'
dei pubblici servizi", una societa' pratica, del tempo dell'attivismo, del
tempo dei molti aspetti del vivere, delle varie cose. I pubblici servizi
esigono una difesa di essi con tutti i mezzi; e questo non e' la societa'
come concetto eterno: non e' che un tipo della societa' della vita,
corrisponde a una scelta che l'uomo di oggi fa: il che non esclude che si
possa fare un'altra scelta, presentare un altro tipo. Il significato
religioso della nonviolenza sta proprio nel preparare un altro tipo,
un'altra realta'. E' evidente che se si volesse configurare la societa' non
con la trama interna della difesa dei pubblici servizi, ma con la trama
interna della celebrazione di atti di infinito tu alle persone, tutta la
prospettiva muterebbe. La societa' romana aveva per trama la tutela dei
diritti del civis, la societa' cristiana aveva per trama la fruizione dei
carismi divini.
La societa' non e' un qualche cosa di staccato da me. E percio' come io, in
quanto individuo, ho il dovere di interiorizzarla e di rendermi conto delle
sue ragioni, ho anche il diritto di andare eventualmente oltre di essa. Non
quando io fossi ribelle, disordinato, ex lege, per natura; ma se seguo le
leggi che ritengo giuste, se attuo cio' che e' ordine, se continuamente
utilizzo l'esperienza tradizionale della societa', posso bene, quando sia in
gioco un valore, quando nel resto della mia vita sia solito a stare in
guardia contro il gusto personale e l'originalita' di proposito, innovare,
prendere un'iniziativa, dare un contributo, e in questo caso sentire,
vivere, e far vivere, che la vera societa' e' oltre quella dell'ordine
sociale, della difesa dei diritti, del mantenimento dei pubblici servizi; ma
e' oltre, nel regno degli spiriti, cioe' dei soggetti, cioe' dell'amore da
instaurare subito a costo di sacrifici. Accanto ad una societa' che usa la
guerra come via alla pace, la violenza come via all'amore, la dittatura come
via alla liberta', la religione mi porta ad anticipare di colpo il fine nel
mezzo; e ad attuare comunque, qui e subito, pace, amore, liberta'. La
religione e' impazienza dell'attendere il fine; e oggi che l'universo, il
tempo, lo spazio, non sono sentiti in dualismo stabile con l'infinito e
l'eterno, porremo noi questo dualismo nella societa' tra il mezzo e il fine?

Il limite del realismo
Se si ostenta la natura umana nel suo fondo utilitario e violento, nelle sue
forze brute, che vanno continuamente represse e indirizzate, ma che sono
insopprimibili, la persuasione della nonviolenza non nega senz'altro questo,
non chiude gli occhi come lo struzzo per non vedere il nemico; e riconosce
che la situazione e' drammatica, quasi sempre drammatica, e ne accetta le
conseguenze. Pero' porta con se' una fede, che ha tanta conferma nella
attuale concezione della realta' fisica; la fede che tutto cio' che e' un
dato non e' un continuum senza interruzione, ma e' come a respiri con
intervalli, nei quali e' possibile inserire altro. Con quale certezza
possiamo noi dire che quella cosa e' sempre cosi? Questa sospensione della
continuita' si puo' applicare alla politica, per cui viene a risultare
insufficiente e quasi ingenuo, quel certo realismo di tipo machiavellico che
non tiene conto degli intervalli in cui e' possibile far agire forze d'altra
provenienza: quel realismo e' una specie di imitazione della natura in
ritardo. E cosi' per quella natura che e' la psiche, alla quale si vorrebbe
applicare solidita' e costanza invece di un ritmo di respiri e di tentativi
con intervalli e possibilita' di inserzione di temi e forze e prospettive
diverse. La nonviolenza e' fede in questa possibilita' di intromissione
miracolosa e rinnovatrice, per lo meno a suggerire e far rivivere una certa
realta' diversa.
Accettiamo che la civilta' culmini nel culto attivo dei valori, e che le
forme della civilta' siano insufficienti quando sono principalmente
amministrative, giuridiche, diffonditrici piu' che produttrici di valori. Ma
se la nonviolenza e' nella sua radice, nella sua intenzione, nella zolla che
la sostiene, un valore, ha ben il diritto di chiedere che la civilta'
attuale si allarghi a comprenderlo. Quando si segue un valore si scopre
sempre qualche cosa, una realta' anche maggiore della cercata, come Colombo
che ritrovo' non le Indie, ma scopri' un nuovo continente. Lo so, si puo'
perdere tutto; ma si puo' approfondire la conferma che la vita da un punto
di vista religioso e' eterna presenza aperta nel mondo, quanto piu' vivendo
dall'intimo i valori e la loro pace, tanto piu' incontrando asprezze, disagi
nelle cose e nel corpo, colpi simili alla morte. Non per pochi aspetti la
civilta' attuale sembra perdere il senso della distinzione tra il valore,
che e' fine, e il resto, che e' mezzo; e conquista e difende quelli che
sarebbero semplici mezzi come se essi fossero valori. Si mette, certe volte,
tutto nella conquista e nella difesa, e si tratta anche di cose fatue; tanto
piu' e' importante stabilire una prospettiva, e mostrare che si e' capaci,
per un valore, di perdere tutto il resto.
Mostrare, ho detto intendendo: non soltanto agli altri, ma a se stessi,
perche' anzitutto la nonviolenza ha un carattere di edificazione interiore.
Cio' non e' contro il principio dell'estensione della razionalita'. Si puo'
e si deve accettare che la razionalita' nell'uomo e nella societa' si
estenda sempre, e che l'uomo si faccia sempre piu' autonomo, e la societa'
sempre piu' democratica. Ma ad un tratto potrebbe avvenire, e avviene, che
si sospende la razionalita' e la democrazia con un atto di violenza. Il
metodo religioso, invece, contrappone l'atto e l'esempio di nonviolenza,
aggiunto ad arricchire la razionalita' e la democrazia. Rendiamo la societa'
sempre piu' democratica promovendo la razionalita', l'autogoverno, lo
scambio razionale, il controllo e lo sviluppo etico, civile, economico di
tutti; e in questa societa' aggiungiamo persone o gruppi che costituiscano
centri religiosi.
Tutti quelli che hanno parlato di nonviolenza nella esperienza
etico-religiosa di millenni hanno sentito piu' o meno consapevolmente che la
vita offre difficolta' e fatiche, che ogni giorno ha la sua pena, e che se
ci si vive dentro semplicemente lottando, ma divisi l'uno dall'altro, non
basta; che se invece si attua anche una intima e superiore unita', di
apertura sincera, di aiuto incondizionato, di sostituzione, tra noi, del
bene al posto del male, allora la realta' della lotta con le asprezze puo'
essere sostenuta, integrata, superata. E alle reazioni moderne alla
nonviolenza, reazioni, per esempio, del Marx e del Sorel in nome dello
sviluppo sociale, noi diciamo: ebbene, permetteteci di vedere questo flusso
storico da un intimo, di aggiungere questa presenza.
(Da Il problema religioso attuale, 1948)
(Parte prima - Continua)

2. ET COETERA

Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura
di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente
e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo
Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo
Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza
di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a
Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi,
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro
di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini
sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai
utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere
richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a
Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento
Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito:
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Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 318 del 30 marzo 2009

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