Minime. 722



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 722 del 5 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Domani a Vignanello
2. La solidarieta' di Francesco Guccini al comitato che si oppone al
mega-aeroporto a Viterbo
3. Marisa Guarneri: Alle giornaliste ed ai giornalisti
4. Giulio Vittorangeli: Il lavoro, il razzismo
5. Daniela Rasia: Pedro Almodovar (1998)
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. INCONTRI. DOMANI A VIGNANELLO

Il Centro studi e ricerche "Santa Giacinta Marescotti" presso il Castello
Ruspoli di Vignanello (Vt) venerdi' 6 febbraio 2009 alle ore 17 ospita un
convegno sul tema: "Arte, storia, cultura, ambiente e salute: le ragioni
dell'opposizione all'aeroporto a Viterbo".
Partecipano la dottoressa Antonella Litta, la scrittrice Marinella Correggia
e il professor Alessandro Pizzi.
Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito:
www.coipiediperterra.org, per contattare direttamente la portavoce del
comitato che si oppone all'aeroporto, la dottoressa Antonella Litta: tel.
3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it

2. INIZIATIVE. LA SOLIDARIETA' DI FRANCESCO GUCCINI AL COMITATO CHE SI
OPPONE AL MEGA-AEROPORTO A VITERBO

Il grande cantautore Francesco Guccini ha espresso la sua solidarieta' al
comitato che si oppone alla realizzazione di un devastante mega-aeroporto a
Viterbo.
*
In un colloquio con alcuni animatori del comitato, l'autore di alcune delle
opere piu' rilevanti della canzone d'autore italiana degli ultimi decenni,
ha espresso un pieno sostegno all'impegno per difendere il territorio e
rilevanti beni ambientali, culturali e sociali del viterbese, la salute e i
diritti della popolazione, dall'aggressione costituita da un nocivo e
distruttivo mega-aeroporto che devasterebbe irreversibilmente l'area termale
del Bulicame ricordata da Dante nella Divina commedia.
"Oggi piu' che mai dobbiamo difendere la nostra terra da pericoli e attacchi
di questo tipo; la difesa e la tutela dell'ambiente vengono al primo posto",
ha affermato il grande cantautore.
*
Il comitato ringrazia di tutto cuore Francesco Guccini, la cui dichiarazione
di solidarieta' si aggiunge a quelle di tante personalita' della cultura e
dell'impegno civile, come il magistrato Ferdinando Imposimato, la
vicepresidente del Parlamento Europeo Luisa Morgantini, padre Alex
Zanotelli, scienziati come Angelo Baracca, Virginio Bettini, Luigi Cancrini,
Marcello Cini, Paul Connett, Giorgio Cortellessa, Luca Mercalli, Stefano
Montanari, Giuseppe Nascetti, Giorgio Nebbia, Gianni Tamino, Federico
Valerio; altri cattedratici universitari come Rocco Altieri, Anna Bravo,
Andrea Canevaro, Andrea Cozzo, Giovanna Fiume, Nella Ginatempo, Domenico
Jervolino, Fulvio Cesare Manara, Raffaele Mantegazza, Arnaldo Nesti, Luigi
Piccioni, Giuliano Pontara, Lorenzo Porta, Elena Pulcini, Claudio Riolo,
Annamaria Rivera, Antonella Sapio, Giovanni Scotto, Sergio Tanzarella,
Silvia Vegetti Finzi; scrittrici e saggiste come Dacia Maraini, Lea
Melandri; intellettuali come Franco Barbero, Augusto Cavadi, Giancarla
Codrignani, Francesco De Notaris, Maria G. Di Rienzo, Pupa Garribba,
Federica Giardini, Enzo Mazzi, Nadia Neri, Brunetto Salvarani, Bruno Segre,
Renato Solmi; personalita' della vita civile e dell'impegno sociale ed
educativo come Michele Boato, Marinella Correggia, Pasquale Iannamorelli,
Floriana Lipparini, Daniele Lugli, Luigi Malabarba, Anna Puglisi, Umberto
Santino, Mao Valpiana, Marcello Vigli; il magistrato Gennaro Francione; i
parlamentari europei Vittorio Agnoletto, Vincenzo Aita, Giovanni Berlinguer,
Giusto Catania, Giulietto Chiesa, Claudio Fava, Monica Frassoni, Sepp
Kusstatscher, la gia' citata Luisa Morgantini, Roberto Musacchio, Pasqualina
Napoletano; i senatori e deputati al parlamento italiano della precedente
legislatura Maurizio Acerbo, Angelo Bonelli, Salvatore Bonadonna, Paolo
Cacciari, Salvatore Cannavo', Giovanna Capelli, Anna Donati, Rina Gagliardi,
Haidi Giuliani, Salvatore Iacomino, Vladimir Luxuria, Francesco Martone,
Lidia Menapace, Maria Cristina Perugia, Paolo Russo, Gianpaolo Silvestri,
Massimiliano Smeriglio, Gino Sperandio, Tiziana Valpiana. E con essi
innumerevoli cittadini viterbesi.

3. RIFLESSIONE. MARISA GUARNERI: ALLE GIORNALISTE ED AI GIORNALISTI
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
riprendiamo il seguente intervento di Marisa Guarneri della Casa delle donne
maltrattate di Milano]

Basta con gli articoli sugli stupri e alle trasmissioni televisive di
inchiesta. Come se gia' non si sapesse tutto e nel dettaglio. Sia cosa
accade, come mai accade e che cosa si potrebbe fare. Presentatevi come
testimoni informati dei fatti, questo servirebbe.
E basta con i cori di quali leggi ci vorrebbero. Lo sappiamo e nel
dettaglio. E specialmente basta a tutte quelle che le invocano nei convegni
e poi non fanno nulla nei loro partiti, se non ripetere vecchie litanie.
Per il rispetto delle donne, vittime e non, tacete.
Specialmente perche' gli stupri come tutti sappiamo non dipendono dalla
avvenenza delle vittime, ma dal desiderio di umiliare e mostrare il proprio
potere. Cosa che purtroppo avviene in tutto il mondo.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: IL LAVORO, IL RAZZISMO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento]

L'arrivo di lavoratori italiani a Grimsby nel Lincolnshire, per la
costruzione di una raffineria petrolifera, ha scatenato un'ondata di
scioperi da parte dei lavoratori inglesi al grido di "Lavori britannici ai
lavoratori britannici". L'impresa Irem, di Siracusa, ha vinto l'appalto per
la costruzione della raffineria di North Killinghome, ed un primo gruppo di
circa cento lavoratori italiani sono finiti asserragliati nella chiatta
attaccata al porto di Grimsby. Gli scioperi da Grimsby si sono rapidamente
estesi alle altre decine di impianti petroliferi, centrali elettriche ed
industrie dove i lavoratori hanno incrociato le braccia in solidarieta' con
i loro colleghi. Il rischio e' che gli scioperi, dettati da un risentimento
nazionalista, prendano una svolta razzista; del resto il crollo
dell'economia britannica spinge verso una colonizzazione economica da parte
delle imprese degli altri paesi europei, e conseguentemente a sfogare il
malcontento contro lavoratori stranieri e minoranze etniche.
"... e bravi gli italiani. Mentre mio figlio sta a casa senza lavoro, loro
vengono qui di soppiatto a prendergli il posto", e' una delle tanti frasi
sentite. Solo che sembra di ascoltare quanto comunemente viene detto nel
nostro paese, conto gli immigrati che vengono a "rubare il lavoro" agli
italiani. Strano corto circuito, che vuole gli italiani derubati a casa
propria e ladri in casa altrui. In realta' e' il frutto avvelenato della
globalizzazione economica che spinge verso la xenofobia, in Inghilterra come
in Italia; sorta di "razzismo popolare", che non e' di per se' una novita'
assoluta; appare tipico di situazioni concorrenziali tra soggetti sfavoriti.
La novita' e', almeno in Italia, che si e' compiuta una pericolosissima
saldatura fra razzismo popolare e razzismo di Stato, dove la "guerra fra
poveri" e' diventata una drammatica e dolorosa realta'. Il razzismo e la
xenofobia funzionano - oramai ad ogni latitudine - come vere e proprie
valvole di sfogo delle nostre inquietudini, della nostra insicurezza, del
nostro disagio verso i problemi autentici.
Semplificando, possiamo dire che fra gli anni Ottanta e la fine del
Novecento un terremoto ha investito quei sistemi politico-sociali che si
credevano intramontabili; e sono entrate in crisi, con la globalizzazione,
anche molte sicurezze private, dal posto fisso alla pensione a una societa'
monoculturale dove ognuno ha i nostri stessi gusti, la nostra lingua, le
nostre tradizioni e i nostri sistemi di riferimento.
A questi sconvolgimenti si e' reagito, spesso, con la xenofobia, cioe' col
ripiegamento nella propria "identita'" - sempre piu' sfuggente e ridotta
alla "terra" e al "sangue" o alla religione - con la domanda di "ordine e
sicurezza" per difenderla e con il rigetto dell'altro. Dove "l'altro" viene
esclusivamente definito tramite proposizioni negative: non ha origini, non
ha storia, non ha il nostro odore o colore, non ha la nostra cultura, non ha
la nostra religione, non parla la nostra lingua. In sostanza, all'interno di
tali processi collettivi di espulsione l'altro viene privato della propria
umanita', del suo statuto di persona umana.
Si vaneggia cosi' di "scontro di civilta'", quando nella realta' si tratta
di "scontro di ignoranze"; rimovendo, al contempo e totalmente, il conflitto
mondiale tra capitale e lavoro, che oggi rischia invece di precipitare in un
conflitto tra lavoratori; con i sindacati che, rispetto alla globalizzazione
capitalistica attuale, sono - nel migliore dei casi - inadeguati.
Alessandro Leogrande, sulla rivista "Lo Straniero" di alcuni mesi fa,
ricordava come agli inizi del Novecento i socialisti seppero governare dal
basso conflitti simili ed altrettanto difficili: "Non era infrequente, tra i
braccianti organizzati della pianura padana o del Tavoliere, picchiare i
contadini forestieri che accettavano paghe inferiori e condizioni di lavoro
peggiori, mettendo in discussione i vantaggi acquisisti a seguito di lotte
molto dure. I socialisti - anche se con enormi difficolta' - seppero
governare quei conflitti. Seppero creare tra i lavoratori un fronte comune,
evitando che ci si scannasse tra poveri, facendo il gioco degli agrari. Il
socialismo italiano e' nato proprio li', in quelle condizioni, governando
quei problemi".
A un secolo di distanza, nelle periferie urbane delle grandi e medie citta'
italiane stanno nascendo conflitti simili. La soluzione, allora, non e'
tanto nell'alzare barricate contro i processi di internazionalizzazione,
quanto nella difesa e nell'estensione dei diritti di tutti i lavoratori, a
partire dal diritto ad un vero lavoro.

5. CINEMA. DANIELA RASIA: PEDRO ALMODOVAR (1998)
[Dal mensile "Letture", n. 549, agosto-settembre 1998, col titolo "Pedro
Almodovar. Il regista del collage televisivo" e il sommario "Citazionista,
dissacrante nei contenuti e mescolatore di generi in un erotismo
provocatorio. Piu' che per la linearita' del suo messaggio lo spagnolo si fa
notare come testimone del relativismo legato al piccolo schermo"]

Almodovar vietato ai minori, trasgressivo, aggressivo, eccentrico,
paradossale, morboso, eclettico, cangiante, dispersivo. Queste le piu'
comuni definizioni di un regista-sceneggiatore che ha molto fatto parlare di
se' e che, a proposito del suo cinema, ebbe a dire che quando i difetti di
un film sono molti, finiscono col diventare uno stile (F. Strauss, "Le
cinema voyage'. Entretien avec Pedro Almodovar", Cahiers du Cinema, n.
445/446, maggio 1992). Il film in questione era il suo primo film
commerciale, Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (1979-80),
effettivamente grezzo tecnicamente, prolisso, frammentario, oltreche'
sgradevole. Il fatto e' che i film di Almodovar hanno dato quasi sempre
l'impressione di essere dei contenitori coloratissimi e scoppiettanti di
intrecci ramificati, caotici e paradossali, dalla sceneggiatura spesso
debole (tra le piu' riuscite Matador e Donne sull'orlo di una crisi di
nervi).
Se a cio' si aggiungono le situazioni spregiudicate e le immagini
ostentatamente ose', si capisce perche' i suoi film siano risultati nel
complesso difficilmente appetibili per il grande pubblico. Di fatto lo stile
di Almodovar, se di stile si puo' parlare, nasce da un'ardita e complessa
operazione di mixaggio di generi: il melodramma, la commedia, la telenovela,
il feuilleton, il poliziesco, l'horror; di musiche: dal punk al rock, alla
canzonetta; di movimenti artistici della fine anni '70, di fumetto, di Pop
Art, di vezzi e orpelli kitsch; e' un insieme multiforme di pathos, di
ironia, di gags e nonsensi, di riferimenti ai media (tv, video), di
citazioni dai classici d'autore e dalla cultura underground, di
autoriferimenti, comprese le brevi apparizioni personali-familiari: di se',
della madre e del fratello. Proprio per questo il citato Pepi, Luci, Bom...
e' in un certo modo un film embrionale, in cui si ritrovano: il modello
cinematografico per il personaggio di Pepi - l'eroina di Brazzaville Beach
di W. Boyd -, l'alternanza e l'incastro delle vicende, l'inserimento dello
spot pubblicitario, lo show musicale con cantanti-personaggi, il riferimento
alla sceneggiatura nel suo farsi, le inquadrature attraverso finestre o di
personaggi che compaiono ad angoli di edifici, l'apparizione del regista
stesso, nonche' l'accentuazione di un erotismo trasgressivo tra masochismo,
omosessualita' e oscenita', irriverente e divertito.
*
"Movida madrilena"
E' certo che nell'eclettismo di una liberta' creatrice che diventa cio' che
e' proprio nel suo farsi, dove e' la fantasia a rompere i limiti della
sceneggiatura e a far cambiare tutto, c'e' l'impronta della formazione
giovanile del - sembra - quarantasettenne regista mancego: il clima di
dissacrante effervescenza fatto di improvvisazioni, di collaborazione a
riviste underground, di allestimenti teatrali, di esperimenti in super-8, di
complessi punk-rock, che venne a esplodere dopo la morte di Franco e prese
nome di "movida madrilena".
Formazione non di scuola, dunque, da cui nasce, con molte difficolta'
economiche, Pepi, Luci, Bom..., in origine fotoromanzo pornografico, poi
soggetto cinematografico, guardato a distanza dalla critica, ma apprezzato
dal pubblico. Preludio di un successo di mercato che culminera' negli anni
'80, anni di maggior produzione del regista, e che gli permettera' di
fondare una propria casa di produzione, El Deseo (consociata poi alla
francese Ciby 2000).
*
Donne: figure determinanti
Almodovar ama senza dubbio raccontare (a suo dire, fin dai tempi del
super-8), coinvolgere lo spettatore in un vortice di emozioni, portarlo tra
vicende impossibili, per poi restituirlo a se stesso. Raccontare senza la
presunzione di verita', entrando e uscendo dal gioco della fiction, rendendo
verosimile l'inverosimile. Creando quegli inconfondibili collages che
sembrano far andare insieme la vista, ma da cui non si distoglie facilmente
lo sguardo. Raccontare in primo piano, spudoratamente e, come direbbe
Baudrillard, oscenamente, l'amore-desiderio, con la sua forte fisicita', con
la sua carica di sentimento e di passione, con i suoi candori e i suoi
torbidi. Mescolando i luoghi canonici a un erotismo provocatorio, dove anche
le identita' sessuali sconfinano e i ruoli si rovesciano. Facendo delle
figure femminili, prorompenti e inquiete, libere e sole, affidate alle
intense personalita' delle sue attrici, gli elementi accentratori o comunque
determinanti, anche quando il tema e' l'omosessualita' maschile. Di gran
lunga quasi sempre piu' riuscite dei corrispondenti maschili. Un classico e'
il connubio di amore e morte in Matador (1986): una passione ineluttabile
tra Diego Montes, ex torero e ora maestro di tauromachia, e Maria Cardenal,
avvocato, entrambi con l'ossessione del piacere-morte. Il film inizia con
lui che si eccita davanti ai video di donne squartate e lei che - in
sequenza in parallelo - uccide con uno spillone il suo amante nel momento
del piacere. Le successive mosse di avvicinamento e di allontanamento tra i
due, scandite come una lotta col toro, sono sottolineate da giochi di
montaggio e da una particolare ricercatezza espressiva: indimenticabile
l'ultima sequenza, dove, tra i gesti di un rito purificatorio e su un
tappeto di petali di rose rosse, i due finiscono col darsi la morte.
Anche La legge del desiderio (1987) e' una storia di amore e morte, nella
quale il regista Pablo Quintero, omosessuale sentimentalmente instabile, e'
amato perdutamente dal giovane Antonio che, dopo aver eliminato il rivale,
si suicidera' pur di possederlo un'ultima volta. Estetizzante l'uno,
immediatamente carnale l'altro, i due film hanno alcuni elementi in comune:
dagli inizi (le scene di masturbazione) al finale (l'amplesso prima della
morte), alla presenza del personaggio "terzo" che in qualche modo entra nel
gioco a due, portandolo a compimento: l'uno, l'allievo di Diego, Angel,
attraverso la sua autoesclusione punitiva; l'altro, lo stesso Antonio, con
la forza autodistruttiva della sua passione.
Da notare, in La legge del desiderio, le riprese oblique e dall'alto del
letto in cui giace la coppia omosessuale, tra effetti di luce calda e
bianca, azzurra e rossa, che sembrano un po' l'eco delle sontuosita'
pittoriche di Matador. Si e' parlato, a proposito dei due film, di analogia
di genere melodrammatico.
Ma sulla vocazione melodrammatica di Almodovar c'e' piu' di una riserva,
essendo i suoi film assolutamente privi del senso del peccato e della
legittimita' della legge: i due amanti assassini e suicidi di Matador
cercano di sfuggire alla polizia, che li vorrebbe puniti, per poter darsi
eroicamente quella morte, che solo a loro e' concessa, mentre gli altri
(polizia, fidanzati, madri eccetera) stanno a guardare. In La legge del
desiderio l'obiettivo di possedere l'oggetto d'amore rende legittimo ogni
comportamento, l'omicidio e il suicidio, e non si discute neppure
sull'omosessualita'; se mai, cio' che ostacola veramente la passione e'
l'intellettualita' algida e funzionale di Pablo. L'amore-desiderio
ineludibile, ma frustrato, l'impossibilita' di essere normale,
l'integrazione mancata tra uomini e donne, l'amore-oppressione del
quotidiano, tra romantiche idealizzazioni e spirito d'indipendenza,
l'amore-solitudine e fallimento, ridotto a violenza e a voyeurismo. E', in
fondo, il campionario completo delle storie di Almodovar (in parte valido
anche per il piu' ottimistico e recente Carne tremula). Escluso, soltanto,
Labirinto di passioni (1982), fiaba comica, "commedia delirante" (del genere
La vita facile di Sturges), o, se si vuole, caotica proliferazione di
intreccio, in cui il lieto fine segue l'incontro predestinato della coppia
Riza Niro e Sexilia; ma, anche qui, oltre al fatto che i personaggi sono ben
poco delineati, le nevrosi dei due - l'omosessualita' ingorda dell'uno e la
ninfomania dell'altra - si integrano, ma non si risolvono, a onta di tutte
le sedute psicoanalitiche.
*
L'anormalita' normale
Probabilmente il piu' sconsolato, nel panorama almodovariano, rimane Che
cosa ho fatto io per meritare questo? (1984), modellato sul neorealismo
spagnolo degli anni Cinquanta e Sessanta, ma rivisto con humour drammatico e
perverso, attraversato dal pop, dal kitsch, dai riferimenti ai media. In una
anormalita' che ha l'indifferenza della piu' assoluta normalita', dominata
dalla televisione, tra figli adolescenti spacciatori o prostituiti, un
marito maschilista, un'amica prostituta, un poliziotto seduttore impotente,
Gloria s'arrabatta a far quadrare i bilanci, cercando un piacere sessuale
che le e' negato e consolandosi con i tranquillanti. Oggetto tra gli
oggetti - le inquadrature impossibili di lei dall'interno della lavatrice e
le riprese d'angolo o ravvicinate agli oggetti della sua schiavitu' -, alla
fine, forse, avra' il suo riscatto, dopo che si sara' liberata di quasi
tutti, in primis del marito, colpito, con reminiscenza hitchcockiana, con un
osso di prosciutto.
*
Religione kitsch
Ne L'indiscreto fascino del peccato (1983) - traduzione di impropria
suggestione bunueliana - torna il tema della passione mancata. Film nato su
ordinazione del produttore, che voleva compiacere l'attrice che interpreta
Jolanda, in un certo senso, l'eroina che seduce tutti (ispirata alla
Dietrich di Venere bionda), contaminazione di commedia, di poliziesco e
musical, e' la storia di una cantante drogata, Jolanda, ricercata dalla
polizia dopo che il fidanzato e' morto per overdose, che si rifugia in un
atipico convento di suore, dove l'illecito si pratica con la massima
naturalezza e le monache, suor Squallida, Maltrattata, Perduta, Vipera e via
dicendo, spacciano e si fanno di coca, scrivono romanzi erotici, allevano
una tigre, tengono poster di attori; dove la madre superiora e' innamorata
di Jolanda, alla quale, per cosi' dire, si confessa al ritmo di un bolero,
ma da cui dovra' staccarsi al momento della chiusura d'autorita' del
convento.
Niente di veramente dissacrante in tutto questo: in fondo, per Almodovar, la
religione, quando non e' repressione istituzionalizzata (come per Angel in
Matador), e' un fatto estetico, teatrale, un kitsch di altarini stracarichi
di lumi, immagini, ninnoli (tra tutti si ricordi l'altare infuocato nel
finale di La legge del desiderio). Da ricordare alcune scelte formali: oltre
alle inquadrature attraverso finestre, ci sono le inquadrature dall'alto che
servono a schiacciare il personaggio, gli effetti di luce, l'insistenza sui
colori rosso e oro, la cura dei costumi, dove primeggia l'atelier del
cappellano e della suora che preparano eleganti collezioni stagionali per le
statue della Madonna.
Nato dopo un'idea abortita di fare Tacchi a spillo e dopo aver elaborato
quello che doveva essere un monologo ispirato alla Voce umana di Cocteau,
Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988) e' il primo grande successo di
Almodovar. Commedia folle, svitata, alla Hawks - del resto anche Labirinto
di passioni era sul genere -, trova il suo modello indiretto nelle commedie
romantiche alla Wilder o alla Cukor. Ivan, l'uomo che ha abbandonato Pepa,
fa il doppiatore in Johnny Guitar di S. Hayden, come del resto Pepa, che
doppia anche spot televisivi: un ironico rapporto a due simulacrale, dove
lei lo insegue tra svenimenti e assalti e lui svicola via, assente e
seducente, non senza aver lasciato la sua voce sulla segreteria telefonica.
La delusione di lei si intreccia agli incontri piu' o meno casuali con altre
donne - tra cui quelle di Ivan - e a un complicarsi di vicende dalla tenuta
perfetta, che si chiude con un inseguimento verso l'aeroporto e la scoperta
che l'oggetto d'amore, una volta raggiunto, ha perduto il suo fascino. C'e'
da rimanere piacevolmente disorientati sulle conclusioni: di queste donne in
bilico tra l'amore-dipendenza e la solitudine-liberta', che si domandano,
rovesciando una tipica espressione maschilista, se gli uomini siano da
preferire alle moto e se sia piu' facile capire un motore che la psicologia
di un uomo.
C'e' da essere sorpresi per le soluzioni formali adottate nel film: dalle
riprese variate sul corpo allungato di Pepa al volto picassiano di Juana,
dalla testa di donna che scorre sopra il passamano del tapis roulant allo
sky-line di Madrid; fino alla rilevanza visiva che assumono gli spot, le
fotografie, i taxi, le labbra (di Ivan) e, soprattutto, il telefono,
l'oggetto transizionale di Pepa, attraverso cui prende forma il fantasma
dell'amato (e la voce, nelle sue varie riproduzioni, e' rilevante in tutto
il film).
Quanto all'amore, non e' che al sesso maschile vada poi tanto meglio, se, in
Legami! (1989), il giovane protagonista Ricki, per essere amato, non trova
altra soluzione che quella di sequestrare e stuprare Marina, l'attrice porno
ex prostituta gia' da lui conosciuta sulla strada. E' vero che Ricki e' uno
psicopatico, dimesso come guarito dalla clinica, finito per caso negli studi
cinematografici (sull'eco di Ore disperate di Wyler), ma il mondo che lo
circonda si merita e ha bisogno di tipi come lui, che ne facciano esplodere
la vacuita' e la vanita', ostentate, piu' che celate nelle cose - o nei
frammenti di cose - che balzano all'occhio nei loro paradossali mixage: le
immagini del sacro serializzate, come quelle sopra il letto di Marina, i
colori chiassosi dei vestiti, l'appariscenza degli arredi, dove il bagno e'
luogo privilegiato delle intimita' forzate tra i due, le immagini riflesse
negli specchi, il cuore di cioccolato, regalo di Ricki per Marina, le
manette, la maschera di cuoio e le parrucche di lui. Non da ultimo, si
ricordino le citazioni del genere horror e quella rappresentazione del set
cinematografico - nella prima parte del film - dove il regista paraplegico,
dal significativo nome di Massimo Specchio, nel suo voyeurismo impotente, si
eccita guardando i video porno di Marina. Ma il risultato della romantica
trasgressione di Ricki non e' affatto sicuro: avra' si' l'amore della
ragazza, ma al prezzo di finire nel piu' tradizionale dei matriarcati, con
la sorella, la mamma e la nipote di lei. Ma, in fondo, non e' questa la
normalita' d'un matrimonio di matrice neolatina?
*
Il legame madre-figlia
Proprio i legami familiari, e in particolare il legame madre-figlia, con le
sue ambiguita' e nevrosi, sono il terreno su cui si gioca il rapporto tra i
sessi in Tacchi a spillo (1991), film molto promosso in Italia e di grande
successo di pubblico. Ancora una volta un intreccio complesso - la figlia,
Rebeca che, gelosa della madre, Becky, famosa cantante, da bambina ne uccide
il primo amante e, da adulta, il secondo, Manuel, divenuto nel frattempo suo
marito. Ancora una volta, troviamo la mancata vocazione melodrammatica, con
ammiccamenti alla spy story, l'assenza di vero intento trasgressivo e di una
realta' inconfutabile. Di fatto le quattro confessioni di Rebeca - alla tv,
al giudice, alla madre in tribunale e poi all'ospedale - disorientano e
distolgono dalla ricerca della verita' (il giudice alla fine rinuncia e
lascia campo aperto alle due donne); la verita' rimane all'interno del
rapporto di rivalita', odio e amore tra madre e figlia, dove la madre si fa
passare per colpevole per salvare la figlia. Una complicita' al femminile,
che trova conferma non solo nei rapporti con gli altri personaggi femminili,
ma anche nel linguaggio cinematografico-mediale (le soggettive e i
flash-back secondo l'ottica di Rebeca, il suo rivolgersi al pubblico, la
confessione in diretta tv dell'omicidio). Del resto, come puo' essere
credibile un conduttore di indagini che e' al tempo stesso il giudice, il
travestito Femme Letal e l'ex fidanzato dell'amica Paula? In tale
slittamento di identita' e di verita', non solo tra i personaggi, ma anche
tra realta' e media - e' la tv che dice la verita' su Rebeca e Becky,
lasciandoci per un bel po' nel dubbio che sia finzione - cio' che rimane e',
alla fine, la storia incredibile e commovente delle due donne, in cui il
ricordo del rumore dei tacchi della madre e' la nota proustiana e
cinematograficamente allusiva (il titolo originale, Tacones lejanos,
richiama Tambores lejanos, traduzione spagnola di Distant Drums, un western
di Raul Walsh) su cui si chiude il film.
Se e' soprattutto un film sulla televisione e sul suo potere tirannico e
ignobile, Kika (1993) e' anche un film sul desiderio, o meglio su che cosa
e' diventato il desiderio. Senza piu' la consueta carica dissacrante e
liberatoria, simile a un'ossessione di ripetere atti compulsivi e violenti e
di riprodurli, nella finzione dell'immagine (foto, video), di moltiplicare
all'infinito un gioco di specchi. E' il caso di Ramon, il fotografo
guardone, che si esalta nel fotografare i suoi amplessi, come nel vedere
dalla finestra lo stupro super virile di Pablo, ex pugile ed ex divo porno.
Non diversamente da quello che fa la televisione, con la telecamera
addirittura incorporata sulla testa della giornalista Andrea Caracortada,
alla perenne ricerca del "peggio del giorno" ("Lo peor del dia" e' il titolo
del programma diretto da Andrea). Del resto il film, sovrapporsi di generi
(commedia, thriller, orrore, documento-verita', musical), di personaggi, di
vicende, di ambiguita', luogo di allusioni e citazioni, e' una continua
"mise en abyme" dell'immagine, che va a perdersi in profondita'
sconcertanti: dalle hitchcockiane inquadrature dalle finestre alla
televisione (ma anche al video e alle fotografie), alle ellissi temporali
della prima parte. In tutto questo Kika, che fa l'estetista anche per i
morti con ottimi risultati, che convive con Ramon, figliastro di Nick e
scrittore killer, che cerca di trattare con il suo stupratore, con la sua
aria tra il sensuale e l'ingenuo, tra Marilyn e la Masina, e' un personaggio
perdente. Solo alla fine si delinea una via d'uscita: quando se ne va via in
macchina con il giovane dall'auto in panne, da cui avra' quel "po'
d'orientamento" di cui ha bisogno. Anche se qualche sospetto rimane, che'
non sfugge il gesto di lui di prendere la borsa di lei e di infilarci dentro
qualcosa.
*
Vittima della malizia
Se Kika segna in un certo senso la degenerazione dell'amore, desiderio ai
confini dell'eccesso, con Il fiore del mio segreto (1995) Almodovar non
sembra allontanarsi troppo da quell'idea dell'impossibilita' dell'incontro
amoroso che ha sempre improntato le sue storie. E neppure da quella
predilezione per la commistione di generi - la commedia e il melodramma -
unita al gusto per la citazione (Casablanca di Curtiz). Solo che i toni si
sono notevolmente smorzati, a favore di un'atmosfera piu' normale, piu'
identificabile, concentrata sul disagio interiore, sulle frustrazioni di una
donna, la scrittrice Leo, manipolata dagli editori, trascurata dal marito,
coinvolta nel lacerato rapporto tra la madre e la sorella, con "in se' la
ridicola sventatezza dell'ingenuo, di chi non riesce ad afferrare la malizia
del mondo e ne rimane vittima" (A. Signorelli, "Cineforum", n. 353).
Non per questo nel film viene meno il gioco delle ambiguita', delle
apparenze, della finzione: lei che scrive sotto pseudonimo e sotto altro
pseudonimo fa la stroncatura di se stessa, i suoi romanzi rosa, luoghi di
fittizie e improbabili evasioni, la scena iniziale - un caso di coscienza
sul trapianto d'organi - che si rivela poi essere un video mostruosamente
"promozionale", il lieto fine - un uomo che si interessa di Leo - che
potrebbe rivelarsi l'ennesimo inganno. Ne' tantomeno si perde il gusto del
decor o elegante o kitsch, del colore intenso, anche se meno contrastato,
dei primi piani degli oggetti, tra cui l'immancabile telefono, o gli
stivaletti-feticcio, ora in un rapporto piu' equilibrato con lo sfondo. Il
fatto poi che la protagonista sia una scrittrice con problemi di identita'
ci riporta a quelle figure di intellettuali-scrittori, piu' o meno folli,
che qua e la' troviamo: dallo scrittore fallito di Che cosa ho fatto io per
meritare questo? allo scrittore killer di Kika.
Fino alla svolta - parziale - del recente Carne tremula. Perche' ambientato
in una Madrid piu' realistica (a partire da Matador si era
decontestualizzata), piu' allegra e vivace, dove per la prima volta vediamo
l'arco di ventisei anni di storia, dal franchismo all'oggi (accenni ai tempi
del franchismo in flashback c'erano in Tacchi a spillo), perche' e'
interpretato da attori non solo spagnoli, perche' e' tratto (liberamente) da
un romanzo, Carne viva di Ruth Rendell, perche' si chiude vitalmente, e non
vitalisticamente, su una nascita; perche', soprattutto, le complicazioni
dell'intreccio vanno a far emergere le singole personalita' dei personaggi,
in cui anche gli uomini hanno la loro identita'. C'e' Elena, prima sbandata
e tossicodipendente, poi moglie modello di un paraplegico e accuditrice di
bambini handicappati, e c'e' Victor, giovane, bello, aitante e sessualmente
dotato, che s'e' intestardito di lei e la fa innamorare.
Ancora il desiderio, quindi, con la sua legge e la felicita' che - sembra
sottolineare il regista - per i destinati si compie ineluttabilmente. Ancora
una commistione di generi, tra il thriller, il melodramma e la commedia.
Ancora l'intensa carica di colori e di sensualita', dove la stessa citazione
filmica di Estasi di un delitto (Ensajo de un crimen) di Luis Bunuel,
significativa della liberazione dal senso di colpa cattolico, e' piu' piena
di pathos rispetto al modello.
La passione, il desiderio, l'eros, innanzitutto, ma anche la famiglia, la
religione, la corrida; i colori smaglianti, la femminilita' corposa e
procace, il gusto del melodramma e dello humour nero. La vitalita' e la
morte, il colore rosso in tutte le sue gamme, che e' anche il colore del
sangue. In questo Almodovar da' l'impronta del suo essere spagnolo (anche se
non ci fossero le inquadrature di Madrid), con il segno tuttavia
inconfondibile di chi e' passato attraverso la rivoluzione estetica degli
ultimi vent'anni. Dove si mescolano generi, cultura alta e cultura bassa,
mode e tendenze, dove si caricano e amplificano gli effetti, con sguardi
ravvicinati e audaci punti di vista, giochi di specchiamento, rimandi,
riferimenti al mondo dei media. Difficile stabilire dove e fino a che punto
queste due anime - la mediterranea e la cosiddetta postmoderna - si
diversifichino o s'intersechino, realizzando un piu' o meno "perfetto
equilibrio" (E. Riambau, Storia del cinema spagnolo, Marsilio, 1995).
*
Ironia e piacere del racconto
Di fatto, tra intrecci a labirinto, tra personaggi doppi, metamorfici,
provocatori, assassini autolegittimati, tra mezze verita' e mezze bugie,
dalle suore spacciatrici e lesbiche a Rebeca che confessa ogni volta in
funzioni diverse, fino all'incerta identita' sessuale della disumanizzata
Andrea Caracortada o alle scelte sconcertanti, quanto impossibili da
giudicare, di Elena, c'e' si' il disorientamento, ma anche il piacere
ironico del racconto.
Quanto alle immagini, l'effetto pop non manca quasi mai: gli oggetti d'uso
quotidiano, gli arredi barocchi e kitsch, i manifesti, gli spot e,
soprattutto, gli elementi ricorrenti di Almodovar: il telefono, le labbra,
le fotografie, i taxi (il tutto molto presente in Donne sull'orlo di una
crisi di nervi), fino alle costellazioni iconiche dei poster con personaggi
dello spettacolo, delle riproduzioni sacre alla Warhol, delle affiches o dei
collages artistici. Ma le cose, piu' che oggetti stranianti, finiscono
coll'essere strumenti significativi, se pur eccentrici, dell'insieme. Del
resto Almodovar ama ricalcare, variando, da se stesso: dai suoi personaggi
(il giovane che cerca il modello di padre, la madre snaturata o il giovane
con poteri paranormali, le modelle in passerella) agli attori (che sono
sempre gli stessi e rigorosamente spagnoli, tranne in Carne tremula), alle
apparizioni di se' e dei propri familiari, alle soluzioni formali (le
inquadrature a riquadro).
Analogamente la musica, dal pop-punk al bolero (da L'indiscreto fascino del
peccato la musica diventa melodica), alla canzone popolare e al
concerto-show, nella sua eterogeneita' da improvvisazione, e' sempre in
funzione della storia che si racconta, o della caratterizzazione del
personaggio; e anche quando viene da recuperi colti, come la canzone di
Zarah Lender in Che cosa ho fatto io per meritare questo?, integra la
vicenda. Da ricordare anche l'uso variato della voce: le parole doppiate,
registrate o affioranti alla coscienza assonnata del personaggio (siamo
ancora in Donne sull'orlo di una crisi di nervi), che sembrano un'estensione
variata de La voce umana di Jean Cocteau, la sceneggiatura in corso del
regista de La legge del desiderio.
Un discorso in piu' meritano i riferimenti al mondo dei media, in
particolare al cinema e alla televisione. Ai modelli filmici ispiratori s'e'
gia' accennato, e sono quelli della commedia americana anni Trenta-Quaranta
e del western. Nella molteplicita' citazionale, invece, meritano una
considerazione Matador e Donne sull'orlo di una crisi di nervi.
Nel primo, accade che i due amanti destinati si inseguono e vanno a finire
dentro un cinema, dove si sta proiettando il finale di Duello al sole di K.
Vidor, con il suo pathos di amore e morte; qui i personaggi vedono il
presagio di quella che sara', con ben altra manifestazione erotica, la loro
fine. Nel secondo, la citazione e' piu' complessa, oltreche' indiretta,
perche' si tratta del doppiaggio televisivo di S. Hayden in Johnny Guitar,
fatto da Ivan. Pepa, che deve doppiare la Crawford, ne sente le fatidiche
parole preregistrate: "Ingannami, dimmi che mi hai sempre aspettato", e poco
dopo sviene (ma non si sa bene se e' per questo). In tutti e due i casi la
citazione entra nel tessuto narrativo del film, accentuandone l'intensita'
melo e nello stesso tempo distanziandola con un sorriso compiaciuto e
ironico.
Del resto anche le citazioni meno evidenti hanno una loro valenza nel
contesto, di specchiamento d'una situazione: il manifesto di Splendore
nell'erba (in Che cosa ho fatto io per meritare questo?); il video di Night
of the Living Dead e di Invasion of the Body Snatchers (in Legami); il
manifesto di Peeping Tom (L'occhio che uccide) di Powell; il video di
Sciacalli nell'ombra di Losey e di The Prowler (in Kika); Casablanca di
Curtiz (ne Il fiore del mio segreto); il video di Ensayo de un crimen
(Estasi di un delitto) di Bunuel (in Carne tremula). Senza contare le non
poche citazioni indirette: fra tutte quella de La finestra sul cortile di
Hitchcock, presente nello sguardo di Pepa che spia la casa della rivale
Lucia.
*
Una fabbrica di illusioni
Ma in Almodovar c'e' anche cinema dentro il cinema, visto, piu' o meno da
vicino, nel suo farsi: dalla sceneggiatura che Pepi, Luci e Bom stanno
ideando alle riprese e al doppiaggio del porno ne La legge del desiderio, o
a quelle di genere romantico in Donne sull'orlo di una crisi di nervi, fino
ad arrivare al set rappresentato in Legami, con il regista paraplegico e
perverso (gia' ne La legge del desiderio abbiamo incontrato un regista, non
a caso ripreso spesso di spalle, dai sentimenti ambigui e sfuggenti).
Cinema che, nella citazione o nell'autoriferimento, mentre, da una parte, e'
la fabbrica consapevole delle illusioni, dall'altra diventa sempre piu'
impotente e violento. Tant'e' che in Kika, dove compaiono alcune
citazioni-allusioni ai film horror, a dominare sono il palinsesto televisivo
con il suo assoluto derealizzante e le molteplicita' degli sguardi
finzionali, il video e la fotografia.
Ma Kika e' anche il film che segna "il de profundis del mito telematico" (D.
Aronica, Pedro Almodovar, Il Castoro Cinema, 1994). A guardare indietro, da
un certo punto in poi, la televisione e' stata una costante in Almodovar. In
Che cosa ho fatto io per meritare questo? vi e' la sequenza in cui il
rapporto sessuale poco gratificante tra Gloria e il marito viene
contrapposto, in alternanza, alla rappresentazione di uno show di Almodovar
e McNamara, che, in costume settecentesco, recitano La bien paga' (e la
protagonista-casalinga e' tutt'altro che ben pagata dal marito); ci sono i
video cruenti con cui si eccita Diego in Matador o, ne Il fiore del mio
segreto, la drammatizzazione fatta per gli studenti di medicina sul
trapianto d'organi, presentata dall'amica della protagonista. Come del resto
e' una costante formale almodovariana la visualizzazione della tv e delle
sue varianti (video e fotografia), attraverso le inquadrature a riquadro: da
Pepa che spia sotto le finestre di Lucia in Donne sull'orlo di una crisi di
nervi alle finestre del palazzo di Kika, da cui vengono viste le storie dei
protagonisti attraverso un hitchcockiano e disgregante occhio nascosto. In
tutti i casi si tratta di elementi integrantisi nel tessuto del racconto.
Tacchi a spillo, piu' di tutti gli altri film inducente alla riflessione sul
medium televisivo, sembra confermarcelo: in televisione avviene infatti la
confessione dell'omicidio da parte della speaker Rebeca, ripetuta dalla
collega nella versione a gesti per sordomuti; in televisione Rebeca ride
durante il telegiornale e, ancora in televisione, si da' notizia del malore
di Becky. La televisione e' quindi piu' vera della realta' stessa, eppure,
in questo gioco tra realta' e finzione, e' innegabile che la vicenda
raccontata riesca a catturarci. Tra identificazione e distacco, pathos e
ironia, disorientamento e divertimento, Almodovar, il "maitre de la movida",
fa ancora del cinema, anche se il suo e' un vedere instabile e metamorfico,
in cui regista e spettatore partecipano alla stessa messa in scena.
*
Passioni, peccati e tacchi a spillo
Questa la filmografia di Pedro Almodovar, escluse le produzioni in super-8
dal 1974 al 1978:
1979-80: Pepi, Luci, Bom y otras chicas del monton (Pepi, Luci, Bom e le
altre ragazze del mucchio).
1982: Laberinto de pasiones (Labirinto di passioni).
1983: Entre Tinieblas (L'indiscreto fascino del peccato).
1984: Que he hecho yo para merecer esto? (Che cosa ho fatto io per meritare
questo?).
1985: Trailer para amantes de lo prohibido (Trailer per amanti del
proibito), mediometraggio per il programma televisivo Le edad de oro.
1986: Matador (Matador).
1987: La ley del deseo (La legge del desiderio).
1988: Mujeres al borde de un ataque de nervios (Donne sull'orlo di una crisi
di nervi).
1989: Atame! (Legami!).
1991: Tacones lejanos (Tacchi a spillo).
1993: Kika (Kika).
1995: La flor de mi secreto (Il fiore del mio segreto).
1997: Carne tremula (Carne tremula).
Essendo la bibliografia su Almodovar ricchissima, rimandiamo a quanto
compreso nel testo del Castoro Cinema, indicato sopra. Qui, oltre ai citati
"Cahiers du cinema" e al testo edito da Marsilio, ricordiamo le riviste
"Cineforum" e "Segnocinema".

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 722 del 5 febbraio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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