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Minime. 718
- Subject: Minime. 718
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 1 Feb 2009 01:23:01 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 718 del primo febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Gruppo donne e politica: Sessismo. La violenza che tutti evitano di nominare 2. A Osvaldo Ercoli, in occasione del suo genetliaco 3. Yasmeen Hassan: La guerra contro le scolare 4. Il 6 febbraio un convegno a Vignanello 5. Paola Desai: Colera 6. Franco Giustolisi: Una commissione parlamentare sulle stragi nazifasciste 7. Enzo Mazzi: La violenza nel monoteismo 8. Enrica Rigo: Alcune considerazioni a partire da un saggio di W.E.B. Du Bois 9. Alberto Trevisan: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 10. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. APPELLI. GRUPPO DONNE E POLITICA: SESSISMO. LA VIOLENZA CHE TUTTI EVITANO DI NOMINARE [Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano (www.universitadelledonne.it) riprendiamo il seguente appello] In Italia, la recrudescenza degli stupri eccita i pubblici poteri a mettere in campo il riflesso condizionato dello stato emergenziale, da contrastare attraverso la militarizzazione del territorio anche finalizzata al respingimento dei migranti. Lo stato di emergenza e le misure di ordine pubblico usati come cortina fumogena destinata a nascondere il fatto che e' la famiglia - luogo privilegiato della disparita' fra donna e uomo - il contesto in cui prevalentemente si origina e si coltiva la violenza sessista contro le donne. Contro questa violenza quotidianamente riservata alle donne (italiane e straniere) da uomini (italiani e stranieri), mancano sia un'adeguata analisi critica sia misure preventive minimamente efficaci. * L'analisi critica Lo svantaggio sociale femminile cristallizzato nella famiglia tradizionale, e' all'origine della violenza sessista che alligna nel privato e si espande nel pubblico anche grazie alla mercificazione mediatica del corpo femminile, usato come elemento eccitante di promozione vendite in senso lato. Lo svantaggio politico percepibile in una democrazia a-partecipata e monosessuata determina il quadro e lo completa. Ecco perche' la violenza sessista, anche domestica, non puo' mai essere un fatto privato, ma e' un'indecenza pubblica che le istituzioni non possono ignorare o mistificare attraverso la scorciatoia dell'utilizzo del diritto criminale come risposta esclusiva o preponderante. A ben altri livelli occorre agire per sradicare questo grumo di violenza ancestrale, sedimentato nell'immaginario maschile, che va contrastato a partire dai primissimi messaggi che i bambini ricevono dalla famiglia, dalla scuola e dalla societa'. * Le misure efficaci Le misure suggerite dall'esperienza ben piu' seriamente strutturata in altri Paesi europei partono appunto da un piano di acculturamento e sensibilizzazione fin dalla prima infanzia per il cambiamento delle relazioni fra donne e uomini, in ogni contesto del vivere associato. Si sviluppano attraverso una legislazione onnicomprensiva che evidenzia l'origine sessista e discriminatoria della violenza contro le donne e la previene attivamente, contrastando esclusioni e pregiudizi. Si concretano attraverso una vigilanza costante e un monitoraggio dei risultati, attivando interventi correttivi e provvidenze pubbliche adeguate. Prevedono, oltre alla visibilita' del problema, ritenuto di interesse generale, ruoli attivi delle istituzioni pubbliche centrali e locali, gravate delle connesse responsabilita'. * Proposte iniziali In concreto, sull'esempio di cio' che si fa in altri Paesi, pensiamo si debba promuovere un piano nazionale di sensibilizzazione e prevenzione della violenza di genere, incentrato su specifiche iniziative, tra cui qui citiamo: - un programma di educazione/formazione sull'esercizio di diritti e obblighi uguali fra maschi e femmine nell'ambito sia privato che pubblico; - il lancio di campagne pubbliche di sensibilizzazione contro gli stereotipi dei ruoli familiari femminili; - la promozione di azioni positive per la eguaglianza di genere in tutti i campi del vivere associato (politico, economico, culturale), da rispettare rigorosamente (e la cui inosservanza venga sanzionata); - il reintegro dei fondi incredibilmente sottratti ai Centri antiviolenza e alle Case delle donne maltrattate, mentre, al contrario, sarebbero necessari interventi anche economici per l'acquisizione e il sostegno di equipes a professionalita' integrata; - l'istituzione di un Osservatorio indipendente di monitoraggio sui diritti delle donne e di vigilanza sui mezzi di informazione e pubblicita', a garanzia di un trattamento conforme ai valori costituzionali e alla dignita' personale delle donne. Riteniamo dovere principale di tutti gli schieramenti politici e dei singoli che si candidano per ruoli istituzionali in Italia e in Europa l'elaborazione e il perseguimento concreto di un piano integrato per la soluzione di questa incancrenita piaga sociale. Ma quel che ci preme di piu' e' la presa di responsabilita' da parte di tutte le donne impegnate in un ruolo istituzionale: a loro chiediamo esplicitamente di proporre, seguire e curare a ogni livello le misure necessarie a questa improrogabile svolta di civilta'. Anche su questa base, che intendiamo verificare nelle fasi di ideazione e di realizzazione, si decideranno le nostre scelte politiche future. * Gruppo Donne e Politica (Associazione per una Libera Universita' delle Donne), Maria Grazia Campari, Floriana Lipparini, Lea Melandri, Elena Cianci, Liliana Moro, Daniela Pastor, Nicoletta Buonapace, Laura Di Silvestro, Costanza Panella, Manuela Pennasilico, Anita Sonego, Maria Nadotti, Manuela Maldini, Paola Redaelli, Chiara Redaelli, Anna Novellini, Anna Spartano, Cece' Damiani, Letizia Olivari, Andrea Cattania, Lidia Campagnano, Grazia De Benedetti, Pinuccia Virgilio, Barbara Spinelli, Annamaria Medri, Rachele Motta, Cristina Tronchetti, Sabrina Pascetti, Maria Pia Pieri, Leila Sogiu, Maria Grazia Negrini, Tavola delle donne sulla violenza e sulla sicurezza nella citta' di Bologna, Miranda Ragazzoni, Paola Serasini, Anna Picciolini, Gianna Baldoni, Patrizia Pontello, Giovanna Romualdi, Danila Torreggiani, Francesca Amoni, Milena Mottalini, Elena Paciotti, Paola Lovati, Letizia Olivari, Maria Ricciardi Giannoni. * Chiediamo a tutte coloro che si riconoscono in questo appello di sottoscriverlo inviando una e-mail a: universitadonne at tiscali.it 2. AMICIZIE. A OSVALDO ERCOLI, IN OCCASIONE DEL SUO GENETLIACO Qui vedi un uomo buono, il cui rigore morale e logico con gran vigore si oppone ad ogni errore ed ogni orrore e dona a tutti verita' ed amore. Di matematiche buon professore e di onesta' maestro ancor migliore contrasta ogni torpore e ogni timore recando aiuto ovunque sia dolore. In questa breve vita la cui danza sovente pare folle, e d'incostanza e d'ignoranza e tracotanza e' stanza, di Osvaldo Ercoli la vicinanza, la vigilanza, la testimonianza e' fonte di conforto e di speranza. 3. MONDO. YASMEEN HASSAN: LA GUERRA CONTRO LE SCOLARE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente articolo di Yasmeen Hassan, (avvocata pakistana, vicedirettrice di Equality Now, un'ong internazionale che lavora per i diritti delle donne) apparso sul "Washington Post" del 26 gennaio 2009 col titolo "La guerra contro le scolare"] Ho ricordi d'infanzia bellissimi delle mie vacanze estive nella valle di Swat, nella provincia pakistana del nord-ovest, un luogo rinomato fra i pakistani per i suoi splendidi paesaggi, il clima fresco d'estate e i frutteti rigogliosi. Oggi pero' la valle di Swat sta subendo pressioni terribili, giacche' gli attacchi talebani vi si susseguono con sconcertante regolarita': fra le altre atrocita', essi hanno imposto un bando sull'istruzione delle bambine. Gia' prima che il bando fosse reso noto il 15 gennaio, piu' di 100 scuole femminili nella valle di Swat, e piu' di 150 nella piu' vasta Area federativa amministrata dalle tribu' (Afat), erano state chiuse dopo essere state fatte esplodere con bombe o bruciate. Gli annunci radiofonici avvisano le bambine che saranno attaccate con l'acido se oseranno andare a scuola, e le insegnanti sono minacciate e uccise. Lunedi' scorso, altre cinque scuole sono saltate in aria. Le aggressioni e le minacce non sono limitate alle scolare. Alle donne e alle ragazze e' stato ordinato di velarsi completamente. Le direttive emanate richiedono che le donne siano accompagnate da un parente maschio nei luoghi pubblici, e proibiscono alle donne di portare addosso le loro carte d'identita' (che in realta' e' obbligatorio avere in Pakistan) perche' sui documenti ci sono le loro fotografie. Si spara alle donne che effettuano "attivita' immorali", come e' accaduto a Bakht Zeba, un'assistente sociale di 45 anni impegnata nel favorire l'istruzione delle bambine. La zona sembra essere in competizione con l'Afghanistan su chi otterra' il peggior punteggio rispetto ai diritti delle donne. I governi pakistano ed afgano hanno risposto in modo simile alla propensione dei talebani a terrorizzare le popolazioni. Alcuni mesi fa, l'Afghanistan ha cercato di negoziare con i talebani, promettendo l'imposizione della "sharia" (legge islamica) come precondizione ai negoziati stessi. Nel mentre questi colloqui non stanno procedendo affatto, ai pakistani dei territori dell'Afat la sharia viene imposta comunque. Nella valle di Swat sono gia' operativi piu' di settanta tribunali talebani, il primo passo verso l'implementazione della loro interpretazione della legge islamica. Che il governo sia disposto a negoziare su questa istanza dimostra che non ha interesse per cio' che una mossa simile significhera' per le donne pakistane. Le vite delle donne e delle bambine afgane restano precarie. Le scolare afgane continuano ad essere aggredite. Le donne afgane che rivestono cariche pubbliche sono minacciate o assassinate. Malalai Joya, una leader politica ingiustamente sospesa dal Parlamento e' stata forzata alla clandestinita' a causa delle continue minacce subite. Solo pochi mesi fa, Malalai Kakar, la piu' anziana ufficiale di polizia afgana e' stata uccisa a colpi di arma da fuoco. Il Pakistan non deve diventare un altro Afghanistan. Il disastro che si sta verificando in Pakistan richiede risposte immediate sia dal governo pakistano sia dalla comunita' internazionale. Il Pakistan deve accettare la propria responsabilita' nell'effettuare azioni urgenti per proteggere i diritti delle donne e per fermare la "talebanizzazione" del paese. Ogni intervento deve basarsi sul mantenere gli impegni sui diritti umani presi a livello costituzionale e nei documenti internazionali che il Pakistan ha sottoscritto. I diversi organi dello stato, il potere legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, devono lavorare insieme per risolvere la situazione. La scorsa settimana, il governo pakistano ha annunciato che le scuole delle aree del nord saranno riaperte in marzo, ma poiche' gran parte di quei territori e' sotto il controllo talebano la promessa appare di difficile realizzazione. Il 20 gennaio, il parlamento pakistano ha votato all'unanimita' il rigetto del bando talebano sulla chiusura delle scuole. Ora il governo dovrebbe annunciare immediatamente il suo impegno a formulare un piano che assicuri l'accesso all'istruzione a tutte le bambine, e che protegga la loro sicurezza anche fuori di scuola. Le conseguenze dell'inazione o di azioni inadeguate saranno devastanti. 4. INCONTRI. IL 6 FEBBRAIO UN CONVEGNO A VIGNANELLO Il Centro studi e ricerche "Santa Giacinta Marescotti" presso il Castello Ruspoli di Vignanello (Vt) venerdi' 6 febbraio 2009 alle ore 17 ospita un convegno sul tema: "Arte, storia, cultura, ambiente e salute: le ragioni dell'opposizione all'aeroporto a Viterbo". Partecipano la dottoressa Antonella Litta, la scrittrice Marinella Correggia e il professor Alessandro Pizzi. * Per informazioni e contatti: e-mail: info at coipiediperterra.org, sito: www.coipiediperterra.org, per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it 5. MONDO. PAOLA DESAI: COLERA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2009 col titolo "Lo Zimbabwe ha il colera"] Una soglia e' superata: in Zimbabwe il colera ha ucciso oltre tremila persone dallo scorso dicembre, ha annunciato ieri l'Organizzazione mondiale della sanita'. Per la precisione, a ieri si contavano 3.028 morti e oltre 57.700 persone infettate, e cio' che fa impressione e' che le ultime mille vittime sono morte tutte nelle ultime due settimane. Tanto che l'Oms dichiara di prepararsi per lo "scenario peggiore", quando anche la soglia delle sessantamila persone infettate sara' raggiunta (non sembra che manchi molto...). E' una malattia banale, il colera. Curarlo non e' difficile, ancor piu' facile e' prevenirne la diffusione: e' una infezione gastroenterica causata da un batterio - il "vibrio cholerae", o vibrione, che si diffonde attraverso le feci e l'acqua. Buoni sistemi fognari e di distribuzione dell'acqua potabile sono l'unico vero modo per prevenire un'epidemia, insieme a un po' di educazione sanitaria. Insomma, il colera e' una malattia da poverta', nel senso di abbandono dei sistemi sanitari pubblici. Ed e' appunto il caso dello Zimbabwe, dove anni di incuria e disinvestimento pubblico hanno fatto collassare sia l'infrastruttura urbana di sistemi idrici e fognature, sia il sistema sanitario. Il fatto e' che con gennaio siamo entrati nella stagione delle piogge, che durera' fino a marzo, e questo peggiora tutto: dove le fogne perdono, o scorrono a cielo aperto, con le piogge straboccano, e il rischio di contatto con acque contaminate aumenta. L'epidemia (l'Oms usa il termine outbreak, "scoppio") di colera in Zimbabwe e' cominciata nelle aree urbane, anche se ora si diffonde nelle aree rurali. "The Herald", giornale quotidiano di Harare (governativo), il 26 gennaio ha scritto che il colera sta declinando nella capitale, anche se avverte che "e' ancora presente nei suburbi sud-occidentali", e che "non bisogna abbassare la guardia". Circa meta' dei casi in effetti sono stati registrati finora a Budiriro, sovraffollata citta' satellite ai margini occidentali della capitale Harare; altre concentrazioni sono segnalate nelle aree urbane di Beitbridge, al confine con il Sudafrica, e Mudzi al confine con il Mozambico. In effetti la malattia si e' gia' diffusa: di sicuro nei due paesi confinanti - in Sudafrica il ministero della sanita' segnala quasi seimila casi (e 36 morti) - ma non solo; l'Ocha, ufficio del'Onu per gli affari umanitari, dice che nove paesi dell'Africa australe hanno riportato finora casi di colera, e che la malattia sta diventando endemica. Curare il colera non implica certo alta tecnologia medica, ma buona organizazione sanitaria si'. La cura principale in effetti e' una terapia di reidratazione orale, in casi estremi intravenosa; alcuni antibiotici possono accelerare la fine del batterio, e in tal caso bisogna individuare il ceppo del vibrione e verificare a quali antibiotici sia vulnerabile/resistente. Ma la reidratazione resta il "salvavita" essenziale (in una piccola clinica del Bangladesh abbiamo visto fare miracoli con una terapie di acqua della bollitura del riso mescolata a sali e succo di limone...), insieme a interventi d'emergenza per sterilizzare, depurare, evitare contagi. Il punto e' che in Zimbabwe il sistema sanitario e' al collasso. Tra l'altro e' in corso un'ondata di scioperi tra i medici (e nel pubblico impiego), che vogliono essere pagati in dollari - si capisce, con la moneta nazionale non si compra nulla. C'e' poi il risvolto politico: il presidente Robert Mugabe qualche settimana fa ha dichiarato che la malattia e' stata contenuta e sono le potenze occidentali che parlano di colera per attaccarlo. Cosi' la sottovalutazione continua. 6. MEMORIA. FRANCO GIUSTOLISI: UNA COMMISSIONE PARLAMENTARE SULLE STRAGI NAZIFASCISTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 novembre 2008 col titolo "Stragi naziste. L'Anpi: inchiesta del Parlamento"] Verra' proposta una nuova Commissione parlamentare sulle stragi nazifasciste. Lo hanno chiesto all'unanimita' tutti i rappresentanti dei partiti d'opposizione presenti sabato scorso al convegno indetto dall'Anpi di Roma sul tema "a 65 anni di distanza dalle stragi nazifasciste". Dall'estrema sinistra del Prc e del Pdci, passando per i Ds e i socialisti, sino all'Idv e all'Udc, e' stata corale l'affermazione che non si puo' attendere ancora nel dare risposte essenziali alla storia e alla memoria che attendono da 65 anni. Quante sono le vittime delle stragi? 10, 20, 30.000? E chi decise di "sotterrare" insieme ai cadaveri dei massacrati, civili senz'armi e militari che avevano alzato bandiera bianca, anche i fascicoli, completi dei nomi degli assassini, che descrivevano quegli eccidi? La vecchia commissione parlamentare, in piedi dal 2004 al 2006, ha abbondantemente glissato, e questa e' stata la reale vergogna, non tanto quella operata da un governo di centrodestra nell'imporre ai magistrati militari di occultare quelle carte. Chi prese e impose quella decisione agi' per ragion di Stato, discutibile fin che si vuole (la Germania doveva riarmarsi in funzione Nato), ma animata da un criterio politico. L'altro aspetto che influi' (non estradare i generali italiani che nei territori aggrediti per ordine di Mussolini avevano gareggiato in ferocia con le Ss e di cui stanno emergendo le tremende responsabilita', come ha anticipato "Il manifesto"), e' sicuramente da respingere. Ma questo avveniva 65 anni fa, appunto, sul delta di una guerra assurda che poi ci riporto' alla rinascita grazie ai partigiani. Combattevano, soffrivano, morivano, con una speranza vaga che poi si concretizzera' nella Costituzione. Ma non aver cercato quelle risposte, io dico non aver voluto, no non aver potuto, ai giorni nostri diventa una vergogna al quadrato. Se non al cubo. Prima Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione si e' trovato in pieno accordo con il relatore - chi scrive - e con le parole di Massimo Rendina ed Ernesto Nassi, presidente e segretario dell'Anpi. Cosi' Roberto Morassut, parlamentare Ds, Stefano Pedica senatore Idv, Luciano Ciocchetti, deputato dell'Udc, Gerardo Labbellarte del Psi e Paola Pellegrini del Pdci. Presenteranno, in tempi che ci si augura rapidi, le proposte per una nuova commissione che dovra' essere aperta, secondo Morassut, anche a coloro che pur non essendo stati eletti alla Camera e al Senato, potranno dare un contributo di chiarezza e di conoscenza. L'altro tema essenziale e' stato quello che qualcuno ha definito la "rinascita dell'antifascismo". Oggi, si e' detto, sopravvive a sprazzi e solo per dare risposte, e neanche sempre, al fascismo che non ha mai abbassato la testa. Un triste fenomeno che sopravvive perche' della maggioranza fan parte gli eredi di quell'esecrando passato e grazie ad un presidente del Consiglio che nei suoi vari mandati non ha mai celebrato il 25 aprile. E su questi aspetti i politici di cui sopra si sono impegnati ad aprire confronti, a proporre mozioni, a convocare dibattiti. Come quello essenziale sulla schiavitu' dell'informazione nostrana. E' coccodrillescamente di destra o di sinistra, come se proteggere la propria parte serva alla democrazia. Se i giornalisti statunitensi fossero come quelli che allignano nel nostro paese, Barack Obama non sarebbe stato eletto. E si e' accennato ad altri due temi. Bene che i ragazzi e i giovani vadano ad Auschwitz per capire chi furono i nazisti. Ma perche', sindaco Alemanno, non li porti anche a Stazzema, a Fivizzano, a Marzabotto per mostrargli di cosa furono capaci i tuoi avi politici, cioe' i fascisti? L'altro tema: Cefalonia. E' rimasto in vita l'ultimo dei fucilatori degli uomini della divisione Acqui. Ha 88 anni. La "giustizia" militare italiana ancora non ha deciso se incriminarlo o meno. Vogliono fargli avere la cartuccella di fine indagini sulla pietra tombale? Sessantacinque anni fa... 7. RIFLESSIONE. ENZO MAZZI: LA VIOLENZA NEL MONOTEISMO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2009 col titolo "Le radici dell'aggressivita' umana"] Ritengo che abbiano piena ragione i rabbini quando denunciano l'offesa diretta e frontale fatta alla memoria della Shoah e al mondo ebraico dalla riabilitazione dei vescovi lefebvriani decisa da papa Ratzinger. Colpisce che tale riabilitazione sia avvenuta alla vigilia sia dell'anniversario del Concilio sia del Giorno della memoria e che tra i vescovi riabilitati ce ne sia uno che neghi apertamente e spudoratamente la realta' dell'Olocausto. La coincidenza ha un significato apertamente simbolico. Al di la' delle scuse a posteriori e delle prese di distanza dal negazionismo, in se' doverose e benvenute, la coincidenza stessa richiama obiettivamente un ritorno al pre-concilio quando gli ebrei erano considerati "perfidi" responsabili della uccisione di Gesu' e bisognosi di conversione. Hanno ragione i rabbini nei confronti del Vaticano. Ma come la mettiamo quando gli stessi rabbini autorizzano l'esercito israeliano a violare il sabato per compiere il massacro allo scopo di redimere i palestinesi dal fondamentalismo violento di Hamas? Lo stato di Israele infatti ha cominciato la sua nuova guerra contro i palestinesi denominata "Piombo fuso" in giorno di sabato, nella festa delle luci di Hanukkah. Poiche' si trattava di violare il Sabato, il governo e le forze armate israeliane hanno chiesto e ottenuto dai rabbini l'autorizzazione a tale violazione. Due fondamentalismi, quello del Vaticano e quello dei rabbini, si specchiano reciprocamente, e si scontrano rovinosamente. Come d'altra parte si specchiano e si scontrano il fondamentalismo d'Israele e quello di Hamas. Ritengo che il fondamentalismo sia una delle radici piu' profonde della violenza che insanguina la terra di Palestina, cosi' come molte altre parti del mondo. Se non si scoprono e non si sciolgono questi nodi strutturali che sono all'origine della ricorrente tragedia di Palestina, la tregua sara' fragilissima e la guerra continuera' col suo carico di vittime specialmente civili e con le sue immani distruzioni. Definisco "nodi strutturali" i fondamentalismi in mancanza di una espressione piu' adeguata per definire problemi di fondo che vengono prima e vanno al di la' delle scelte politiche contingenti. Una connotazione fondamentalista, radicata nel profondo di tutte le religioni cosiddette "del libro", cioe' la cristiana, la ebraica e la musulmana, che raramente si ha il coraggio di guardare e tanto meno di snidare, ritengo che possa essere la violenza insita nel monoteismo dogmatico. * E' illuminante in proposito uno studio fondamentale di Erik Peterson uscito in Germania nel 1935: Il monoteismo come problema politico, pubblicato in Italia nel 1983 dalla Queriniana. Erik Peterson, dotto teologo, e' un oppositore del nazismo e scrive il libro proprio in funzione antiregime. Egli conclude criticando il monoteismo come degenerazione pericolosa anche per il suo tempo, il tempo della dittatura nazista, e dimostrando con rigore scientifico che proprio nel monoteismo si annida la radice della dittatura, della violenza e della guerra. Il monoteismo e' sistema di guerra che si ammanta di pace e cosi' riesce a abbassare le difese etiche e psicologiche e a farsi accettare come bene supremo. E' una guerra vinta nelle coscienze prima ancora di essere combattuta. Il padre scolopio fiorentino Ernesto Balducci, teologo e saggista, riusci' a sintetizzare tutto questo con una affermazione forte ma quanto mai vera: "Il Dio unico e' la cifra assoluta dell'aggressivita' umana. Non si esce dalla cultura di guerra se non si esce dalla cultura del monoteismo sacrale". In Palestina due fondamentalismi, quello ebraico e quello islamico, si alimentano reciprocamente, e rendono devastante il mito della violenza sovrana. Lo stato di Israele si proclama "Stato ebraico". Ne ha tutto il diritto. E' il diritto che gli viene da una storia di discriminazioni, oppressioni e violenze inaudite che non puo' essere negata. Ma cio' pone alcune questioni su cui bisogna interrogarsi per alimentare con razionalita' critica il nostro impegno concreto per la fine del massacro e per la pacificazione. Noi che riconosciamo, con assoluta decisione, il diritto d'Israele di esistere e di essere uno stato ebraico sentiamo il bisogno di essere aiutati a rispettare e far rispettare tale diritto col riconoscimento da parte degli israeliani stessi che l'ebraicita' dello stato, non lo stato in se', e' una contraddizione storica da comprendere ma da superare, un fondamentalismo strutturale generatore di discriminazione e di violenza che non puo' durare in eterno. I modi e i tempi per superarlo dovranno essere trovati con pazienza, con diplomazia, con gradualita', ma il problema va posto. La situazione di Hamas e' speculare. La societa' palestinese, che era una delle realta' piu' laiche nel panorama del mondo islamico, rischia di cadere sotto il dominio del fondamentalismo di cui Hamas e' espressione, fondamentalismo che richiama e fomenta lo scontro di civilta'. I due fondamentalismi, quello ebraico e quello islamico si alimentano reciprocamente, cosi' come il mito della violenza sovrana. In Occidente non siamo estranei a una simile tendenza. Sappiamo quanto le nostre societa' siano influenzate se non dominate da correnti fondamentaliste, sia nel campo religioso che in quello politico. Di fronte al baratro di violenza fondamentalista che insanguina il Medioriente non possiamo non interrogarci sulla nostra corresponsabilita' e sugli scenari futuri di scontro di civilta' che ci riguardano direttamente. Sia l'ebraismo sia l'islamismo sia il cristianesimo non basta che parlino di pace e che si dedichino a curare le ferite delle guerre. Solo se daranno spazio al pluralismo al proprio interno e si apriranno a una fede laica, rispettosa della molteplicita' religiosa e etica, purificata dai dogmatismi, disponibile a intrecciarsi con tutte le religioni e le culture su un piano di parita', saranno capaci di favorire il superamento della spirale della violenza e il raggiungimento della pace. 8. RIFLESSIONE. ENRICA RIGO: ALCUNE CONSIDERAZIONI A PARTIRE DA UN SAGGIO DI W.E.B. DU BOIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "Lezioni di razza. Discriminati a tempo indeterminato" e il sommario "Alcune considerazioni sulla proposte di riforma dell'universita' e della scuola primaria a partire da un saggio dello studioso W.E.B Du Bois recentemente pubblicato"] In un saggio del 1903 sul ruolo dell'educazione per il riscatto della "razza Negra" W.E.B. Du Bois scriveva: "Formeremo uomini solo se assumiamo a oggetto del lavoro nelle scuole la condizione stessa degli esseri umani - l'intelligenza, la sostanziale solidarieta', la conoscenza del mondo e le relazioni che gli uomini intrattengono con esso - e' questo il curricolo di quell'Alta Formazione su cui si devono costruire le fondamenta di una vita reale" (The Talented Tenth, in The Negro Problem, New York 1903). La presa di posizione dell'intellettuale e leader afroamericano e' accompagnata da un'instancabile polemica contro qualunque ruolo salvifico del lavoro, implicito nell'opposta visione impersonificata dall'altro leader nero a lui contemporaneo, Booker T. Washington, secondo la quale agli studenti dovrebbe essere insegnato "come guadagnarsi da vivere" (da Up to Slavery pubblicato originariamente da Washington nel 1901). Per nulla invecchiata, la riflessione di Du Bois e' anzi profondamente in sintonia con l'onda del movimento che dalla scuola all'universita' ha investito, tra settembre e dicembre, l'intero sistema formativo italiano criticando proprio quel nesso tra formazione e mondo del lavoro che piu' di un decennio di riforme ha tentato di far passare come desiderabile, oltre che come ineluttabile necessita'. * Diritti transitori Prendere come spunto di riflessione la polemica tra Du Bois e Washington consente di tematizzare entro uno schema coerente anche un'altra proposta che ha impegnato le cronache durante le ultime settimane, ovvero quella di istituire classi "ponte" per i bambini immigrati nelle scuole primarie, e di discuterla entro la questione piu' generale dell'accesso degli stranieri ai diritti di cittadinanza e, in particolare, all'istruzione. Nella mozione approvata in parlamento su proposta della Lega Nord - e ingannevolmente ammantata di ragionevolezza politica da una relazione introduttiva imbottita di dati - salta agli occhi la definizione della misura quale politica di "discriminazione transitoria positiva". Senza approfondire nel merito l'abuso con il quale viene utilizzata l'espressione discriminazione positiva (che pur con delle ambivalenze affonda le sue radici nella storia del movimento per i diritti civili americano e nella tradizione della Critical Race Theory) e' proprio l'aggettivo "transitoria" che appare paradigmatico e inquietante. A essere considerata transitoria non e' infatti la discriminazione, che se fosse introdotta perdurerebbe ovviamente a lungo, ma una condizione intrinseca alle migrazioni stesse per cui i migranti sono sempre visti come titolari di diritti pro tempore. Nel caso specifico, l'introduzione di un canale di accesso parallelo e subalterno all'istruzione pubblica sarebbe addirittura giustificata da una duplice condizione transitoria: quella di essere immigrati e per giunta bambini. Questa transitorieta' "destinata a protrarsi indefinitamente" - per utilizzare la bella espressione del sociologo algerino Abdelmalek Sayad - e' carica di conseguenze sul piano politico, dal momento che cio' di cui si e' espropriati quando si viene inchiodati alla contingenza presente e' esattamente la possibilita' di scegliere il proprio futuro, come non a caso denuncia anche uno degli slogan del movimento dei mesi scorsi. * Stanziali per legge Questo approccio alle migrazioni acquisisce un significato ulteriore se si considerano alcune linee di tendenza che emergono dalle piu' recenti politiche europee e che puntano a realizzare un modello che la Commissione definisce come circular migration (una serie di articoli sull'argomento sono reperibili nel sito www.carim.org/circularmigration). Non si tratta piu' della "transitorieta'" con la quale e' stata gestita in molti paesi europei la manodopera immigrata nel dopoguerra, per cui i "lavoratori ospiti" erano incentivati a rientrare nei paesi di provenienza una volta soddisfatto il fabbisogno di forza lavoro; tanto meno siamo di fronte a una transitorieta' che conduce virtuosamente verso la cittadinanza. Una delle specificita' del sistema della Blue card che la Commissione europea vorrebbe introdurre per gestire a livello comunitario la manodopera immigrata "altamente qualificata", e che la differenzia, per esempio, dalla Green card statunitense, e' esattamente quella di non dare accesso alla cittadinanza ne', almeno in prima battuta, alla residenza permanente. A ben guardare, e' proprio in questo dispositivo, pensato per attrarre tecnici e ingegneri formati in paesi di economie emergenti come quelle di Cina o India, che si possono scorgere caratteristiche specifiche e esiti politici di una formazione improntata a "rispondere in modo effettivo e puntuale alla domanda fluttuante di lavoratori immigrati altamente qualificati (ed a compensare le carenze di competenze attuali e future)" (si vedano la relazione alla proposta di direttiva comunitaria e i lavori della High Level Conference on Legal Immigration tenutasi a Lisbona nel settembre 2007). Il "premio" che i lavoratori altamente qualificati ottengono con la Blue card e' costituito, infatti, da un alto grado di flessibilita' e mobilita' fisica nello spazio europeo, coniugata all'immobilita' del proprio status giuridico - e quindi sociale - di fronte ai diritti di cittadinanza. In altre parole, l'artificiosa temporalita' imposta dall'ordinamento giuridico alle migrazioni acquisisce, in questo contesto, il significato di gestione duratura del transito e della circolazione di manodopera attraverso un dispositivo che differenzia permanentemente l'accesso dei migranti ai diritti. Nessuno stupore, quindi, che tra gli obbrobri giuridici gia' sperimentati dal sistema possa essere concepita anche una "discriminazione transitoria positiva" di cui i bambini dei migranti porteranno addosso i segni in permanenza. Prima di tornare alle splendide pagine di Du Bois sull'eccellenza che sola puo' salvare e far progredire "le razze", e' opportuno introdurre un ulteriore elemento di riflessione. Per ottenere la Blue card, oltre a una formazione altamente qualificata testimoniata da un diploma riconosciuto, sara' necessario presentare un contratto di lavoro con una retribuzione prevista di almeno tre volte superiore al salario minimo. Ma che cosa accadrebbe se un illuminato liberale, convinto assertore dell'autonomia contrattuale, decidesse di assumere come badante un'astrofisica laureatasi in un'universita' dell'Unione Sovietica o come giardiniere un raffinato linguista formatosi in qualche paese del Medio Oriente e di pagarli il triplo del salario minimo? Simili casi non sono certo previsti dalla direttiva che, prevedendo accessi separati alla mobilita', si illude di poter ignorare e liquidare come una massa indifferenziata di cittadini "illegali" i migranti che vivono e lavorano qui ricevendo anche meno del salario minimo. * Adulatori della mediocrita' La domanda e' certo posta in modo provocatorio, ma e' contro l'incapacita' di vedere l'eccellenza che Du Bois dirige il suo sarcasmo piu' feroce: ovvero, contro "i ciechi adulatori della Mediocrita' che gridano allarmati: queste sono eccezioni, guardate qui morte, disastri e crimine - sono loro la regola compiaciuta!". Ed e' sempre l'autore del classico manifesto nero The Souls of Black Folk (New York 1903) a ribattere che e' stata proprio la stupidita' di una nazione che ha sistematicamente umiliato i talenti ad avere fatto della mediocrita' la regola. Una stupidita' simile a quella per cui nelle universita' italiane il numero di stranieri iscritti e' pari al 2,2%, contro una media Ocse superiore al 7,5% e che in paesi come Inghilterra e Germania raggiunge punte percentuali a due cifre. Un dato, questo, senza dubbio da imputare alle incredibili difficolta' delle procedure per ottenere un visto per studio o per convertire un permesso di soggiorno per studio in lavoro, ma specchio, altresi', dell'inadeguatezza di un'offerta formativa che pur blaterando di flussi di capitale si ostina a chiudere gli occhi di fronte a quelli umani. E ancora, la stessa stupidita' che mentre e' intenta a proporre accessi subalterni all'istruzione primaria non si accorge che le occupazioni e le mobilitazioni nelle scuole hanno coinvolto istituti dove l'incidenza dei bambini stranieri e' altissima, e dove le loro famiglie sono impegnate, accanto alle altre, in difesa della scuola pubblica. Perche', scrive ancora Du Bois: "Non abbiamo diritto a stare in disparte in silenzio mentre si gettano i semi di un raccolto di disastro per i nostri bambini, neri e bianchi". * Postilla biobibliografica. Una intensa pratica culturale sulla linea del colore. Du Bois, dal dottorato ad Harvard alla sviluppo di un autonomo movimento dei blacks Il saggio sull'educazione a cui si fa riferimento nell'articolo e' ora stato tradotto in un'antologia di scritti di William Edward Burghardt Du Bois dal titolo Negri per sempre. L'identita' nera tra costruzione della sociologia e "linea di colore", pubblicata da Armando Editore nel 2008. La traduzione italiana di The Souls of Black Folk e' stata invece proposta con il titolo Le anime del popolo nero (Le Lettere, 2007), mentre all'inizio dell'anno la piccola casa editrice Kurumuny ha pubblicato, con una introduzione di Raffaele Rauty, il piccolo saggio Il problema dei negri. Pochi titoli che non rendono omaggio a uno studioso poliedro come e' stato W.E.B. Du Bois (una riflessione critica sulla sua opera e' stata fatta su un numero della rivista "Studi culturali" edita da Il Mulino nel 2004). Nato nel 1868 a Great Barrington nello stato del Massachusetts, consegui' il diploma universitario presso la Fisk University, un noto e prestigioso college per neri a Nashville (Tennessee). Fu inoltre il primo afroamericano che consegui' il dottorato alla Harvard University. Ma e' dopo aver conseguito un incarico alla Philadelphia University che Du Bois comincia a lavorare a Philadelphia Negro, un libro a meta' strada tra un lavoro d'inchiesta e un'autobiografia, a cui segui' The Soul of Black Folk. Una delle sue opere piu' importanti fu The Black Recostruction, scritta nel 1935. Intellettuale di spicco della comunita' afroamericana, Du Bois fondo' inoltre la rivista "The Crisis", il periodico della "National Association for the Advancement of Colored People". Ed e' proprio nella sua attivita' di editorialista che mise a punto i temi culturali e politici portanti delle rivendicazioni dei neri statunitensi. Ed e' sempre in questo ambito che inizia il dialogo a distanza, costellato da aspre discussioni, con Marcus Garvey, altra figura importante della cultura politica black. Oggetto delle loro discussioni e scontri e' appunto il "che fare?" per lo sviluppo di una autonoma presenza politica dei neri nello scenario statunitense. Le loro divergenze si manifestarono soprattutto sul rapporto dei neri statunitensi con i nascenti movimenti anticolonialisti africani. E' in questo ambito che matura la cosiddetta svolta panafricana di Du Bois. Nel 1937 fonda assieme ad altri l'International Commitee on African Affairs, mentre si avvicina alle posizioni del Partito comunista americano. Una vicinanza che attiro' l'attenzione dell'Fbi e, dopo la fine della seconda guerra mondiale, del Comitato contro le attivita' antiamericane. Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, Du Bois alterna l'insegnamento all'attivita' politica. Si impegna affinche' gli Stati Uniti e le nascenti Nazioni Unite appoggino i movimenti di indipendenza nazionale, arrivando a scrivere un testo (Diritti umani per tutte le minoranze) che si presenta come un grande affresco storico sui movimenti di autodeterminazione politica e culturale e che influenzera' un'intera generazione di studiosi. Nel 1961 si trasferisce in Ghana, dove muore due anni dopo. 9. VOCI. ALBERTO TREVISAN: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Alberto Trevisan (per contatti: trevisanalberto at libero.it) per questo intervento] Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' sento di non farne piu' a meno per continuare con metodo l'approfondimento dei temi della nonviolenza e della pace. Sapere che da quarant'anni, per merito del compianto Aldo Capitini, questa rivista e' ancora punto di riferimento di molte persone in maniera trasversale attraverso la sobrieta' e la ricerca continua della nonviolenza in cammino, mi motiva ad andare avanti. "Spes contra spem", la speranza malgrado tutto, ripeteva Giorgio La Pira, costituente, messaggero di pace e sindaco della povera gente. Sperare e' necessario, ma come diceva padre Ernesto Balducci, forse il primo ad avere immaginato l'"uomo planetario", la speranza non scendera' piu' come la manna, ma deve essere organizzata. Con queste sobrie riflessioni invito tante persone ad abbonarsi ad "Azione nonviolenta". 10. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 718 del primo febbraio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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