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Nonviolenza. Femminile plurale. 238
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 238
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 26 Feb 2009 07:21:49 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 238 del 26 febbraio 2009 In questo numero: 1. L'8 marzo a Sasso Marconi 2. Alcuni estratti da "Le donne nella storia europea" di Gisela Bock 3. Francesca Borrelli: Tre voci dall'Africa 1. INCONTRI. L'8 MARZO A SASSO MARCONI [Da varie persone amiche riceviamo e diffondiamo] L'Assessorato alle Pari opportunita' del Comune di Sasso Marconi promuove l'iniziativa "8 marzo: La vita, le scelte delle donne. Riflessioni, letture, musica". * Domenica 8 marzo 2009, ore 16-19,30, Sala Renato Giorgi, piazzetta del Teatro, Via del Mercato, Sasso Marconi Ore 16: saluto inaugurale. Saluti di Marilena Fabbri (Sindaco di Sasso Marconi) e Sandra Federici (assessora alle Pari opportunita' di Sasso Marconi). Ore 16,15: Vite di donne nel Bilancio di Genere della Commissione Mosaico; Davide Conte (sociologo, curatore scientifico del Bilancio di Genere della Commissione Mosaico): Come la politica puo' favorire le capacita' delle donne e le loro possibilita' di scelta; Letizia Lambertini (coordinatrice della Commissione Mosaico): Continuita' e innovazione nelle politiche dell'ultima legislatura. Stacco musicale con Manu Napolitano, chitarra e Stefania Ferrini, voce (Associazione Calicante). Ore 17: Gruppo Gimbutas, 8 marzo. La nostra vita. Donne del Gruppo M. Gimbutas raccontano la loro vita: i figli, il lavoro, le aspirazioni, la realta'. Chi le aiuta, il pubblico, il privato... Letture poetiche per ricordare la fatica quotidiana delle donne, pensieri per le donne dei paesi in guerra, per le tante donne sottoposte a violenza nel mondo. Interviene e conclude Maria Giuseppina Di Rienzo (giornalista, esperta di questioni di genere) Al termine delle letture Carla Fini dell'azienda agricola Le Fattorie di Montechiaro, offrira' un assaggio dei prodotti della sua terra. Inoltre sara' presente, con i propri prodotti naturali a base di lavanda, Antonella Dolcetta dell'azienda agricola Picaflor che offrira' alle signore in sala un piccolo omaggio. In Sala Atelier saranno esposti i lavori realizzati con la creta dai ragazzi delle scuole medie di Sasso Marconi negli atelier guidati da Monica Macchiarini. * 9 marzo 2009: Festa della donna al Centro diurno comunale. Letture, poesie, ricordi. Il Gruppo M. Gimbutas sara' a festeggiare con le anziane del Centro Diurno Comunale il 9 marzo alle ore 10. * Per ulteriori informazioni: 051843525. 2. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "LE DONNE NELLA STORIA EUROPEA" DI GISELA BOCK [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Gisela Bock, Le donne nella storia europea. Dal Medioevo ai nostri giorni, Laterza, Roma-Bari 2001, 2003 (ed. originale: Frauen in der europaeischen Geschichte. Vom Mittelalter bis zur Gegenwart, Beck, Muenchen 2000), traduzione di Benedetta Heinemann Campana] Indice del volume Prefazione alla prima edizione di Jacques Le Goff; Premessa; 1. La "querelle des femmes": una disputa europea sui sessi; La dignita' dell'uomo e la dignita' della donna; Misogamia e misoginia, filogamia e filoginia; Il potere dei padri, degli uomini, delle donne; 2. La Rivoluzione Francese: la disputa si riapre; Speranze; Diritti dell'uomo e diritti della donna; Amazzoni e controrivoluzionarie; Napoleone e la rivoluzione in Europa; Intrighi notturni; 3. Rotture ed eruzioni: una terza disputa sui sessi; Sviluppi, dibattiti, argomenti; L'"angelo del focolare"? Ideali e realta'; Lavoro vecchio e nuovo; Prefemminismo e protofemminismo; Un movimento sociale; 4. Dal sociale al politico; Movimenti nazionali e transnazionali; Uguali perche' diverse: il discorso politico del suffragismo; Precursori e ritardatari: percorsi europei verso il suffragio delle donne; Diritti civili e diritti delle madri; Politica sociale pro e contro le donne; 5. Fra estremi; Le cittadine e la Donna Nuova; Maternita' e paternita' nello Stato sociale; Verso la dittatura: politico e privato; Nazionalsocialismo e politica razziale; Guerra e genocidio in Europa; 6. Diritti civili, politici e sociali: una nuova disputa dei sessi; Liberta' e uguaglianza; La rivoluzione piu' lunga; Storia, spirito e sesso; Note; Bibliografia; Indice dei nomi. * Da pagina 7 La "querelle des femmes": una disputa europea sui sessi "Quid est mulier?" (Tertulliano, ca. 200 d.C.) "Cosa sono le donne?" (Christine de Pizan, 1402) La storia europea e' ricca di testimonianze di quanto diversamente possano venir recepiti e interpretati i due sessi, le loro peculiarita' e i loro rapporti. Nella querelle des sexes si discusse per secoli, spesso in forma di lamento e di accusa (querelle), su cosa e come siano, debbano e possano essere le donne e gli uomini. Le prese di posizione su questo argomento si moltiplicarono nel primo Rinascimento, soprattutto in Italia, in Francia, in Spagna e ben presto anche negli altri paesi europei. Alla loro diffusione contribui' la crescente importanza della parola scritta e della forma scritta acquisita dalle lingue volgari europee, nonche' la stampa, la riproduzione di immagini e gli innumerevoli fogli volanti. Alla querelle parteciparono sia scrittori che scrittrici: gli autori scrissero sia opere ostili alle donne (invettive contro le donne, disprezzo delle donne, misoginia) sia opere a favore delle donne (difesa delle donne, lode delle donne, filoginia); i testi conservati scritti da donne sono per lo piu' a loro favore. Tuttavia, che cosa venisse giudicato a favore o contro le donne dipendeva di volta in volta dal contesto. Fra le voci della querelle che sono giunte fino a noi, quelle femminili sono in minoranza, ma costituiscono una notevole percentuale di tutti gli scritti di donne di quell'epoca. La disputa ebbe origine nel Medioevo, si sviluppo' nel Rinascimento, sotto l'influsso dell'Umanesimo e della riforma religiosa, e prosegui' fino all'Illuminismo. * La dignita' dell'uomo e la dignita' della donna "Che le donne non siano della specie degli uomini" (1647) Nel tardo Medioevo e anche - in Italia - nel primo Rinascimento, fu rilanciata la questione della natura umana. Nel suo scritto pionieristico De dignitate hominis (1486) Giovanni Pico della Mirandola parlava degli uomini: Dio aveva rivolto solo ad Adamo le parole in base alle quali l'uomo e' libero di seguire la propria natura e di scegliere la propria vita. La tesi della dignita' umana era rivolta contro la piu' vecchia dottrina della miseria humanae conditionis, formulata da papa Innocenzo III. La miseria riguardava soprattutto le donne. I Padri della Chiesa avevano attribuito ad Eva la colpa del peccato originale e identificato con le donne la sessualita' e il peccato. Per Tertulliano la donna era la "porta di ingresso del diavolo" (ianua diaboli) e per Agostino la sessualita', anche coniugale, era un peccato. Secondo Girolamo, era possibile evitare il peccato solo vivendo in assoluta castita', poiche' l'amore dell'uomo per la donna, personificazione del male e della tentazione, non poteva essere compatibile con l'amore di Dio e quindi costituiva una minaccia per la salvezza dell'anima dell'uomo. Gli uomini che desideravano la salvezza dovevano guardarsi dalle donne, le donne da se stesse. Tertulliano e Crisostomo si chiesero "cos'e' la donna?" e risposero a questa domanda con un lungo elenco di difetti: "nemica dell'amicizia, male necessario, tentazione naturale, minaccia della casa, danno dilettevole, natura del male". Una rigida polarizzazione fra i sessi era assolutamente consueta; nella sintesi fra Aristotele e la Bibbia operata dalla scolastica questa polarita' (attivo-passivo, forma-materia, spirito-carne, bene-male, valore-indegnita' ecc.) venne leggermente attenuata, ma in sostanza la donna, che Aristotele considerava un "errore della natura", rimase anche per Tommaso d'Aquino un "uomo malriuscito" o incompleto (mas occasionatus). A dire il vero sia Tommaso che Aristotele sottolinearono l'importanza del ruolo domestico della donna (il primo insistette anche sul fatto che entrambi i sessi fossero stati creati a immagine e somiglianza di Dio e pertanto fossero entrambi suscettibili di salvezza), ma solamente a condizione che fosse l'uomo a detenere il potere. Dalla considerazione che la donna fosse indispensabile non derivava necessariamente la sua parita' di rango. Il mas occasionatus era destinato a rimanere a lungo nella sua condizione, per quanto discussa essa fosse. * Da pagina 182 Le donne dell'Ottocento quindi non sono state solo vittime delle trasformazioni sociali. Qualunque fosse il tributo richiesto alle donne dall'industrializzazione - i salari bassi o il lavoro domestico non retribuito - il problema comunque non era la mancanza di lavoro, bensi' la poverta' e la dipendenza. L'ideale femminile diffuso in tutte le classi non corrispondeva alla realta' sociale e le donne potevano agire in svariati campi. Le differenze materiali e culturali risultavano dalla situazione personale, dai diversi settori economici, dal mutare della relazione fra poverta' e benessere e - tanto per le donne che per gli uomini - dall'appartenenza all'una o all'altra delle classi sociali in via di formazione. Tuttavia la vita delle donne - come nella societa' dell'Ancien Regime - era notevolmente diversa da quella degli uomini della loro stessa classe, alla quale esse non appartenevano (e non appartengono tuttora) a nome proprio, ma attraverso i "loro" uomini, padri o mariti che fossero. Nell'ultima fase dell'industrializzazione, quando divenne sempre piu' oggetto di discussione la visione economica e culturale del marito come "sostentatore" e della moglie come "operaia dell'amore" (nel senso letterale del termine era comunque lei a "sostentare" la famiglia), in tedesco fu creata l'ironica allitterazione Kinder, Kueche, Kirche (bambini, cucina e chiesa). Invece la variante che era stata proposta seriamente da Schmoller, Kueche, Keller und Kammer (cucina, cantina, dispensa) divenne anacronistica perche', soprattutto in citta', ben poche famiglie potevano disporre di una vera e propria cantina per le provviste. Il movimento femminista critico' e ironizzo' questo luogo comune, procurandogli diffusione internazionale. Esso divenne il simbolo di una vita domestica che veniva ritenuta tipica per la Germania soprattutto dalle femministe non tedesche, come riferi' Kathe Schirmacher di ritorno dal Congresso internazionale delle donne, tenutosi a Londra nel 1899. Nel 1904 Clara Zetkin cito' un giornale secondo il quale la tradizionalista imperatrice tedesca (ben diversa da sua suocera, l'"imperatrice Federico") consigliava alle donne di attenersi alle "quattro K" e cioe' Kirche, Kinder, Kueche und Kleider (chiesa, bambini, cucina e vestiti); si parlava anche di Kinder, Kueche, Kaiser (bambini, cucina, imperatore). La femminista ed ebrea tedesca Henriette Fuerth, che aveva studiato economia politica e - fenomeno assai insolito ai suoi tempi - era madre di otto figli, nel 1914 descrisse la trasformazione della donna in "schiava domestica" come un prodotto del secolo XIX, reclamo' un cambiamento e una rivalutazione del lavoro femminile e fece del sarcasmo sulla "triade di bambini, cucina e conversazione" (Kinder, Kueche, Konversation). Nello stesso anno, la storica americana Mary Beard cito' di nuovo questo luogo comune, asserendo, pero', di ritenere sorpassate da tempo, negli Stati Uniti, "le tre K, le vecchie sfere della donna". La poverta' delle donne, la loro dipendenza tanto materiale che intellettuale e le tre, o sette, K divennero i bersagli del movimento femminista internazionale. * Da pagina 333 Anche in Italia il passaggio duro' un decennio, ma, diversamente che nell'Unione Sovietica, non condusse all'eliminazione di organizzazioni femminili separate, bensi' alla loro creazione da parte del fascismo. Fino al 1925, quando Mussolini sembrava ancora appoggiare il suffragio femminile, e anche per qualche altro anno, molte femministe italiane, comprese molte ebree, credevano che nel nuovo Stato sarebbero riuscite a realizzare almeno alcuni dei loro intenti, in particolare il miglioramento della situazione femminile per mezzo dell'impegno sociale. I fasci femminili - composti per lo piu' di donne giovani e combattive, come le prime comuniste e le seguaci di Hitler - negli anni Venti erano una piccola minoranza; a volte protestarono anche apertamente contro l'antifemminismo fascista. La marchesa Maria Spinelli Monticelli nel 1926 protesto' contro l'abolizione delle elezioni comunali sciogliendo il suo fascio femminile di Milano e per questo fu esclusa dal partito. La socialista e suffragista Teresa Labriola, che a quell'epoca era la piu' famosa intellettuale italiana, si converti' lentamente al fascismo, all'interno del quale cercava spazio per un "femminismo italico" ("le donne devono acquisire anche qualita' virili che consistono nella consapevolezza del senso di appartenenza a una stirpe e a una nazione"), e nel 1927 asseri': "La tesi della partecipazione alla vita sociale non e' necessariamente parte del bagaglio democratico; puo' essere concepita anche da quelli che combattono il parlamentarismo; [...] insomma non contraddice alla dottrina e alla praxis del fascismo". Nel 1925 fu fondata l'Opera Nazionale per la Maternita' e l'Infanzia (Onmi), finanziata da offerte e da sussidi statali; in essa le donne, che tuttavia erano pressoche' escluse dai ruoli direttivi, si sforzavano di assistere e di educare all'igiene le madri sole e povere, anche nelle arretrate zone di campagna. Alla vigilia della fondazione dell'Onmi, Olga Modigliani, una femminista di antica famiglia ebraica, che gia' da tempo era impegnata nell'assistenza alle madri nubili, aveva avuto funzioni di consigliera presso la commissione competente nel primo gabinetto Mussolini; nel 1934 il Consiglio internazionale delle donne, durante il suo congresso a Parigi, ebbe parole di ammirazione per l'assistenza alle madri e ai bambini prestata dal fascismo. Vicepresidente della sezione romana dell'Onmi era la filantropa piemontese Daisy di Robilant che nel 1931 venne eletta presidentessa del Consiglio nazionale delle donne italiane, fondato nel 1903. Alcune fasciste protestarono contro il fatto che le donne fossero scarsissimamente rappresentate nel Consiglio superiore delle corporazioni (1929); ma almeno fu nominata membro del Consiglio superiore la presidentessa della Corporazione delle levatrici. Il ministro per le Corporazioni, Giuseppe Bottai, nel 1931 nomino' come prima delle tre consigliere donne Adele Pertici Pontecorvo, esperta di diritto del lavoro e fautrice dei diritti delle donne, che in Italia era stata la prima donna notaio - una nomina impensabile nella Germania nazista, dove alle giuriste non veniva concessa la minima opportunita'. Durante il fascismo la Pertici Pontecorvo porto' davanti al Consiglio di Stato parecchi casi di discriminazione delle donne. Solo alla vigilia della guerra di Abissinia e in seguito, dopo l'inizio della guerra nel 1935 e come reazione alle sanzioni economiche della Societa' delle nazioni e alla conseguente politica autarchica (il vecchio futurista Marinetti dichiaro' "antivirili" gli spaghetti, in quanto il grano era merce d'importazione e le donne avevano cose piu' importanti da fare che stare ai fornelli), il fascismo mobilito' un quarto delle donne adulte. In un primo tempo, l'allineamento delle donne fu ottenuto per mezzo dei fasci femminili; il loro organo di stampa era il "Giornale della donna", gia' rivista del movimento femminista, a cui collaborava Teresa Labriola. Ai fasci, che alla fine degli anni Trenta contavano settecentocinquantamila iscritte, si aggiunsero l'organizzazione delle massaie rurali (piu' di un milione e mezzo) e quella delle operaie in fabbrica e a domicilio (Sold, mezzo milione), che pretendeva dai suoi membri contributi inferiori a quelli del partito ed era quindi piu' attraente. Solo a meta' degli anni Trenta furono soppressi i residui del vecchio movimento femminile (alcune delle sue protagoniste, ad esempio Ersilia Majno Bronzini, nel frattempo erano morte). La Federazione nazionale laureate e diplomate, di orientamento internazionale, di cui facevano parte anche molte ebree, fu sostituita nel 1935 da un'organizzazione fascista e fu costretta dalle autorita' a "sciogliersi spontaneamente". Dopo la promulgazione delle leggi razziali del 17 novembre 1938, furono proibiti, nello stesso anno, a causa dell'alta quota di ebree fra i loro membri, anche il Consiglio nazionale delle donne italiane e la venerabile Unione femminile. Forse non fu un puro caso che cio' sia avvenuto proprio quando in Germania, dopo il pogrom del novembre, i nazisti sciolsero la lega delle donne ebree. In entrambi i paesi cio' segno' - almeno da un punto di vista retrospettivo - l'inizio della fine; tuttavia l'assassinio delle ebree e degli ebrei italiani sostanzialmente non fu opera del fascismo, ma del nazismo. * Da pagina 394 Liberta' e uguaglianza Un nuovo modo di essere, di amare, di vivere. Diversamente da quello classico, il nuovo movimento delle donne comparve improvvisamente e provocatoriamente alla fine degli anni Sessanta, entro il 1975 divenne un movimento di massa e fu caratterizzato sin dall'inizio dalla comunicazione a livello internazionale. Nel 1968, in occasione dell'elezione di Miss America, alcune donne americane incoronarono una pecora, gettarono il reggiseno, i bigodini e i cosmetici in una "pattumiera della liberta'" e seppellirono la femminilita' tradizionale nel cimitero nazionale di Arlington. Una brigata Jeanette Rankin, cosi' denominata dalla prima donna eletta in parlamento nel 1919, organizzo' una marcia della pace su Washington. Gruppi provocatori si denominavano bitch (sgualdrina) o Witch (strega: Women's International Terrorist Conspiracy from Hell); il nome delle Redstockings di New York (coniato su bluestockings, le "calzette blu", famigerate da secoli) fu adottato anche in Danimarca. Le femministe danesi dettero l'assalto agli autobus, pagando solo 1'80% del prezzo del biglietto, in conformita' con la quota del salario delle donne rispetto a quello degli uomini. In Gran Bretagna protestarono contro l'elezione di Miss Universo, dettero appoggio alle operaie in sciopero e lanciarono nella sinistra il dibattito sulla liberazione delle donne. A Parigi alcune deposero sulla tomba del milite ignoto presso l'Arc de Triomphe una corona con la scritta "Alla moglie ignota del milite ignoto", altre invasero la redazione della nota rivista femminile "Elle". In Olanda le Dolle Mina (cosi' chiamate in ricordo di Wilhelmina Drucker, che era stata una pioniera del vecchio movimento delle donne) attirarono su di se' l'attenzione per mezzo di azioni spettacolari. Nella Repubblica Federale Tedesca volarono pomodori contro i compagni del Sozialistische Deutsche Studentenbund (Lega tedesca degli studenti socialisti) che si rifiutavano di prendere sul serio la liberazione delle donne. A Berlino, il "Consiglio di azione per la questione della liberazione della donna" e a Francoforte il "Consiglio delle donne" avviarono la loro separazione dalla sinistra, vecchia e nuova. In seguito, ma anche prima, nacquero gruppi indipendenti di donne; uno di essi si chiamava brot & rosen (pane e rose) come lo slogan coniato nel 1912, invece di bread and butter, dalle operaie in sciopero di Lawrence, Massachusetts. A Berlino sorsero i primi Kinderlaeden (letteralmente: botteghe per i bambini) che poi si diffusero in tutta la Germania; si trattava di asili organizzati autonomamente, prendendo in affitto dei locali, da gruppi di madri che si alternavano nella sorveglianza dei figli in eta' prescolare; nacquero anche come alternativa all'educazione autoritaria impartita negli asili di infanzia e nelle famiglie. Entro poco tempo sorsero dovunque Centri femminili dai quali si diramarono gruppi, vennero lanciati progetti alternativi e nacque una nuova "controcultura". Le cosiddette "Case delle donne" (in Gran Bretagna nel 1980 ne esistevano gia' duecento) accoglievano donne maltrattate e, tramite appositi centri o linee telefoniche, si provvedeva all'assistenza di donne vittime di violenze sessuali. A Roma, Torino e Milano le donne organizzarono dimostrazioni notturne per protestare contro il fatto di non poter uscire di notte da sole senza correre pericoli da parte degli uomini; il loro motto "riprendiamoci la notte" divenne uno slogan internazionale. Veniva propagata la necessita' di essere impazienti: il primo film femminista, girato a Berlino, aveva il titolo Die Macht der Maenner ist die Geduld der Frauen (Il potere degli uomini e' la pazienza delle donne). Ovunque i piccoli gruppi e le loro reti di comunicazione erano l'anima del movimento. Di stampo americano erano soprattutto tre innovazioni diffuse in tutta Europa. In primo luogo, le donne fondarono gruppi di autocoscienza in cui analizzavano la loro situazione personale e le sue cause generalizzabili. In secondo luogo, nacquero gruppi self-help e consultori autogestiti, spesso ispirati al manuale Our Bodies, Ourselves (1970) pubblicato dal Boston Women's Health Book Collective, il quale spiegava i molteplici nessi fra il corpo e la soggettivita'. Il libro venne tradotto in molte lingue (in italiano nel 1974 con il titolo Noi e il nostro corpo) e fino al 1995 ne furono venduti tre milioni di copie. In terzo luogo, fecero sentire le loro voci le donne lesbiche (il termine "lesbica" comincio' ad essere usato solo dagli anni Venti, anche se le relazioni fra donne erano sempre esistite); molte di esse abbandonarono i gruppi omosessuali misti e aderirono al movimento femminista, sempre che non vi avessero svolto un ruolo sin dall'inizio. L'accusa rivolta alla discriminazione delle donne lesbiche era unita all'idea che l'amore e la solidarieta' fra donne potessero offrire un'alternativa al dominio maschile. Si levarono asperrime critiche al concetto di Freud della donna come uomo incompleto; The Myth of the Vaginal Orgasm, scritto dalla newyorchese Anne Koedt (1970), fu recepito a livello internazionale (alcuni elementi di quest'opera si potevano gia' trovare in pubblicazioni degli anni Venti). In Italia e in Gran Bretagna, a partire dal 1972, fu iniziata una campagna per la retribuzione statale del lavoro domestico, che si diffuse anche in Germania, negli Usa e in Canada. Essa si basava sull'argomento che il lavoro extradomestico non aveva liberato le donne e dimostrava che in realta' anche le donne "non lavoratrici" lavorano e che, anzi, tutte le attivita' retribuite dipendono dal lavoro non retribuito svolto dalle donne nella famiglia. Affermava che disporre di denaro favorisce l'indipendenza delle donne anche all'interno del matrimonio e chiedeva che gli assegni famigliari, l'assicurazione per la vecchiaia e le norme in caso di divorzio tenessero conto del lavoro svolto dalle donne in casa e per l'educazione dei figli. Solo quando il lavoro domestico non fosse piu' stato gratuito, esso si sarebbe anche trasformato e ridotto, per mezzo di efficienti elettrodomestici, della collettivizzazione e della suddivisione con gli uomini. Come il movimento femminista nel suo complesso, questa campagna rifiutava, con lo slogan "salario contro il lavoro domestico", il ruolo della casalinga e le tradizionali fatiche domestiche, nonche' la loro variante modernizzata: il "problema senza nome", come l'aveva definito e messo sotto accusa Betty Friedan nella sua notissima opera La mistica della femminilita' (1963, pubblicata in italiano nel 1964). * Da pagina 434 Si impongono due delle molte domande suscitate da queste scoperte. La prima e': che cos'e' il "femminismo"? Esisteva gia' prima che si diffondesse questo termine, alla fine dell'Ottocento? Se con il termine si intende (come di consueto oggi nei paesi di lingua inglese) un grido di rivolta, sommesso o acuto, pubblico o privato, contro la condition feminine, allora il femminismo esiste gia' da secoli, se non da sempre. Se invece con il termine "femminismo" si intende un movimento sociale di donne animate da una concezione femministica del mondo, allora si tratta di un fenomeno specifico del XIX e del XX secolo. In questo caso, trattando delle voci precedenti, sara' preferibile usare i termini che esse stesse usavano, per esempio "liberta'", che anche in passato era un termine tanto noto quanto amato. Seconda domanda: perche' sono stati necessari tre decenni di ricerca storica per rendere evidenti queste tradizioni che contraddicono la prima supposizio ne del nuovo movimento femminista, e cioe' che la sua rivolta e il suo linguaggio siano sorti come l'araba fenice dalle ceneri di un'oppressione e di un mutismo secolari? Una delle risposte e': fino al Settecento ci furono, e' vero, molte voci "femministe", ma non ci fu una vera e propria tradizione che potesse permettere alle voci successive di riallacciarsi a quelle precedenti. Il motivo va visto nella generale esclusione delle donne dall'istruzione, dalle sue istituzioni e dai suoi strumenti, dal mondo della cultura e dalle biblioteche, e anche nel fatto che le voci delle donne non trovarono risonanza duratura da parte degli studiosi maschi che avevano una posizione di egemonia nella tradizione culturale europea. Per questo motivo, fino ai nostri giorni, le donne che anelavano al sapere e alla trasformazione hanno dovuto ogni volta "reinventare la ruota". La piu' recente reinvenzione della ruota ha condotto a tre problemi, che a loro volta hanno aperto nuove questioni, nuovi metodi di soluzione e una nuova fase del dibattito sui sessi, svoltasi in questo caso principalmente fra le studiose. Il primo problema riguardava gli uomini, il secondo le donne, il terzo i sessi. Sin dall'inizio la nuova storiografia sulle donne fu anche una storiografia sugli uomini, dato che non e' possibile isolare la storia di uno dei due sessi da quella dell'altro. Inoltre la storia delle donne fini' con il condurre a una storia dei sessi: infatti non solo le donne, ma anche gli uomini sono creature appartenenti a un sesso e sarebbe fuorviante considerare il sesso maschile come personificazione dell'umanita' in generale e quello femminile invece come personificazione del particolare (a lungo il suffragio incondizionato degli uomini si chiamo' suffragio "universale" e tuttora si parla di "suffragio universale degli uomini", il che costituisce una contradictio in adjecto, dato che "universale" oggi significa "senza distinzione di sesso"). Insomma, che cosa sono gli uomini e come si sono trasformati nel corso della storia? Ci si mise alla ricerca del "primo" sesso. In secondo luogo era altrettanto chiaro sin dall'inizio che non tutte le donne hanno la stessa storia - essa e' diversa a seconda degli individui e a seconda della loro appartenenza, insieme agli uomini, a molti altri gruppi - e che quindi non si puo' trattare della donna, ma solo delle donne. Il sesso femminile, come quello maschile, non esiste al singolare, ma solo al plurale; alla domanda che cosa significa "donna" e che cosa "sono" le donne occorre dare risposte diversissime a seconda del tempo e dello spazio; la storia del "secondo" sesso non e' meno complessa di quella del "primo". Pero', inoltre, soprattutto sotto l'influsso del postmodernismo e del decostruttivismo, venne messo generalmente in dubbio che il termine "donne", anche al plurale, avesse ancora un senso e fosse ancora definibile in modo relativamente univoco. Si tratta infatti, in conformita' con uno degli impulsi del movimento femminista, di rifiutare e di cancellare il concetto dell'"esser donna" come una forma di identita' collettiva. Trasformato in termini storici, cio' significa che Sojourner Truth, se vivesse ai giorni nostri, dovrebbe cambiare la sua famosa domanda And ar'n't I a woman? in "E non sono forse un'identita' fluttuante?". Il XXI secolo dimostrera' se questo nuovo raggio della vecchia ruota e' abbastanza forte per farla continuare a rotolare. Comunque le donne "sono" donne (e pertanto esseri umani), anche se al contempo questo "essere" e' aperto e indefinito e puo' variare a seconda del tempo, dello spazio e dall'appartenenza ad altre "imaginated communities"; l'esser donna non e' ne' un dato "obiettivo" ne' solo una costruzione immaginaria o fittizia. Se questo sembra un paradosso, va sopportato e tollerato: e' questa la forma odierna del paradosso tematizzato da Olympe de Gouges e da tante altre. E quando si tratta di fonti storiche, di liberta' e di uguaglianza o del loro contrario, e di affirmative action e' senz'altro possibile riconoscere e identificare le donne con sufficiente chiarezza. 3. HUMANAE LITTERAE. FRANCESCA BORRELLI: TRE VOCI DALL'AFRICA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 ottobre 2008 col titolo "Tre voci dall'Africa. Protagonisti della stagione postcoloniale" e il sommario "Un profilo degli scrittori ai quali oggi a Addis Abeba verra' assegnato il Grinzane for Africa. Sono il poeta e romanziere nigeriano Ben Okri, il saggista e narratore keniota Ngugi wa Thiong'o e il giovane romanziere angolano Ondjaki"] Niente altro se non l'appartenenza a uno stesso continente accomuna i tre scrittori che oggi verranno premiati a Addis Abeba, per la prima edizione del Grinzane for Africa. Tanto la lingua del piu' giovane, l'angolano Ondjaki, e' volutamente calcata sulla colloquialita' popolare, sboccata e provocatoria, tanto sorvegliata e' la vena di magia che percorre la prosa del nigeriano Ben Okri, e vigile il realismo profondamente radicato nella sua terra del keniota Ngugi wa Thiong'o. Si potrebbe procedere per paragoni che evidenziassero la distanza fra i tre, ma sarebbe un esercizio inutilmente retorico perche' basato su un assunto inesistente, ovvero che ricevere lo stesso premio possa costituire un elemento di fratellanza letteraria. * Meglio cercare, allora, di mettere a fuoco queste tre figure poco note in Italia, la piu' giovane delle quali, Ondjaki, e' nato a Luanda nel 1977, una citta' che nel suo secondo romanzo, Le aurore della notte (a cura di Vincenzo Barca, Edizioni Lavoro, pp. 169, euro 12) appare enormemente caotica, sovrapopolata, insistentemente piovosa, e tuttavia cosi' capace di creare nostalgia che morirvi e' impossibile: perche' - come accade a uno dei personaggi - il richiamo della citta', e piu' in generale di tutta l'Angola, e' cosi' struggente da vincere la monotona bellezza del Cielo e attirare verso di se' chi era gia' passato all'altra riva dell'esistenza. Laureato in sociologia, Ondjaki ha riversato nel suo romanzo anche la resa stilistica dei suoi studi sulle estigas, battute di spirito, prese in giro ma anche insulti che si scambiano i suoi personaggi. Se sono formule lessicali interessanti - ci segnala Vincenzo Barca nella sua introduzione - e' proprio perche' si presentano come "vere e proprie battaglie verbali in cui e' messa alla prova la capacita' di ciascun contendente di colpire l'altro attraverso il ricorso a un linguaggio densamente figurato, che si avvale di allegorie, similitudini e metafore". * Meritatamente piu' celebre, Ben Okri e' non soltanto romanziere, ma poeta e autore di distillati di saggezza, alcuni dei quali sono raccolti nella piccola antologia suggestivamente intitolata La tigre nella bocca del diamante (Minimum fax, trad. di Aurora Caredda, pp. 131, euro 8,26). Vi si leggono, per esempio, professioni di fede nelle virtu' trascendentali dei poeti, che per cantare le sfere segrete delle nostre esistenze "hanno bisogno di vivere dove altri non si curano di guardare" e contano tra i loro nemici soprattutto coloro che si adoperano a immiserire il senso di meraviglia del mondo a cui Ben Okri e' particolarmente devoto. La sua fama tocco' improvvisamente tutti i continenti quando vinse nel 1991 il Booker Prize grazie alla caleidoscopica vena immaginifica riversata nel romanzo La via della fame. Ne e' protagonista uno spirito-bambino che partecipa di entrambe le sue nature senza volere decidere a quale aderire, gia' abbastanza stordito dall'essere nato nel cuore di quello che gli sembra un gran paradosso, ovvero che la sua vita di bambino preveda la ineluttabilita' della morte. E cosi' va e viene tra i due mondi, quando si ammala ingaggia lotte furibonde con i suoi compagni dell'altra sponda perche' lo lascino tornare quaggiu' e quando finalmente riapproda tra noi ci porta in dote immagini meravigliose con le quali lascia in sospeso la nostra credulita', immagini che godono di una logica onirica e ci sollevano dai nostri radicamenti nella razionalita', trasportandoci dove e' possibile tutto cio' che e' pensabile. Del resto, ha scritto Ben Okri, il presente conta tra gli antagonisti dei poeti tutti coloro che hanno paura della realta' sprigionata dalle alchimie delle parole, mentre il passato ha iscritti in se' i primi narratori nelle vesti di "maghi, veggenti, bardi, griots, sciamani". Erano questi gli antichi maestri capaci di trasformare i misteri in miti, cosi' da "aiutare la comunita' a superare di volta in volta l'oscurita' con occhi bene aperti e cuori accesi". Spesso ingaggiati dai re, questi narratori dei quali Ben Okri si sente un erede, divennero "la memoria delle origini di una nazione": si aggiravano preziosi come "biblioteche viventi" e si proponevano come "custodi delle leggende e della tradizione". Benche' alcune sue pagine siano profondamente radicate nel contesto della guerra civile nigeriana, la vena di Ben Okri sembra alimentarsi molto di piu' che al genere del reportage in forma di finzione alle storie "degli incantatori africani", storie che gli arrivano come "viaggi entro i sogni dimenticati dei secoli" e gli appaiono cosi' prepotenti da ricordare i "fiumi che reclamano la loro terra". Nonostante la sua scrittura sia straordinariamente lussureggiante di fantasie e proiettata in mondi che trascendono la nostra finitezza, Ben Okri mostra nei suoi scritti saggistici di apprezzare ugualmente quella prosa scarna che sembra non cercare valori aggiunti, confidando nel contributo attivo di un lettore-ermeneuta. Un lettore il cui compito di completare cio' che legge si risolve essenzialmente nel ricongiungersi a quel "disagio umano fondamentale che e' l'indizio dell'umana imperfezione". Del resto, scrive Ben Okri, dove "c'e' perfezione non ci sono storie da raccontare". Quanto a lui, ricorda che comincio' a scrivere in un piovoso pomeriggio dei suoi quattordici anni: rimasto solo in casa, per ingannare il tempo prese un foglio di carta e si propose di disegnarvi quel che vedeva allineato sulla mensola del caminetto. Gli ci volle all'incirca un'ora e cio' che ne venne fuori lo giudico' "orribile". Poi prese un altro pezzo di carta e si dispose a scriverci una poesia: gli ci vollero dieci minuti e il risultato gli parve "tollerabile". Da allora decise che la sua strada era segnata e che tanto per cominciare si sarebbe proposto di ricombinare insieme l'invenzione di nuovi sogni e vecchie memorie d'infanzia. E' chiaro che l'autore nigerano della Via della fame assegna agli scrittori un potere non solo taumaturgico ma anche profetico: infatti li descrive come "sismografi che misurano l'avvicinarsi di terremoti nello spirito dei tempi", mentre ribadisce il suo radicamento nelle astrazioni proprie della mente africana, il cui "narrare e' essenzialmente filosofico". * Non altrettanto disposto a generalizzare, interrogato sulla specificita' della scrittura africana il keniota Ngugi wa Thiong'o risponde che "andrebbe considerata, piuttosto, l'individualita' di ciascun autore, non diversamente da quanto e' lecito proporsi esaminando qualsiasi altra letteratura". Il suo rigore si espresse fin dall'inizio nella risposta che diede a una questione divenuta per lui assillante: come riannodare, anche nella scrittura di finzione, quel legame con le masse che era indispensabile per guadagnarsi incisivita' politica. Diversamente da quanto aveva creduto uno scrittore pure emblematico come Achebe, il quale contava sul tradizionale ruolo-guida degli intellettuali, per Ngugi gli scrittori non potevano e non possono limitarsi a parlare in nome delle moltitudini che rappresentano, perche' devono invece adottare "i loro stessi termini". Sarebbe stato necessario, dunque, superare la frattura espressa dalla imposizione delle lingue europee, e tornare agli idiomi locali. Ngugi lo fece, ripetutamente e senza esitazione. Dopo avere esordito con racconti, opere teatrali e romanzi in inglese, si ando' impegnando in una battaglia per "decolonizzare l'immaginario" e spostare il centro della letteratura dalla lingua inglese, francese e portoghese alla prospettiva infinitamente piu' plurale delle lingue africane. Di tutto il suo tragitto biografico parla negli scritti contenuti in Spostare il centro del mondo (a cura di Cristina Lombardi-Diop, trad. di Carmen Nocentelli Truett, Meltemi, 2000), dove a piu' riprese rende il suo tributo commosso alle secolari lotte dei lavoratori, al loro orgoglio nazionale, alla dignita' con cui sfidarono la potenza dell'impero britannico e costrinsero il colonialismo a ritirarsi, per paura del contagio che il modello della resistenza Mau Mau avrebbe potuto diffondere nelle altre colonie britanniche. C'era bisogno che queste lotte ritrovassero i loro cantori, soprattutto dopo che il regime di Moi aveva tentato di metterne a tacere l'eco. Lo stesso Ngugi venne rinchiuso, nel 1977, in un carcere di massima sicurezza per avere scritto - insieme a Ngugi wa miru - l'opera teatrale intitolata Mi sposero' quando vorro', tra le cui pagine si ribadisce come il ruolo protagonista nella decolonizzazione del Kenia sia spettato a persone del tutto comuni: l'accusa era di rivolgersi "al popolo, in una lingua che il popolo poteva capire". Un analogo provvedimento colpi' di nuovo Ngugi quando, nel 1982, cerco' di mettere in scena ancora un lavoro sullo stesso tema, intitolato Maitu njugira. Allora la polizia chiuse il teatro e, di nuovo, quando quattro anni piu' tardi usci' nella lingua kikuyu il romanzo Matigari arresto' l'autore. Protagonista del libro e' un uomo che non arriva a comprendere come mai l'ultima parola su cio' che viene prodotto non spetti a coloro che quel manufatto lo hanno lavorato, e come mai la menzogna venga sistematicamente premiata: cosi' si mette a girare per il paese e a porre questioni imbarazzanti sulla verita' e sulla giuistizia. In molti si affezionarono al personaggio di Matigari e la sua fama comincio' a propagarsi come se si trattasse di una persona realmente esistita: il dittatore Moi ordino' dunque il sequestro del libro e i magazzini della casa editrice vennero svuotati. La formazione di Ngugi - che e' nato a Limuru, sul bordo della Rift Valley, nel 1938 - si avvio' alla fine degli annni '50 quando raggiunse l'Uganda per studiare all'universita' di Makerere, che era la capitale intellettuale dell'Africa orientale e centrale, dove ci si rifugiava anche per scampare al terrore scatenato dagli inglesi nel rispondere alla resistenza Mau Mau: e' qui, a Makerere che, scoprendo l'esistenza delle letterature africane e di quelle caraibiche, Ngugi provo' i suoi primi entusiasmi nel leggere il mondo da un centro che non fosse l'Europa. Ed e' qui che scopri' di avere una vocazione letteraria. Il suo romanzo piu' famoso resta ancora Un chicco di grano, libro dalla struttura complessa ma dalla lingua piana e trasparente, che sullo sfondo ha sessant'anni di lotte sostenute dal popolo keniota per l'indipendenza: Ngugi lo scrisse a Leeds, dove studiava come borsista del British Council, e lo pubblico' nel 1967, mentre tra gli studenti africani che esibivano il libro di Frantz Fanon, I dannati della terra, si andava facendo strada la necessita' di tornare alle loro lingue originarie. Ngugi era tra quegli studenti: aveva appena pubblicato un romanzo in inglese per celebrare le moltitudini fatte di contadini, falegnami, poveri lavoratori, grandi portatori di pesi, e pero' proprio loro non sarebbero stati in grado di leggerlo: "avevo ermeticamente sigillato le loro vite in un contenitore linguistico", fu il suo commento a posteriori. E proprio da quella consapevolezza parti' la sua stagione piu' matura, quella che avrebbe lavorato, almeno dal punto di vista linguistico, a "spostare il centro del mondo". * Postilla. Il convegno. Una occasione per addentrarsi nella letteratura africana La prima edizione del premio Grinzane for Africa, che verra' assegnato oggi ad Addis Abeba, ha scelto come vincitori il keniota Ngugi wa Thiong'o, il nigeriano Ben Okri, e il giovane angolano Ondjaki. L'iniziativa fa parte delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della fondazione della United Nations Economic Commission for Africa. Il premio nasce con un duplice intento: da una parte celebrare scrittori africani gia' affermati nel mondo e tradotti in numerose lingue, dall'altra segnalare giovani autori che si stanno affacciando sulla scena internazionale, rendendo possibile la pubblicazione di una loro opera tradotta in Italia. Il progetto prevede l'attribuzione del premio, per ogni singola edizione, a rotazione nei diversi paesi africani. I tre autori premiati rappresentano due importanti aree linguistiche africane, l'anglofona e la lusofona. Il 23 ottobre presso l'Istituto di Cultura, parallelamente alla consegna del premio, verra' organizzato un convegno dal titolo "Time for Africa. The Kaleidoscope of African Literature" che sara' imbastito sul rapporto tra il mondo della letteratura italiana e l'Africa. Vi parteciperanno la scrittrice camerunense francofona Werewere Liking, la scrittrice ruandese Scholastique Mukasonga, gli scrittori etiopi Wondesen Adane, Sahle Sellassie Berhane Mariam e Sisay Negussu e per l'Italia Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Claudio Gorlier, Giovanni Porzio, oltre ai vincitori del premio Ngugi wa Thiong'o, Ben Okri e Ondjaki. Il convegno intende essere un momento di dialogo tra il mondo africano e quello occidentale. Piu' che una ricognizione sulla produzione letteraria contemporanea, l'incontro si propone di offrire agli scrittori un'occasione per raccontare se stessi e il proprio mondo; mentre per gli ascoltatori europei sara' un'occasione per scoprire che l'Africa non si identifica con i suoi villaggi fatti di capanne, o con le foreste o con le sue pur numerose guerre, ma anche con voci letterarie versatili e rappresentative di diversi temi e stili. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 238 del 26 febbraio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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