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Nonviolenza. Femminile plurale. 241
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 241
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 19 Mar 2009 15:47:16 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 241 del 19 marzo 2009 In questo numero: 1. Bianca Pomeranzi: A che punto siamo tra Nazioni Unite, femminismo transnazionale e cooperazione. Una lettura dell'agire delle donne nel mondo globalizzato 2. "Leggendaria" di marzo 1. RIFLESSIONE. BIANCA POMERANZI: A CHE PUNTO SIAMO TRA NAZIONI UNITE, FEMMINISMO TRANSNAZIONALE E COOPERAZIONE. UNA LETTURA DELL'AGIRE DELLE DONNE NEL MONDO GLOBALIZZATO [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento del 21 febbraio 2009] Un punto di vista Difficile sfuggire alla domanda su quello che le donne hanno da dire sulla contemporaneita' e su quello che rappresentano in una fase cosi' complessa di transizione e di crisi di civilta'. Impossibile forse per una femminista occidentale come me che cerca di mantenere un filo di un ragionamento avviato piu' di trenta anni fa, quando il partire da se' assumeva una passione radicale e una tensione rivoluzionaria, perche' la presa di parola delle donne trasformava le regole della convivenza. Quel filo, agito nel movimento e nelle istituzioni, e' ormai una matassa intrecciata e complessa, come le strisce da rammendo multicolori che apparentemente dovrebbero servire a riparazioni veloci e invece quasi subito si aggrovigliano al punto che non si riesce piu' a trovare il capo di ogni filo e non si puo' separarlo dagli altri senza strappi e ulteriori nodi. Meglio allora cercare di dipanare la matassa a partire dalle proprie esperienze e dal proprio punto di vista, soggettivo e singolare. Solo cosi' infatti si puo' lasciare lo spazio ad altre prospettive, che consentano di cogliere e utilizzare altri fili per provare a ricostruire una trama comune tra i tanti modi di essere delle donne nel mondo. Una tale visione si affianca a quelle di molte altre recenti e interessanti letture italiane e internazionali (1). Per quanto mi riguarda, dunque, il fatto di avere vissuto la mia presa di coscienza in un collettivo femminista radicale, come era quello di Via Pompeo Magno a Roma a meta' degli anni Settanta, e di avere trovato la' altre donne che gia' allora frequentavano luoghi internazionali e' stato determinante nelle scelte di vita, cosi' come lo e' stato il fatto di avere vissuto le prime manifestazioni nazionali sull'aborto e contro la violenza in un periodo in cui le Nazioni Unite celebravano l'anno internazionale delle donne e la prima Conferenza sulle donne a Citta' del Messico nel 1975. Era quindi semplice pensare ad altre donne in altri continenti come potenziali alleate di una rivoluzione lunga si', ma anche mondiale (2) per la fine di un dominio patriarcale la cui invasivita' era oggetto di riflessione costante. Una riflessione che faceva saltare la separazione tra personale e politico ridisegnando i confini di entrambi e, di fatto, varcando la soglia di quella che piu' tardi venne definita come biopolitica (Focault 2001). Impossibile quindi, per una giovane di allora, non pensare che la stessa capacita' di liberazione e di autonomia si potesse riprodurre in altri contesti. Oggi, tuttavia, fare i conti con il presente non e' facile, perche' ci si deve confrontare con una realta' globale sempre piu' complessa, perche' i linguaggi e le letture che definiscono il mondo sono contraddittori e anche perche' i modi delle donne di prendere parola, di divenire soggetti autonomi, si sono diversificati e sono entrati in conflitto anche all'interno del femminismo. Un po' ovunque, infatti, ci sono donne al potere: in Africa, in Asia e in America Latina, ma piu' spesso in Occidente, dove una politica sempre piu' ridotta a cercare consenso attraverso i media, sembra voler sedurre l'immaginario collettivo attraverso personalita' femminili, che da sole dovrebbero indicare un cambiamento. Viene quasi da chiedersi se queste poche donne, spesso cooptate in pochi posti di comando tradizionali, siano un modo per contenere la potenza trasformativa del femminismo e per far rientrare, attraverso percorsi individuali di emancipazione, le esperienze collettive delle donne nel rimosso della politica. In molti altri casi invece, come nelle teocrazie patriarcali, le donne sono ancora costrette in ruoli tradizionali e fanno pensare che e' proprio l'emancipazione che manca (Undp 2006). Piu' spesso, comunque, sono stati proprio i processi di differenziazione e di estensione delle reti transnazionali e dei movimenti nazionali delle donne a far perdere il filo comune e a creare la matassa che rende le culture del femminismo piu' diversificate di fronte ai dispositivi di potere, ma anche piu' confuse sulla propria origine e sulla propria originalita'. La domanda "a che punto siamo" e' quindi densa di significati diversi e soggetta a differenti letture. Alcune di queste letture, come quelle delle istituzioni internazionali, sono costituite dall'analisi statistica e dalla misurazione costante dei progressi rispetto a un sistema di indicatori oggettivamente riconosciuto (3), altre tendono a mettere a tema la qualita' delle pratiche delle donne nei diversi continenti, spesso in termini di azione politica e capacita' di difesa dei loro diritti (4). Io vorrei, invece, mantenere l'idea originaria di un femminismo capace di trasformazione politica, cercando di leggerne le attuali potenzialita'. Infatti, anche se l'obiettivo e' troppo ambizioso per essere risolto in un breve articolo, mi sembra comunque utile cercare tracce che consentano di recuperare un filo comune tra le diverse tendenze dell'agire delle donne in nome delle loro percezioni, singolari e situate, del femminismo. Un femminismo che quindi si colloca nel complesso intreccio con altri movimenti, nel costante confronto con le istituzioni, nazionali e sovranazionali, e soprattutto all'interno dei processi di radicale cambiamento della convivenza che si sono determinati tra gli ultimi decenni del secolo scorso e i primi anni del nuovo millennio. * Un campo femminista transnazionale Vorrei dunque rileggere l'evoluzione delle Conferenze delle Nazioni Unite come l'occasione (Marramao, 2008) della genesi del femminismo transnazionale attraverso l'instaurazione di un campo di pratiche e di culture critiche (5). Insomma la matassa di cui parlavo in apertura, vista con gli occhi di chi per scelta di vita e di lavoro si trova a fare i conti, quasi ogni giorno con la domanda "a che punto siamo" (6), soprattutto rispetto all'autonomia politica e alla liberta' delle donne. Questa occasione nasce nel 1975, anno della I Conferenza Onu sulle donne di Citta' del Messico, che permise l'incontro tra i movimenti delle donne di tutto il mondo. L'evento infatti, frutto del mutato contesto internazionale di post-colonizzazione e originato dall'esplosione del movimento femminista in occidente e dalla numerosa presenza delle donne nei movimenti di liberazione di molti paesi del Sud del mondo (Rai 2002), ebbe un enorme valore perche' consenti' la partecipazione, al di la' delle delegazioni ufficiali di ciascuna nazione, al "forum della societa' civile", di piu' di 6.000 donne che ebbero la possibilita' di discutere delle loro visioni e dei problemi, denunciando le differenti forme di dominio patriarcale e avviando un percorso comune, a partire dal loro sesso. Le analisi ufficiali e quelle all'interno del forum furono l'origine di nuove pratiche su differenti piani. Sotto il profilo istituzionale, il dibattito fu fortemente segnato dall'analisi economica della divisione sessuale del lavoro che era stata alla base dell'analisi di Ester Boserup (7). Le Nazioni Unite avviarono, infatti, la costruzione di un vero e proprio sistema rivolto alla promozione del ruolo delle donne nello sviluppo, basato su due organizzazioni con uno specifico mandato per tale scopo: il Fondo Volontario delle Nazioni Unite per le Donne, adesso chiamato Unifem, e l'Istituto per la Formazione e la Ricerca sulle Donne, il cui acronimo e' Instraw. In generale, comunque, tutte le organizzazioni del sistema Onu iniziarono ad avere funzionarie che si occupavano di questa nuova materia chiamata "donne e sviluppo" e che ebbero a disposizione finanziamenti specifici all'interno delle agenzie multilaterali e di quelle bilaterali dei paesi che avevano gia' istituzionalizzato l'aiuto pubblico allo sviluppo per il Sud del mondo, in gran parte paesi nordici. Proprio all'interno di quel sistema si avvio' cosi' la definizione di un modello di intervento politico a favore delle donne che ricalcava il percorso di emancipazione seguito nei paesi occidentali, quasi esclusivamente nordatlantici, dove le donne avevano ottenuto il diritto di voto nei primi decenni del Novecento. La Conferenza ufficiale di Citta' del Messico fu anche all'origine del primo strumento legale internazionale per le donne: la Convenzione per l'Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne (Cedaw) (8). Un percorso diverso fu seguito dalle organizzazioni non governative delle donne, che iniziarono a lavorare di piu' sullo scambio di esperienze e sul confronto tra culture e contesti politici diversi. Quel percorso, tuttavia, fu all'origine di un conflitto che si materializzo' durante il Forum della II Conferenza Onu di Copenaghen del 1980. Copenaghen e' conosciuta come la Conferenza di medio periodo nel "Decennio Onu per l'Uguaglianza, lo Sviluppo e la Pace" (1976-1985) ed e' ritenuta di scarsa importanza sotto il profilo istituzionale, poiche' ebbe soprattutto il compito di ratificare i notevoli mutamenti istituzionali avvenuti a favore delle donne all'interno del sistema Onu. L'importanza di Copenaghen e' tuttavia un'altra, tutta culturale e politica, proprio in virtu' di quello che e' generalmente ritenuto uno dei motivi dell'insuccesso: il conflitto tra diversi modi di vivere la propria soggettivita' politica che si manifesto' nel Forum. Copenaghen, infatti, svelo' la complessita' che era insita nella presa di coscienza e di parola di donne che vivevano situazioni totalmente differenti per motivi culturali, economici e politici, e nello stesso tempo dette la possibilita' di approfondire la riflessione sullo sviluppo del mondo. Infatti il mondo, proprio in quegli anni, dopo le crisi petrolifere degli anni Settanta, stava sperimentando sia la rinascita del fondamentalismo religioso che l'avvio di nuovo processo di globalizzazione, basato sulle politiche economiche neoliberiste. La rinascita su larga scala del fondamentalismo islamico infatti si puo' datare a partire dalla rivoluzione iraniana di Khomeyni del 1978, mentre l'elezione di Reagan nel 1980 e' considerata la genesi dell'affermarsi delle politiche neoliberiste. Il quadro internazionale era dunque profondamente scosso dall'incrinarsi dei vecchi equilibri, tra occidente, mondo comunista e quello che ancora veniva definito come terzo mondo. Questo clima generale che si espandeva a livello mondiale determino' per le donne riunite a Copenaghen l'abbandono del comune denominatore costituito dall'appartenenza di sesso e l'attenzione, invece, alle diverse appartenenze culturali e politiche nella interpretazione delle cause dell'enorme divario tra paesi ricchi e paesi poveri che si andava approfondendo. Per molte delle partecipanti, soprattutto provenienti dal Sud del mondo, infatti, la richiesta di uguaglianza tra uomini e donne assumeva un ruolo di secondo piano rispetto al problema della crescente poverta' che le donne sperimentavano nei loro paesi. Questo dissenso di fondo fu all'origine del conflitto tra le ancora poche femministe del Sud e le femministe occidentali, in particolare americane, ma si rivelo' anche un potente strumento di crescita (9) culturale e politica del movimento transnazionale delle donne. Lo scontro di visioni che ebbe luogo a Copenaghen ottenne infatti il risultato di moltiplicare le reti transnazionali di donne dei diversi continenti e di far approfondire le analisi critiche (Pomeranzi 1995). Tra queste ricordo quelle delle ecofemministe (Braidotti et al. 1991; Mies, Shiva 1993) e del gruppo di Dawn (Sen Grown 1987) che per tutti gli anni Ottanta e i primi anni Novanta, proprio partendo dall'analisi della relazione culturale ed economica tra donne, uomini e gestione delle risorse naturali avviarono una critica radicale al modello di sviluppo neoliberista che si andava affermando, basato unicamente sul criterio della crescita economica e incurante della sostenibilita' umana e ambientale dei processi di sviluppo. Queste analisi, spesso in dissenso con le modalita' operative delle grandi istituzioni finanziare internazionali, in particolare la Banca Mondiale e il Wto, ma anche capaci di mettere a tema l'inefficacia dell'Onu e del sistema multilaterale e bilaterale di Aiuto Pubblico allo Sviluppo, favori' da un lato la trasformazione degli interventi di cooperazione, soprattutto dopo la terza Conferenza Onu sulle donne di Nairobi del 1985 (Moser 1993) e la preparazione della IV Conferenza di Pechino nel 1995, ritenuta unanimemente un successo, ma anche un momento di svolta che chiude il ventennio d'espansione delle reti femministe transnazionali e della relazione di queste con il sistema delle politiche di genere all'interno delle Nazioni Unite. A Pechino le tematiche di genere e dei diritti sono al centro dell'attenzione della Conferenza istituzionale e portano ulteriori mutamenti nel sistema Onu (Pomeranzi 1996; Hannan Anderson 2000), mentre nei dibattiti dell'immenso Forum di Huairou, si manifestano lucide critiche femministe al processo di globalizzazione, che di li' a pochi anni avrebbero costituito alcuni degli assi portanti del movimento di Seattle e dei grandi Forum Sociali Mondiali a partire da Porto Alegre (Sassen 2002). Probabilmente il Forum Copenaghen non avrebbe mai assunto quei connotati se, gia' negli anni Settanta, nel femminismo occidentale ormai maturo, non si fossero avviate pratiche di differenziazione tra le soggettivita' politiche delle donne fondate sulla scelta sessuale, sull'appartenenza etnica e su quella culturale (10). Il "black feminism" (11) e il "lesbian feminism" (12), in particolare negli Stati Uniti, avevano infatti gia' determinato la rottura della narrazione universale del neofemminismo, mentre nelle accademie di molte parti del mondo i women's studies, e poi i gender studies, gia' segnalavano il formarsi di una critica femminista post-coloniale che si sarebbe sviluppata nel corso degli anni Ottanta (Talpade Mohanty 1991), insieme alle reti transnazionali delle attiviste e contemporaneamente all'approfondimento delle epistemologie della "differenza sessuale" (Irigaray 1985) e al nascere dei "gender and queer studies" (De Lauretis 1991). Insomma il femminismo, non piu' o non solo separatista, stava divenendo quel campo di pratiche e culture, spesso in reciproca tensione, ma comunque in grado di produrre nuove soggettivita' e trasformazione politica a livello globale. Vedere il femminismo come un campo politico denso di relazioni, interne ed esterne, e situato (Harding 1988) nei differenti contesti geografici, ma anche sociali e culturali, consente, a mio parere, di uscire dalla definizione un po' vaga dei femminismi e di recuperare, senza riduzione all'essenzialismo biologico (l'essere donna), il comune denominatore determinato dalla capacita' di produrre spostamenti singolari e collettivi, a partire dalla propria soggettivita' incarnata (Braidotti 2002), che e' fondamentale per leggere il guadagno della cooperazione internazionale rispetto alla liberta' delle donne. Vedere il femminismo come un campo di soggettivita' e culture che si incontrano con modalita' diverse dalla rigida struttura dell'analisi geopolitica del mondo, consente anche di superare il dibattito, forse troppo cullato a partire dagli anni Novanta, tra genere e differenza sessuale (Butler 2006). Dibattito che rischia di assumere connotati di accademia facendo perdere la forza di quello che, come un magnete, agisce non da confine, ma da energia attrattiva delle singolarita' che lo compongono, ovvero la potente svolta epistemica costituita dal protagonismo delle donne, avviato con il separatismo politico (13) negli anni Settanta (Boccia 2002). * Oggi Assumendo il campo politico femminista come un modo di valutare "a che punto siamo oggi" nella relazione tra donne e mondo non parliamo piu' solo della liberazione delle donne, dei loro diritti presunti e mai raggiunti (Pitch 2007), della loro possibilita' di conseguire individualmente posti di potere e di rappresentanza nelle istituzioni pubbliche o nelle grandi compagnie private, ma degli spostamenti prodotti dalle azioni collettive delle donne nelle regole della convivenza e nei differenti contesti e livelli in cui si trovano a confliggere con i dispositivi di decisione collettiva. Sotto questo profilo penso sia necessaria una operazione di recupero e di discernimento delle divergenze e delle convergenze di fondo tra le differenti reti femministe transnazionali perche' la ricchezza delle diverse analisi possa ritrovare lo slancio politico necessario a rimettere in questione gli assetti politici, istituzionali ed economici dell'attuale processo di globalizzazione. E' infatti innegabile che, nonostante il moltiplicarsi delle esperienze e l'accresciuta partecipazione delle donne alle vicende politiche nazionali e internazionali, attualmente il "movimento dei movimenti", le istituzioni multilaterali e le politiche di governance della cooperazione allo sviluppo tendono di nuovo a marginalizzare le voci autonome delle donne. Spesso, come accade nel Forum social, "sussumendole" all'interno di una piu' vasta "resistenza moltitudinaria" (Negri Hardt 2004) come una delle tante singolarita' della resistenza al neoliberismo capitalista. Altre volte invece, come accade nelle Nazioni Unite, leggendole solo come vittime, oggetto di diritti (14), ma non soggetti di politiche attive degni di risorse autonome (15). Piu' spesso ancora "addomesticandole" all'interno degli apparati di gestione dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo che sono definiti sulla base di meccanismi economico-finanziari che relegano l'agire politico, in particolare quello delle donne, in un sociale totalmente subalterno alla costruzione economica del mondo. Ce ne sarebbe abbastanza per essere pessimiste. * Geopolitica e biopoteri Il campo femminista invece, inteso in questa configurazione plurisoggettiva, continua a essere una realta' dinamica, che offre spunti e strumenti critici per affrontare la profonda crisi, il passaggio di civilta', prodotto dalla globalizzazione (Ingrao, Rossanda et al. 1995). Una crisi iniziata alla fine degli anni Settanta (Arrighi 2008) che, soprattutto dopo la caduta del blocco sovietico e la fine dei sistemi comunisti, ha visto consumare velocemente, nel corso degli anni Novanta, anche la possibilita' di una socialdemocrazia basata sulla crescita del Pil (Giddens 1999). Lo si vede bene soprattutto nell'impossibilita' delle Nazioni Unite di avviare una vera riforma del sistema e raggiungere i tanto decantati Millennium Development Goals (16), pensati per rendere sostenibile la convivenza umana nel terzo millennio e naufragati forse gia' prima di essere celebrati e prima del crollo delle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 e della "war on terror". L'evidente contraddizione tra una pretesa democrazia e l'espansione dell'iniziativa economica del capitalismo su scala mondiale ha portato alla corrosione dei sistemi di bilanciamento dei poteri internazionali, lasciando il campo a una organizzazione geopolitica dove il diritto vero e' solo quello del piu' forte, e dove la costruzione giuridica liberale, elemento fondante della democrazia, agisce come amplificatore delle politiche liberiste che sotto la pressione dei capitali internazionali piegano al profitto ogni espressione di vita, anche attraverso la guerra (Shankar Jha 2007). Per uscire dalla crisi forse occorre mettere a fuoco lo spostamento dell'oggetto della politica a livello globale e la crescente espansione degli apparati normativi sulla vita degli individui e sull'organizzazione della vita lavorativa e riproduttiva. In questo senso il campo femminista, che continua ad analizzare le condizioni materiali di vita (Ongaro 2003) e i meccanismi di potere anche nella sfera personale, diviene una fonte di critiche fondamentali per il superamento di questa fase di transizione (Sassen 2007). Basterebbe solo citare il cambiamento radicale che la globalizzazione neoliberista ha prodotto nei sistemi di cura nel Nord del mondo che, passando da un sistema di welfare pubblico a privato, hanno determinato la crescita esponenziale delle migrazioni femminili (B. Ehrenreich e A.R. Hochschild 2004) e una trasformazione degli assetti delle famiglie anche nel Sud del mondo (17). Insomma, di fronte alla deriva antropologica che offusca il presente con nuove ondate di razzismo e xenofobia, dove geopolitica e biopoteri (Negri 2008) sembrano determinare ogni aspetto della vita, il protagonismo delle donne diviene centrale nella ridefinizione dell'umano (Butler 2004), anche se fatica ad assumere la centralita' politica che meriterebbe. * La cooperazione come pratica di trasformazione I movimenti delle donne del Sud del mondo sono in questo esemplari perche' nei diversi contesti istituzionali, economici e sociali in cui si trovavano a operare hanno imparato a condurre conflitti e negoziati (18) politici con i poteri locali e internazionali, unendosi ad altri movimenti che lavorano contro l'attuale modello di sviluppo, ma facendolo in prima persona, cioe' mantenendo la loro autorevolezza e la loro autonomia. Questo e' dovuto, a mio parere, alla capacita' di utilizzare un approccio pragmatico nei confronti delle istituzioni e nella relazione con i centri di potere. Purtroppo questa autonomia e questo pragmatismo difettano molto spesso alle elite tecno-burocratiche che sono responsabili delle "politiche di genere" e di quelle della cooperazione e che attualmente appaiono incapaci di avviare una trasformazione delle politiche all'interno degli organismi nazionali o internazionali in cui si trovano a operare e che quindi disperdono il forte messaggio portato avanti dalle reti femministe transnazionali. La cooperazione nell'epoca della globalizzazione, in questo collegandosi alla sensibilita' dell'ecologismo e all'accettazione dei limiti della crescita e del concetto di decrescita (Latouche 2005), se vuole effettivamente raggiungere gli Obiettivi del Millennio fissati per il 2015, non puo' che assumere una prospettiva diversa dall'attuale, guardando ai soggetti, ma anche agli assetti istituzionali (Carrino 2005), e producendo pratiche di relazione e di mediazione culturale capaci di dare vita a spostamenti epistemologici continui e trasformazioni bipolari, ovvero tra Nord e Sud, tra centro e periferia (Benhabib 2008). Infatti, le risorse necessarie per un welfare globale gia' da adesso potrebbero essere disponibili se, ad esempio, le spese militari fossero riconvertite in spese per lo sviluppo, ma cio' richiederebbe uno spostamento di mentalita' a livello planetario, per fare in modo che le istituzioni di tutto il mondo mutassero radicalmente gli schemi di potere fino ad oggi utilizzati e dessero la priorita' alla convivenza tra gli esseri umani. Le reti del femminismo transnazionale, se recuperassero la capacita' di coesione politica degli anni Settanta potrebbero essere agenti di questo cambiamento. Il fatto che le rimesse dei migranti abbiano superato il volume economico dell'Aps (19) e che quasi la meta' di quelle risorse siano dovute alle donne, e', ad esempio, un indizio di quello che si potrebbe fare se riuscissimo a ricostruire la forza del campo femminista. Attualmente invece le femministe sembrano piu' tese alla mappatura dei femminismi che, proprio nel momento in cui avanzano nell'approfondimento critico sembrano frammentare e disperdere proprio la possibilita' di negoziato politico. Questo produce spesso un effetto diasporico che rende meno efficace l'impatto politico del campo femminista nei contesti locali e internazionali e incrementa l'utilizzo delle donne come un soggetto identitario nella politica istituzionale. La gravita' della "crisi di civilta'", invece, suggerisce l'esigenza di recuperare l'autonomia politica del campo femminista attraverso una maggiore capacita' di relazione e di scambio, se pure conflittuale, tra le tante soggettivita' che lo compongono. Le Nazioni Unite di oggi, infatti, non possono offrire una nuova occasione di incontro sia per la debolezza dell'istituzione che per l'addomesticamento all'interno delle burocrazie subito dalle poche istituzioni per le donne. Per questo motivo occorre negoziare spazi di autonomia politica delle donne all'interno della cooperazione internazionale . L'agire della cooperazione, infatti, se lo si intende come una pratica di relazione, svincolata dall'impostazione economicista del modello neoliberista e anche da quella emergenziale, che negli ultimi anni non ha esitato a usare i diritti delle donne come un pretesto per esaltare lo "scontro di civilta'" (Huntington 1996) e motivare le guerre e l'ingerenza "umanitaria" (Marcon 2002), potrebbe servire a riportare in primo piano il ruolo politico delle donne come agenti della trasformazione degli assetti di potere attuali. Riflettendo su questo punto, inoltre, il campo politico femminista transnazionale dovrebbe forse recuperare la capacita' di dare voce a un nuovo negoziato globale, magari attraverso una convention di reti transnazionali, accademiche e attiviste che riprendano una parola autorevole sul destino dell'umanita'... * Note 1. Segnalo in particolare l'importanza che nel dibattito internazionale hanno avuto alcune riviste femministe americane come il numero di "Signs" su Globalization and Gender (vol. 26, n. 4, 2001), University of Chicago Press; la rivista "Meridians" su Feminism race transnationalism (vol. 3, n. 1, 2002), Wesleyan University Press; e i piu' recenti saggi femministi italiani: AA. VV. Altri femminismi. Corpi, culture, lavoro, Manifestolibri, 2006; "Genesis", rivista della Societa' italiana delle storiche (IV, 2, 2005), Viella 2005; "Zapruder", numero monografico su Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi, n. 13, maggio-agosto 2007. 2. Ricordo che il movimento delle donne italiano era conosciuto tra quelli piu' numerosi e attivi in Occidente per la campagna sulla liberta' di scelta e sulla legge per l'aborto, soprattutto dopo il 1975, e oltre alle pratiche autocoscienziali, si basava su grandi manifestazioni collettive, che mettevano in scena una nuova visione politica. 3. Sotto questo profilo uno degli ultimi e piu' interessanti tentativi di avere uno stato dell'arte mondiale del movimento delle donne e' stato l'International Forum on Women's Rights and Development organizzato dall'Awid (Association for Women in Development)a Bangkok nel 2005 e documentato nel volume n. 1 del marzo 2006 della rivista "Development" della Sid (Society for International Development). 4. Tra le prime, ovvero le pratiche, includo la specifica attivita' dell'aiuto pubblico allo sviluppo denominata in un primo momento "donne e sviluppo" e poi, dalla fine degli anni Ottanta, "genere e sviluppo", mentre tra le seconde, ovvero le culture critiche, ci sono i prodotti teorici e le scelte politiche operate dalle associazioni e dai gruppi femministi che nel tempo si sono molto diversificati, ma che mantengono, a mio parere, un collegamento e una comune origine. 5. Tra le numerose pubblicazioni delle varie agenzie Onu mi sembra che le piu' accurate e credibili per la scelta degli indicatori siano i rapporti annuali dell'Undp (Human Development Report) che contengono al loro interno una specifica sezione che misura il Gdi (Gender Related - Development Index) riferito ai risultati di ciascun paese in tema di capacita' (capabilities) umane divise per sesso e il Gem (Gender Empowerment Measure) che esamina se le donne hanno la possibilita' di partecipare attivamente alla vita economica a quella politica e al "decision making", Non si tratta quindi, a differenza di altri rapporti, di dati qualitativi, ma di una valutazione attraverso indicatori costruiti attraverso dati statistici dei progressi delle donne. Accanto a questo vi sono le compilazioni statistiche mondiali dell'Ufficio Statistico Undesa/Onu quali il World's Women Trends and Statistics, con cadenza quinquennale. L'ultimo e' del 2005. 6. Nel mio lavoro trentennale di esperta di cooperazione in tema di "genere e sviluppo", quasi venti dei quali trascorsi all'interno della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri Italiano, mi trovo spesso a fare i conti con la necessita' di capire come le politiche istituzionali si relazionano con le effettive situazioni di vita delle donne di altri paesi e questo dovere "istituzionale" mi costringe spesso a notare i limiti della gestione degli aiuti pubblici allo sviluppo. 7. Ester Boserup e' un'economista danese, riconosciuta come fondatrice della tematica "donne e sviluppo", autrice di Women's Role in Economic development, del 1970, poi tradotto in Italia nel 1982 con il titolo Il lavoro delle donne. La Boserup ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione della Conferenza di Citta' del Messico poiche' partecipava come esperta alla Commissione sullo sviluppo dell'Onu. 8. La Cedaw poi approvata dall'Assemblea generale dell'Onu il 18 dicembre del 1979. Il testo della Cedaw esprime in modo esemplare il radicale cambiamento della prospettiva all'interno delle Nazioni Unite rispetto ai diritti delle donne poiche' assume anche quelli economici, sociali e culturali e obbliga gli Stati che la ratificano alla eliminazione delle discriminazioni formali e sostanziali contro le donne al di la' delle differenze culturali. Quindi la nuova prassi istituzionale si basava essenzialmente su sviluppo e diritti. 9. Per me, che leggevo le cronache da lontano, fu determinante lo scontro in tema di infibulazione tra la femminista americana Mary Daly (autrice di Gynecology, un saggio comparativo sulle menomazioni fisiche inflitte dalle culture patriarcali alla sessualita' femminile) e le senegalesi Marie Angelique Savanne' e Awa Thiam che rivendicavano, seppure con accenti diversi, il diritto di decidere sul proprio corpo e la propria cultura. Forse anche perche' gia' Carla Lonzi citava nel suo Manifesto Femminista del 1973 la pratica dell'infibulazione mi misi in mente di formare una Associazione Internazionale delle Donne per il Separatismo (dalla parola greca aidos che significa timore e vergogna) e che nell'incontro con Daniela Colombo divenne poi, nel 1981, l'ong Aidos (Associazione Italiana di Donne per lo Sviluppo). 10. Anche in Italia con la rivista romana "Differenze" si registra questo fenomeno e lo si articola nei numeri "autogestiti" dai collettivi romani che si organizzano a turno dal 1976 al '92. E' significativo che l'ultimo numero sia sulla I Conferenza nazionale sul lesbo-femminismo del collettivo "Vivere lesbica". 11. Il lavoro di Angela Davis, Audre Lorde e del primo collettivo di donne nere di Boston (1974) che si definiscono "womanist" inizia gia' nei primi anni Settanta. 12. K. Millet, In volo, Einaudi 1979, illustra il clima di conflitto negli Usa che inizia con la protesta ad una riunione del Now (National Organization of Women) dei collettivi lesbici "lavender menace". 13. Di particolare interesse e' la definizione che venne elaborata durante il "Convegno sul separatismo" del 1977 organizzato a Roma dal Collettivo di via Pompeo Magno "Il separatismo non e' separarsi dalla realta', ma la realta' vista da noi". 14. Sotto questo profilo si e' assistito a una crescente burocratizzazione del sistema di genere, al punto che una delle grandi affermazioni delle donne all'interno delle Nazioni Unite, la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1325/2000 su "Il ruolo delle donne nella risoluzione di conflitti", e' stata disattesa e interpretata come una difesa delle donne dalla "violenza di genere" culminata con la campagna "Unity", lanciata da Ban Ki Moon nel corso della Commission on The Status of Women 2008. 15. I recenti documenti delle istituzioni di genere delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative in preparazione della Conferenza di Doha sui finanziamenti allo sviluppo che si svolgeva a dicembre del 2008, denunciano la mancanza di finanziamenti alle organizzazioni delle donne e alle politiche di genere (vedi sito www.womenwatch.org). La Conferenza di Doha avrebbe dovuto porre le basi per un nuovo ciclo negoziale sullo sviluppo, ma il rallentamento della crescita economica mondiale accresce la crisi del multilateralismo. 16. Gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals o Mdg, o piu' semplicemente Obiettivi del Millennio) delle Nazioni Unite sono otto obiettivi che tutti i 191 stati membri dell'Onu si sono impegnati a raggiungere per l'anno 2015. La Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel settembre del 2000, impegna gli stati a: Sradicare la poverta' estrema e la fame, Garantire l'educazione primaria universale, Promuovere la parita' dei sessi e l'autonomia delle donne, Ridurre la mortalita' infantile, Migliorare la salute materna, Combattere l'Hiv/Aids, la malaria ed altre malattie, Garantire la sostenibilita' ambientale, Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo. 17. Di particolare interesse sono le narrazioni sui mutamenti dei ruoli famigliari che si determinano a seguito dell'emigrazione delle donne. Narrazioni e mutamenti riportati sia nelle ricerca dell'ong internazionale Mama Cash, Migrant's women philantropic practices from the diaspora, e dalle ormai numerose, anche in Italia, opere di scrittrici migranti di prima e seconda generazione. 18. La rivista "Development" della Sid nel numero di marzo 2002, Volume 45, Number 1, dal titolo "Place, Politics and Justice: Women Negotiating Globalization" da' conto del pensiero e delle pratiche politiche seguite dalle donne del Sud del mondo per continuare a portare avanti l'azione del femminismo transnazionale. 19. Nei documenti dell'Ocse/Dac sulla base dei dati del Fondo Monetario Internazionale si dimostra che le rimesse dei migranti hanno dimensioni notevoli. In particolare vedi il paper Remittances as Development Finance (www.oecd.org/dataoecd/62/17/34306846.pdf), dove si afferma che le rimesse dei migranti sono pasate da 72 miliardi di dollari nel 2001 a 93 miliardi nel 2003, superando in modo significativo il totale dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo che nei rispettivi anni era di circa 52 e 69 miliardi. * Bibliografia Arab Human Development Report, The rise of the Women in the Arab World, Undp, 2005. Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino, Feltrinelli, 2008. Aa.Vv., Altri femminismi. Corpi, culture, lavoro, (a cura di) Teresa Bertilotti, Cristina Galasso, Alessandra Gissi, Francesca Lagorio, Manifestolibri, 2006. Aa.Vv., Femminismi e culture. Oltre l'Europa, (a cura di) Maria Clara Donato in "Genesis. Rivista della Societa' italiana delle storiche" (IV, 2, 2005), Viella, 2005. Aa.Vv. Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi, Liliana Ellena e Elena Petricola (a cura di) in "Zapruder", n. 13 maggio,agosto, Odradek, 2007. Aa.Vv. Globalization and Gender, in "Signs" (Volume 26, n. 4, 2001) University of Chicago Press. Seyla Benhabib, Cittadini globali. Cosmopolitismo e democrazia, Il Mulino, 2008. Maria Luisa Boccia, Una differenza politica, Il Saggiatore, 2002. Rosy Braidotti et al., Women and Sustainable Development, Zed, 1991. Rosy Braidotti, Metamorfosi, Einaudi, 2002. Judith Butler, Critica della violenza etica, Feltrinelli, 2004. Judith Butler, La disfatta del genere, Meltemi, 2006. Luciano Carrino, Perle e pirati. Critica della cooperazione allo sviluppo e nuovo multilateralismo, Erickson, 2005. Barbara Ehrenreich e Arlie Russel Hochschild, Donne globali, tate, colf, badanti, Feltrinelli, 2004. Michel Foucault, Biopolitica e liberalismo, Medusa, 2001. Anthony Giddens, La terza via, Il Saggiatore, 1999. Carolyn Hannah Anderson, Gender and development in the United nations System, Lund University, 2000. Sandra Harding, Feminism and Methodology: Social Science Issues, Indiana University Press, 1988. Michael Hardt e Toni Negri, Moltitudine, Rizzoli, 2004. Serge Latouche, Come sopravvivere allo sviluppo, Bollati Boringhieri, 2005. Giulio Marcon, Le ambiguita' degli aiuti umanitari, Feltrinelli, 2002. Giacomo Marramao, La passione del presente, Bollati Boringhieri, 2008. Maria Mies, Vandana Shiva, Ecofeminism, Zed, 1993. Chandra Talpade Mohanty, Third World Women and the Politics of Feminism, co-edited with Lourdes Torres and Ann Russo, Indiana University Press, 1991. Toni Negri, La fabbrica di porcellana, Feltrinelli, 2008. Sara Ongaro, Materiali teorici, in "Posse", Divenire donna della politica, marzo 2003. Tamar Pitch, I diritti fondamentali: differenze culturali, disuguaglianze sociali, differenza sessuale, Giappichelli 2004. Bianca M. Pomeranzi, Prospettiva Pechino, in "Dwf" 1995, 1 (25). Bianca M. Pomeranzi, Una relazione trasformata tra uomini e donne, in "Democrazia e diritto", n. 36, 1, 1996. Shirin M. Rai, Gender and the Political Economy of Development, Polity 2002. Prem Shankar Jha, Il caos prossimo venturo, Neri Pozza, 2007. Rossana Rossanda, Pietro Ingrao et al., Appunti di fine secolo, Manifestolibri, 1995. Saskia Sassen, Globalizzati e scontenti, Il Saggiatore, 2002. Saskia Sassen, Territory Autonomy and Rights, from medieval to global assemblages, Princeton University Press, 2007. Gita Sen e Caren Grown, Development, Crises and Alternative Visions: Third World Women's Perspectives, Paperback, 1987. 2. RIVISTE. "LEGGENDARIA" DI MARZO [Dalla redazione di "Leggendaria" (per contatti: redazione at leggendaria.it) riceviamo e diffondiamo] "Leggendaria" n. 74, fascicolo monografico sul tema "Violenza", 72 pagine, 9 euro. In libreria dal 26 marzo 2009. "Che cos'e' piu' violento, la minaccia di uno stupro per strada o una legge che decide il destino della vita e dei corpi?", scrive Bia Sarasini nel pezzo di apertura del "Tema" del numero 74 di "Leggendaria", che sara' in libreria a partire dal 26 marzo. Esattamente un anno fa, nel febbraio 2008, avevamo dedicato a questo tema il numero "Donne politica violenza", suggerendo che nel clima che si era determinato in vista della campagna elettorale fosse la politica stessa ad essere violenta e a generare violenza: causa del problema dunque, e non invece parte della possibile soluzione. L'intuizione ha trovato conferma, la violenza e' diventata pervasiva e onnipresente, cifra dominante di un discorso pubblico che non esita a spingersi fin nelle pieghe piu' intime delle nostre vite, come ci dicono gli articoli di Assunta Sarlo, Giulia Dalla Negra, Maria Grosso, Mariella Gramaglia e il poema di Pina Piccolo. Perche' un filo robusto lega l'ondata di stupri che si registra nel Paese, la vicenda di Eluana Englaro che sta segnando il senso e il corso della discussione sul testamento biologico, il pacchetto sicurezza che incrementa e legittima la criminalizzazione degli immigrati, donne e uomini sempre piu' considerati non-soggetti su cui esercitare tutta la forza di una legge discriminatoria e razzista. Due reportage allargano l'orizzonte della nostra riflessione: l'uno ragionando sulla portata storica per il Sud America della sentenza della Corte Suprema messicana che di fatto legalizza l'aborto (Emanuela Borzacchiello); l'altro fornendoci un bilancio, scevro di ideologia, della condizione delle donne venezuelane a dieci anni dall'insediamento di Hugo Chavez (Barbara Meo Evoli). Nello "Speciale" Daniela Daniele ci parla di una scrittrice amatissima dalle lettrici italiane: Grace Paley. Potrete poi leggere delle nuove proposte di audiolibri (Nadia Tarantini), di arte (Elisa Coco), di cinema (Maria Grosso), di femminismo e postcolonialismo (Marina De Chiara), di donne e sindacato (Ivana Rinaldi), di giardini (Francesca Neonato). Anna Simone ha parlato con Anna Negri, autrice di Con un piede impigliato nella storia (Feltrinelli 2009), Stefania Lucamante recensisce l'ultimo libro di Melania Mazzucco e Fausta Squatrini quello di Grazia Livi. E poi, come di consueto, molti buoni libri in "Letture" e "Ultimi arrivi". * Per informazioni e contatti: via Giulio Galli, 71/B-2, 00123 Roma, e-mail: leggendaria at supereva.it; sito: www.leggendaria.it ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 241 del 19 marzo 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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