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La domenica della nonviolenza. 206
- Subject: La domenica della nonviolenza. 206
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 8 Mar 2009 10:42:10 +0100
- Importance: Normal
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 206 dell'8 marzo 2009 In questo numero: 1. controviolenzadonne.org: Le donne resistono 2. Letizia Lanza: Le streghe, il rogo 3. Nadia Neri: Indignazione e amarezza 4. Barbara Romagnoli: Con una poesia di Gioconda Belli 5. Fosco Funesti: Da un frammento apocrifo di Autottico Autontimorumeno, scoliasta bizantino. Un volgarizzamento, ovvero una versione 6. Curzia Ferrari: Ferdinando Camon (2001) 7. Silvia Albertazzi presenta "La stanza degli ospiti" di Helen Garner 1. INCONTRI. CONTROVIOLENZADONNE.ORG: LE DONNE RESISTONO [Dalla mailing list di controviolenzadonne.org (per contatti: info at controviolenzadonne.org) riceviamo e diffondiamo] L'8 marzo 2009 sara' giornata di lotta e resistenza per noi donne, in tutta Italia, come confermano le molte iniziative che sono arrivate e contiuano ad arrivare da tutto il paese al nostro sito. L'unica cosa che possiamo e dobbiamo festeggiare in questo giorno e' il nostro coraggio di lottare e orgogliosamente mantenerci libere e autodeterminate, proseguendo il nostro cammino di ribellione al sistema patriarcale nonostante il tenebroso momento politico e lo spaventoso incrudelire della cronaca che vede i nostri corpi e le nostre persone sempre piu' strumento di feroce rivalsa degli esponenti piu' abietti del genere maschile. Controviolenzadonne.org aderisce alla "staffetta" dell'Unione donne in Italia (Udi) ritenendola un'iniziativa politica che testimonia l'impegno delle donne contro la violenza maschile iniziata anni addietro e che andra' oltre l'8 marzo. Noi saremo a Roma in via Andersen domenica 8 marzo alle ore 11 e invitiamo tutte ad aderire all'iniziativa dell'Udi. Grazie a tutte le compagne che sono riuscite ad organizzare un evento per l'8 marzo sul loro territorio e grazie a tutte coloro che ci hanno semplicemente scritto per informarci delle iniziative delle donne. Il vostro lavoro e il vostro impegno sono importantissimi e preziosissimi per tutte le donne. Vi siamo grate. A presto, controviolenzadonne.org 2. OTTOMARZOTUTTOLANNO. LETIZIA LANZA: LE STREGHE, IL ROGO [Ringraziamo Letizia Lanza (per contatti: letizialanza at libero.it) per questo intervento] Ogni anno, nel ricorrere della Festa (meglio: Giornata) internazionale della donna mi ritorna in mente (fin troppo banale) lo slogan famosissimo, tra il minaccioso-adirato e il provocatorio-allegro, delle femministe anni Settanta: "Tremate, tremate / le streghe son tornate". Subito dopo pero', ripenso a eventi e testi che nulla di scherzoso o allegro possono avere, essendo purtroppo legati ad alcune delle pagine piu' buie e infami della Storia non remota. Cito solo due esempi che mi sembrano fondamentali: di eta' lontana anche se non lontanissima il primo, abbastanza recente anche se non recentissimo, il secondo. * Il primo e' un testo a forti tinte misogine - ma non solo, visto che, in esso, la "caccia alle streghe" si infiamma contro la "diversita'" (anche) nel senso di non conformita' al costume sociale dominante o di rifiuto delle dominanti autorita' spirituali. Il quale testo, imprescindibile quanto infame, dimostra come la tema dell'agguato demoniaco, che affrange e ottunde tutto il Medioevo, proceda di conserva con la perdurante ossessione della magia e delle pratiche stregonesche, fino a sfociare nella crudele persecuzione voluta dall'Inquisizione un po' in tutta Europa specie nei secoli XV e XVI, cioe' a dire il Malleus maleficarum: de lamijs et strigibus, et sagis, alijsque magis & daemoniacis, eorumque arte, & potestate, & poena, tractatus aliquot tam veterum, quam recentiorum auctorum, stilato nel 1486 dal teologo domenicano Henricus Institoris o Institor (Heinrich Kraemer) assieme a Jakob Sprenger, lui pure teologo domenicano e in piu' Inquisitore generale per la Germania, entrambi ligi alle direttive della Santa Sede in fatto di persecuzioni avverso streghe in primis, ma anche quaccheri e battisti - tra gli altri -. Ufficialmente approvato dall'Universita' di Colonia come il testo giuridico da utilizzarsi all'uopo, in esso i due domenicani, autorizzati dalla bolla Summis desiderantes affectibus promulgata dal papa Innocenzo VIII nel 1484, spiegano le ragioni dell'Inquisizione, la procedura in ciascun "caso", in ciascun negotium fidei, per la ricerca del "mostro eversivo" nella negazione della dissidenza delle donne (un'edizione recente e' Institoris Henricus, Il martello delle streghe: la sessualita' femminile nel transfert degli inquisitori, Spirali, Milano 2003, 2006). * Il secondo e' un'opera filmica, un capolavoro del 1943: Vedrens dag (Dies irae), che non per caso il regista Carl Theodor Dreyer gira negli stessi giorni in cui i nazisti invadono il suo paese, la Danimarca. Nel film, come gia' ne La passion de Jeanne d'Arc (1928), la protagonista e' simbolo dolente dell'umanita' ferita, ingiuriata, violentata. La vicenda e' ambientata nell'Europa del Nord, l'anno e' il 1623: Marthe, accusata di stregoneria e braccata dalla folla, si rifugia nella canonica del villaggio presso la giovane, seconda moglie del pastore Absalon, Anna; ma a conclusione del processo, presieduto appunto da Absalon, viene comunque catturata, torturata e arsa viva: se la sofferenza e' il tramite per la salvezza, la Storia entra con tutto il suo orrore tra le pieghe del racconto. * Ambedue, mi sembra, proprio in occasione di questa ricorrenza tornano a tremendo, ineludibile monito: e non soltanto con riferimento, del tutto evidente, alle donne... 3. OTTOMARZOTUTTOLANNO. NADIA NERI: INDIGNAZIONE E AMAREZZA [Ringraziamo Nadia Neri (per contatti: nadianeri at hotmail.com) per questo intervento] Due parole mi sembra possano connotare bene questo 8 marzo: indignazione e amarezza, forse va spiegata solo la seconda parola; per le persone della mia generazione che ha partecipato alle prime lotte, ha fatto i primi studi sulla storia delle donne, ha portato alla luce tante biografie e scritti sconosciuti ai piu', era impensabile che si potesse tornare cosi' indietro. Riporto brevi flash per me significativi. Una giovane paziente di 16 anni giocherella mentre parla dei suoi problemi con uno stick che mi fa pensare ad un profumo tascabile... no, mi spiega, e' lo spray al peperoncino regalatole dal padre, ma per lei e' tutto naturale... Una donna mi racconta la sua solitudine in un letto d'ospedale (uno dei piu' noti di Roma) in attesa del parto... senza aiuto medico e psicologico. Una donna separata con due figli piccoli piange perche' deve occuparsi dei figli, il padre non se ne vuole occupare, non le da' l'assegno previsto dalla legge... "c'e' la crisi!", la costringe ogni mese a chiedere i soldi con telefonate che la umiliano, lei non puo' lavorare, ma non riesce a protestare... Un'affermata professionista quarantenne mi racconta con molta tristezza come il marito, professionista anche lui, la umili spesso davanti ai figli quando ha un riconoscimento professionale... "Lavori troppo e poi non ti curi dei figli". Racconti "normali" di questi giorni... siamo veramente sole in una solitudine di cattiva qualita', ma tutti parlano delle donne. 4. OTTOMARZO TUTTO L'ANNO. BARBARA ROMAGNOLI: CON UNA POESIA DI GIOCONDA BELLI [Ringraziamo Barbara Romagnoli (per contatti: barbara0romagnoli at gmail.com) per questo contributo che estraiamo da una piu' ampia lettera personale. La poesia di Gioconda Belli, "Huelga", fu scritta a Citta' del Messico nel 1976 ed e' stata pubblicata nela raccolta Linea del fuego nel 1978] ... l'8 marzo mi suscita sempre emozioni contrastatanti e allora ho deciso di suggerire per la newsletter una poesia di Gioconda Belli, una delle donne che hanno cambiato il mio sguardo sul mondo, e che mi sembra adatta al periodo che stiamo vivendo. Questo e' il mio pensiero per l'8 marzo, augurandomi che non si riempia solo di retoriche mimose ma di parole forti per guardare al futuro con una speranza in piu'. * "Voglio uno sciopero dove incontrarci tutti. Uno sciopero di braccia, di gambe, di capelli, uno sciopero che nasca in ogni corpo. Voglio uno sciopero di operai, di colombe di autisti, di fiori di tecnici, di bambini di medici, di donne. Voglio un grande sciopero, che arrivi sino all'amore. Uno sciopero dove si fermi tutto, l'orologio, le fabbriche lo stabilimento, le scuole l'autobus, gli ospedali la strada, i porti. Uno sciopero di occhi, di mani, di baci. Un grande sciopero dove non sia permesso respirare, uno sciopero dove nasca il silenzio per ascoltare i passi del tiranno che si allontana". 5. OTTOMARZOTUTTOLANNO. FOSCO FUNESTI: DA UN FRAMMENTO APOCRIFO DI AUTOTTICO AUTONTIMORUMENO, SCOLIASTA BIZANTINO. UN VOLGARIZZAMENTO, OVVERO UNA VERSIONE [Ringraziamo il nostro buon amico Fosco Funesti per questo riflesso intervento] Tutti i maschi nascono fascisti. Rovesciando se stessi i migliori uomini diventano. Una dura fatica e' contrastare il fascista che rechi nel pozzo del cuore una dura fatica sapere che ogni giorno e ogni notte hai da lottare con quella belva. E una dura fatica e' anche mettersi alla scuola delle donne sapienti che hanno l'arte di mettere al mondo arte ai maschi per sempre preclusa. Una dura fatica sapersi mutilati del segreto della nascita e dovere elaborare il crudo lutto contendendo alla rabbia onnicida contrastando la schiuma del nulla. Una dura fatica riuscire a difendere la propria umanita'. Una dura fatica e una lotta che e' il cammino di tutta la vita che e' la sola severa dignita'. Chiamiamo civilta' la lotta contro il fascismo. Chiamiamo civilta' lo sbocciare dell'umanita'. 6. PROFILI. CURZIA FERRARI: FERDINANDO CAMON (2001) [Dal mensile "Letture", n. 573, gennaio 2001, col titolo "Ferdinando Camon" e il sommario "Padovano, 65 anni, l'autore di Un altare per la madre ha sempre messo al centro dei suoi libri un mondo remoto e sepolto in una arcaica immobilita', con i suoi poveri oggetti, le sue abitudini, la sua religiosita'..."] Ecco uno scrittore che, partendo dalle concrezioni regional-contadine, e' riuscito a fondare un autentico bilinguismo, nel senso che non si e' dato pensiero delle barriere che nella storia della nostra letteratura hanno separato (e separano) i diversi ambiti linguistici, ma ha fuso con disinvoltura quella che Madame de Stael chiamava "lingua metafisica", adatta al delirio dell'introspezione psicologica, alla ruvida immediatezza del dialetto. In Camon si ritrovano i parlanti piu' che gli scriventi, sebbene una sua particolare intelligenza filologica non consenta mai alla lingua di diventare gergo: semplicemente essa la rende unica, una cifra personale fin dalle prime prove. Prendiamo Un altare per la madre. Attraverso la rilevanza dei nomina e' libro esemplare per la configurazione ambientale e la descrizione dei personaggi inseriti in segni precisi, in un parco di immagini che superano la parola scritta. Quando usci', nel 1978, Un altare per la madre ebbe un'accoglienza molto favorevole, in alcuni casi entusiasta. La mente del critico, stanca di false stupefazioni che si consumano rapidamente senza lasciare, dietro i loro fuocherelli, nemmeno la piu' piccola brace, fu colpita da quell'inno agli umiliati, anzi, agli ultimi. Il loro mondo "ha creato tutto", scrive Camon, "il mio non ha fantasia, non e' fatto per superare la morte perche' non e' fatto per conservare la vita, perche' non e' fatto per i bisogni dell'uomo. Che non hanno fine". Ricco di una forza d'urto del tutto naturale, questo Altare, anche per la sua brevita', ha l'aria di un poema che potrebbe essere tramandato oralmente. Poema non epico, al contrario sommessamente "dolce" (come disse Moravia), senza il proposito di voler dimostrare qualcosa e ben lontano da quella poesia prefabbricata che spesso sostituisce il canto. Il vento contadino di Camon ci e' comunicato senza che su di esso l'autore eserciti un'interpretazione razionale; il suo mondo ci viene incontro con i suoi animali, i suoi poveri oggetti, le sue abitudini, la sua religiosita', il suo linguaggio e un brulichio di piccoli lavori quotidiani per la sopravvivenza, un melange al cui centro la madre richiama - e' stato detto - la figura di Matriona in Solzenicyn (aggiungerei quella di Akulina Ivanovna nell'Infanzia di Gor'kij); e pero' se le donne di campagna che hanno spezzettato le loro forze in mille eroismi si somigliano tutte, un riscontro autentico qui e' soprattutto nelle povere vecchie contadine di marca nostrana (mi e' sembrato di rivedere mia nonna in questo splendido Altare, anche se - invece del dialetto veneto - parlavano quello della Bassa padana, affondata fra le rogge e i filari di gelsi). * Il tempo della campagna Nel suo Novecento, Geno Pampaloni, riandando alla prima raccolta di versi di Camon, Fuori storia, ha scritto che "il mondo del Veneto contadino, remoto e sepolto in una sua arcaica immobilita', e' il tema poetico dei suoi libri che contano". E ha aggiunto che esso trae forza dalla "collera memoriale che si alimenta del tempo eterno della campagna, una sorta di aldila' pietrificato nella distanza e nella rassegnazione cattolica". Certo, il tempo eterno della campagna e' eterno nei suoi cicli, non nei suoi costumi sociali, oggi fortemente mutati. Solo un reinvestimento del sacro nelle cose del ricordo puo' accostarsi all'immortalita' dei cicli e delle stagioni: li' la cultura di Camon tende a perpetuarsi, lontanissima da quel decor intimo spesso sotteso ai memoriali. Una collera, forse. Ma soprattutto un lacerante amore - il basso continuo di tutte le opere che rinvengono a ritroso qualche ritaglio del suo mondo infantile o raccontano, come in un gioco d'ombre, l'immutabile passaggio delle generazioni dove "quelli che erano vecchi si trovarono morti, quelli che erano giovani si trovarono vecchi, e quelli che non c'erano si trovarono in vita" (da La vita eterna). Si trovarono. Rinvennero se' stessi. Un verbo che annulla la facolta' di un qualsiasi intervento dell'uomo e rende al meglio la condizione degli impotens. * Il romanzo d'esordio Nel 1970 Ferdinando Camon ha pubblicato Il quinto Stato - romanzo d'esordio e serbatoio di tutte quelle energie vitali che sarebbero state travasate, amplificate, sublimate nei suoi lavori successivi, Un altare per la madre, La vita eterna, eccetera. Pasolini nei suoi Scritti corsari ne fece un'analisi approfondita definendolo una delle opere piu' originali della narrativa italiana del tempo. Scrisse: "Siamo di fronte alla civilta' orale della classe subalterna, ai suoi valori, al suo spirito, che si traducono in codici espressivi e interpretativi imparlabili attraverso la lingua della cultura della classe dominante". Egli sperava in un riscatto, in un recupero della civilta' contadina, come si spera nella verita' di un mito religioso, cioe' in un qualcosa di anteriore all'ordine attuale del mondo, in cui si fondano le ragioni della vita e si trovano gli archetipi di quello che l'uomo dovrebbe operare nella sua esistenza. Eppure il presagio della demolizione di questa utopia, sostituita dai miti laici dell'infallibilita' della scienza, dell'onnipotenza della tecnica e del progresso, e' amaramente presente in Camon. Nel suo libro egli stabilisce un centro e una periferia. Il centro e' lui stesso insieme al mondo progredito del "figliol prodigo"; la periferia e' il mondo da dove viene, con i genitori che si profilano dentro uno spazio agricolo per certi aspetti spettrale (la morte di una civilta', appunto) e l'antenato biblico che parla dialetto, anzi scrive una lettera a colui che si e' permesso di gettare discredito sulla famiglia giocando liberamente con i suoi impudichi congegni letterari. E' un libro in cui Camon si azzuffa con se stesso - condizione, del resto, rinvenibile anche altrove, in diversi contesti tematici. Nell'incertezza del dopo-contestazione una letteratura come quella di Camon e' infatti impossibilitata a definirsi in se stessa. Non e' piu' leadership, ma diventa una forma interdisciplinare che deve vedersela col giornalismo, la critica, la politica, la psicanalisi. Non solo. Come s'e' detto, egli manifesta una cospicua esigenza di rottura rispetto al linguaggio, e forte e' il desiderio di entrare in comunione con il pubblico parlando con le sue stesse parole. Il rapporto fra il dire e l'esistere in lui appare primario; sicche' ci chiediamo se i suoi personaggi (al di la' del discorso familiare) non siamo per caso noi stessi, magari qualche vicina di casa, di viaggio, ribaltata in uno specchio profondo e vittima, in qualche modo, di un sopruso intellettuale - come accade a Michela, la protagonista de La donna dei fili. * I cuoricini rossi argentini Tradotto in spagnolo, il romanzo usci' naturalmente anche in Argentina. Ebbene, in quella occasione, Camon ricevette da una donna di Buenos Aires una strisciolina di seta con attaccati tanti cuoricini rossi e un biglietto che diceva: "Ma questa e' la mia storia. Dove ci siamo conosciuti?". Camon sente il bisogno di rimanere attaccato alla realta', alla terra. Non solo in senso memoriale, come e' per le opere raccolte nel cosiddetto "ciclo degli ultimi" (Il quinto Stato, la Vita eterna, Un altare per la madre, Mai visti sole e luna) o nel "ciclo del terrore" (Occidente, Storia di Sirio, libri che gli procurarono reazioni persecutorie da parte dei gruppi estremi e lo costrinsero perfino ad abbandonare la propria citta' con la famiglia). Il reale, indagato in mille superfici, tenuto sotto osservazione nelle sue circostanze marginali ed essenziali, balza vivissimo, interrogante, disordinato - ad esempio - nei romanzi dedicati alla psicanalisi, il regno della dissepoltura degli incubi per il raggiungimento di quel lontano "io" bisognoso di sicurezze. Con il suo stile piano e dichiarativo, la sua propensione alla limpidita' intesa a farsi comprendere dall'alto, dal basso e di lato, Camon non poteva inclinare che a scelte assolute, alla dottrina freudiana. "Io ho bisogno dell'ortodossia perche' mi da' una sorta di sicurezza, la sicurezza di appartenere alle grandi fedi collettive", ha confessato in un'intervista del 1981. "E' forse un bisogno che deriva da una formazione cattolica, da una militanza comunista, da un'avversione per le posizioni gruppettare che mi comunicano il senso del rischio, dell'errore". Dov'e' la spavalderia (apparente) di Camon? Ha fatto sette anni di analisi - per prova, forse, ma non lo nasconde. Del resto, da quando e' franata la coscienza di appartenere a una civilta' solida e immutabile, lo scrittore (il quale possiede una cultura molto meno specifica di altri) non si sente piu' arroccato e protetto in cima a una torre, ma in balia di mutamenti continui, con il proprio "capitale" esposto a venti obliqui e la necessita' di un ancoraggio. La psicanalisi e' per molti la nuova Chiesa. Fuori dal ghetto rassicurante che era la letteratura (sublimazione estetica o pura liturgia), lo scrittore - sbattuto fra una sedicente sinistra e una destra culturale conservatrice - spesso piomba nel dissenso come mistificazione, quindi come merce, magari appetibile: il disagio vivo dei dissenzienti pero' resta, e soprattutto il problema inalienabile del se', che e' problema di tutti. E' su questo tema che negli anni Ottanta Camon scrive ben tre romanzi: La malattia chiamata uomo, La donna dei fili, Il canto delle balene. Diventa "il narratore della crisi". Nel primo libro (autobiografico) il maschio dei nostri giorni "va in analisi come in guerra": nel secondo e' l'altra meta' del cielo a essere indagata con colpi di sonda progressivi: mentre il terzo e' dedicato all'analisi di coppia - libro stravolgente e amaro, sebbene arieggiato in un vago spirito hoffmanniano, con l'analista, un ciarlatano da commedia dell'arte, che recita la parte del saccente e deruba marito e moglie dei loro segreti, compie intrusioni fatali e disintegra ogni complicita' in spirali di inutili investigazioni. * La cara amica di scuola L'avvilimento del marito finisce per spingere l'uomo nelle braccia di una vecchia compagna di scuola. Storia semplice, quasi banale. Per dirci che cosa? Che ogni persona, ogni coppia ha bisogno di conservare i propri segreti, gli servono angoli esclusivi, un sotterraneo dove cio' che accade non sia raccontato a nessuno e non si celebri, come in questo caso, l'infedelta' peggiore con la coppia moglie-analista che rivive in studio le emozioni da lei provate la notte nel letto coniugale. Perfino le balene prendono il largo e vanno lontano, molto lontano, quando intonano il loro canto d'amore. Viene fuori l'inclinazione alla riservatezza di Camon, come nella Donna dei fili viene fuori il desiderio di capire l'universo femminile d'oggi. Dopo il ritratto inimitabile della madre, ecco il ritratto di Michela, l'uno immobile, l'altro situato su una piattaforma declive e allacciato alla nuova malattia (la nevrosi) da una matassa di fili: il cordone ombelicale, il filo del telefono, i binari dei treni, il mondo fatuo dei giornali per donne, la sessualita', il marito, la figlia, le crisi notturne, l'ossessione delle mestruazioni, il lavoro, lo sgomento e l'attrazione oscura della morte. Lo spazio visuale di Michela e' ristretto a se stessa. Anzi, nemmeno se stessa lei vuol vedere - diciamo, in positivo - se fin dal mattino, appena alzata, si nasconde dietro un paio di occhiali scuri. Camon fa parlare l'inconscio attraverso le vicende del corpo - Freud trionfa - e il linguaggio anche qui si sdoppia, svaria da cio' che dice il corpo e cio' che suggerisce il profondo. Al posto dell'interferenza del gergo c'e' la confusione inquietante dei depressi che crea un duplice modo di vedere (e di scrivere) e sbalza di continuo da un piano all'altro nell'inseguimento di una sfuggente realta'. E' una prova della sua facolta' di "saper leggere" e "saper scrivere" insieme. Ed e' infine - questa storia di Michela - una conferma del suo gusto per l'estremo - estrema poverta', estrema depressione, estremo odio per i tedeschi, bisogno di ortodossia, dunque di un credo estremo. Di qui la sua potenza narrativa e il suo ruolo di seppellitore delle ideologie (all'estremo c'e' sempre la morte) dopo esserne stato in qualche modo il sostenitore. * La psicanalisi e il suo rovescio Anche la psicanalisi, in ultimo, mostra il suo rovescio. Con una vena ironica, sottile come il percorso di una crepa in un muro, Camon la abbandona. Dopo essersi cimentato con le manie di una madre che vuole a tutti i costi un figlio vincente, torna alle zolle per spargere nuove lacrime sulla fine della civilta' contadina: pianto mai interrotto, del resto, lutto non mai smesso, se tutti i guasti dell'urbanizzazione e del progresso sembrano derivare da quella fine. Lasciandosi alle spalle tematiche di crisi, c'e' il sospetto che egli voglia anche glissare sul ruolo perduto del maschio. Il canto delle balene prelude all'epitaffio del succube Natalino di Super-baby: "La nascita non e' un affare maschile. Esiste la maternita', non esiste la paternita'. Io non ero incinto, e non avevo messo incinta nessuna!" (c'e' di mezzo la banca del seme con i suoi mostruosi laboratori). Parole che implicano una incontestabile supremazia femminile, quella delle madri goethiane, le custodi del regno dell'Essere che presiedono alla formazione del corso della vita in tutti i tempi e in tutti i luoghi, e ne vigilano la memoria. Il Veneto della tribolata e miserrima epoca agreste non c'e' piu'. Al suo posto una regione ricca, piena di industrie piccole e grandi, che ha razionalizzato l'agricoltura e produce primizie. Anche sulla guerra e le vicende partigiane si e' posato oltre mezzo secolo di polvere. Cio' nonostante, Camon rida' esca alle vicende del tempo passato in Mai visti sole e luna e nella raccolta di poesie Dal fondo delle campagne. Perche'? Che senso ha rimestare una materia sulla quale si e' gia' abbondantemente esercitato e che non offre piu' riscontro nell'attuale realta'? Vi sono scrittori che traggono forza e prestigio da una radice immarcescibile che ricarica senza sosta il dispositivo della loro creativita' con una linfa che si espande secondo direzioni immutabili per sentimento, ideali e scelte tematiche. Non si tratta di un disinnesto dalla realta', ma della pertinacia memoriale di un qualcosa - di un tempo - che vorrebbe preservare il quotidiano attuale dal contagio degli elementi che portano alla dimenticanza. Camon appartiene a questa schiera. Egli fa del suo teatro contadino, qui ambientato nel clima della Resistenza, un archetipo della societa' divisa in oppressori e vittime, torturatori e torturati. Sa bene che gli attori e i caratteri fondanti dello spettacolo sono morti; ma l'archetipo non morira' mai, perche' la giustizia e' impossibile. La giustizia. Camon e' fisso al suo demone, sia che ci racconti storie di terra, di resistenza o di terrorismo. Ci si azzuffa, fin quando il demone che si torce contro provoca ribellioni accanite, anzi odio. Quello che nutre verso i tedeschi e' indomabile e viene "corretto" persino da Primo Levi - che pure di motivi ne aveva per essere durissimo - durante l'intervista-conversazione del 1986, pubblicata nel '91. Dice Camon: "Non si tratta di spiegare un particolare del comportamento tedesco nel tempo del nazismo, ma tutto quel comportamento, in generale. E non un momento della storia dei tedeschi, ma una sua lunga direttrice, che attraversa la loro mitologia, la loro conversione - Freud li definiva 'battezzati male' -, il loro luteranesimo, il loro senso della salvezza e della perdizione". Risponde Levi: "Se permette, dissento da questa interpretazione. I tedeschi del tempo di Goethe non erano cosi'. Se legge le novelle di Maupassant sull'occupazione prussiana della Francia, si accorge di una durezza, ma non molto diversa da quella degli altri eserciti". * Il concetto di giustizia Altro senso assume il concetto di giustizia (i tedeschi, par di capire, e' ingiusto che esistano), allorche' l'autore si scontra con i propri personaggi; tra questi il terrorista nero e un contadino del profondo Nord. A quel punto avviene una specie di slogamento. Alla controffensiva degli interroganti (dei rimproveranti), Camon - con un piacere masochista, si direbbe - si mette a ribattere, a ragionare, a cercare il vero e il giusto magari anche contro se stesso, perche' ogni autore ha con i suoi lettori un conto in sospeso e certe volte sente l'esistenza dell'altro "come propria negazione". E' Camon uno scrittore religioso? Come tutte le persone che soffrono lacerazioni e conflitti e passano da una societa' povera di beni, di sapere, di potere ma ricca di cuore, a un'altra radicalmente diversa, egli presenta senza dubbio molte fessure da cui il soffio di Dio penetra e forma una nicchia. Certo, non perde occasione per rendere partecipe il lettore dello sdoppiamento tra il suo "personale processo di santificazione" e quello proposto (imposto) dalla Chiesa. Il divario e' sempre presente. E pero', come dice Pampaloni, fin dall'ormai lontano Fuori storia il nostro rivela la coscienza di una societa', forse utopistica, ma non importa, destinata a realizzarsi al di la' delle vicende degli uomini in un alone di "segreta mestizia e di santita'". E se Gian Carlo Ferretti nella postfazione a Un altare per la madre parla di recupero dell'etica cristiana che e' stata alla base della civilta' in cui Camon e' nato e cresciuto, si capisce il commento alla conclusione dell'intervista a Primo Levi, il quale dichiara: "C'e' Auschwitz, quindi non puo' esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo". La ricerca, sottolinea Camon, non si arresta per il fatto di non trovare, "dunque l'esito finale non e' il non-trovare, ma la ricerca stessa: che continua". Al di la' della contingenza, come non intuire che egli si riferisce all'intera rete delle proprie linee interne? Esse cercano di recuperare mezzi di visibilita' negati alla mente, per sicurezze che possono essere raggiunte solo tramite la metafisica, la poesia, o liturgicamente come per i suoi antenati. Il suo e' uno scrivere per capire, per capirsi. Cosi' le pagine oscillano tra l'analisi spietata, il ritratto, la fantasia, e creano ostacoli da ogni lato, al punto che ci chiediamo: chi e' infine questo nostro scrittore che non nasconde di sentirsi giustiziere di epoche, e intanto ricompone i pezzi anatomici di un corpus sociale e morale il cui solo elemento superstite e' la fede? Di critica su di lui ne e' stata fatta tanta, ma ancora restano degli enigmi. * Da conquistare con pazienza Nel mondo delle lettere c'e' un fenomeno moderno, la comparsa dello "scrittore intelligente" (ne parla E. M. Cioran ne La fin du roman), dello scrittore che e' narratore e insieme critico: lo e' all'interno dei propri romanzi prima ancora che in qualita' specifica di critico. Non dobbiamo dunque meravigliarci se talune opere contemporanee sono piuttosto lontane dal lettore comune, abituato al mondo dell'immagine, se vanno "guadagnate" con un po' di pazienza, magari con l'aiuto dello scrittore stesso e del suo lavoro parallelo di critico. Nel caso di Camon, oltre alle lettere di coloro che si identificano nei suoi personaggi, ci e' molto utile la sua produzione critica. Gli articoli su quotidiani, raccolti nel volume Avanti popolo, appartengono a un genere di giornalismo introspettivo sempre piu' raro, tipico del saggista dotto e sottile. Naturalmente si puo' condividere o meno, come in ogni caso, del resto. Essendo i suoi valori antagonistici al sistema su tutta la linea, egli si trova sempre ad aprire porte, oggi quasi impossibili, sulla sorte dell'uomo, ben conoscendo il privilegio (o la condanna) di poter dare parola, immagine e segno a tutto cio' che e' rimasto non detto o dai piu' e' ritenuto inutile, persino offensivo poiche' contro. Ferdinando Camon ha incontrato i maggiori poeti del nostro tempo e li ha indagati da vero psicologo; da ognuno ha tratto, al di la' degli aspetti noti e conclamati, la gravita' di fondo, i contenuti della coscienza, la posizione assiologica rispetto alla realta' e alla nonrealta' poetica. I particolari della persona e delle abitazioni lo introducono alla lettura del personaggio: i baffi di Quasimodo (e' da li' che comincia l'esplorazione del suo mondo), la voce "malata" di Pasolini, il paralizzante silenzio dello studio di Luzi, la ricca e ordinata biblioteca di Sanguineti... Lo stesso metodo Camon ha seguito nelle conversazioni con gli scrittori, che costituiscono un volume parallelo. Anche li' ha cercato con intelligenza le radici degli autori che hanno determinato le varie correnti narrative del nostro tempo - lui, uno dei protagonisti, quasi a stabilire confronti, rapporti, verifiche. Attualmente, Camon medita di dare un seguito alla raccolta di poesie Dal fondo delle campagne, "perche' la mia lotta per il recupero della memoria non puo' avere tregua. Una ricchezza indifferente ai valori, e' miseria e mi da' sofferenza". Ma forse avra' una continuazione anche il romanzo-cronaca La terra e' di tutti, libro inconsueto per Camon, fatto di parole non scavate ma soffiate. Soffiate nel suo orecchio da parlatori occasionali, colf, tassisti, maghi, missionari, immigrati, un giornalista - il tutto tenuto assieme con l'uso molecolare dell'ironia. Un po' nera, magari. Distruttiva. Dice a un cliente, il tassista della Terra: "Nel giorno in cui nascera' il figlio del diavolo finisce l'epoca cristiana. Siamo prossimi, dottore". * Dal "Mestiere di poeta" alle "Campagne" 1935. Ferdinando Camon nasce a San Salvaro d'Urbana, piccolo paese in provincia di Padova, il 14 novembre. Vive a Padova. E' sposato, ha due figli. 1965. Pubblica il suo primo libro, Il mestiere di poeta, Garzanti, come quasi tutti gli altri suoi libri successivi. 1970. Il quinto Stato esce in Italia con una appassionata presentazione di Pier Paolo Pasolini. E' subito tradotto in Francia per iniziativa di Jean-Paul Sartre. 1973. Con la raccolta di poesie Liberare l'animale, dedicata alla campagna, vince il Premio Viareggio. 1975. Pubblica Occidente. 1978. Un altare per la madre, il suo libro piu' famoso, riceve il Premio Strega. In seguito, vince il Campiello (1989) e il Pen Club (1994), di cui diventa poi presidente. 1984. Storia di Sirio conclude il "ciclo del terrore" iniziato nel 1975 con Occidente. 1991. Esce il romanzo Il Super-Baby (ora ripubblicato da Garzanti nella collana "Gli Elefanti"), storia del parto vista dal nascituro. 1998. Esce Dal fondo delle campagne. Collabora a "La Stampa", "Le Monde", "Liberation" e altri quotidiani. * Hanno scritto di lui Cesare De Michelis, "Ferdinando Camon", in Studi novecenteschi, 1985. Claudio Toscani, "Ferdinando Camon", in Novecento. Gli scrittori e la cultura letteraria nella societa' italiana ; Marzorati 1989, vol. XI. Angela M. Jeannet, "Ferdinando Camon", in Dictionary of Literary Biography (italian novelists since World War II, 1965-1995), London, 1998. Raffaele Liucci, "Ferdinando Camon", in "Belfagor", fasc. V, settembre 2000. Diverse edizioni di Camon sono inoltre prefate o postfate da noti critici. 7. LIBRI. SILVIA ALBERTAZZI PRESENTA "LA STANZA DEGLI OSPIT" DI HELEN GARNER [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 marzo 2009 col titolo "La fatica di morire in un libro di Helen Garner. Storia autobiografica dell'autrice australiana"] Helen Garner, La stanza degli ospiti, Mondadori, pp. 191, euro 18,50. * La morte resta, per l'editoria, un tabu'. L'omicidio, l'assassinio, la fine violenta sono, ovviamente, materia prima del giallo e del noir; il decesso spettacolare o strappalacrime vendono bene nel melo, cosi' come la meditazione filosofica o ironica (o tutt'e due) sul trapasso da parte di un io narrante intento a contemplarsi l'ombelico continua a essere condicio sine qua non del monologo interiore (post)modernista. Ma alla morte quotidiana, quella lenta, sporca, del malato terminale, quella che non ha nulla di romanzesco e che insidia la vita tanto di chi se ne va quanto di chi resta, a quella morte che ci mette brutalmente a contatto con la nostra stessa mortalita', si cerca di evitare qualsiasi riferimento nel titolo, nelle note di copertina e nella pubblicita' dei nuovi romanzi. Cosi' accade che il dolente e veritiero La stanza degli ospiti dell'australiana Helen Garner, storia autobiografica di tre settimane passate dalla scrittrice ad accudire un'amica malata di cancro in fase terminale, venga presentato al pubblico italiano, sul risvolto di copertina, come una riflessione sui limiti dell'amicizia, del rispetto e dell'altruismo, e il duro approssimarsi della fine venga indicato, con abusata metafora letteraria, come una "odissea". Ne' di maggior aiuto e' la citazione estrapolata dal testo in quarta di copertina, dove la frase "La morte non puo' essere negata", tolta dal suo particolare contesto narrativo, appare poco meno che una risaputa banalita'. A chi legge, quindi, arriva come un pugno nello stomaco la vicenda di Helen, un'intellettuale sessantaquattrenne con un passato da hippy, ora madre e nonna felice, che si ritrova ad ospitare Nicola, una coetanea malata, che nega risolutamente il proprio stato terminale e insegue cure miracolistiche, affidandosi a ciarlatani nel tentativo di aggrapparsi ad ogni possibile speranza. E intanto urla di dolore, la notte, nel letto impregnato di urina e sudore, e' scossa da tremori febbrili e ha bisogno di attenzioni che vanno dalla semplice compagnia alle abluzioni nelle parti piu' private del corpo. Il libro di Helen Garner e' saturo della rabbia e dell'impotenza della protagonista di fronte alla corruzione e alla fatica del morire, cosi' che si trova nel dilemma di dover scegliere tra la propria sanita' fisica e mentale e l'aiuto all'amica. Il problema dell'assistenza ai malati terminali e, tra le righe, quello dell'accanimento nella ricerca di un'impossibile guarigione, la non accettazione della morte e la salvaguardia della vita, trascorrono nelle pagine di Garner con inusuale leggerezza. Non succede niente, nel libro. Solo, si muore. Un poco di piu' ad ogni pagina. Brutalmente, lentamente, senza grandi gesta, senza ultime parole famose, ne' con un tuono ne' con un lamento, vigliaccamente e circondati da vigliaccheria, sporcizia e fetore, come succede nella vita di ogni giorno. L'unico romanzo recente cui si potrebbe accostare La stanza degli ospiti e' Everyman di Philip Roth, un'altra narrazione di morte dura e breve che ha sconvolto piu' di un lettore. Ma laddove Roth, con maschile cinismo, fa morire il suo anonimo protagonista da solo, in un letto d'ospedale, in seguito a un'operazione chirurgica, la sensibilita' femminile porta Helen Garner a calarsi in prima persona nel conflitto tra cura del malato e preservazione della propria stessa salute fisica e incolumita' mentale: ne' la sua Nicola muore sola, perche' al suo capezzale si alterneranno da ultimo le amiche di tutta una vita, tante donne pronte a fare i turni per aiutarla, sfiancandosi di lavoro per lei. A una trentina d'anni da Monkey Grip, il suo primo e piu' famoso romanzo, uno dei lavori piu' tremendi e piu' spudoratamente sinceri che siano stati scritti sul rapporto tra amore e droga (tradotto in italiano una decina di anni fa e passato completamente inosservato) Helen Garner esplora un'altra relazione tabu', non quella tra amicizia e sacrificio di se', come suggerirebbero le note di copertina dell'edizione italiana, ma quella tra la nostra vita e la morte altrui. Una relazione, quella tra la giovane innamorata e l'amante tossicomane, che non puo' concludersi se non con una rottura, con la scelta di un taglio netto, sia esso l'abbandono, o la morte, per preservare la propria minacciata, sfibrata, offesa integrita'. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 206 dell'8 marzo 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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