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Minime. 722
- Subject: Minime. 722
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 5 Feb 2009 00:54:24 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 722 del 5 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Domani a Vignanello 2. La solidarieta' di Francesco Guccini al comitato che si oppone al mega-aeroporto a Viterbo 3. Marisa Guarneri: Alle giornaliste ed ai giornalisti 4. Giulio Vittorangeli: Il lavoro, il razzismo 5. Daniela Rasia: Pedro Almodovar (1998) 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. INCONTRI. DOMANI A VIGNANELLO Il Centro studi e ricerche "Santa Giacinta Marescotti" presso il Castello Ruspoli di Vignanello (Vt) venerdi' 6 febbraio 2009 alle ore 17 ospita un convegno sul tema: "Arte, storia, cultura, ambiente e salute: le ragioni dell'opposizione all'aeroporto a Viterbo". Partecipano la dottoressa Antonella Litta, la scrittrice Marinella Correggia e il professor Alessandro Pizzi. Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito: www.coipiediperterra.org, per contattare direttamente la portavoce del comitato che si oppone all'aeroporto, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it 2. INIZIATIVE. LA SOLIDARIETA' DI FRANCESCO GUCCINI AL COMITATO CHE SI OPPONE AL MEGA-AEROPORTO A VITERBO Il grande cantautore Francesco Guccini ha espresso la sua solidarieta' al comitato che si oppone alla realizzazione di un devastante mega-aeroporto a Viterbo. * In un colloquio con alcuni animatori del comitato, l'autore di alcune delle opere piu' rilevanti della canzone d'autore italiana degli ultimi decenni, ha espresso un pieno sostegno all'impegno per difendere il territorio e rilevanti beni ambientali, culturali e sociali del viterbese, la salute e i diritti della popolazione, dall'aggressione costituita da un nocivo e distruttivo mega-aeroporto che devasterebbe irreversibilmente l'area termale del Bulicame ricordata da Dante nella Divina commedia. "Oggi piu' che mai dobbiamo difendere la nostra terra da pericoli e attacchi di questo tipo; la difesa e la tutela dell'ambiente vengono al primo posto", ha affermato il grande cantautore. * Il comitato ringrazia di tutto cuore Francesco Guccini, la cui dichiarazione di solidarieta' si aggiunge a quelle di tante personalita' della cultura e dell'impegno civile, come il magistrato Ferdinando Imposimato, la vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, padre Alex Zanotelli, scienziati come Angelo Baracca, Virginio Bettini, Luigi Cancrini, Marcello Cini, Paul Connett, Giorgio Cortellessa, Luca Mercalli, Stefano Montanari, Giuseppe Nascetti, Giorgio Nebbia, Gianni Tamino, Federico Valerio; altri cattedratici universitari come Rocco Altieri, Anna Bravo, Andrea Canevaro, Andrea Cozzo, Giovanna Fiume, Nella Ginatempo, Domenico Jervolino, Fulvio Cesare Manara, Raffaele Mantegazza, Arnaldo Nesti, Luigi Piccioni, Giuliano Pontara, Lorenzo Porta, Elena Pulcini, Claudio Riolo, Annamaria Rivera, Antonella Sapio, Giovanni Scotto, Sergio Tanzarella, Silvia Vegetti Finzi; scrittrici e saggiste come Dacia Maraini, Lea Melandri; intellettuali come Franco Barbero, Augusto Cavadi, Giancarla Codrignani, Francesco De Notaris, Maria G. Di Rienzo, Pupa Garribba, Federica Giardini, Enzo Mazzi, Nadia Neri, Brunetto Salvarani, Bruno Segre, Renato Solmi; personalita' della vita civile e dell'impegno sociale ed educativo come Michele Boato, Marinella Correggia, Pasquale Iannamorelli, Floriana Lipparini, Daniele Lugli, Luigi Malabarba, Anna Puglisi, Umberto Santino, Mao Valpiana, Marcello Vigli; il magistrato Gennaro Francione; i parlamentari europei Vittorio Agnoletto, Vincenzo Aita, Giovanni Berlinguer, Giusto Catania, Giulietto Chiesa, Claudio Fava, Monica Frassoni, Sepp Kusstatscher, la gia' citata Luisa Morgantini, Roberto Musacchio, Pasqualina Napoletano; i senatori e deputati al parlamento italiano della precedente legislatura Maurizio Acerbo, Angelo Bonelli, Salvatore Bonadonna, Paolo Cacciari, Salvatore Cannavo', Giovanna Capelli, Anna Donati, Rina Gagliardi, Haidi Giuliani, Salvatore Iacomino, Vladimir Luxuria, Francesco Martone, Lidia Menapace, Maria Cristina Perugia, Paolo Russo, Gianpaolo Silvestri, Massimiliano Smeriglio, Gino Sperandio, Tiziana Valpiana. E con essi innumerevoli cittadini viterbesi. 3. RIFLESSIONE. MARISA GUARNERI: ALLE GIORNALISTE ED AI GIORNALISTI [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo il seguente intervento di Marisa Guarneri della Casa delle donne maltrattate di Milano] Basta con gli articoli sugli stupri e alle trasmissioni televisive di inchiesta. Come se gia' non si sapesse tutto e nel dettaglio. Sia cosa accade, come mai accade e che cosa si potrebbe fare. Presentatevi come testimoni informati dei fatti, questo servirebbe. E basta con i cori di quali leggi ci vorrebbero. Lo sappiamo e nel dettaglio. E specialmente basta a tutte quelle che le invocano nei convegni e poi non fanno nulla nei loro partiti, se non ripetere vecchie litanie. Per il rispetto delle donne, vittime e non, tacete. Specialmente perche' gli stupri come tutti sappiamo non dipendono dalla avvenenza delle vittime, ma dal desiderio di umiliare e mostrare il proprio potere. Cosa che purtroppo avviene in tutto il mondo. 4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL LAVORO, IL RAZZISMO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento] L'arrivo di lavoratori italiani a Grimsby nel Lincolnshire, per la costruzione di una raffineria petrolifera, ha scatenato un'ondata di scioperi da parte dei lavoratori inglesi al grido di "Lavori britannici ai lavoratori britannici". L'impresa Irem, di Siracusa, ha vinto l'appalto per la costruzione della raffineria di North Killinghome, ed un primo gruppo di circa cento lavoratori italiani sono finiti asserragliati nella chiatta attaccata al porto di Grimsby. Gli scioperi da Grimsby si sono rapidamente estesi alle altre decine di impianti petroliferi, centrali elettriche ed industrie dove i lavoratori hanno incrociato le braccia in solidarieta' con i loro colleghi. Il rischio e' che gli scioperi, dettati da un risentimento nazionalista, prendano una svolta razzista; del resto il crollo dell'economia britannica spinge verso una colonizzazione economica da parte delle imprese degli altri paesi europei, e conseguentemente a sfogare il malcontento contro lavoratori stranieri e minoranze etniche. "... e bravi gli italiani. Mentre mio figlio sta a casa senza lavoro, loro vengono qui di soppiatto a prendergli il posto", e' una delle tanti frasi sentite. Solo che sembra di ascoltare quanto comunemente viene detto nel nostro paese, conto gli immigrati che vengono a "rubare il lavoro" agli italiani. Strano corto circuito, che vuole gli italiani derubati a casa propria e ladri in casa altrui. In realta' e' il frutto avvelenato della globalizzazione economica che spinge verso la xenofobia, in Inghilterra come in Italia; sorta di "razzismo popolare", che non e' di per se' una novita' assoluta; appare tipico di situazioni concorrenziali tra soggetti sfavoriti. La novita' e', almeno in Italia, che si e' compiuta una pericolosissima saldatura fra razzismo popolare e razzismo di Stato, dove la "guerra fra poveri" e' diventata una drammatica e dolorosa realta'. Il razzismo e la xenofobia funzionano - oramai ad ogni latitudine - come vere e proprie valvole di sfogo delle nostre inquietudini, della nostra insicurezza, del nostro disagio verso i problemi autentici. Semplificando, possiamo dire che fra gli anni Ottanta e la fine del Novecento un terremoto ha investito quei sistemi politico-sociali che si credevano intramontabili; e sono entrate in crisi, con la globalizzazione, anche molte sicurezze private, dal posto fisso alla pensione a una societa' monoculturale dove ognuno ha i nostri stessi gusti, la nostra lingua, le nostre tradizioni e i nostri sistemi di riferimento. A questi sconvolgimenti si e' reagito, spesso, con la xenofobia, cioe' col ripiegamento nella propria "identita'" - sempre piu' sfuggente e ridotta alla "terra" e al "sangue" o alla religione - con la domanda di "ordine e sicurezza" per difenderla e con il rigetto dell'altro. Dove "l'altro" viene esclusivamente definito tramite proposizioni negative: non ha origini, non ha storia, non ha il nostro odore o colore, non ha la nostra cultura, non ha la nostra religione, non parla la nostra lingua. In sostanza, all'interno di tali processi collettivi di espulsione l'altro viene privato della propria umanita', del suo statuto di persona umana. Si vaneggia cosi' di "scontro di civilta'", quando nella realta' si tratta di "scontro di ignoranze"; rimovendo, al contempo e totalmente, il conflitto mondiale tra capitale e lavoro, che oggi rischia invece di precipitare in un conflitto tra lavoratori; con i sindacati che, rispetto alla globalizzazione capitalistica attuale, sono - nel migliore dei casi - inadeguati. Alessandro Leogrande, sulla rivista "Lo Straniero" di alcuni mesi fa, ricordava come agli inizi del Novecento i socialisti seppero governare dal basso conflitti simili ed altrettanto difficili: "Non era infrequente, tra i braccianti organizzati della pianura padana o del Tavoliere, picchiare i contadini forestieri che accettavano paghe inferiori e condizioni di lavoro peggiori, mettendo in discussione i vantaggi acquisisti a seguito di lotte molto dure. I socialisti - anche se con enormi difficolta' - seppero governare quei conflitti. Seppero creare tra i lavoratori un fronte comune, evitando che ci si scannasse tra poveri, facendo il gioco degli agrari. Il socialismo italiano e' nato proprio li', in quelle condizioni, governando quei problemi". A un secolo di distanza, nelle periferie urbane delle grandi e medie citta' italiane stanno nascendo conflitti simili. La soluzione, allora, non e' tanto nell'alzare barricate contro i processi di internazionalizzazione, quanto nella difesa e nell'estensione dei diritti di tutti i lavoratori, a partire dal diritto ad un vero lavoro. 5. CINEMA. DANIELA RASIA: PEDRO ALMODOVAR (1998) [Dal mensile "Letture", n. 549, agosto-settembre 1998, col titolo "Pedro Almodovar. Il regista del collage televisivo" e il sommario "Citazionista, dissacrante nei contenuti e mescolatore di generi in un erotismo provocatorio. Piu' che per la linearita' del suo messaggio lo spagnolo si fa notare come testimone del relativismo legato al piccolo schermo"] Almodovar vietato ai minori, trasgressivo, aggressivo, eccentrico, paradossale, morboso, eclettico, cangiante, dispersivo. Queste le piu' comuni definizioni di un regista-sceneggiatore che ha molto fatto parlare di se' e che, a proposito del suo cinema, ebbe a dire che quando i difetti di un film sono molti, finiscono col diventare uno stile (F. Strauss, "Le cinema voyage'. Entretien avec Pedro Almodovar", Cahiers du Cinema, n. 445/446, maggio 1992). Il film in questione era il suo primo film commerciale, Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1979-80), effettivamente grezzo tecnicamente, prolisso, frammentario, oltreche' sgradevole. Il fatto e' che i film di Almodovar hanno dato quasi sempre l'impressione di essere dei contenitori coloratissimi e scoppiettanti di intrecci ramificati, caotici e paradossali, dalla sceneggiatura spesso debole (tra le piu' riuscite Matador e Donne sull'orlo di una crisi di nervi). Se a cio' si aggiungono le situazioni spregiudicate e le immagini ostentatamente ose', si capisce perche' i suoi film siano risultati nel complesso difficilmente appetibili per il grande pubblico. Di fatto lo stile di Almodovar, se di stile si puo' parlare, nasce da un'ardita e complessa operazione di mixaggio di generi: il melodramma, la commedia, la telenovela, il feuilleton, il poliziesco, l'horror; di musiche: dal punk al rock, alla canzonetta; di movimenti artistici della fine anni '70, di fumetto, di Pop Art, di vezzi e orpelli kitsch; e' un insieme multiforme di pathos, di ironia, di gags e nonsensi, di riferimenti ai media (tv, video), di citazioni dai classici d'autore e dalla cultura underground, di autoriferimenti, comprese le brevi apparizioni personali-familiari: di se', della madre e del fratello. Proprio per questo il citato Pepi, Luci, Bom... e' in un certo modo un film embrionale, in cui si ritrovano: il modello cinematografico per il personaggio di Pepi - l'eroina di Brazzaville Beach di W. Boyd -, l'alternanza e l'incastro delle vicende, l'inserimento dello spot pubblicitario, lo show musicale con cantanti-personaggi, il riferimento alla sceneggiatura nel suo farsi, le inquadrature attraverso finestre o di personaggi che compaiono ad angoli di edifici, l'apparizione del regista stesso, nonche' l'accentuazione di un erotismo trasgressivo tra masochismo, omosessualita' e oscenita', irriverente e divertito. * "Movida madrilena" E' certo che nell'eclettismo di una liberta' creatrice che diventa cio' che e' proprio nel suo farsi, dove e' la fantasia a rompere i limiti della sceneggiatura e a far cambiare tutto, c'e' l'impronta della formazione giovanile del - sembra - quarantasettenne regista mancego: il clima di dissacrante effervescenza fatto di improvvisazioni, di collaborazione a riviste underground, di allestimenti teatrali, di esperimenti in super-8, di complessi punk-rock, che venne a esplodere dopo la morte di Franco e prese nome di "movida madrilena". Formazione non di scuola, dunque, da cui nasce, con molte difficolta' economiche, Pepi, Luci, Bom..., in origine fotoromanzo pornografico, poi soggetto cinematografico, guardato a distanza dalla critica, ma apprezzato dal pubblico. Preludio di un successo di mercato che culminera' negli anni '80, anni di maggior produzione del regista, e che gli permettera' di fondare una propria casa di produzione, El Deseo (consociata poi alla francese Ciby 2000). * Donne: figure determinanti Almodovar ama senza dubbio raccontare (a suo dire, fin dai tempi del super-8), coinvolgere lo spettatore in un vortice di emozioni, portarlo tra vicende impossibili, per poi restituirlo a se stesso. Raccontare senza la presunzione di verita', entrando e uscendo dal gioco della fiction, rendendo verosimile l'inverosimile. Creando quegli inconfondibili collages che sembrano far andare insieme la vista, ma da cui non si distoglie facilmente lo sguardo. Raccontare in primo piano, spudoratamente e, come direbbe Baudrillard, oscenamente, l'amore-desiderio, con la sua forte fisicita', con la sua carica di sentimento e di passione, con i suoi candori e i suoi torbidi. Mescolando i luoghi canonici a un erotismo provocatorio, dove anche le identita' sessuali sconfinano e i ruoli si rovesciano. Facendo delle figure femminili, prorompenti e inquiete, libere e sole, affidate alle intense personalita' delle sue attrici, gli elementi accentratori o comunque determinanti, anche quando il tema e' l'omosessualita' maschile. Di gran lunga quasi sempre piu' riuscite dei corrispondenti maschili. Un classico e' il connubio di amore e morte in Matador (1986): una passione ineluttabile tra Diego Montes, ex torero e ora maestro di tauromachia, e Maria Cardenal, avvocato, entrambi con l'ossessione del piacere-morte. Il film inizia con lui che si eccita davanti ai video di donne squartate e lei che - in sequenza in parallelo - uccide con uno spillone il suo amante nel momento del piacere. Le successive mosse di avvicinamento e di allontanamento tra i due, scandite come una lotta col toro, sono sottolineate da giochi di montaggio e da una particolare ricercatezza espressiva: indimenticabile l'ultima sequenza, dove, tra i gesti di un rito purificatorio e su un tappeto di petali di rose rosse, i due finiscono col darsi la morte. Anche La legge del desiderio (1987) e' una storia di amore e morte, nella quale il regista Pablo Quintero, omosessuale sentimentalmente instabile, e' amato perdutamente dal giovane Antonio che, dopo aver eliminato il rivale, si suicidera' pur di possederlo un'ultima volta. Estetizzante l'uno, immediatamente carnale l'altro, i due film hanno alcuni elementi in comune: dagli inizi (le scene di masturbazione) al finale (l'amplesso prima della morte), alla presenza del personaggio "terzo" che in qualche modo entra nel gioco a due, portandolo a compimento: l'uno, l'allievo di Diego, Angel, attraverso la sua autoesclusione punitiva; l'altro, lo stesso Antonio, con la forza autodistruttiva della sua passione. Da notare, in La legge del desiderio, le riprese oblique e dall'alto del letto in cui giace la coppia omosessuale, tra effetti di luce calda e bianca, azzurra e rossa, che sembrano un po' l'eco delle sontuosita' pittoriche di Matador. Si e' parlato, a proposito dei due film, di analogia di genere melodrammatico. Ma sulla vocazione melodrammatica di Almodovar c'e' piu' di una riserva, essendo i suoi film assolutamente privi del senso del peccato e della legittimita' della legge: i due amanti assassini e suicidi di Matador cercano di sfuggire alla polizia, che li vorrebbe puniti, per poter darsi eroicamente quella morte, che solo a loro e' concessa, mentre gli altri (polizia, fidanzati, madri eccetera) stanno a guardare. In La legge del desiderio l'obiettivo di possedere l'oggetto d'amore rende legittimo ogni comportamento, l'omicidio e il suicidio, e non si discute neppure sull'omosessualita'; se mai, cio' che ostacola veramente la passione e' l'intellettualita' algida e funzionale di Pablo. L'amore-desiderio ineludibile, ma frustrato, l'impossibilita' di essere normale, l'integrazione mancata tra uomini e donne, l'amore-oppressione del quotidiano, tra romantiche idealizzazioni e spirito d'indipendenza, l'amore-solitudine e fallimento, ridotto a violenza e a voyeurismo. E', in fondo, il campionario completo delle storie di Almodovar (in parte valido anche per il piu' ottimistico e recente Carne tremula). Escluso, soltanto, Labirinto di passioni (1982), fiaba comica, "commedia delirante" (del genere La vita facile di Sturges), o, se si vuole, caotica proliferazione di intreccio, in cui il lieto fine segue l'incontro predestinato della coppia Riza Niro e Sexilia; ma, anche qui, oltre al fatto che i personaggi sono ben poco delineati, le nevrosi dei due - l'omosessualita' ingorda dell'uno e la ninfomania dell'altra - si integrano, ma non si risolvono, a onta di tutte le sedute psicoanalitiche. * L'anormalita' normale Probabilmente il piu' sconsolato, nel panorama almodovariano, rimane Che cosa ho fatto io per meritare questo? (1984), modellato sul neorealismo spagnolo degli anni Cinquanta e Sessanta, ma rivisto con humour drammatico e perverso, attraversato dal pop, dal kitsch, dai riferimenti ai media. In una anormalita' che ha l'indifferenza della piu' assoluta normalita', dominata dalla televisione, tra figli adolescenti spacciatori o prostituiti, un marito maschilista, un'amica prostituta, un poliziotto seduttore impotente, Gloria s'arrabatta a far quadrare i bilanci, cercando un piacere sessuale che le e' negato e consolandosi con i tranquillanti. Oggetto tra gli oggetti - le inquadrature impossibili di lei dall'interno della lavatrice e le riprese d'angolo o ravvicinate agli oggetti della sua schiavitu' -, alla fine, forse, avra' il suo riscatto, dopo che si sara' liberata di quasi tutti, in primis del marito, colpito, con reminiscenza hitchcockiana, con un osso di prosciutto. * Religione kitsch Ne L'indiscreto fascino del peccato (1983) - traduzione di impropria suggestione bunueliana - torna il tema della passione mancata. Film nato su ordinazione del produttore, che voleva compiacere l'attrice che interpreta Jolanda, in un certo senso, l'eroina che seduce tutti (ispirata alla Dietrich di Venere bionda), contaminazione di commedia, di poliziesco e musical, e' la storia di una cantante drogata, Jolanda, ricercata dalla polizia dopo che il fidanzato e' morto per overdose, che si rifugia in un atipico convento di suore, dove l'illecito si pratica con la massima naturalezza e le monache, suor Squallida, Maltrattata, Perduta, Vipera e via dicendo, spacciano e si fanno di coca, scrivono romanzi erotici, allevano una tigre, tengono poster di attori; dove la madre superiora e' innamorata di Jolanda, alla quale, per cosi' dire, si confessa al ritmo di un bolero, ma da cui dovra' staccarsi al momento della chiusura d'autorita' del convento. Niente di veramente dissacrante in tutto questo: in fondo, per Almodovar, la religione, quando non e' repressione istituzionalizzata (come per Angel in Matador), e' un fatto estetico, teatrale, un kitsch di altarini stracarichi di lumi, immagini, ninnoli (tra tutti si ricordi l'altare infuocato nel finale di La legge del desiderio). Da ricordare alcune scelte formali: oltre alle inquadrature attraverso finestre, ci sono le inquadrature dall'alto che servono a schiacciare il personaggio, gli effetti di luce, l'insistenza sui colori rosso e oro, la cura dei costumi, dove primeggia l'atelier del cappellano e della suora che preparano eleganti collezioni stagionali per le statue della Madonna. Nato dopo un'idea abortita di fare Tacchi a spillo e dopo aver elaborato quello che doveva essere un monologo ispirato alla Voce umana di Cocteau, Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988) e' il primo grande successo di Almodovar. Commedia folle, svitata, alla Hawks - del resto anche Labirinto di passioni era sul genere -, trova il suo modello indiretto nelle commedie romantiche alla Wilder o alla Cukor. Ivan, l'uomo che ha abbandonato Pepa, fa il doppiatore in Johnny Guitar di S. Hayden, come del resto Pepa, che doppia anche spot televisivi: un ironico rapporto a due simulacrale, dove lei lo insegue tra svenimenti e assalti e lui svicola via, assente e seducente, non senza aver lasciato la sua voce sulla segreteria telefonica. La delusione di lei si intreccia agli incontri piu' o meno casuali con altre donne - tra cui quelle di Ivan - e a un complicarsi di vicende dalla tenuta perfetta, che si chiude con un inseguimento verso l'aeroporto e la scoperta che l'oggetto d'amore, una volta raggiunto, ha perduto il suo fascino. C'e' da rimanere piacevolmente disorientati sulle conclusioni: di queste donne in bilico tra l'amore-dipendenza e la solitudine-liberta', che si domandano, rovesciando una tipica espressione maschilista, se gli uomini siano da preferire alle moto e se sia piu' facile capire un motore che la psicologia di un uomo. C'e' da essere sorpresi per le soluzioni formali adottate nel film: dalle riprese variate sul corpo allungato di Pepa al volto picassiano di Juana, dalla testa di donna che scorre sopra il passamano del tapis roulant allo sky-line di Madrid; fino alla rilevanza visiva che assumono gli spot, le fotografie, i taxi, le labbra (di Ivan) e, soprattutto, il telefono, l'oggetto transizionale di Pepa, attraverso cui prende forma il fantasma dell'amato (e la voce, nelle sue varie riproduzioni, e' rilevante in tutto il film). Quanto all'amore, non e' che al sesso maschile vada poi tanto meglio, se, in Legami! (1989), il giovane protagonista Ricki, per essere amato, non trova altra soluzione che quella di sequestrare e stuprare Marina, l'attrice porno ex prostituta gia' da lui conosciuta sulla strada. E' vero che Ricki e' uno psicopatico, dimesso come guarito dalla clinica, finito per caso negli studi cinematografici (sull'eco di Ore disperate di Wyler), ma il mondo che lo circonda si merita e ha bisogno di tipi come lui, che ne facciano esplodere la vacuita' e la vanita', ostentate, piu' che celate nelle cose - o nei frammenti di cose - che balzano all'occhio nei loro paradossali mixage: le immagini del sacro serializzate, come quelle sopra il letto di Marina, i colori chiassosi dei vestiti, l'appariscenza degli arredi, dove il bagno e' luogo privilegiato delle intimita' forzate tra i due, le immagini riflesse negli specchi, il cuore di cioccolato, regalo di Ricki per Marina, le manette, la maschera di cuoio e le parrucche di lui. Non da ultimo, si ricordino le citazioni del genere horror e quella rappresentazione del set cinematografico - nella prima parte del film - dove il regista paraplegico, dal significativo nome di Massimo Specchio, nel suo voyeurismo impotente, si eccita guardando i video porno di Marina. Ma il risultato della romantica trasgressione di Ricki non e' affatto sicuro: avra' si' l'amore della ragazza, ma al prezzo di finire nel piu' tradizionale dei matriarcati, con la sorella, la mamma e la nipote di lei. Ma, in fondo, non e' questa la normalita' d'un matrimonio di matrice neolatina? * Il legame madre-figlia Proprio i legami familiari, e in particolare il legame madre-figlia, con le sue ambiguita' e nevrosi, sono il terreno su cui si gioca il rapporto tra i sessi in Tacchi a spillo (1991), film molto promosso in Italia e di grande successo di pubblico. Ancora una volta un intreccio complesso - la figlia, Rebeca che, gelosa della madre, Becky, famosa cantante, da bambina ne uccide il primo amante e, da adulta, il secondo, Manuel, divenuto nel frattempo suo marito. Ancora una volta, troviamo la mancata vocazione melodrammatica, con ammiccamenti alla spy story, l'assenza di vero intento trasgressivo e di una realta' inconfutabile. Di fatto le quattro confessioni di Rebeca - alla tv, al giudice, alla madre in tribunale e poi all'ospedale - disorientano e distolgono dalla ricerca della verita' (il giudice alla fine rinuncia e lascia campo aperto alle due donne); la verita' rimane all'interno del rapporto di rivalita', odio e amore tra madre e figlia, dove la madre si fa passare per colpevole per salvare la figlia. Una complicita' al femminile, che trova conferma non solo nei rapporti con gli altri personaggi femminili, ma anche nel linguaggio cinematografico-mediale (le soggettive e i flash-back secondo l'ottica di Rebeca, il suo rivolgersi al pubblico, la confessione in diretta tv dell'omicidio). Del resto, come puo' essere credibile un conduttore di indagini che e' al tempo stesso il giudice, il travestito Femme Letal e l'ex fidanzato dell'amica Paula? In tale slittamento di identita' e di verita', non solo tra i personaggi, ma anche tra realta' e media - e' la tv che dice la verita' su Rebeca e Becky, lasciandoci per un bel po' nel dubbio che sia finzione - cio' che rimane e', alla fine, la storia incredibile e commovente delle due donne, in cui il ricordo del rumore dei tacchi della madre e' la nota proustiana e cinematograficamente allusiva (il titolo originale, Tacones lejanos, richiama Tambores lejanos, traduzione spagnola di Distant Drums, un western di Raul Walsh) su cui si chiude il film. Se e' soprattutto un film sulla televisione e sul suo potere tirannico e ignobile, Kika (1993) e' anche un film sul desiderio, o meglio su che cosa e' diventato il desiderio. Senza piu' la consueta carica dissacrante e liberatoria, simile a un'ossessione di ripetere atti compulsivi e violenti e di riprodurli, nella finzione dell'immagine (foto, video), di moltiplicare all'infinito un gioco di specchi. E' il caso di Ramon, il fotografo guardone, che si esalta nel fotografare i suoi amplessi, come nel vedere dalla finestra lo stupro super virile di Pablo, ex pugile ed ex divo porno. Non diversamente da quello che fa la televisione, con la telecamera addirittura incorporata sulla testa della giornalista Andrea Caracortada, alla perenne ricerca del "peggio del giorno" ("Lo peor del dia" e' il titolo del programma diretto da Andrea). Del resto il film, sovrapporsi di generi (commedia, thriller, orrore, documento-verita', musical), di personaggi, di vicende, di ambiguita', luogo di allusioni e citazioni, e' una continua "mise en abyme" dell'immagine, che va a perdersi in profondita' sconcertanti: dalle hitchcockiane inquadrature dalle finestre alla televisione (ma anche al video e alle fotografie), alle ellissi temporali della prima parte. In tutto questo Kika, che fa l'estetista anche per i morti con ottimi risultati, che convive con Ramon, figliastro di Nick e scrittore killer, che cerca di trattare con il suo stupratore, con la sua aria tra il sensuale e l'ingenuo, tra Marilyn e la Masina, e' un personaggio perdente. Solo alla fine si delinea una via d'uscita: quando se ne va via in macchina con il giovane dall'auto in panne, da cui avra' quel "po' d'orientamento" di cui ha bisogno. Anche se qualche sospetto rimane, che' non sfugge il gesto di lui di prendere la borsa di lei e di infilarci dentro qualcosa. * Vittima della malizia Se Kika segna in un certo senso la degenerazione dell'amore, desiderio ai confini dell'eccesso, con Il fiore del mio segreto (1995) Almodovar non sembra allontanarsi troppo da quell'idea dell'impossibilita' dell'incontro amoroso che ha sempre improntato le sue storie. E neppure da quella predilezione per la commistione di generi - la commedia e il melodramma - unita al gusto per la citazione (Casablanca di Curtiz). Solo che i toni si sono notevolmente smorzati, a favore di un'atmosfera piu' normale, piu' identificabile, concentrata sul disagio interiore, sulle frustrazioni di una donna, la scrittrice Leo, manipolata dagli editori, trascurata dal marito, coinvolta nel lacerato rapporto tra la madre e la sorella, con "in se' la ridicola sventatezza dell'ingenuo, di chi non riesce ad afferrare la malizia del mondo e ne rimane vittima" (A. Signorelli, "Cineforum", n. 353). Non per questo nel film viene meno il gioco delle ambiguita', delle apparenze, della finzione: lei che scrive sotto pseudonimo e sotto altro pseudonimo fa la stroncatura di se stessa, i suoi romanzi rosa, luoghi di fittizie e improbabili evasioni, la scena iniziale - un caso di coscienza sul trapianto d'organi - che si rivela poi essere un video mostruosamente "promozionale", il lieto fine - un uomo che si interessa di Leo - che potrebbe rivelarsi l'ennesimo inganno. Ne' tantomeno si perde il gusto del decor o elegante o kitsch, del colore intenso, anche se meno contrastato, dei primi piani degli oggetti, tra cui l'immancabile telefono, o gli stivaletti-feticcio, ora in un rapporto piu' equilibrato con lo sfondo. Il fatto poi che la protagonista sia una scrittrice con problemi di identita' ci riporta a quelle figure di intellettuali-scrittori, piu' o meno folli, che qua e la' troviamo: dallo scrittore fallito di Che cosa ho fatto io per meritare questo? allo scrittore killer di Kika. Fino alla svolta - parziale - del recente Carne tremula. Perche' ambientato in una Madrid piu' realistica (a partire da Matador si era decontestualizzata), piu' allegra e vivace, dove per la prima volta vediamo l'arco di ventisei anni di storia, dal franchismo all'oggi (accenni ai tempi del franchismo in flashback c'erano in Tacchi a spillo), perche' e' interpretato da attori non solo spagnoli, perche' e' tratto (liberamente) da un romanzo, Carne viva di Ruth Rendell, perche' si chiude vitalmente, e non vitalisticamente, su una nascita; perche', soprattutto, le complicazioni dell'intreccio vanno a far emergere le singole personalita' dei personaggi, in cui anche gli uomini hanno la loro identita'. C'e' Elena, prima sbandata e tossicodipendente, poi moglie modello di un paraplegico e accuditrice di bambini handicappati, e c'e' Victor, giovane, bello, aitante e sessualmente dotato, che s'e' intestardito di lei e la fa innamorare. Ancora il desiderio, quindi, con la sua legge e la felicita' che - sembra sottolineare il regista - per i destinati si compie ineluttabilmente. Ancora una commistione di generi, tra il thriller, il melodramma e la commedia. Ancora l'intensa carica di colori e di sensualita', dove la stessa citazione filmica di Estasi di un delitto (Ensajo de un crimen) di Luis Bunuel, significativa della liberazione dal senso di colpa cattolico, e' piu' piena di pathos rispetto al modello. La passione, il desiderio, l'eros, innanzitutto, ma anche la famiglia, la religione, la corrida; i colori smaglianti, la femminilita' corposa e procace, il gusto del melodramma e dello humour nero. La vitalita' e la morte, il colore rosso in tutte le sue gamme, che e' anche il colore del sangue. In questo Almodovar da' l'impronta del suo essere spagnolo (anche se non ci fossero le inquadrature di Madrid), con il segno tuttavia inconfondibile di chi e' passato attraverso la rivoluzione estetica degli ultimi vent'anni. Dove si mescolano generi, cultura alta e cultura bassa, mode e tendenze, dove si caricano e amplificano gli effetti, con sguardi ravvicinati e audaci punti di vista, giochi di specchiamento, rimandi, riferimenti al mondo dei media. Difficile stabilire dove e fino a che punto queste due anime - la mediterranea e la cosiddetta postmoderna - si diversifichino o s'intersechino, realizzando un piu' o meno "perfetto equilibrio" (E. Riambau, Storia del cinema spagnolo, Marsilio, 1995). * Ironia e piacere del racconto Di fatto, tra intrecci a labirinto, tra personaggi doppi, metamorfici, provocatori, assassini autolegittimati, tra mezze verita' e mezze bugie, dalle suore spacciatrici e lesbiche a Rebeca che confessa ogni volta in funzioni diverse, fino all'incerta identita' sessuale della disumanizzata Andrea Caracortada o alle scelte sconcertanti, quanto impossibili da giudicare, di Elena, c'e' si' il disorientamento, ma anche il piacere ironico del racconto. Quanto alle immagini, l'effetto pop non manca quasi mai: gli oggetti d'uso quotidiano, gli arredi barocchi e kitsch, i manifesti, gli spot e, soprattutto, gli elementi ricorrenti di Almodovar: il telefono, le labbra, le fotografie, i taxi (il tutto molto presente in Donne sull'orlo di una crisi di nervi), fino alle costellazioni iconiche dei poster con personaggi dello spettacolo, delle riproduzioni sacre alla Warhol, delle affiches o dei collages artistici. Ma le cose, piu' che oggetti stranianti, finiscono coll'essere strumenti significativi, se pur eccentrici, dell'insieme. Del resto Almodovar ama ricalcare, variando, da se stesso: dai suoi personaggi (il giovane che cerca il modello di padre, la madre snaturata o il giovane con poteri paranormali, le modelle in passerella) agli attori (che sono sempre gli stessi e rigorosamente spagnoli, tranne in Carne tremula), alle apparizioni di se' e dei propri familiari, alle soluzioni formali (le inquadrature a riquadro). Analogamente la musica, dal pop-punk al bolero (da L'indiscreto fascino del peccato la musica diventa melodica), alla canzone popolare e al concerto-show, nella sua eterogeneita' da improvvisazione, e' sempre in funzione della storia che si racconta, o della caratterizzazione del personaggio; e anche quando viene da recuperi colti, come la canzone di Zarah Lender in Che cosa ho fatto io per meritare questo?, integra la vicenda. Da ricordare anche l'uso variato della voce: le parole doppiate, registrate o affioranti alla coscienza assonnata del personaggio (siamo ancora in Donne sull'orlo di una crisi di nervi), che sembrano un'estensione variata de La voce umana di Jean Cocteau, la sceneggiatura in corso del regista de La legge del desiderio. Un discorso in piu' meritano i riferimenti al mondo dei media, in particolare al cinema e alla televisione. Ai modelli filmici ispiratori s'e' gia' accennato, e sono quelli della commedia americana anni Trenta-Quaranta e del western. Nella molteplicita' citazionale, invece, meritano una considerazione Matador e Donne sull'orlo di una crisi di nervi. Nel primo, accade che i due amanti destinati si inseguono e vanno a finire dentro un cinema, dove si sta proiettando il finale di Duello al sole di K. Vidor, con il suo pathos di amore e morte; qui i personaggi vedono il presagio di quella che sara', con ben altra manifestazione erotica, la loro fine. Nel secondo, la citazione e' piu' complessa, oltreche' indiretta, perche' si tratta del doppiaggio televisivo di S. Hayden in Johnny Guitar, fatto da Ivan. Pepa, che deve doppiare la Crawford, ne sente le fatidiche parole preregistrate: "Ingannami, dimmi che mi hai sempre aspettato", e poco dopo sviene (ma non si sa bene se e' per questo). In tutti e due i casi la citazione entra nel tessuto narrativo del film, accentuandone l'intensita' melo e nello stesso tempo distanziandola con un sorriso compiaciuto e ironico. Del resto anche le citazioni meno evidenti hanno una loro valenza nel contesto, di specchiamento d'una situazione: il manifesto di Splendore nell'erba (in Che cosa ho fatto io per meritare questo?); il video di Night of the Living Dead e di Invasion of the Body Snatchers (in Legami); il manifesto di Peeping Tom (L'occhio che uccide) di Powell; il video di Sciacalli nell'ombra di Losey e di The Prowler (in Kika); Casablanca di Curtiz (ne Il fiore del mio segreto); il video di Ensayo de un crimen (Estasi di un delitto) di Bunuel (in Carne tremula). Senza contare le non poche citazioni indirette: fra tutte quella de La finestra sul cortile di Hitchcock, presente nello sguardo di Pepa che spia la casa della rivale Lucia. * Una fabbrica di illusioni Ma in Almodovar c'e' anche cinema dentro il cinema, visto, piu' o meno da vicino, nel suo farsi: dalla sceneggiatura che Pepi, Luci e Bom stanno ideando alle riprese e al doppiaggio del porno ne La legge del desiderio, o a quelle di genere romantico in Donne sull'orlo di una crisi di nervi, fino ad arrivare al set rappresentato in Legami, con il regista paraplegico e perverso (gia' ne La legge del desiderio abbiamo incontrato un regista, non a caso ripreso spesso di spalle, dai sentimenti ambigui e sfuggenti). Cinema che, nella citazione o nell'autoriferimento, mentre, da una parte, e' la fabbrica consapevole delle illusioni, dall'altra diventa sempre piu' impotente e violento. Tant'e' che in Kika, dove compaiono alcune citazioni-allusioni ai film horror, a dominare sono il palinsesto televisivo con il suo assoluto derealizzante e le molteplicita' degli sguardi finzionali, il video e la fotografia. Ma Kika e' anche il film che segna "il de profundis del mito telematico" (D. Aronica, Pedro Almodovar, Il Castoro Cinema, 1994). A guardare indietro, da un certo punto in poi, la televisione e' stata una costante in Almodovar. In Che cosa ho fatto io per meritare questo? vi e' la sequenza in cui il rapporto sessuale poco gratificante tra Gloria e il marito viene contrapposto, in alternanza, alla rappresentazione di uno show di Almodovar e McNamara, che, in costume settecentesco, recitano La bien paga' (e la protagonista-casalinga e' tutt'altro che ben pagata dal marito); ci sono i video cruenti con cui si eccita Diego in Matador o, ne Il fiore del mio segreto, la drammatizzazione fatta per gli studenti di medicina sul trapianto d'organi, presentata dall'amica della protagonista. Come del resto e' una costante formale almodovariana la visualizzazione della tv e delle sue varianti (video e fotografia), attraverso le inquadrature a riquadro: da Pepa che spia sotto le finestre di Lucia in Donne sull'orlo di una crisi di nervi alle finestre del palazzo di Kika, da cui vengono viste le storie dei protagonisti attraverso un hitchcockiano e disgregante occhio nascosto. In tutti i casi si tratta di elementi integrantisi nel tessuto del racconto. Tacchi a spillo, piu' di tutti gli altri film inducente alla riflessione sul medium televisivo, sembra confermarcelo: in televisione avviene infatti la confessione dell'omicidio da parte della speaker Rebeca, ripetuta dalla collega nella versione a gesti per sordomuti; in televisione Rebeca ride durante il telegiornale e, ancora in televisione, si da' notizia del malore di Becky. La televisione e' quindi piu' vera della realta' stessa, eppure, in questo gioco tra realta' e finzione, e' innegabile che la vicenda raccontata riesca a catturarci. Tra identificazione e distacco, pathos e ironia, disorientamento e divertimento, Almodovar, il "maitre de la movida", fa ancora del cinema, anche se il suo e' un vedere instabile e metamorfico, in cui regista e spettatore partecipano alla stessa messa in scena. * Passioni, peccati e tacchi a spillo Questa la filmografia di Pedro Almodovar, escluse le produzioni in super-8 dal 1974 al 1978: 1979-80: Pepi, Luci, Bom y otras chicas del monton (Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio). 1982: Laberinto de pasiones (Labirinto di passioni). 1983: Entre Tinieblas (L'indiscreto fascino del peccato). 1984: Que he hecho yo para merecer esto? (Che cosa ho fatto io per meritare questo?). 1985: Trailer para amantes de lo prohibido (Trailer per amanti del proibito), mediometraggio per il programma televisivo Le edad de oro. 1986: Matador (Matador). 1987: La ley del deseo (La legge del desiderio). 1988: Mujeres al borde de un ataque de nervios (Donne sull'orlo di una crisi di nervi). 1989: Atame! (Legami!). 1991: Tacones lejanos (Tacchi a spillo). 1993: Kika (Kika). 1995: La flor de mi secreto (Il fiore del mio segreto). 1997: Carne tremula (Carne tremula). Essendo la bibliografia su Almodovar ricchissima, rimandiamo a quanto compreso nel testo del Castoro Cinema, indicato sopra. Qui, oltre ai citati "Cahiers du cinema" e al testo edito da Marsilio, ricordiamo le riviste "Cineforum" e "Segnocinema". 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 722 del 5 febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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