Minime. 728



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 728 dell'11 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Severino Vardacampi: Pubblicita' per se stessi
2. Omero Caiami Persichi: Superstite un distico
3. Alberto Cadioli: Vincenzo Consolo (1997)
4. Barbara Spinelli presenta "Predatori" di Anna Salter
5. La "Carta" del Movimento Nonviolento
6. Per saperne di piu'

1. LE ULTIME COSE. SEVERINO VARDACAMPI: PUBBLICITA' PER SE STESSI

Leggete, di grazia, l'unico foglio della sinistra italiana in cui si scrive
che uccidere una persona e' un crimine.
Leggete, di grazia, l'unico foglio della sinistra italiana in cui si
propugna l'ardita e controversa tesi che sia preferibile non uccidere (tesi
gia' sostenuta da personaggi come Socrate e Gesu' di Nazaret e Gandhi, che
tutti fecero una brutta fine a dimostrazione che certe idee portano male).
Leggete, di grazia, l'unico foglio della sinistra italiana in cui si ricorda
il senso e il fine della nostra lotta, da Spartaco a Rosa Luxemburg a
Marianella Garcia (che anch'essi fecero una brutta fine a dimostrazione
eccetera).
*
Oppure leggete quello che volete, ma leggete: se anche vi venissero cattive
idee, finche' leggete non potete prendere la mira.

2. LE ULTIME COSE. OMERO CAIAMI PERSICHI: SUPERSTITE UN DISTICO

Sempre bizzarra mi parve la pieta'
per gli uccisori e mai per gli uccisi.

3. PROFILI. ALBERTO CADIOLI: VINCENZO CONSOLO (1997)
[Dal mensile "Letture", n. 539, agosto-settembre 1997, col titolo "Vincenzo
Consolo. Il siciliano che sogna la luna" e il sommario "Per l'autore di
Lunaria e di L'olivo e l'olivastro, pur ancorati alla realta', scriviamo per
sognare e l'astro notturno ne e' il simbolo. Nella Sicilia, presa a metafora
della civilta' occidentale, si nota l'importanza etica e politica della
letteratura. La scelta intertestuale e gli sbocchi poetici"]

Anno ricco di eventi, il 1963, per la letteratura italiana: ricordato,
naturalmente, per gli accesi dibattiti suscitati dagli scrittori della
neoavanguardia, e' anche l'anno della pubblicazione in volume di uno dei
grandi libri del Novecento, La cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda,
e dell'esordio, tra altri, di due narratori accomunati dalla scelta del
plurilinguismo: Vincenzo Consolo e Luigi Meneghello. I loro romanzi - La
ferita dell'aprile e Libera nos a malo -, passati del tutto inosservati alla
prima uscita, sono poi stati riconosciuti come le opere gia' mature di due
autori tra i piu' rilevanti della narrativa contemporanea.
*
Il Dopoguerra sull'isola
In La ferita dell'aprile Consolo proponeva alcuni tratti poi ricorrenti in
tutta la sua opera: il profondo legame con la Sicilia (lo scrittore e' nato
a Sant'Agata di Militello nel 1933), la tensione etica, la reinvenzione
continua del linguaggio letterario. La narrazione di questo primo romanzo e'
ambientata, sullo sfondo dell'isola nell'immediato dopoguerra, in un
istituto tenuto da religiosi, dove il ragazzo protagonista compie gli studi.
I segni della guerra sono ancora ben visibili e gia' si accende la battaglia
politico-ideologica che dividera' l'Italia: gli istitutori non esitano ad
accusare i "nuovi profeti" e i "banditori di nuove dottrine", indicando
nella purezza lo strumento per sconfiggere "il male la corruzione il caos",
segni visibili del peccato.
Consolo si fa testimone di quegli anni, dello scontro ideologico e di quello
sociale (c'e' un evidente richiamo all'eccidio di Portella della Ginestra).
La ferita dell'aprile, tuttavia, piu' che un romanzo sul "problema del
potere, considerato in tutte le sue piu' vistose e sottili implicazioni", o
sulla "carica liberatoria della diversita' (soprattutto giovanile)", o
sull'"atteggiamento irridente, insofferente e caricaturale" di un mondo che
si manifesta gia' come "sistema di poteri e storture, subalternita' e
divieti ben piu' diffuso e feroce", secondo la lettura data da Gian Carlo
Ferretti nell'introduzione alla seconda edizione del 1989, sembra da
collocare prima di tutto nel solco del romanzo di formazione.
Il narratore - che racconta in prima persona - ricorda a distanza di tempo
la sua vita di ragazzo e gli eventi significativi degli anni scolastici:
c'e' l'amicizia da non tradire, i rapporti con i compagni, piu' o meno
simpatici ma tutti ugualmente inseriti in una vita comunitaria di lezioni,
di giochi, di gite; e naturalmente ci sono le trasgressioni, le ripicche,
gli scontri personali, a volte specchio delle opposte posizioni politiche
dei genitori. Anche le disattenzioni per le cerimonie e le funzioni
religiose sembrano provocate piu' dalla insofferenza adolescenziale di
rispettare le rigide consegne che da una consapevole trasgressione
ideologica.
Per questo sembra eccessivo parlare di "conflitto tra repressori e ribelli
tout court, in un crescendo di spietata e cupa durezza" (ancora Ferretti).
L'istituto e' al centro della vita quotidiana, ma non lo e' totalmente nei
pensieri dell'io narrante, nel cui mondo ci sono ampi spazi di avventura e
di gioco (le interminabili ore passate davanti al Monopoli!), i primi
sentimenti d'amore, il sesso intravisto, il desiderio della famiglia,
ritrovata quando la madre vedova sposa il cognato. I dodici capitoli
diventano dunque i tasselli di un vero e proprio Bildungsroman, le cui tappe
sono a volte molto marcate: "ecco - pensavo - la vita e' un gioco di
maretta: aver l'occhio fino a capire il momento per gridare 'arripa!' e
scivolare col legno sulla cresta. Un po' prima, un po' dopo, sbagliare il
tempo, per ansie o dubbi o titubanze, significa farsi pigliare sotto, e
travolgere, e sbattere nel fondo".
*
La tragedia dello zio-padre
A maggior ragione va in questa direzione la tragedia finale: la serenita'
ritrovata con la famiglia e' subito cancellata quando lo zio-padre,
lavorando in condizioni rischiose, muore travolto da un fiume in piena.
L'adolescenza e' finita, improvvisamente, e la "formazione" e' bruscamente
interrotta: "Vendemmo la casa del paese [...] me n'andai a travagliare...".
Il punto di vista prevalente e' quello del giovane io narrante e ad esso si
riferisce il registro linguistico piu' ricorrente, nel quale si intrecciano,
senza soluzione di continuita', la lingua italiana ormai conquistata da chi
ha deciso di tornare con la scrittura sul passato, e la lingua del ricordo,
ricca di voci dialettali, spesso introdotte dal discorso libero indiretto.
Mentre i dialoghi hanno i diversi caratteri linguistici dei personaggi che
parlano (ci sono le espressioni dialettali in uso tra compagni di scuola e
la lingua italiana dei superiori), nella parte narrata si manifesta
l'originalita' di una scrittura che si avvale del dialetto non in funzione
mimetica, come nella narrativa neorealista dell'immediato dopoguerra, ma per
una personale ricreazione della lingua letteraria.
La ricerca sul linguaggio viene approfondita da Consolo in Il sorriso
dell'ignoto marinaio che, uscito nel 1976, ottiene un ampio successo di
critica. La narrazione si apre con le cospirazioni contro i Borboni, negli
anni Cinquanta dell'Ottocento, e si chiude con i processi ai popolani, che,
sull'onda delle vittorie di Garibaldi, avevano compiuto saccheggi e ucciso
ricchi e borghesi, credendo piu' in una diretta rivoluzione sociale che in
un'idealizzata liberta'.
Fin dal primo capitolo si trovano a confronto i due personaggi principali,
il barone Enrico Pirajno di Mandralisca e l'avvocato Giovanni Interdonato.
Entrambi appartengono alla storia della Sicilia, il primo come stimato
cultore di scienze naturali, noto studioso di malacologia e raffinato
collezionista d'arte e di reperti archeologici, il secondo come uomo
politico, esule a Parigi, negli anni '50, per la sua attivita' di
cospiratore, e, dopo il 1860, figura di spicco nei tribunali di Palermo e di
Messina e senatore del Regno.
Nel loro primo incontro, sul bastimento che fa rotta da Lipari a Cefalu',
Mandralisca non riconosce l'Interdonato travestito da marinaio: e' tuttavia
colpito dalla strana somiglianza dell'"ignoto marinaio" con il ritratto
dipinto su una preziosa tavoletta appena acquistata e attribuita ad
Antonello da Messina. Sui due volti c'e' lo stesso strano sorriso: "Un
sorriso ironico, pungente e nello stesso tempo amaro, di uno che molto sa e
molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende
dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pieta'".
*
Narrazione interrotta da appendici
Proprio il sorriso sara' la chiave del riconoscimento di Interdonato da
parte del barone, quando (nel secondo capitolo) l'esule si rivolge
apertamente al Mandralisca per incontrare altri cospiratori nel tentativo di
organizzare una rivolta a Cefalu', poi repressa nel sangue. E il sorriso
ritorna piu' volte, rimandando sempre sia all'arguzia e al disincanto, sia
all'intelligenza e alla pieta', che costituiscono una chiave di lettura
della storia - e della Storia.
La narrazione e' interrotta, tra il capitolo primo e il secondo, da due
appendici, che presentano i progetti scientifici del barone, e da altre due,
tra il capitolo secondo e il terzo, che riportano pagine storiche sul
fallimento della rivolta di Cefalu', e memorialistiche sullo sbarco dei
garibaldini a Marsala, queste ultime tratte dalle Noterelle di uno dei Mille
di Giulio Cesare Abba. Tre appendici (un libello politico contro l'amnistia
per alcuni rivoltosi, l'atto di morte di un bracciante giustiziato, il
proclama di pacificazione del pro-dittatore della Sicilia) concludono infine
il romanzo.
*
Trasgredita la struttura del romanzo
Fin dai primi capitoli, dunque, Il sorriso dell'ignoto marinaio rivela
l'intenzione di Consolo di trasgredire ogni convenzionale struttura
romanzesca, tanto piu' quella del "romanzo storico". Con un richiamo al
lettore che sembra una parodia delle formule ricorrenti nelle narrazioni
romanzesche, si introduce del resto un evidente riferimento agli studi di
narratologia: "Dobbiamo ancora dire che il Bajona non sapeva leggere e che
il Chinnici a decifrarlo ci mettera' un anno? Quindi lo riportiamo qui di
sotto, avendo del lettore gran rispetto, sapendo che alle volte il tempo
vero e il tempo del racconto sono in disaccordo".
Le pagine saggistiche, scientifiche o storiche, richiedono al lettore un
diverso passo di lettura, ma, nonostante il titolo di "appendice" sotto cui
sono poste e la loro presentazione con un carattere di corpo minore, e'
subito evidente che esse sono compenetrate e non aggiunte alla narrazione.
L'intertestualita' diventa del resto una scelta narrativa programmata: lo
scrittore non riscrive i fatti ma lascia la parola ai cronisti e agli
storici, con il loro stile e il loro linguaggio, affidando al racconto
l'approfondimento delle vicende individuali, delle crisi personali, del
rapporto tra l'individuo e la Storia. L'osservazione e' stata avanzata da
Cesare Segre nell'introduzione alla seconda edizione del romanzo:
"Rifiutandosi di narrare cio' che e' gia' stato narrato, e preferendo
soffermarsi su episodi sintomatici, su riflessioni e descrizioni [...]
Consolo realizza un romanzo storico che e' la negazione del romanzo, come
narrazione filata di una 'storia', e della Storia, come esplicazione degli
avvenimenti". Per questo si potrebbe dire che, ai nomi ricorrenti e
inevitabili quando si parla della narrativa di Consolo - i narratori
siciliani da Verga a Sciascia (verso il quale lo stesso scrittore ha piu'
volte dichiarato il proprio debito) -, andrebbe aggiunto, almeno a titolo di
confronto, quello di Manzoni teorico della differenza tra lo storico e il
poeta e del difficile rapporto tra storia e invenzione. Consolo ricorre a
due piani differenti, messi in risalto dalla diversita' tipografica, ma li
fa tuttavia interagire perseguendo una struttura originale, da inserire
pienamente dentro le forme di un rinnovato romanzo.
*
Garibaldini contro braccianti
Il rapporto tra individuo e Storia e' anche approfondito, nella vicenda
romanzesca, dalla meditazione di Mandralisca, spettatore casuale della
sanguinosa rivolta dei braccianti ad Alcara' Li Fusi, repressa con forza
dagli uomini di Garibaldi. Il barone descrive (in una lettera-memoria
indirizzata a Giovanni Interdonato, nel frattempo nominato Procuratore
generale) il suo stato di intellettuale in crisi, e chiede clemenza per i
ribelli. Ha infatti compreso che la Storia e' sempre stata "una scrittura
continua di privilegiati" e che, per quanto illuminati, coloro che
appartengono a una classe sociale diversa da quella dei rivoltosi non
possiedono ne' "il cifrario atto a interpretare" la loro lingua ne' il
cifrario del loro essere, del loro "sentire e risentire": "Teniamo per
sicuro il nostro codice, del nostro modo d'essere e parlare ch'abbiamo
eletto a imperio a tutti quanti: il codice del diritto di proprieta' e di
possesso, il codice politico dell'acclamata liberta' e unita' d'Italia, il
codice dell'eroismo come quello del condottiero Garibaldi e di tutti i suoi
seguaci, il codice della poesia e della scienza, il codice della giustizia o
quello d'un'utopia sublime e lontanissima". Al barone non resta che
interrompere gli studi, considerandoli ormai "inutili", mettere i propri
beni al servizio dell'educazione popolare, prendere le parti dei
rivoluzionari, violenti e saccheggiatori ma vittime della Storia,
raccoglierne le scritte sgrammaticate tracciate sui muri delle celle.
Non e' difficile intravedere, dietro la riflessione di Mandralisca, gli
interrogativi di molti intellettuali tra gli ultimi anni Sessanta e i primi
anni Settanta, epoca cui risale la stesura del romanzo. Una forte componente
politica ed etica segna dunque Il sorriso dell'ignoto marinaio, e la sua
stessa scrittura, se e' vero, come ha affermato ancora Segre sottolineando
lo schema elicoidale della narrazione, che si puo' riconoscere, a fianco
della "inarrestabile discesa spiraliforme" dalle stanze nobiliari del barone
Mandralisca fino alle carceri sotterranee nelle quali sono imprigionati i
colpevoli della strage di Alcara' Li Fusi, una corrispondente discesa
linguistica che va dal "linguaggio vivido e barocco dei primi capitoli" al
dialetto dei ribelli.
*
La lingua dei nobili e delle plebi
Anche Il sorriso dell'ignoto marinaio si avvale di una gamma di registri
molto ampia, che ripropone, con continui passaggi dai discorsi liberi
indiretti al monologo interiore, i livelli dei singoli strati sociali
rappresentati, fatti reagire con il registro delle pagine di saggistica e
con quello proprio del narratore, impreziosito da forme lessicali e
sintattiche antiche o desuete o comunque attinte alla piu' colta tradizione
letteraria. Il narratore trova la sua lingua guardando nella storia: quella
della stessa lingua italiana e quella dei dialetti siciliani, nelle versioni
dei nobili come in quelle delle plebi e ricostruiti nelle forme del secondo
Ottocento.
Con il testo successivo, Lunaria (1985), Consolo, perseguendo l'idea di una
piece teatrale, rielabora in cinque "atti" la prosa L'esequie della Luna del
poeta siciliano Lucio Piccolo. Il risultato, tuttavia, come afferma lo
stesso scrittore in una nota posta a chiusura del libro, sara' "un cuntu,
una storia, un racconto dialogato scritto per esser letto".
*
I richiami a Piccolo e Leopardi
Ambientato in una Palermo settecentesca, ancora governata da un Vicere', il
cuntu di Lunaria, prende le mosse da evidenti richiami intertestuali: la
"caduta della luna" - che ne costituisce il centro narrativo - rimanda,
oltre che allo scritto di Piccolo, ad alcune pagine in prosa e ai versi di
Leopardi, in particolare quelli di Odi, Melisso. Rispetto alle sue fonti,
tuttavia, Consolo coltiva apertamente un'idea teatrale, e per questo, forse,
sottolinea con evidenza la teatralizzazione cui va incontro la vita umana.
Nell'ultimo quadro le parole del Vicere' (i cui comportamenti, fin dalle
prime pagine, erano stati definiti uníaperta "recitazione") non lasciano
adito a dubbi: "Malinconica e' la Storia. Non c'e' che l'universo, questo
cerchio il cui centro e' ovunque e la circonferenza da nessuna parte [...].
Ma se malinconia e' la storia, l'infinito, l'eterno sono ansia, vertigine,
panico, terrore. Contro i quali costruimmo gli scenari, i teatri finiti e
familiari, gli inganni, le illusioni, le barriere dell'angoscia. E il primo
scenario fu la Luna, questa mite, visibile sembianza, questa vicina
apparenza consolante, questo schermo pietoso, questa sommessa allegoria
dell'eterno ritorno. Lei ci salvo' e ci diede la parola". Se la vita e' una
rappresentazione, il sogno - la Luna che ne e' simbolo - e' cio' che solo
resta all'uomo: per questo risorge nella Contrada senza nome, i cui abitanti
conservano "la memoria, l'antica lingua, i gesti essenziali, il bisogno
dell'inganno, del sogno che lenisce e che consola".
Su questo motivo Leopardi si intreccia a Pirandello: concludendo la sua
introduzione alle Novelle di Verga (edizione Feltrinelli, 1992), Consolo
richiama Pirandello, che fa chiedere ai suoi personaggi "il perche' della
condanna del vivere in un continuo, lucido, e amaramente umoristico,
processo verbale che genera, se possibile, ancora piu' strazio, piu' pena. A
cui solo qualche volta, in uno stupito Malpelo che si chiama Ciaula, sorto
dalla profonda miniera, dara' sollievo la tenera luce di una leopardiana
luna notturna".
*
L'Astro immacolato, segno dell'eterno
Nelle ultime battute pronunciate dal Vicere' di Lunaria torna la stessa
immagine, anche se si accompagna a un'altrettanto leopardiana impassibilita'
della Natura: "Non sono piu' il Vicere'. Io l'ho rappresentato solamente
(depone lo scettro, si toglie la corona e il mantello). E anche voi avete
recitato una felicita' che non avete. [...] Vero re e' il Sole, tiranno
indifferente, occhio che abbaglia, che guarda e che non vede. E' finzione la
vita, melanconico teatro, eterno mutamento. Unica salda la cangiante Terra,
e quell'Astro immacolato la', cuore di chiara luce, serena anima, tenera
face, allusione, segno, sipario dell'eterno".
La presenza della luna e della sua simbologia, cosi' evidente in Lunaria, e'
peraltro talmente ricorrente nell'opera di Consolo da meritare un'indagine
specifica (che qui puo' essere solo suggerita): gia' il primo racconto dello
scrittore, composto in eta' adolescenziale e poi distrutto, si intitolava
Triangolo e luna. Anche in Lunaria si trovano comunque sia la polemica
contro i rappresentanti del potere (scientifico, accademico, religioso), sia
la contaminazione di registri linguistici diversi, ora introdotti con la
volonta' di creare un linguaggio letterario lontano dalla lingua di uso
comune.
Su questa via si muove il libro immediatamente seguente, Retablo (1987), che
rappresenta il punto piu' alto della ricerca stilistica e linguistica dello
scrittore. Con esso Consolo torna alla narrazione romanzesca, ma gia' il
titolo (che indica, in spagnolo, la successione di "quadri" di una storia
figurata) rivela che il racconto si svolge per accostamento di testi
diversi: saranno la memoria di un fraticello, il diario di un colto pittore,
una lettera d'amore.
Fin dalle prime righe si manifesta la centralita' delle serie
fonico-evocative, la cui presenza, molto sviluppata rispetto ai testi
precedenti, spinge decisamente la prosa di Consolo verso la poesia:
"Rosalia. Rosa e lia. Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che
ha sventato, rosa che ha roso il mio cervello s'e' mangiato. [...] Lia che
m'ha liato la vita come il cedro o la lumia il dente, liana di tormento".
*
Preziosa prosa poetica
Nota caratteristica di Retablo e' dunque l'"invenzione" stilistica, fondata
sulla manipolazione della lingua italiana colta del Settecento, introdotta
con il diario dal pittore lombardo Fabrizio Clerici, e sulle varieta' di
dialetto siciliano incontrate dal pittore nel suo viaggio attraverso
l'isola. Proprio avvalendosi di una lingua dell'espressione cui importa
piuttosto evocare che comunicare, Consolo arriva a una preziosa prosa
poetica, disseminando qua e la' veri e propri endecasillabi (due esempi: "e
in dentro il calmo lago del suo porto"; "Era l'alba del fiore di ricotta") e
numerose rime: "In piedi sul cassero di prora del packetboat Aurora".
La narrazione si libera (e si libra) nel linguaggio, ma il punto di partenza
e' sempre la vita, nelle sue gioie e nelle sue sofferenze: le une e le altre
dettate spesso dalla passione amorosa, che spinge il pittore a viaggiare, il
fraticello Isidoro a tradire il convento in nome di Rosalia, il frate
Sammataro a diventare brigante per vendicare l'onore di una donna, la
giovane amata da Isidoro a non concedersi mai all'amante, un vecchio
marchese. Il mondo di Retablo, in primo luogo linguistico, e' dunque sempre
intrecciato con la realta', che questa volta detta soprattutto riflessioni
antropologiche (di fronte alle vestigia di antiche civilta' perdute) e
meditazioni esistenziali, con ricorrenti interrogativi sulla vita,
sull'amore, sulla morte che, per la loro insistenza, si impongono come il
vero tema del romanzo. "Cos'e' mai questa terribile, maravigliosa e oscura
vita, questo duro enigma che l'uomo sempre ha declinato in mito, in racconto
favoloso, leggendario, per cercar di rispecchiarla, di decifrarla per
allusione, per metafora?", declama Fabrizio Clerici (il cui personaggio, non
e' inutile sottolinearlo, rimanda al noto, omonimo pittore, che ha disegnato
appositamente cinque tavole, riportate nel volume).
Alla meditazione sulla vita si accompagna inscindibilmente quella sulla
scrittura letteraria, che ha il compito, secondo Clerici (ma la
sottolineatura era gia' presente in Lunaria), di velare "la pura realta'
insopportabile", portando l'uomo al sogno. Come si parte per fuggire "lo
scontento del tempo che viviamo, della nostra vita, di noi", per il bisogno
"di staccarsene, morirne, e vivere nel sogno d'ere trapassate, antiche, che
nella lontananza ci figuriamo d'oro, poetiche, come sempre e' nell'irrealta'
dei sogni, sogni intendo come sostanza de' nostri desideri", cosi' si scrive
per sognare, "memorando del passato come sospensione del presente, del viver
quotidiano": e "un sognare infine in suprema forma, e' lo scriver d'un
viaggio, e d'un viaggio nella terra del passato".
*
Un anticipo di ipertesto
A un certo punto, Clerici, derubato di tutto, deve scrivere su fogli avuti
in dono: sul verso di alcuni c'e' il memoriale di una donna, che, senza
volerlo, entra a far parte del diario, cosi' che l'uno e l'altro procedono,
almeno per un tratto, parallelamente, sul recto e sul verso delle pagine di
Retablo. E' l'occasione per un'ulteriore annotazione che conferma la
continua ricorrenza, in tutta la narrativa di Consolo, di una riflessione
sulla scrittura, spesse volte apertamente esplicitata: "Sembra un destino,
quest'incidenza, o incrocio di due scritti, sembra che qualsivoglia nuovo
scritto, che non abbia una sua tremenda forza di verita', d'inaudito, sia la
controfaccia o l'eco d'altri scritti".
La dichiarazione rimanda esplicitamente all'intertestualita' della
scrittura, e puo' funzionare per rileggere gli inserimenti saggistici del
Sorriso dell'ignoto marinaio, e per dare un senso narrativo alle lunghe
citazioni (testi di viaggio, descrizioni storiche, scientifiche, artistiche)
riportate, sotto il titolo Notizie, alla fine di Lunaria. (A proposito di
queste "aggiunte", si potrebbe affermare che Vincenzo Consolo costruisce,
con molto anticipo sui tempi, una sorta di ipertesto: il mezzo cartaceo,
naturalmente, non lo consente, e tuttavia il lettore e' sempre tentato di
passare dal testo narrato a quell'altro che lo documenta e, che, collocato
alla sua fine, vorrebbe aprirsi dentro di esso).
*
Enumerazioni in stile barocco
Prima di abbandonare Retablo e' necessario citare un ulteriore tratto
stilistico che trova in questo romanzo la sua esaltazione: il gusto
dell'enumerazione. Introducendo gli elenchi piu' vari, lo scrittore sembra
far passare le volute dello stile barocco delle chiese di Sicilia
direttamente nella scrittura letteraria (e non sara' inopportuno ricordare
che Consolo pubblichera', nel 1991, un saggio dal titolo Il Barocco in
Sicilia. La rinascita della Val di Noto). Del resto, si e' gia' detto
ampiamente, per Consolo la letteratura si fonda sull'invenzione della
scrittura e sulla continua contaminazione di registri diversi: il pastiche
si offre come strumento privilegiato di conoscenza della realta',
individuale e collettiva.
E tuttavia, narratore sperimentale, Consolo e' alieno dai giochi di quegli
scrittori della neoavanguardia che manipolano il linguaggio e i materiali
narrativi o poetici in funzione puramente ludica. Nella sua ricerca
stilistica e' imprescindibile il riferimento alla realta'. Lo confermano
varie dichiarazioni di poetica, affidate a interviste, a pagine
d'introduzione ad autori vari, a interventi giornalistici. In una nota
all'edizione italiana di Uomini sotto il sole, del palestinese Ghassan
Kanafani (Sellerio, 1991), Consolo dichiara apertamente l'importanza di una
letteratura investita di responsabilita' politica ("nel senso che nasce,
essa letteratura, da un contesto storico e ad esso si rivolge"), ma proprio
per questo attenta alla "generale ed eterna condizione umana".
*
Scontri sociali e degrado dell'isola
Nelle opere successive a Retablo,la componente etico-politica trova un
approfondimento, mentre sono ridotte (sebbene mai completamente eliminate)
l'invenzione linguistica e la contaminazione di lessici e di morfologie
diverse, che oscillano sempre tra l'italiano e il dialetto siciliano.
Proprio in questa direzione va la raccolta di racconti Le pietre di
Pantalica (del 1988), nella quale la sezione iniziale, "Teatro", rimanda
ambiguamente alla rappresentazione della vita, ma anche al teatro degli
scontri tra latifondisti e contadini nell'immediato dopoguerra, al centro di
questa sezione; la seconda, "Persone", propone il ricordo di alcuni
scrittori siciliani (da Sciascia a Buttitta, a Lucio Piccolo); la terza,
"Eventi", descrive alcune citta' degradate della Sicilia degli anni Ottanta.
A spunti gia' presenti in precedenza, sia nella scrittura, tendente spesso
alla poesia, sia sul piano tematico, per esempio le rivolte popolari contro
l'oppressione del latifondo, si affianca ora la novita' di una sconsolata (o
addirittura disperata) considerazione sulla fine della civilta'.
In particolare nel racconto di chiusura, "Memoriale di Basilio Archita", si
fa strada l'idea della sconfitta dell'intera umanita'. Il narratore - un
marinaio siciliano - racconta di avere assistito, impotente, durante il suo
imbarco su una nave greca, alla decisione del capitano di gettare in mare,
in pasto ai pescicani, un gruppo di neri imbarcatisi clandestinamente. Nel
gesto criminale va riconosciuta non soltanto la perdita di valori
dell'antica civilta' occidentale, quanto dell'intera umanita', ferinamente
disumanizzata: e ora la letteratura deve farsi carico di rivelare il degrado
verso cui precipita la condizione umana.
Questo compito e' implicitamente svolto nel romanzo Nottetempo, casa per
casa (1992), nel quale lo scrittore presenta, attraverso i tratti di alcuni
personaggi - il barone Cicio, il pastore Janu, il capo di una setta
esoterica, l'insegnante Petro -, la vita di un paese siciliano nei primi
anni del fascismo. La devastazione ambientale denunciata ne Le pietre di
Pantalica non c'e', ma si intravede il deterioramento sociale alimentato
dalla netta divaricazione tra chi ha privilegi e chi ne e' privo. Se il
barone esalta gli stranieri, liberi in amore e dediti al culto dionisiaco,
come un evento per uscire dalla stasi della sua vita, l'insegnante Petro,
personaggio-coscienza del racconto, vive il disagio di chi si accorge
dell'inspiegabilita' e dell'immodificabilita' del dolore e dunque della
vanita' della letteratura come fuga.
La consapevolezza della fragilita' esistenziale ("E tu, e noi chi siamo?
Figure emergenti o svanenti, palpiti, graffi indecifrati") non impedisce a
Petro di accostarsi agli antifascisti (per cui dovra' fuggire dall'Italia),
ma lo spinge anche a rendersi conto che "la bestia trionfante di quel
tremendo tempo, della storia, che partorisce orrori, sofferenze" si nasconde
in ogni uomo, e che da questa bestia ciascuno si deve guardare. In questa
situazione la scrittura deve essere conoscenza, non scappatoia: "Penso' che
ritrovata la calma, trovate le parole, il tono, la cadenza, avrebbe
raccontato, sciolto il grumo dentro. Avrebbe dato ragione, nome a tutto quel
dolore".
L'incipit di L'olivo e l'olivastro (del 1994, lo stesso anno di una raccolta
di quattro brevi racconti intitolata Nero' Metallico'), sembra prendere le
mosse proprio da quest'ultima frase: "Ora non puo' narrare. Quanto preme e
travaglia arresta il tempo, il labbro, spinge contro il muro alto, nel
cerchio breve, scioglie il lamento, il pianto".
Senza piu' una narrazione lineare, L'olivo e l'olivastro propone un ennesimo
viaggio, per quanto non scandito da tappe geografiche, nella Sicilia eretta
a metafora di tutta la civilta' occidentale e della sua crisi. Si passa dai
luoghi fisici ai topoi culturali, dalle piane fiorite alle raffinerie di
Gela, da Omero ai contemporanei. Incontri, riflessioni, descrizioni, ampie
citazioni da libri antichi e moderni sviluppano il motivo che ora sta piu' a
cuore allo scrittore: "Trova solo senso il dire o ridire il male, nel mondo
invaso in ogni piega e piaga dal diluvio melmoso e indifferente di parole
atone e consunte, con parole antiche o nuove, con diverso accento, di
diverso cuore, intelligenza".
*
Ruolo etico della letteratura
La riflessione sulla scrittura, componente, come si e' visto, di tutta
l'opera narrativa di Consolo, torna manifestamente in L'olivo e l'olivastro,
per accentuare il ruolo etico della letteratura, che si deve impegnare, con
la specificita' del proprio linguaggio, nel testimoniare i mali del mondo (e
viene in mente lo scriba di Conversazione in Sicilia di Vittorini). Occorre
dunque cercare le parole che ancora si possono utilizzare, senza il rischio
della banalita' o senza arrivare all'afasia. In ogni passo di L'olivo e
l'olivastro Consolo cerca con insistenza una risposta alle domande
drammatiche introdotte alla fine del decimo capitolo: "Cos'e' successo, dio
mio, cos'e' successo a Gela, nell'isola, nel paese in questo atroce tempo?
Cos'e' successo a colui che qui scrive, complice a sua volta o inconsapevole
assassino? Cos'e' successo a te che stai leggendo?".
Per lo scrittore e il lettore c'e' dunque un fine comune: quello di
interrogarsi sulla condizione degli uomini, dentro una storia disumanizzata,
per la quale lo scrittore non esita a richiamare la "tragedia" antica:
"Quale erba cresciuta / nel veleno, quale acqua / sgorgata dal fondo del
mare / hai ingoiato".
*
Un'isola tra l'inferno e il sorriso
Di Vincenzo Consolo sono numerosi gli scritti introduttivi ad autori
classici e contemporanei; moltissimi sono anche gli interventi
giornalistici. Una bibliografia (non completa) di e su Consolo e' nel numero
29 del 1995/I di "Nuove effemeridi" (Palermo, Edizioni Guida). Qui di
seguito diamo i piu' importanti titoli di narrativa e saggistica.
La ferita dell'aprile, Mondadori (1963), poi Einaudi (1977) e ancora
Mondadori (Oscar, 1989 con introduzione di G. C. Ferretti).
Il sorriso dell'ignoto marinaio, Einaudi (1976), poi Mondadori (Oscar 1987
con introduzione di C. Segre) e infine Mondadori (1997, con postfazione
dell'autore).
Lunaria, Einaudi (1985), poi Mondadori (1996).
'Nfernu veru. Uomini e immagini dei paesi dello zolfo, Edizioni del Lavoro
(1985).
La pesca del tonno in Sicilia, Enzo Sellerio (1986).
Retablo, Sellerio (1987), poi Mondadori (1992).
Le pietre di Pantalica, Mondadori (1988), poi Mondadori (Oscar, 1990, a cura
di G. Turchetta).
Il Barocco in Sicilia. La rinascita della Val di Noto, Bompiani (1991).
Nottetempo, casa per casa, Mondadori (1992), poi Mondadori (Oscar, 1993,
introduzione di A. Franchini).
Fuga dall'Etna. La Sicilia e Milano, la memoria e la storia, Donzelli
(1993).
Nero' Metallico', il melangolo (1994).
L'olivo e l'olivastro, Mondadori (1994, poi Oscar 1995).

4. LIBRI. BARBARA SPINELLI PRESENTA "PREDATORI" DI ANNA SALTER
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione apparsa su
"Le Monde diplomatique" di gennaio 2009]

Anna Salter, Predatori, Elliot, 2009, pp. 350, 17 euro.
*
C'e' una abbondante letteratura sulle vittime di abusi sessuali. Al
contrario, poco si sa del criminale sessuale, figura che dai tempi di Jack
lo Squartatore in poi viene identificata in un essere abbietto ed
emarginato, con una sessualita' deviata, che cerca le sue vittime tra orfani
e prostitute. Ancora oggi, e' diffusa la paura del violentatore straniero
appostato nella strada di periferia, degli zingari "ladri di bambini".
Eppure, le statistiche evidenziano che la maggior parte delle violenze
sessuali su donne e bambini e' opera di familiari e conoscenti. E' proprio
grazie alla credibilita' sociale di cui godono questi "insospettabili"
criminali che riescono a carpire la confidenza delle vittime, e ad abusarne
sessualmente, spesso rimanendo impuniti. "L'assassino sa come farsi aprire
la porta dalle donne", spiega Anna Salter, psicologa americana con venti
anni di esperienza nel trattamento di criminali sessuali.
Nel suo libro, li chiama "predatori": perche' non si tratta di malati, ma di
persone intelligenti, autentici professionisti della bugia, che scelgono le
vittime con cura, intessendo relazioni fatte di segreti e di inganni, fino a
ottenerne il controllo psicologico. Cosi' possono assicurarsi l'impunita' e
la possibilita' di reiterare i crimini nel tempo, anche nei confronti di
piu' vittime. Sanno che la loro liberta' dipende dalla loro credibilita',
per questo, a parte la loro propensione alle molestie, sono amici fedeli,
bravi dipendenti e coscienziosi membri della societa'.
La strategia del "bravo ragazzo" paga: la probabilita' di essere arrestati
per un reato sessuale e' meno del 5%, e scende se si parla di reati contro i
bambini, perche' spesso le segnalazioni fatte dal minore ai genitori o ai
servizi non vengono prese in considerazione. Anche molte perizie
psichiatriche basano l'analisi su classici pregiudizi, facendo disperdere le
prove: partendo dal presupposto che stupratori, pedofili, assassini, debbano
essere individui brutali, si tende a valorizzare la gentilezza del soggetto,
il bel rapporto che lo legava alla "presunta" vittima.
Il rischio dell'approccio psicologico e' lo spostamento e la negazione della
responsabilita': e' ancora viva la propensione a giustificare le molestie
attribuendo la responsabilita' alle vittime "collaborative", come il bambino
che seduce, la ragazza che si lascia sedurre (Abraham, Bender, Mirkin), o
che e' gratificata dallo stupro incestuoso del padre (Weiner).
La Salter e' netta nella sua analisi: la violenza sessuale non parte mai da
un "eccesso d'amore", rappresenta sempre la scelta pianificata del criminale
di trarre per se' la massima gratificazione da una relazione di fiducia e
confidenza, che si e' costruito ad hoc. Non si puo' pensare a una
"riabilitazione" di chi compie crimini sessuali: le statistiche mostrano
che, anche dopo la terapia piu' efficace, sessanta criminali sessuali su
cento tornano a delinquere nel breve termine, molti di piu' nel lungo
termine.
Questo perche', spiega la Salter, per ogni criminale sessuale "il controllo
del comportamento sessualmente violento e' uno sforzo da applicare anche per
tutta la vita". Ma anche il carcere non paga, anzi, diventa luogo di
ideazione di nuove fantasie.
E' il dominio simbolico del patriarcato infatti, attraverso una cultura
pornografica fallocentrica, a consentire il moltiplicarsi di criminali
sessuali: se non si scardinano le dinamiche predatorie di controllo alla
base di questa concezione, diventa difficile pensare soltanto a come
proteggere le prede.
Di questo dovrebbe tener conto anche il nostro legislatore, che, nel disegno
di legge sugli atti persecutori, introduce la possibilita' di programmi di
riabilitazione per i condannati, ma nulla dice sul come prevenire gli
episodi di persecuzione, non riconoscendo che alla base di questi c'e'
proprio la volonta' di controllo da parte dell'ex partner sulla donna, anche
dopo la fine di una relazione.

5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

6. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 728 dell'11 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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