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Nonviolenza. Femminile plurale. 237
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 237
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 19 Feb 2009 14:39:10 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 237 del 19 febbraio 2009 In questo numero: 1. Enrica Bartesaghi: L'odore di odio e paura 2. Enza Panebianco: Un certo Mills 3. Antonia Sani: Esseri umani 4. Manuela Cartosio intervista Marisa Guarneri 5. European women's lobby: Elezioni europee, democrazia paritaria 6. Cecilia Pennacini: Nel cuore dell'Africa 7. Adele Cambria: Simone de Beauvoir, con voce di donna 8. Francesca Leonardi: Tre documentari per Simone de Beauvoir 9. "Leggendaria" di febbraio 1. UNA SOLA UMANITA'. ENRICA BARTESAGHI: L'ODORE DI ODIO E PAURA [Ringraziamo Enrica Bartesaghi (per contatti: bartesaghie at tele2.it) per questo intervento] Mio padre, quando sono nata nel 1954, non c'era. Stava a Zurigo a lavorare. Mio zio Egidio, stava anche lui a Zurigo, a lavorare, ed io li vedevo solo a Natale, a Pasqua e a Ferragosto. Io ero molto contenta quando arrivavano perche' ci portavano dalla Svizzera i cioccolatini e, a mia mamma, il caffe', lo zucchero e i dadi di pollo. Per il resto dell'anno io e i miei fratelli eravamo orfani di padre. Mia zia Felicita l'ho vista solo due o tre volte nella mia vita perche' stava a Buenos Aires, a lavorare. Ora, nel 2009, mia figlia Sara sta a Parigi per lavorare. E le sue amiche stanno a Berlino, Londra e Barcellona, per lavorare. In Italia, altri cittadini, da altri paesi, sono venuti per lavorare. Io vorrei che Sara, a Parigi, le sue amiche, nel resto del mondo, fossero trattate da pari, un po' di piu' e un po' meglio di come sono stati trattati mio padre, mio zio Egidio e mia zia Felicita, a Zurigo ed a Buenos Aires. Per questo penso che in Italia, dovremmo trattare da pari, un po' di piu' e un po' meglio tutti quelli che sono venuti qui, a lavorare. E reagire, con forza, contro il cosiddetto "pacchetto sicurezza". * Perche' il razzismo non e' mai a senso unico, una volta sei bianco ed un'altra sei nero, ma se hai provato ad essere "nero" te ne ricordi. E dovrebbero ricordarsene le migliaia di italiani, i loro figli, i loro nipoti, che come mio padre, mio zio Egidio e mia zia Felicita, hanno vissuto anni da "neri" in territori "bianchi": anni di discriminazioni, di relegazione nei ghetti per immigrati. Comunque, i miei parenti all'estero, sono stati trattati molto meglio di come oggi sono trattati gli immigrati in Italia. Io ho paura, come donna e come madre, delle "ronde", esemplificazione dell'odore di odio e paura che si va velocemente diffondendo in Italia. Specchietto per non parlare dei problemi reali del paese. Il maggior numero delle violenze sulle donne avviene tra le mura domestiche "in famiglia". Diffido delle "misure speciali", delle polizie sempre piu' numerose e sempre meno affidabili e democratiche. Questo paese, quello delle leggi speciali contro e non a favore, non mi rappresenta, non difende i miei diritti, ne' quelli dei cittadini stranieri. Ed i diritti calpestati, prima o poi, ci riguardano tutti, da vicino. 2. UNA SOLA UMANITA'. ENZA PANEBIANCO: UN CERTO MILLS [Ringraziamo Enza Panebianco (per contatti: enzapanebianco at gmail.com) per questo intervento che estraiamo da una piu' ampia lettera] C'e' un certo Mills condannato per avere testimoniato il falso in un processo che coinvolgeva anche il nostro presidente del Consiglio dei ministri. Per Berlusconi pero' il processo e' sospeso per il decreto detto "lodo Alfano", ovvero una legge ad personam fatta per impedire che siano processate le piu' alte cariche dello stato. Questo a proposito di impunita' e di quella "certezza della pena" che proprio in questi giorni viene invocata da ogni parte. Se sei un povero immigrato e' ovvio che non puoi avere una legge che ti salva da un processo. Va avanti il ddl sulle intercettazioni... a cosa serve questa legge se non a limitare la liberta' di stampa e a subordinare ancora una volta i magistrati al potere del governo? Continuando: il pacchetto sicurezza. Passa da una camera all'altra e contiene di tutto. Reato di clandestinita', tassa per il rinnovo del permesso di soggiorno, schedatura dei clochard, le ronde, la denuncia dei migranti senza permesso di soggiorno da parte dei medici, la difficolta' di avere la cittadinanza per gli stranieri anche dopo un matrimonio con un cittadino o una cittadina, il controllo su internet... La questione degli stupri e' stata usata per motivare i provvedimenti contro gli stranieri e per attaccare la magistratura, colpevole - secondo i politici della maggioranza parlamentare - di non attribuire pene abbastanza severe agli stupratori. Quello che emerge con chiarezza e' un uso strumentale delle donne, del prevedibile e giustificato dolore delle vittime e dei loro familiari, e della tendenza all'odio verso lo "straniero" da parte degli italiani. Sulla base di questi elementi viene condotta una campagna di profonda discriminazione che porta alle aggressioni verso gli stranieri in questi giorni. Cinque persone aggredite a Roma, quattro dentro un bar e uno per strada. Tutte di nazionalita' rumena. Tre abitazioni di rumeni prese d'assalto a Sassari, sabato scorso, con minacce alle donne e percosse agli uomini che vi abitavano... A me piacerebbe si parlasse di come fare a combattere e vincere anche contro la cultura dello stupro. Mi piacerebbe che non si scegliesse l'inutile scorciatoia securitaria, e soprattutto mi piacerebbe che si pensasse ad una lotta contro la violenza sulle donne a 360 gradi, a partire dalle violenze commesse in famiglia che sono la stragrande maggioranza. Mi piacerebbe che fossero sostenuti i centri antiviolenza; che fossero ripristinati i finanziamenti che proprio questo governo ha sottratto dal fondo contro la violenza sulle donne per progetti di sostegno alle donne che necessitano di trovare una collocazione indipendente per sfuggire alle violenze familiari... 3. UNA SOLA UMANITA'. ANTONIA SANI: ESSERI UMANI [Ringraziamo Antonia Sani (per contatti: antonia.sani at alice.it) per questo intervento] L'approvazione al Senato del Ddl 733 non ci sorprende. La maggioranza ha i numeri per poter approvare qualsiasi provvedimento utile a connotare la propria immagine. Un'immagine che ha avuto presa sull'elettorato giocando proprio la carta della paura del diverso, esaltando ogni forma di localismo, di tutela di un'identita' chiusa. La gente ha paura, delle aggressioni, delle rapine, minaccia di farsi giustizia da sola. Il numero di coloro che vivono nel terrore degli immigrati aumenta di giorno in giorno, dal momento che ogni telegiornale ci mostra stupri e violenze compiuti da rumeni, rom, tunisini etc. Saranno due, tre casi in una giornata in tutta Italia, al confronto dei tanti stupri in famiglia, di furti e rapine compiuti da nostri connazionali di cui non si parla, ma bastano - poiche' solo di questi si parla - a far montare un clima di razzismo sempre piu' diffuso e a far nascere la voglia di organizzare ronde sanguinarie e comunque a prenotare vigilanti privati per ogni isolato urbano. La destra soffia spregiudicatamente sul fuoco, perche' sa che e' questo il piu' sicuro sistema per garantirsi la permanenza al governo. Il ddl 733 e' il prodotto di tutto questo. La sicurezza vi e' intesa come un muro da elevare per escludere tutti coloro che provenendo dal sud del mondo non fanno parte in quanto "clandestini" di quella piccola pattuglia di badanti, lavoratori sottopagati, che non osano alzare la testa per timore di perdere cio' che hanno acquisito (e che possono comunque sempre perdere all'atto del farraginoso rinnovo del permesso di soggiorno, ricongiungimenti familiari, etc.). Il "clandestino" non e' un essere umano, non ha diritti, non ha dignita', non puo' essere riconosciuto come rifugiato politico... E' qui che il concetto di sicurezza dovrebbe essere capovolto. Sicurezza innanzitutto per chi giunge sul nostro territorio da condizioni disumane, e che non puo' che maturare risentimento, ribellione nella lunga permanenza in centri di accoglienza non pensati per uomini donne bambini con pari diritti, ma per esseri umani di serie zeta, solo perche' sono poveri. E' questa la mentalita' di tanti uffici burocratici, di tanti italiani e italiane: ponti d'oro a chi e' ricco e potente (il successo di Berlusconi e' dovuto proprio a questo: le sue proprieta' non destano scandalo, anzi sono motivo del suo successo in politica), calci nel sedere a chi e' povero e non conta. Troppo grande e' stata la miseria di tanti italiani nei secoli e troppo grande la loro sudditanza alla Chiesa e ai potenti. Il capello in mano, la deferenza di fronte a chi conta e' ancora retaggio di tanti e tante nel nostro paese. Non basta ricordare che anche noi siamo stati emigranti, emarginati etc. Roba passata. Sicurezza dunque dovrebbe essere intesa come accoglienza dignitosa, come impegno ad accorciare al massimo i tempi delle identificazioni, come avviene in altri paesi, a creare delle occasioni di inserimento, a non considerare i "clandestini" e comunque gli immigrati dei potenziali assassini. Lasciarsi sfuggire queste occasioni di intervento sociale significa mettere gli immigrati nelle mani della malavita organizzata, lasciarli soli in abitazioni fatiscenti dove vengono sfruttati da padroni di casa senza scrupoli; privi di rapporti con un contesto accogliente, privi di punti di riferimento, spesso portatori di culture patriarcali e maschiliste, evitati o cacciati come indesiderati, ci si puo' davvero meravigliare se l'approdo sono gli atti ai quali quotidianamente assistiamo? Non sara' molto anche responsabilita' nostra? Una legge sulla sicurezza dovrebbe ispirarsi alla Costituzione, anziche' violarla, e tener conto della Dichiarazione universale dei diritti umani. Noi ci auguriamo che alcuni degli emendamenti presentati attenuino il carattere forcaiolo del ddl 733, ma non nutriamo troppe speranze. L'unica speranza e' in un sussulto della popolazione, se davvero ancora non e' narcotizzata sotto la coltre del berlusconismo e del leghismo. 4. RIFLESSIONE. MANUELA CARTOSIO INTERVISTA MARISA GUARNERI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 febbraio 2009 col titolo "Casa delle donne maltrattate di Milano. Lo stupro ha un sesso ma non ha passaporto"] "Basta articoli e inchieste televisive sugli stupri. Sappiamo gia' tutto. Presentatevi come testimoni informati dei fatti. Questo servirebbe". E' l'appello che a fine gennaio Marisa Guarneri, presidente della Casa della donne maltrattate di Milano, aveva rivolto a giornalisti e giornaliste. E invece ci ritroviamo a parlare con lei dell'ennesima "emergenza" stupri, ingrediente base della mediatizzazione della paura, se le violenze sessuali sono commesse da maschi stranieri su donne italiane. * - Manuela Cartosio: Perche' avevi fatto quell'appello? - Marisa Guarneri: Perche' sono stanca e persino annoiata dalla coazione a ripetere. Lo sappiamo tutti che l'80% delle violenze contro le donne avviene dentro le mura domestiche, che il 90% degli abusi e delle molestie subiti della giovanissime e' commesso nel perimetro parentale. Il mio invito a tacere implicava un invito a parlare d'altro. Ad esempio, della concezione statalista del corpo delle donne evidenziata dal caso Englaro. Le donne possesso non solo del partner ma anche dello Stato. * - Manuela Cartosio: Sei ottimista. A "L'infedele" una signora della Caffarella ha detto pervicacemente: "Lo sanno tutti che la maggior parte degli stupri sono opera degli stranieri". - Marisa Guarneri: Questo e' il risultato di falsita', distorsioni, titoli ad effetto che si riferiscono agli stupri denunciati omettendo di dire che sono solo una piccola parte delle violenze sessuali effettivamente commesse. Sono manipolazioni suggestive che tanto le donne che gli uomini sono propensi ad accogliere volentieri pur d'allontanare da se' il problema. * - Manuela Cartosio: Restando agli stupri denunciati, in vent'anni la quota imputata agli stranieri e' aumentata dal 9 al 40%. C'e' un'oggettiva sproporzione rispetto al fatto che gli stranieri sono solo il 6% della popolazione. - Marisa Guarneri: In vent'anni e' cresciuto in modo esponenziale sia il numero degli immigrati che delle immigrate. E' soprattutto a danno di queste ultime che sono aumentati sia gli stupri che i maltrattamenti da parte dei connazionali. In base alla mia esperienza (la Casa delle donne maltrattate dal 1986 ha ospitato 600 donne e seguito 20.000 casi, ndr) non c'e' una curvatura "etnica" dello stupro. Cambiano le modalita', ma quando c'e' violenza la sostanza del rapporto uomo-donna e' la stessa. * - Manuela Cartosio: Qual e' questa sostanza? - Marisa Guarneri: Oggi le donne sono piu' libere. E alcuni uomini non lo accettano. Da qui la gamma di violenze che vanno dal ceffone all'omicidio. Lo stupro, mi sembra quasi superfluo ricordarlo, non ha nulla a che fare con la sessualita'. E' la reazione criminale alla provocazione che la liberta' femminile porta in giro per il mondo. Pur non potendo generalizzare, credo che la violenza da parte del partner sia piu' dura da elaborare e superare. Si intreccia con gli affetti e quindi e' piu' difficile denunciarla. * - Manuela Cartosio: Da una parte l'indifferenza: "Ho gridato aiuto, ma nessuno e' intervenuto". Dall'altra, l'interventismo muscolare: le ronde e le spedizioni punitive a difesa delle "nostre" donne. - Marisa Guarneri: Le ronde, istituzionalizzate o spontanee cambia poco, hanno diversi punti in comune con la cultura dello stupro. Ci si mette in "branco" tra maschi e si usa un potere derivato dalla forza fisica. La logica e' la stessa. * - Manuela Cartosio: Berlusconi, a modo suo, e' intervenuto nel dibattito. - Marisa Guarneri: Con la frase "non si puo' mettere un soldato a fianco di ogni bella donna" il presidente del Consiglio, oltre a dimostrare di non sapere che vengono stuprare anche le sessantenni in ciabatte, si mette tra i molti che considerano la bellezza una provocazione e lo stupro una realta' ineluttabile. La dichiarazione su Eluana "in grado di procreare" evidenzia in modo ancor piu' orribile un pensiero da stupratore: il corpo della donna come scatola vuota da riempire. A sua insaputa e fuori da qualsiasi relazione a due. * - Manuela Cartosio: La paura e' diventata arte di governo. - Marisa Guarneri: E io mi chiamo fuori da questo gioco che alimenta le paure per lucrare vantaggi politici. Nella nostra Casa da anni ci sforziamo di lavorare sul positivo. * - Manuela Cartosio: Il governo imporra' per decreto la carcerazione preventiva per gli accusati di stupro. - Marisa Guarneri: Non sono d'accordo. Voglio proprio vedere se metteranno in galera anche i mariti italiani. Sono favorevole invece al reato di stalking. Sono convinta che le donne non si faranno ricacciare nel ruolo di vittima o di preda. Comunque, appena si saranno votati il loro pacchetto sicurezza, l'afflato protettivo verso le donne svanira'. 5. APPELLI. EUROPEAN WOMEN'S LOBBY: ELEZIONI EUROPEE, DEMOCRAZIA PARITARIA [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net/spip3/) riprendiamo il seguente appello col titolo "Campagna 50 e 50 della European Women's Lobby. Non vi puo' essere una democrazia europea moderna senza la parita' tra i sessi" e la nota redazionale "Riprendiamo dal sito www.5050democracy.eu la versione in italiano dell'appello con cui la European women's lobby invita ad aderire alla campagna 50 e 50 in vista delle elezioni europee"] Nel 2009 i cittadini europei eleggeranno un nuovo Parlamento europeo. Ci troveremo al cospetto di una nuova Commissione europea, guidata dal suo presidente, e di un nuovo presidente per il Parlamento europeo. Viene spontaneo chiedersi quanti nuovi membri del Parlamento europeo saranno donne e se entrambi i leader dell'Unione europea indosseranno giacca e cravatta. Lo scenario atteso per il prossimo anno rappresenta un'opportunita' senza precedenti per l'Unione europea di diventare piu' democratica. Una democrazia moderna richiede la parita' tra i sessi, una rappresentanza paritaria delle donne e degli uomini nella presa delle decisioni che si ripercuotono sulla loro vita. Le donne compongono piu' della meta' della popolazione dell'Unione europea. L'attuale sottorappresentazione delle donne nel processo decisionale a tutti i livelli in seno alle istituzioni dell'Unine europea costituisce un grave ostacolo alla legittimazione democratica dell'Unione europea. Questa disparita' vanifica inoltre tutti i tentativi di promuovere una democrazia maggiormente inclusiva e partecipativa. E' il momento di agire concretamente. La realizzazione di una democrazia equa in Europa deve prevedere necessariamente la rappresentazione paritetica di tutti i cittadini europei, uomini e donne. La parita' di genere e' una condizione imprescindibile per la modernizzazione dei nostri sistemi politici in modo da far si' che le donne e gli uomini, pur con la loro diversita', condividano equamente diritti, responsabilita' e poteri. L'introduzione della parita' di genere dovrebbe essere al centro delle iniziative europee volte a coinvolgere i cittadini nel processo decisionale, ad accrescere la legittimita' dell'Unione europea e a progredire verso politiche che rispettino i bisogni e le aspirazioni di tutti gli europei. Sollecitiamo tutti i decisori politici, le persone e le organizzazioni interessate alla promozione della democrazia e della giustizia a sostenere questa campagna a tutti i livelli e al di la' delle frontiere nazionali e delle separazioni tra partiti politici. Chiediamo misure immediate e di lungo periodo per assicurare la parita' di genere sia a livello europeo che nazionale, al fine di migliorare il funzionamento e la qualita' dei nostri sistemi politici. Auspichiamo pertanto che: - tutti i partiti politici a livello europeo e nazionale agiscano immediatamente per assicurare la realizzazione della parita' di genere nell'ambito delle loro procedure di designazione dei candidati in vista delle elezioni del Parlamento europeo che si terranno nel giugno 2009 - ad esempio attraverso le proprie liste elettorali e la stesura dei propri programmi. - Le donne e gli uomini in Europa colgano questa opportunita' per far sentire la loro voce e votino nel 2009 in modo da far progredire la democrazia, la parita' di genere e la giustizia. - Gli Stati membri dell'Unione europea tengano fede ai loro impegni in materia di democrazia e di parita' di genere e assicurino la rappresentanza paritetica delle donne negli incarichi dell'Unione europea di alto livello che dovranno essere assegnati nel 2009. - Le organizzazioni della societa' civile e i sindacati in Europa sostengano attivamente questo appello nelle reti che ad essi fanno capo inserendo un riferimento alla parita' di genere nei loro manifesti elettorali e nei loro contatti con i decisori politici. 6. MONDO. CECILIA PENNACINI: NEL CUORE DELL'AFRICA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2009 col titolo "Eredita' controverse" e il sommario "Le tensioni nel cuore dell'Africa. Dopo avere dato vita in tempi antichi a regni fiorenti e raffinati, la regione dei Grandi Laghi e' teatro da diversi decenni di conflitti e di violenze, dal genocidio del Ruanda alla attuale crisi nel Kivu. Una storia complessa, che mette in luce i tragici effetti del colonialismo"] "Tutto, tutto si puo' fare in questo paese" diceva il direttore dell'avamposto della "Compagnia" a Marlow, protagonista del capolavoro di Joseph Conrad, Cuore di tenebra, in viaggio verso il cuore del Congo. In realta' si trattava di un viaggio nel cuore oscuro dell'Europa coloniale che, sotto il pretesto di una sua presunta missione civilizzatrice, aveva dimostrato nei confronti dei "selvaggi" africani una rapacita' totalmente priva di scrupoli. Sono passati piu' di cento anni, ma il Congo continua a essere preda di molteplici interessi, e la millenaria civilta' dei Grandi Laghi, che nel passato aveva dato vita a regni fiorenti e raffinati, appare ancora scossa da forze devastanti. Un paesaggio equatoriale, verdeggiante di colline, montagne impervie, fiumi impetuosi e laghi immensi, dove una terra fertile per il pascolo e l'agricoltura ha consentito l'antico insediamento e l'incontro di diverse culture, ha visto negli ultimi cinquant'anni un susseguirsi di conflitti e di tragedie. Al progresso promesso dall'Occidente, dalle Ong e dalle agenzie internazionali si oppone paradossalmente l'esperienza di un percorso involutivo, segnato dal caos e dall'anomia. * Effetti collaterali L'ultima crisi si consuma da alcuni mesi nel Kivu, regione orientale della Repubblica Democratica del Congo. E' di pochi giorni fa la notizia che circa quattromila soldati dell'esercito regolare ruandese hanno passato il confine per dirigersi verso nord, nell'ambito di un'operazione militare concordata con il governo della Rdc. Obiettivo dell'operazione: fermare e disarmare le varie milizie presenti nell'area, tra cui le Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (Fdlr), in parte composte da genocidari hutu rifugiati in Congo dopo il 1994. Il 22 gennaio, il generale Laurent Nkunda, comandante dei ribelli tutsi, viene arrestato e imprigionato in Ruanda. Il fallimento della missione Onu (Monuc) sembrerebbe aver spinto i governi congolese e ruandese ad allearsi per ristabilire l'ordine, tentando di arrestare nel contempo il sistematico saccheggio delle risorse minerarie. Tuttavia l'aumento della presenza militare in un'area che il corrispondente della Bbc Mark Doyle ha definito "l'Israele dell'Africa" (Bbc News, 20 gennaio 2009) non puo' che lasciare presagire pesanti "effetti collaterali" a danno di una popolazione da mesi in fuga dai saccheggi e dalla violenza, sistemata in campi profughi sovraffollati nell'area di Goma, o accampata - senza ricevere alcun aiuto - in ricoveri di fortuna al nord, sulle montagne di Lubero e di Butembo, dove i campi non sono neanche stati allestiti. Soldati corrotti e mal pagati non perdono occasione per rubare i poveri beni delle famiglie in fuga. La gente, in particolare le donne con i loro bambini, appaiono inermi e rassegnate di fronte alla violenza, agli stupri, alla fame e alle malattie, conseguenze in apparenza inevitabili di questo stato di cose. La violenza ha segnato pesantemente la storia recente dei Grandi Laghi: il genocidio del Ruanda e le sue conseguenze di lunga durata, i conflitti e l'instabilita' del Burundi, la guerra civile scatenata dall'Esercito di Resistenza del Signore (Lra) di Joseph Kony nel nord dell'Uganda, che ora si e' trasferita nell'Ituri dove Kony ha ripreso a uccidere e razziare, spingendo decine di migliaia di persone a fuggire nel vicino Sudan. Ma e' necessario risalire piu' indietro nel tempo per tentare di comprendere la logica che sottende a questo stato di cose. Per quel che riguarda in particolare la Rdc, lo storico congolese Muzong Kodi (Corruption and Governance in the Drc, Iss, 2008) ha di recente indicato nella corruzione strutturale della vita politica ed economica l'origine del collasso di uno stato che non riesce a controllare il suo immenso territorio, lasciandolo troppo spesso in preda ai conflitti, ai signori della guerra e alle imprese straniere. Conseguenze della corruzione sono infatti l'estrema debolezza dello stato, la mancanza di sicurezza, l'assenza di infrastrutture di ogni tipo, una situazione che impedisce a tutti gli effetti lo sviluppo economico e sociale. Tuttavia bisogna osservare che il sistematico drenaggio di risorse perpetrato dalle elite a danno delle popolazioni non e' certo un'invenzione dello stato post-coloniale. Nei suoi confini attuali, il Congo nasce dalle ceneri di uno stato che la Conferenza di Berlino (1884-'85) aveva istituito come possedimento privato di Leopoldo del Belgio (il quale entro' cosi' in possesso di un territorio ottanta volte piu' grande del suo piccolo regno), posto sotto l'amministrazione di un'associazione internazionale, di cui fece parte tra gli altri l'Italia. Anche per via del suo particolare statuto, lo Stato Indipendente del Congo fu teatro di uno sfruttamento estremo delle risorse naturali e umane, poi denunciato da un'inchiesta i cui risultati portarono alla creazione, nel 1908, della colonia belga. L'avorio, il caucciu', i minerali preziosi, avevano scatenato l'avidita' degli europei, inducendoli a trasformare le compagnie commerciali, che un po' ovunque avevano costituito l'avanguardia del colonialismo, in progetti di conquista e di amministrazione del territorio e dei suoi occupanti: in essi il lavoro forzato, le deportazioni di massa, le violenze fisiche di ogni genere sembrarono reintrodurre surrettiziamente una forma ufficiosa di schiavitu', nonostante la sua abolizione ufficiale una cinquantina d'anni prima. * Una tensione funzionale La catastrofe della seconda guerra mondiale, cui gli africani parteciparono combattendo per una causa che faticavano a comprendere, innesco' un ineluttabile processo di cambiamento che porto', tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta, all'indipendenza delle colonie. L'Europa smobilito' rapidamente, lasciando la pesante eredita' di stati il cui tessuto sociale, politico e culturale era stato irrimediabilmente sconvolto. Gli effetti di una transizione troppo rapida e mal amministrata furono quasi ovunque devastanti: i massacri in Ruanda e in Burundi portarono nell'arco di quarant'anni al genocidio, l'Uganda scivolo' rapidamente verso le dittature di Amin e di Obote, mentre in Congo il modello predatorio di Leopoldo venne in qualche modo riprodotto da Mobutu Sese Seko, che dal 1965 al 1997 dreno' per se stesso le immense risorse del paese, divenendo uno degli uomini piu' ricchi del pianeta. Solo nel 2006 il Congo si e' dato un governo eletto democraticamente, e tuttavia il giovane presidente Joseph Kabila stenta a uscire dal vecchio, consolidato modello: l'avorio e il caucciu' sono stati sostituiti da nuovi prodotti come il coltan (un minerale indispensabile per la produzione di circuiti stampati, di cui l'ottanta per cento dei giacimenti si trova appunto nel Kivu), l'uranio, l'oro, i diamanti, il legname. La presenza nella zona di varie milizie unita alla corruzione dei rappresentanti dell'esercito regolare impediscono di fatto l'esercizio di un controllo statale, favorendo il commercio illegale che, attraverso i paesi confinanti, porta i minerali verso le loro destinazioni finali, nel nord del mondo, arricchendo i vari intermediari senza che la popolazione ne tragga alcun profitto. La tensione militare appare dunque funzionale al mantenimento del sistema. Come leggere, in questa prospettiva, l'ingresso ufficiale del Ruanda sulla scena dei contendenti e l'arresto di Nkunda? L'attuale presenza in Congo dell'esercito ruandese indica una strategia militare e non diplomatica. Ma disarmare le forze ribelli che combattono nella boscaglia potrebbe diventare un affare lungo, sanguinoso e ulteriormente destabilizzante, utile a perpetuare quel caos in cui prosperano i commerci illeciti. Non dobbiamo pero' incorrere nell'errore di pensare che prima dell'arrivo degli europei la regione vivesse in una sorta di pacifica eta' dell'oro priva di conflitti e contraddizioni. Jan Vansina ha ricostruito la storia del regno Nyiginya, antecedente dell'attuale Ruanda (Le Rwanda Ancien: Le Royaume Nyiginya, Paris, Karthala, 2001), uno stato che - a partire dal XVII secolo - si diede una struttura gerarchica, fondata sulla classificazione occupazionale di pastori tutsi e agricoltori hutu, sull'istituzione di un sistema di clientela, su una corte dedita a complessi rituali intesi a conferire alla regalita' un potere divino e infine sull'istituzione di quello che puo' essere considerato il piu' antico esercito della regione. * La cultura della convivenza L'organizzazione militare dell'antico Ruanda prevedeva battaglioni cui accedevano in via ereditaria esclusivamente i pastori tutsi. Tale organizzazione proietto' il regno verso la conquista di territori vicini. Saranno gli europei, al loro arrivo nella regione a fine Ottocento, a conferire alla classificazione hutu-tutsi una valenza razziale, giustificando geneticamente la presunta superiorita' politica e culturale dei tutsi e gettando i fondamenti di un'ideologia che porto' infine alla tragedia del 1994. Resta pero' inconfutabile il fatto che il Ruanda precoloniale si fondasse su un sistema che, escludendo interi gruppi dalla responsabilita' civile, portava in se' i germi del conflitto e dell'anomia. Tuttavia, a tali forze disgreganti si opponevano, qui come nelle altre societa' dell'area, meccanismi strutturali di bilanciamento del potere che, uniti a una cultura della diplomazia e della risoluzione pacifica dei conflitti, furono in grado di garantire lunghi periodi di pace e stabilita'. Le societa' precoloniali coltivavano tradizioni mirate a sviluppare la convivenza pacifica tra gruppi sociali ed etnici diversi. In Burundi figure di anziani saggi, i Bashingantahe, erano istituzionalmente preposti alla ricomposizione dei conflitti, attraverso tecniche di mediazione fondate sulla parola e sulla concertazione. Inoltre, in tutta la regione dei Laghi veniva praticata la medesima religione tradizionale, il Kubandwa, sorta intorno al XVII secolo in concomitanza con l'emergere dei regni. I medium incaricati dei culti attraversavano confini etnici e linguistici, diffondendo credenze condivise, fondate sui valori dell'apertura all'altro e della tolleranza per il diverso. A tali pratiche religiose e terapeutiche si sta oggi tornando con crescente attenzione: a cinquant'anni dall'indipendenza, e' in atto una diffusa riscoperta delle tradizioni, una ricerca di identita' che si rivolge al passato ma allo stesso tempo si proietta verso il futuro. In questo spirito nel 1993 l'Uganda ha re-instaurato in una forma culturale alcuni dei suoi regni tradizionali. Accanto ai capi e ai sovrani sono cosi' riapparsi anche i medium e i guaritori, che erano stati pesantemente sanzionati dai colonizzatori e dai missionari. Riunitisi in associazioni, questi specialisti rituali stanno avviando un dialogo con il sistema sanitario e con la societa' piu' in generale. I luoghi sacri della tradizione tornano a essere meta di pellegrinaggi e di pratiche che in parte si rinnovano, inglobando anche influssi islamici e cristiani. * Verso un rinascimento africano Per quanto spuria e creativa, la riscoperta delle tradizioni, la condivisione di un mondo di valori che garantiva nel passato il dialogo tra gruppi, risponde oggi a un bisogno profondo di riconoscimento della propria storia, dei propri saperi e delle proprie divinita', da parte di chi troppo a lungo ne e' stato privato con la violenza. E' cio' che l'ex presidente sudafricano Thabo Mbeki ha definito il sogno di una African Renaissance, di un "rinascimento africano", che dovrebbe segnare la fine del "postcolonialismo" (Achille Mbembe, Postcolonialismo, Meltemi, 2005). Come tutti i rinascimenti, anche questo comporta inevitabilmente una parziale reinvenzione del passato, ma allo stesso tempo si proietta verso il futuro con la speranza del cambiamento. * Postilla. Un universo morale condiviso nei miti e nei riti del Kubandwa La consapevolezza che la regione dei Laghi avesse prodotto un'unica grande civilizzazione emerse con chiarezza nell'opera dell'antropologo belga Luc De Heusch, Le Rwanda et la civilisation interlacustre (Editions de l'Universite' Libre de Bruxelles, 1966), alla luce dell'analisi di un vasto corpus mitologico che risulto' ampiamente condiviso a livello regionale, nonostante le aporie e le contraddizioni tipiche delle tradizioni orali. A tale mitologia e' connessa la religione tradizionale del Kubandwa, comune a tutte le popolazioni dell'area, praticata da medium e fedeli di origine diversa in luoghi sacri che risultano spesso posti sui confini dei regni (Cecilia Pennacini, Kubandwa. La possessione spiritica nell'Africa dei Grandi Laghi, Il Segnalibro, 1998). Un universo morale condiviso, fondato sui valori dell'ospitalita', dell'apertura all'Altro e della diversita' si consolido' nelle pratiche di questa religione universalistica, cui gli stessi capi erano sottomessi. 7. MEMORIA. ADELE CAMBRIA: SIMONE DE BEAUVOIR, CON VOCE DI DONNA [Dal quotidiano "L'Unita'" del 16 febbraio 2009 col titolo "Simone De Beauvoir. Quando la scrittura e' donna e rivoluzione" e il sommario "Da oggi al 3 aprile a Roma, a Tivoli e Santa Marinella, nel Lazio, e' in calendario una serie di appuntamenti per ripensare e rileggere quella grande pensatrice e scrittrice che sconvolse il mondo con il libro Il secondo sesso"] Da oggi fino al 3 aprile, tutta Simone De Beauvoir in tanti luoghi della citta' italiana che piu' amava, Roma, e quindi nelle Accademie e nei Palazzi ma anche nei Licei delle periferie e in altre due citta' del Lazio, la Tivoli dell'imperatore Adriano e la graziosa Santa Marinella... Ma un mese e mezzo non basta, come si fa ad inseguire-afferrare-rileggere-ripensare Simone, a cento anni dalla sua nascita? Lei che diceva di se', orgogliosamente: "Una donna scrittrice non e' una donna di casa che scrive, ma qualcuno la cui intera esistenza e' determinata dallo scrivere". Una-donna-che-scrive, dunque, ancora nella prima meta' del Novecento era considerata un curioso fenomeno, magari persino sconveniente: e quando Simone - che pure aveva gia' autorevolezza e prestigio intellettuale - nel '49 pubblico' il suo libro piu' esplosivo, frutto di anni di ricerche, e intitolato Il secondo sesso, persino i suoi amici scrittori le rimproverarono le cose piu' abiette: Albert Camus le fece sapere che aveva ridicolizzato il maschio, mentre il romanziere cattolico Francois Mauriac trovo' il modo di rendere noto ai redattori de "Les Temps Modernes" che ormai sapeva tutto "della vagina della vostra Direttrice". E nel 1950 Il secondo sesso fu messo all'Indice dal Vaticano. Per fortuna, e per merito grande di donne come lei, aneddoti del genere non fanno piu' parte del folklore misogino (almeno e' sperabile...). Cosi' Francesca Brezzi, professore ordinario di Filosofia morale a Roma Tre, aprendo la conferenza stampa che nei saloni del Centro culturale francese di Piazza Campitelli presentava il ricchissimo programma della manifestazione, ha usato, per l'opera di Simone, la metafora molto femminile del ventaglio: che allargandosi svela in ogni sua piega una figura, un colore diverso, eppure e' un unico oggetto prezioso. Cosi' la varieta' dei libri scritti infaticabilmente da Simone. Trascorrendo dalla memorialistica dei quattro volumi magnifici dell'autobiografia ai romanzi ai libri di viaggio - avvincente L'America giorno per giorno, dove la scoperta degli Stati Uniti si intreccia con la passione per lo scrittore americano Nelson Algreen - fino agli scritti filosofici, Per una morale dell'ambiguita'. Dove, sottolinea Brezzi, il pensiero della de Beauvoir non si appiattisce sull'esistenzialismo sartriano ma trova un suo percorso originale. "Narrare... e' gia' politica". Questo il logo della lunga celebrazione italiana. E non e' un modo di dire qualsiasi, ma il frutto dell'accumulo dell'esperienza della scrittura delle donne negli ultimi decenni. Quando le contraddizioni della politica tradizionale (maschile) si son fatte via via sempre piu' irresolubili, e a scioglierle, forse, serve meglio la narrazione. Con voce di donna. 8. MEMORIA. FRANCESCA LEONARDI: TRE DOCUMENTARI PER SIMONE DE BEAUVOIR [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 marzo 2008, col titolo "Omaggi. Simone de Beauvoir, ritratti tra vita e parola"] Per il centenario della nascita di Simone de Beauvoir (1908-1986), il Festival de Films de Femmes, in collaborazione con il Centre audiouvisuel Simone de Beauvoir (CASdB), ha programmato tre bei documentari poco noti sull'autrice del Secondo sesso. Del 1967 e' Dossier Simone de Beauvoir, lunga intervista in bianco e nero realizzata per la televisione canadese Radio-Canada. Nel suo appartamento parigino, la filosofa e scrittrice risponde alle domande della giovane giornalista canadese Madeleine Gobeil e del futuro cineasta Claude Lanzmann. Entrambi amici intimi di Simone de Beauvoir (Lanzmann fu suo compagno), i due intervistatori le si rivolgono utilizzando il suo ben noto soprannome "castoro" e le chiedono di affrontare indistintamente temi politici (il marxismo, il femminismo, l'insegnamento, la guerra d'Algeria) e privati (la scelta di non avere figli, la vecchiaia, la scrittura). Un bel ritratto di una scrittrice orgogliosa della propria vita e delle proprie lotte, benche' a neppure sessant'anni si senta gia' vecchia e nutra un certo pessimismo nei confronti dell'azione collettiva. Paradossalmente, il "castoro" appare ben piu' vitale e proiettata verso il futuro in un documentario realizzato sei anni dopo: Portrait de Simone de Beauvoir (1974), diretto da Alice Schwarzer, una delle figure piu' celebri del femminismo tedesco, allora corrispondente free-lance a Parigi. Per svariati mesi la regista tedesca incontra Simone de Beauvoir nel suo appartamento (stracolmo di oggetti-souvenir dei numerosissimi viaggi, di libri e di dischi), ma la filma anche in esterni e durante un breve soggiorno romano in compagnia di Jean-Paul Sartre. Le immagini, 16 millimetri e a colori, mostrano la scrittrice che parla della propria infanzia e giovinezza, dell'impegno politico e femminista, del lavoro di scrittrice, della relazione amorosa con Sartre, della sua concezione dell'amore e dei rapporti tra uomini e donne, ma anche del proprio vissuto giorno per giorno. Sono presenti anche alcuni momenti conviviali, come un pranzo in compagnia delle esuberanti giovani militanti del movimento di liberazione delle donne. Un pedinamento che ci restituisce il quotidiano della scrittrice e che testimonia al tempo stesso della sua volonta' di mettersi in scena, del suo desiderio di trasmettere il proprio pensiero anche attraverso il mezzo audiovisivo. Sempre del 1974 e' Promenade au pays de la vieillesse (Promenad i de gamlas lad) della svedese Marianne Ahrne, studiosa di teatro, scrittrice e regista (ricordiamo tra l'altro che nel 1971 diresse per la tv svedese un documentario di 30 minuti intitolato Italian divorce). Diversamente dagli altri due documentari, Promenade au pays de la vieillesse non e' un ritratto della scrittrice, ma una "passeggiata nel paese della vecchiaia". Prendendo spunto dal saggio di Simone de Beauvoir La terza eta' (La vieillesse, 1970), dove si legge che la vecchiaia e' circondata da una "cospirazione del silenzio", il film si ripropone di rompere questo silenzio. In compagnia della scrittrice incontriamo minatori e operai del nord della Francia, intellettuali e artisti parigini ma soprattutto persone anziane. I vecchi hanno la parola e si esprimono sulla loro vita e sui loro problemi, ma anche sulla sessualita' e sull'amore. Premiato dalla critica e dal pubblico al festival di Hyeres, questo documentario di 76 minuti prodotto dalla televisione svedese, meriterebbe di essere riscoperto. Nel loro insieme, i tre film rappresentano un bell'omaggio a Simone de Beauvoir: le danno vita e parola, e la sottraggono al processo di "imbalsamazione" cui spesso si prestano le commemorazioni. 9. RIVISTE. "LEGGENDARIA" DI FEBBRAIO [Dalla redazione di "Leggendaria" (per contatti: redazione at leggendaria.it) riceviamo e diffondiamo] Dall'economia domestica all'economia di mercato, "Leggendaria", anno XIII, numero 73, 68 pagine, 8 euro, in libreria dal 15 febbraio 2009. * "La crisi c'e', e chi la racconta non la vede. Chi deve provvedere a rappezzare la tela strappata dell'economia piegata non coglie nella rappresentazione d'insieme una parte enorme del disegno, ovvero il mondo della produttivita' femminile", scrive Monica Luongo nel pezzo d'apertura del nostro "Tema". Guardando alla crisi, ci siamo poste alcune domande semplici: chi ne paghera' i costi piu' alti? Ci sono analisi e ricette che possono/devono cambiare il quadro di riferimento e guardare ad un diverso futuro? E riusciamo a pensare se in questa contingenza ci sono anche delle opportunita'? Rispondono Salvatore Monni, Laura Moschini, Nadia Tarantini, Francesca Lulli. Dall'editoriale: "Noi non siamo esperte di alta finanza ne' di big business ma in quanto donne - sebbene letterate - ci arrabattiamo con l'economia domestica. Vale a dire che mettiamo all'opera quotidianamente quel sapere essenziale della cura e della conservazione della vita e del benessere nostro e altrui". "Spunti di riflessione che offriamo al dibattito gia' in atto in cui pero', a nostro avviso, la voce delle donne e' ancora troppo poco ascoltata". In "Speciale" in coincidenza con una rassegna promossa dalle Biblioteche di Roma a chiusura dell'anno di celebrazioni del centenario di Simone de Beauvoir, Giuliana Misserville ha curato per noi un "Piccolo dizionario SdB": "appunti di memoria" per chi conosce la sua opera ma anche introduzione, "contagio di passione" per le donne piu' giovani che non l'hanno (ancora) letta. In "Primopiano" l'omaggio di due scrittrici africane a Miriam Makeba (introdotte da Itala Vivan) e un ricordo di Anna Ingrao Boccia in occasione dell'uscita postuma di una sua raccolta di poesia. E poi: una riflessione sugli anni Cinquanta e Sessanta attraverso il volume di Roberto Baldazzini sulle immagini di donne sui periodici dell'epoca; articoli su Kate Clanchy, Adriana Zarri, Olive Schreiner, Monica Farnetti e la vecchiaia come l'affrontano J. Roth e J. M. Coetzee. Ricchissima la sezione delle "Letture" mentre in "A/Margine" parliamo di un importante convegno su Madame de Stael, della rassegna teatrale bolognese dedicata a Bianca Maria Pirazzoli e del documentario Verso est di Laura Angiulli. Come di consueto, molte segnalazioni in "Ultimi arrivi", consigli per le letture dei piu' giovani in "Under15". E le nostre rubriche: "Politica" (questa volta affidata a Federica Giardini), "Graphic" di Loredana Lipperini e naturalmente la fantastica Striscia di Lori. * Redazione e amministrazione: via Giulio Galli 71/b-2, 00123 Roma, tel. 0630999392, e-mail: leggendaria at supereva.it, sito: www.leggendaria.it ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 237 del 19 febbraio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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