Minime. 715



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 715 del 29 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Enrico Piovesana: Sri Lanka, massacro in corso
2. Un sito per ricordare Claudio Miccoli e proseguirne l'impegno per la
nonviolenza
3. Pietro Prini
4. Susanna Nirenstein intervista Georges Bensoussan
5. Primo Levi: La zona grigia (parte seconda)
6. Paolo Predieri: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
7. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. MONDO. ENRICO PIOVESANA: SRI LANKA, MASSACRO IN CORSO
[Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo il
seguente articolo del 28 gennaio 2009 col titolo "Sri Lanka, massacro in
corso" e il sommario "Croce Rossa: Centinaia di morti"]

Basandosi sulle testimonianze dirette del personale della Croce Rossa
Internazionale presente nella zone dei combattimenti, l'Icrc denuncia da
Ginevra "le centinaia di morti e la marea di feriti" provocate
dall'offensiva militare in corso contro le ultime roccaforti delle Tigri
tamil nel nord-est dello Sri Lanka.
*
Croce Rossa: "Proteggere i civili"
"Quando la polvere si posera', troveremo innumerevoli vittime e una
situazione umanitaria terribile se i civili non verranno protetti e la legge
umanitaria non verra' rispettata". ha dichiarato Jacques de Maio,
responsabile delle operazioni della Croce Rossa Internazionale nell'Asia
meridionale. "E' il momento di fare qualcosa e fermare ulteriori bagni di
sangue, perche' il tempo stringe. L'Icrc rivolge un appello urgente a
entrambe le parti affinche' venga concesso e facilitata l'evacuazione dei
civili dalla zona dei combattimenti.
*
"Colpiti ospedali e ambulanze"
"La gente e' stata presa tra i due fuochi - continua de Maio -, ospedali e
ambulanze sono stati colpiti dalle bombe e diversi operatori umanitari sono
rimasti feriti durante l'evacuazione dei feriti. La violenza sta impedendo
alla Croce Rossa Internazionale (Icrc) di operare nella regione. La
popolazione e' terrorizzata e bisognosa di protezione, cure mediche e
assistenza di base. Circa 250.000 persone sono intrappolate in un'area di
250 chilometri quadrati, teatro di intensi combattimenti. Questa gente non
ha aree sicure dove rifugiarsi ed e' impossibilitata a lasciare la zona:
centinaia di pazienti necessitano d cure urgenti e di essere quindi
trasportate all'ospedale di Vavuniya".
*
Governo: "300 feriti ostaggio dei ribelli"
Il primo tentativo di trasferire i civili feriti piu' gravi fuori dalla zona
dei combattimenti era fallito ieri, quando un convoglio della Croce Rossa e
dalle Nazioni Unite con 300 pazienti, partito dall'ospedale di
Putukkundiruppu e diretto a Vavuniya e' stato fermato sulla linea del
fronte. Secondo il quotidiano filo-governativo singalese "Daily News" sono
stati i guerriglieri dell'Ltte a bloccare il convoglio "al sinistro scopo di
usare i pazienti come scudi umani".
La portavoce della Croce Rossa Internazionale in Sri Lanka, Sarasi
Wijeratne, contattata da "PeaceReporter", ha confermato il fallimento della
missione ma non ha voluto rilasciare dichiarazioni su chi sia stato a
bloccare il convoglio: "Non vogliamo puntare il dito contro l'una o l'altra
parte: il convoglio non ha proseguito perche' non c'erano le condizioni di
sicurezza necessarie".
*
Onu: "Bombe sulla zona si sicurezza"
Anche la sede locale delle Nazioni Unite denuncia una situazione divenuta
insostenibile. "Questa e' una crisi grave: il nostro personale che si
trovava nell'area di sicurezza designata dal governo e' stato testimone
diretto dei bombardamenti d'artiglieria su quest'area. Le bombe hanno ucciso
e ferito decine e decine di persone", ha dichiarato Gordon Weiss, portavoce
dell'Onu in Sri Lanka.

2. RIFERIMENTI. UN SITO PER RICORDARE CLAUDIO MICCOLI E PROSEGUIRNE
L'IMPEGNO PER LA NONVIOLENZA
Dal sito www.comitatoclaudiomiccoli.it riprendiamo la seguente scheda di
presentazione

Claudio Miccoli, ventenne napoletano pacifista e ambientalista (militava nel
Wwf, di cui era consigliere regionale), mori' andando incontro, solo e
disarmato, a una squadra di neofascisti armati di bastoni e di coltelli che
avevano aggredito un giovane pochi minuti prima in una pizzeria a piazza
Sannazzaro a Napoli, la sera del 30 settembre 1978.
Egli cercava il dialogo: un semplice gesto di pace che, unito alla "colpa"
di portare barba e capelli lunghi, basto' a scatenare la furia dei suoi
assassini, che gli sfondarono il cranio a bastonate. Mori' dopo sei giorni
di agonia, il 6 ottobre del 1978, non senza aver prima espresso il desiderio
di donare ad altri i suoi organi (oggi due persone vedono grazie a lui).
Per riaffermare, nel nome di Claudio, i valori nei quali credeva e per i
quali sacrifico' la sua giovane vita, perche' le sue idee non muoiano con
lui, si e' costituito nel 1998 il "Comitato Claudio Miccoli", "affinche' -
come si legge in un appello di quell'anno alle Istituzioni firmato da piu'
di diecimila persone - si radichino nella memoria storica della cittadinanza
non solo la ripulsa e lo sdegno per quell'assurdo episodio di intolleranza,
ma anche e soprattutto i valori universali della nonviolenza, della
solidarieta' e della civile convivenza".
Oggi, a dieci anni dalla sua fondazione, il Comitato puo' dire di aver
raggiunto, almeno in parte, il suo scopo: a Napoli c'e' finalmente una via
Claudio Miccoli e a piazza Sannazzaro e' stata restaurata la lapide che
ricorda l'aggressione di cui Claudio fu vittima; la biblioteca del Liceo
"Vincenzo Cuoco" e l'aula magna dell'Istituto "Leonardo da Vinci" di Napoli
portano il suo nome, come pure una strada a Calvizzano; nel Parco Nazionale
d'Abruzzo, su una parete del Rifugio "Forca Resuni", egli e' ricordato con
una sua poesia.
Ma il compito del Comitato Claudio Miccoli, e di tutti coloro che vorranno
collaborare con noi - il compito di chi si propone di diffondere la cultura
della nonviolenza - non e' finito e non puo' finire qui. Noi continueremo,
con la forza del dialogo, della verita', della memoria, a dare voce a quelle
idee che Claudio tento' di esprimere, un'ultima volta, rivolgendosi ai suoi
assassini.
Ai medici dell'ospedale "Cardarelli" Claudio racconto', prima di entrare in
coma: "Non mi hanno lasciato il tempo: io volevo parlare, volevo spiegare,
volevo...". Noi il tempo per parlare e spiegarci ce l'abbiamo: intendiamo
usarlo.
Francesco Ruotolo, Alberto Calabrese, Paola Cotticelli, Guido D'Agostino,
Ivano D'Antonio, Vittorio De Asmundis, Maurizio Fraissinet, Mariapaola
Ghezzi, Marco Lupo, Livio Miccoli, Rosanna Miccoli, Casimiro Monti, Maurizio
Valenzi

3. LUTTI. PIETRO PRINI
[Dal sito della Radio vaticana (www.radiovaticana.org) riprendiamo la
seguente notizia del 29 dicembre 2008 dal titolo "E' morto il filosofo
Pietro Prini"]

Si e' spento la notte scorsa a Belgirate, in provincia di Novara, dov'era
nato, il filosofo Pietro Prini: aveva 93 anni. "Esponente di un platonismo
cristiano", secondo una sua stessa definizione, fu influenzato in
particolare dall'opera del filosofo esistenzialista francese Gabriel Marcel.
Laureato in filosofia nel 1941 con una tesi su "Il problema dell'essere e
delle categorie nella Teosofia di Antonio Rosmini", partecipa alla
Resistenza. Dal 1965 sino alla pensione insegna Storia della filosofia alla
"Sapienza" di Roma. Nella capitale ha fondato e diretto la Scuola di
perfezionamento in filosofia e di preparazione all'insegnamento della
filosofia. Tra le sue opere sono da ricordare Il paradosso di Icaro (1975),
L'ambiguita' dell'essere (1989), Storia dell'esistenzialismo da Kierkegaard
a oggi (1989), La filosofia cattolica italiana del Novecento (1990), Il
corpo che siamo (1991), Il cristiano e il potere (1993), Lo scisma sommerso
(1998).

4. RIFLESSIONE. SUSANNA NIRENSTEIN INTERVISTA GEORGES BENSOUSSAN
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 26 gennaio 2009 col titolo "Le radici
dell'Olocausto"]

Una genealogia della Shoah. La traccia arditamente Georges Bensoussan nel
suo Genocidio. Una passione europea (Marsilio, pp. 388, euro 21),
individuando i semi gia' attivi nell'Ottocento e nel Settecento, i secoli
della ragione e del progresso, da cui e' nata la pianta totalitaria e
omicida del Novecento. Un'operazione complessa, anche se lui stesso avverte,
riprendendo un proverbio cinese, come "conoscere la fine non aiuti a
comprendere l'inizio". Ma troppo grande e' lo sconcerto per la distruzione
degli ebrei nel cuore del mondo occidentale e questa opera di archeologia
alla ricerca delle fonti della barbarie e' generosa e piena di spunti.
Andando a ritroso dunque, tre sono i filoni che lo storico delle idee, gia'
autore di un monumentale lavoro sul sionismo a cui e' stato conferito a
Parigi il "Prix Memoire de la Shoah", segnala ed esplora: la natura di
guerra totale del primo conflitto mondiale, concepita dai suoi protagonisti,
primi fra tutti i tedeschi - ma non solo -, come una via per "l'igiene del
mondo" da percorrere attraverso tutti i mezzi possibili (la Germania vi
introdusse gas, campi di concentramento dove affamare e picchiare i
prigionieri, utilizzo dei cadaveri per riempire i fossati...). Una visione,
argomenta Bensoussan, resa possibile (e qui andiamo di nuovo all'indietro)
dal darwinismo sociale sviluppato nel XIX secolo che indica via via classi,
gruppi (i malati), popoli, razze inferiori che devono soccombere: teorie
nate all'interno dell'anti-illuminismo da cui derivano in generale un
colonialismo predatore e razzista (vedi la soppressione degli Herero,
piuttosto che degli armeni), l'eugenetica della sterilizzazione dei malati
gravi (gia' votata ad esempio nella Repubblica di Weimar).
L'antisemitismo infine: che Bensoussan giustamente associa all'antigiudaismo
coltivato e agito secolarmente dalle Chiese cattolica e protestante,
radicato si' nell'idea del "popolo deicida" ma, fin dalla fine del I
millennio, evoluto in una dimensione razziale come dimostra l'ossessione per
la purezza del sangue che perseguito' gli ebrei anche se convertiti.
*
- Susanna Nirenstein: Monsieur Bensoussan, dunque per lei esiste una sorta
di gestazione unica, intellettuale ma non solo, dello sterminio biologico
degli ebrei d'Europa. E' cosi'?
- Georges Bensoussan: No, non esiste una causalita' lineare che conduca alla
Shoah. Non esistono delle "cause". Ma un terreno culturale che prepara gli
intelletti e li condiziona.
*
- Susanna Nirenstein: La prima matrice del "Disastro" e' la prima guerra
mondiale, ma non tanto per il risentimento e la sete di riparazione che
lascio' in Germania, quanto per come venne concepita e condotta.
- Georges Bensoussan: Fu una tappa verso la guerra totale che non distinse
tra militari e civili. Questa concezione del conflitto come "igiene del
mondo" si coniugava con il sogno di un'umanita' sottomessa unicamente alle
leggi della scienza. Non fu appannaggio della sola Germania che pero', per
prima in Europa, ha introdotto alcune forme di annientamento totale. Ed e'
sempre la Germania che fin dal 1925 ha accolto l'insegnamento dell'igiene
razziale nelle universita' tedesche.
*
- Susanna Nirenstein: La Germania durante la prima guerra mondiale concepi'
gia' l'Europa orientale come il suo "spazio vitale", il Lebensraum nazista,
abitato solo da barbari e primitivi?
- Georges Bensoussan: Da tempo la Germania, attraverso le Leghe
pangermaniste nate alla fine del XIX sec., pensava l'Est come un suo spazio
naturale di espansione. Il disprezzo verso gli slavi era radicato. Allo
scoppio del conflitto lo sguardo dei tedeschi su di loro e' come quello del
colonizzatore bianco che sbarca in Africa. Slavi ed ebrei gli appaiono
popoli degenerati. Gli ebrei, per di piu', vengono percepiti come
pericolosi, specie dopo l'enorme flusso migratorio che li aveva condotti in
Germania e Austria nell'ultima parte dell'Ottocento.
*
- Susanna Nirenstein: Nel riavvolgimento di questo nastro dell'orrore, lei
rammenta lo sterminio degli Herero (nelle colonie africane tedesche), ma
piu' in generale il capitolo del colonialismo, come un'altra tappa verso la
concezione dell'esistenza di sottouomini la cui vita non aveva alcun valore.
E parla molto della responsabilita' del darwinismo sociale. Ci puo' spiegare
meglio?
- Georges Bensoussan: Ci fu un uso distorto della scienza. I successi
ottenuti dalla biologia non furono sinonimi della costituzione del biopotere
che considera l'uomo innanzitutto un essere vivente e non pensante, segnando
cosi' la fine della sua centralita'. Anche se il darwinismo sociale e
razziale ha impregnato i paesi sviluppati di quest'epoca, solo alcuni di
loro hanno spazzato via le barriere etiche che fondano la nostra civilta'.
*
- Susanna Nirenstein: Al di la' dei principi di selezione e sterminio che
presero piede in Europa tra Ottocento e Novecento, cosa scatto' perche'
questi divenissero realta' massificata, Shoah?
- Georges Bensoussan: L'idea di selezione, ovvero di sterminio, e'
all'origine di un razzismo moderno che si basa su studi scientifici
distorti. Quest'idea e' inseparabile dall'Europa della rivoluzione urbana e
industriale e del colonialismo che rimette in discussione l'eredita' biblica
e dell'Illuminismo per giustificare la sua impresa di dominio. Se si
dimentica questa realta', il trionfo del nazismo appare come un incidente
incomprensibile. Come un sottoprodotto del periodo 1914-1918, della pace di
Versailles o della Depressione. Una spiegazione davvero riduttiva anche se
quei fatti storici hanno contribuito a tessere il dramma. Ma senza quel
contesto anti-illuministico che in Germania assunse una forma piu' violenta
che altrove, senza il movimento voelkisch, il pangermanesimo, il
luteranesimo, non si capirebbe Hitler. E nemmeno senza lo studio della
tradizione di obbedienza all'autorita', qualunque essa sia, o delle
strutture del potere e della famiglia che caratterizzano la societa'
tedesca. Nessuna spiegazione vale senza genealogia, che non costituisce da
sola una interpretazione: perche' il nazismo resta una rottura nella
tradizione politica dell'Occidente. Fare l'archeologia del disastro non deve
nascondere questa verita'.
*
- Susanna Nirenstein: Dal Settecento all'anno Mille e prima, sono le Chiese
a portare lo stendardo della demonizzazione di ebrei, omosessuali,
streghe...
- Georges Bensoussan: Ogni piccolo europeo si e' nutrito fin dalla piu'
tenera eta' di un antigiudaismo dottrinario che si e' depositato strato dopo
strato negli intelletti. Un gruppo esiste solo a condizione di espellere da
se' il proprio odio per proiettarli su un gruppo-vittima. I lebbrosi, gli
ebrei, i devianti sessuali e le donne, costituiscono delle declinazioni di
un'identica cultura del diavolo.
*
- Susanna Nirenstein: C'e' differenza tra antigiudaismo e antisemitismo?
- Georges Bensoussan: Il termine antisemitismo fu coniato nel 1879 in
Germania, e lascia intendere che esista una razza semita, quando invece
esistono solo delle lingue semitiche. E' una versione secolarizzata della
giudeofobia. L'antisemita cammina nel solco della tradizione antiebraica
della Chiesa, dalla quale si discosta appena. Se il rigetto basato sulla
fede lascia una porta aperta all'ebreo perseguitato, il rifiuto basato sulla
razza chiude tutte le vie d'uscita. Il sangue non si puo' cambiare. Rimane
il fatto che dal XV secolo, la tradizione spagnola, l'interrogativo
sull'ascendenza familiare del convertito, costituisce il primo passo verso
il razzismo moderno.
*
- Susanna Nirenstein: Perche' la teoria cospirativa che ha perseguitato
l'ebreo europeo oggi e' passata, piu' o meno tale e quale, nel mondo
islamico?
- Georges Bensoussan: Numerosi modelli anti-ebraici propri del mondo
cristiano sono passati oggi al mondo musulmano che nel XIX secolo ignorava
l'accusa del crimine rituale, dell'avvelenamento dell'acqua, del complotto.
Sono stati introdotti dalle congregazioni cristiane, e infatti allora erano
gli arabi cristiani i piu' ostili agli ebrei. Ma le frustrazioni e i
risentimenti che i paesi arabi islamici svilupperanno nei confronti del
mondo occidentale nel XX secolo favoriscono la cristallizzazione di un
potente antisemitismo. L'assenza di una rivoluzione illuministica, in grado
di cambiare le mentalita' che continua a ignorare la secolarizzazione e la
laicita', rafforzata da un sentimento di umiliazione di una cultura a lungo
dominatrice, sono elementi che spingono a non sopportare l'idea che
l'"ebreo", creatura disprezzata, si emancipi dalla condizione di dhimmi,
inferiore, a cui era relegato negli stati musulmani. La sua "uguaglianza" e'
vissuta come un'arroganza insopportabile. Il sionismo e Israele verranno a
sovrapporsi a questo sentimento di umiliazione, dando il colpo di grazia a
questo ethos dominatore. Cosi' come l'hitlerismo aveva fatto dell'ebreo lo
specchio dello smarrimento esistenziale dello spirito tedesco, e al contempo
l'opposto della propria identita', il musulmano di oggi ha bisogno di
Israele per esprimere le proprie contraddizioni verso il mondo moderno.
*
- Susanna Nirenstein: Quanto e' pericoloso tutto questo?
- Georges Bensoussan: La letteratura politica di quel mondo, penso a Hamas e
Hezbollah in particolare, all'Iran, e' un incitamento al genocidio. Se
preferiamo dar retta a quel potente bisogno che ha l'essere umano di essere
rassicurato, ci si puo' persuadere che "tanto le cose finiranno per
sistemarsi". Ma la storia e' tragica e radicale.

5. MAESTRI. PRIMO LEVI: LA ZONA GRIGIA (PARTE SECONDA)
[Dal sito www.minerva.unito.it riprendiamo il testo del capitolo "La zona
grigia" da Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986, pp.
24-52.
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel
1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto,
fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita'
umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di
sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu'
alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi:
fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La
ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti
presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora
incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di
Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La
chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il
fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo
Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due
volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere
su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano
1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994;
Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini,
Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992;
Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica,
Einaudi, Torino 1997; Ernesto Ferrero, Primo Levi. La vita, le opere,
Einaudi, Torino 2007; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia,
Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta,
Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di
Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di
Primo Levi, Mursia, Milano 1976]

Un caso-limite di collaborazione e' rappresentato dai Sonderkommandos di
Auschwitz e degli altri Lager di sterminio. Qui si esita a parlare di
privilegio: chi ne faceva parte era privilegiato solo in quanto (ma a quale
costo!) per qualche mese mangiava a sufficienza, non certo perche' potesse
essere invidiato. Con questa denominazione debitamente vaga, "Squadra
Speciale", veniva indicato dalle SS il gruppo di prigionieri a cui era
affidata la gestione dei crematori. A loro spettava mantenere l'ordine fra i
nuovi arrivati (spesso del tutto inconsapevoli del destino che li attendeva)
che dovevano essere introdotti nelle camere a gas; estrarre dalle camere i
cadaveri; cavare i denti d'oro dalle mascelle; tagliare i capelli femminili;
smistare e classificare gli abiti, le scarpe, il contenuto dei bagagli;
trasportare i corpi ai crematori e sovraintendere al funzionamento dei
forni; estrarre ed eliminare le ceneri. La Squadra Speciale di Auschwitz
contava, a seconda dei periodi, da 700 a 1.000 effettivi.
Queste Squadre Speciali non sfuggivano al destino di tutti; anzi, da parte
delle SS veniva messa in atto ogni diligenza affinche' nessun uomo che ne
avesse fatto parte potesse sopravvivere e raccontare. Ad Auschwitz si
succedettero dodici squadre; ognuna rimaneva in funzione qualche mese, poi
veniva soppressa, ogni volta con un artificio diverso per prevenire
eventuali resistenze, e la squadra successiva, come iniziazione, bruciava i
cadaveri dei predecessori. L'ultima squadra, nell'ottobre 1944, si ribello'
alle SS, fece saltare uno dei crematori e fu sterminata in un diseguale
combattimento a cui accennero' piu' oltre. I superstiti delle Squadre
Speciali sono dunque stati pochissimi, sfuggiti alla morte per qualche
imprevedibile gioco del destino. Nessuno di loro, dopo la liberazione, ha
parlato volentieri, e nessuno parla volentieri della loro spaventosa
condizione. Le notizie che possediamo su queste Squadre provengono dalle
scarne deposizioni di questi superstiti; dalle ammissioni dei loro
"committenti" processati davanti a vari tribunali; da cenni contenuti in
deposizioni di "civili" tedeschi o polacchi che ebbero casualmente occasione
di venire a contatto con le squadre; e finalmente, da fogli di diario che
vennero scritti febbrilmente a futura memoria, e sepolti con estrema cura
nei dintorni dei crematori di Auschwitz, da alcuni dei loro componenti.
Tutte queste fonti concordano tra loro, eppure ci riesce difficile, quasi
impossibile, costruirci una rappresentazione di come questi uomini vivessero
giorno per giorno, vedessero se stessi, accettassero la loro condizione.
In un primo tempo, essi venivano scelti dalle SS fra i prigionieri gia'
immatricolati nei Lager, ed e' stato testimoniato che la scelta avveniva non
soltanto in base alla robustezza fisica, ma anche studiando a fondo le
fisionomie. In qualche raro caso, l'arruolamento avvenne per punizione. Piu'
tardi, si preferi' prelevare i candidati direttamente sulla banchina
ferroviaria, all'arrivo dei singoli convogli: gli "psicologi" delle SS si
erano accorti che il reclutamento era piu' facile se si attingeva da quella
gente disperata e disorientata, snervata dal viaggio, priva di resistenze,
nel momento cruciale dello sbarco dal treno, quando veramente ogni nuovo
giunto si sentiva alla soglia del buio e del terrore di uno spazio non
terrestre.
Le Squadre Speciali erano costituite in massima parte da ebrei. Per un
verso, questo non puo' stupire, dal momento che lo scopo principale dei
Lager era quello di distruggere gli ebrei, e che la popolazione di
Auschwitz, a partire dal 1943, era costituita da ebrei per il 90-95%; sotto
un altro aspetto, si rimane attoniti davanti a questo parossismo di perfidia
e di odio: dovevano essere gli ebrei a mettere nei forni gli ebrei, si
doveva dimostrare che gli ebrei, sotto-razza, sotto-uomini, si piegano ad
ogni umiliazione, perfino a distruggere se stessi. D'altra parte, e'
attestato che non tutte le SS accettavano volentieri il massacro come
compito quotidiano; delegare alle vittime stesse una parte del lavoro, e
proprio la piu' sporca, doveva servire (e probabilmente servi') ad
alleggerire qualche coscienza.
Beninteso, sarebbe iniquo attribuire questa acquiescenza a qualche
particolarita' specificamente ebraica: delle Squadre Speciali fecero parte
anche prigionieri non ebrei, tedeschi e polacchi, pero' con le mansioni
"piu' dignitose" di Kapos; ed anche prigionieri di guerra russi, che i
nazisti consideravano solo di uno scalino superiori agli ebrei. Furono
pochi, perche' ad Auschwitz i russi erano pochi (vennero in massima parte
sterminati prima, subito dopo la cattura, mitragliati sull'orlo di enormi
fosse comuni): ma non si comportarono in modo diverso dagli ebrei.
Le Squadre Speciali, in quanto portatrici di un orrendo segreto, venivano
tenute rigorosamente separate dagli altri prigionieri e dal mondo esterno.
Tuttavia, come e' noto a chiunque abbia attraversato esperienze analoghe,
nessuna barriera e' mai priva di incrinature: le notizie, magari incomplete
e distorte, hanno un potere di penetrazione enorme, e qualcosa trapela
sempre. Su queste Squadre, voci vaghe e monche circolavano gia' fra noi
durante la prigionia, e vennero confermate piu' tardi dalle altre fonti
accennate prima, ma l'orrore intrinseco di questa condizione umana ha
imposto a tutte le testimonianze una sorta di ritegno; percio', oggi ancora
e' difficile costruirsi un'immagine di "cosa volesse dire" essere costretti
ad esercitare per mesi questo mestiere. Alcuni hanno testimoniato che a
quegli sciagurati veniva messa a disposizione una grande quantita' di
alcolici, e che essi si trovavano permanentemente in uno stato di
abbrutimento e di prostrazione totali. Uno di loro ha dichiarato: "A fare
questo lavoro, o si impazzisce il primo giorno, oppure ci si abitua". Un
altro, invece: "Certo, avrei potuto uccidermi o lasciarmi uccidere; ma io
volevo sopravvivere, per vendicarmi e per portare testimonianza. Non dovete
credere che noi siamo dei mostri: siamo come voi, solo molto piu' infelici".
E' evidente che queste cose dette, e le altre innumerevoli che da loro e fra
di loro saranno state dette ma non ci sono pervenute, non possono essere
prese alla lettera. Da uomini che hanno conosciuto questa destituzione
estrema non ci si puo' aspettare una deposizione nel senso giuridico del
termine, bensi' qualcosa che sta fra il lamento, la bestemmia, l'espiazione
e il conato di giustificarsi, di recuperare se stessi. Ci si deve aspettare
piuttosto uno sfogo liberatorio che una verita' dal volto di Medusa.
Aver concepito ed organizzato le Squadre e' stato il delitto piu' demoniaco
del nazionalsocialismo. Dietro all'aspetto pragmatico (fare economia di
uomini validi, imporre ad altri i compiti piu' atroci) se ne scorgono altri
piu' sottili. Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su
altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talche', a loro
sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti. Non
e' facile ne' gradevole scandagliare questo abisso di malvagita', eppure io
penso che lo si debba fare, perche' cio' che e' stato possibile perpetrare
ieri potra' essere nuovamente tentato domani, potra' coinvolgere noi stessi
o i nostri figli. Si prova la tentazione di torcere il viso e distogliere la
mente: e' una tentazione a cui ci si deve opporre. Infatti, l'esistenza
delle Squadre aveva un significato, conteneva un messaggio: "Noi, il popolo
dei Signori, siamo i vostri distruttori, ma voi non siete migliori di noi;
se lo vogliamo, e lo vogliamo, noi siamo capaci di distruggere non solo i
vostri corpi, ma anche le vostre anime, cosi' come abbiamo distrutto le
nostre".
Miklos Nyiszli, medico ungherese, e' stato fra i pochissimi superstiti
dell'ultima Squadra Speciale di Auschwitz. Era un noto anatomo-patologo,
esperto nelle autopsie, ed il medico capo delle SS di Birkenau, quel Mengele
che e' morto pochi anni fa sfuggendo alla giustizia, si era assicurato i
suoi servizi; gli aveva riservato un trattamento di favore, e lo considerava
quasi come un collega. Nyiszli doveva dedicarsi in specie allo studio dei
gemelli: infatti, Birkenau era l'unico luogo al mondo in cui esistesse la
possibilita' di esaminare cadaveri di gemelli uccisi nello stesso momento.
Accanto a questo suo incarico particolare, a cui, sia detto per inciso, non
risulta che egli si sia opposto con molta determinazione, Nyiszli era il
medico curante della Squadra, con cui viveva a stretto contatto. Ebbene,
egli racconta un fatto che mi pare significativo.
Le SS, come ho detto, sceglievano accuratamente, dai Lager o dai convogli in
arrivo, i candidati alle Squadre, e non esitavano a sopprimere sul posto
coloro che si rifiutavano o si mostravano inadatti alle loro mansioni. Nei
confronti dei membri appena assunti, esse mostravano lo stesso comportamento
sprezzante e distaccato che usavano mostrare verso tutti i prigionieri, e
verso gli ebrei in specie: era stato loro inculcato che si trattava di
esseri spregevoli, nemici della Germania e percio' indegni di vivere; nel
caso piu' favorevole, potevano essere obbligati a lavorare fino alla morte
per esaurimento. Non cosi' si comportavano invece nei confronti dei veterani
della Squadra: in questi, sentivano in qualche misura dei colleghi, ormai
disumani quanto loro, legati allo stesso carro, vincolati dal vincolo
immondo della complicita' imposta. Nyiszli racconta dunque di aver
assistito, durante una pausa del "lavoro", ad un incontro di calcio fra SS e
SK (Sonderkommando), vale a dire fra una rappresentanza delle SS di guardia
al crematorio e una rappresentanza della Squadra Speciale; all'incontro
assistono altri militi delle SS e il resto della Squadra, parteggiano,
scommettono, applaudono, incoraggiano i giocatori, come se, invece che
davanti alle porte dell'inferno, la partita si svolgesse sul campo di un
villaggio.
Niente di simile e' mai avvenuto, ne' sarebbe stato concepibile, con altre
categorie di prigionieri; ma con loro, con i "corvi del crematorio", le SS
potevano scendere in campo, alla pari o quasi. Dietro questo armistizio si
legge un riso satanico: e' consumato, ci siamo riusciti, non siete piu'
l'altra razza, l'anti-razza, il nemico primo del Reich Millenario: non siete
piu' il popolo che rifiuta gli idoli. Vi abbiamo abbracciati, corrotti,
trascinati sul fondo con noi. Siete come noi, voi orgogliosi: sporchi del
vostro sangue come noi. Anche voi, come noi e come Caino, avete ucciso il
fratello. Venite, possiamo giocare insieme.
Nyiszli racconta un altro episodio da meditare. Nella camera a gas sono
stati stipati ed uccisi i componenti di un convoglio appena arrivato, e la
Squadra sta svolgendo il lavoro orrendo di tutti i giorni, districare il
groviglio di cadaveri, lavarli con gli idranti e trasportarli al crematorio,
ma sul pavimento trovano una giovane ancora viva. L'evento e' eccezionale,
unico; forse i corpi umani le hanno fatto barriera intorno, hanno
sequestrato una sacca d'aria che e' rimasta respirabile. Gli uomini sono
perplessi; la morte e' il loro mestiere di ogni ora, la morte e' una
consuetudine, poiche', appunto, "si impazzisce il primo giorno oppure ci si
abitua", ma quella donna e' viva. La nascondono, la riscaldano, le portano
brodo di carne, la interrogano: la ragazza ha sedici anni, non si orienta
nello spazio ne' nel tempo, non sa dov'e', ha percorso senza capire la
trafila del treno sigillato, della brutale selezione preliminare, della
spogliazione, dell'ingresso nella camera da cui nessuno e' mai uscito vivo.
Non ha capito, ma ha visto; percio' deve morire, e gli uomini della Squadra
lo sanno, cosi' come sanno di dover morire essi stessi e per la stessa
ragione. Ma questi schiavi abbrutiti dall'alcool e dalla strage quotidiana
sono trasformati; davanti a loro non c'e' piu' la massa anonima, il fiume di
gente spaventata, attonita, che scende dai vagoni: c'e' una persona.
Come non ricordare 1'"insolito rispetto" e l'esitazione del "turpe monatto"
davanti al caso singolo, davanti alla bambina Cecilia morta di peste che,
nei Promessi Sposi, la madre rifiuta di lasciar buttare sul carro confusa
fra gli altri morti? Fatti come questi stupiscono, perche' contrastano con
l'immagine che alberghiamo in noi, dell'uomo concorde con se stesso,
coerente, monolitico; e non dovrebbero stupire, perche' tale l'uomo non e'.
Pieta' e brutalita' possono coesistere, nello stesso individuo e nello
stesso momento, contro ogni logica; e del resto, la pieta' stessa sfugge
alla logica. Non esiste proporzionalita' tra la pieta' che proviamo e
l'estensione del dolore da cui la pieta' e' suscitata: una singola Anna
Frank desta piu' commozione delle miriadi che soffrirono come lei, ma la cui
immagine e' rimasta in ombra. Forse e' necessario che sia cosi'; se
dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere.
Forse solo ai santi e' concesso il terribile dono della pieta' verso i
molti; ai monatti, a quelli della Squadra Speciale, ed a noi tutti, non
resta, nel migliore dei casi, che la pieta' saltuaria indirizzata al
singolo, al Mitmensch, al co-uomo: all'essere umano di carne e sangue che
sta davanti a noi, alla portata dei nostri sensi provvidenzialmente miopi.
Viene chiamato un medico, che rianima la ragazza con una iniezione: si', il
gas non ha compiuto il suo effetto, potra' sopravvivere, ma dove e come? In
quel momento sopraggiunge Muhsfeld, uno dei militi SS addetti agli impianti
di morte; il medico lo chiama da parte e gli espone il caso. Muhsfeld esita,
poi decide: no, la ragazza deve morire; se fosse piu' anziana il caso
sarebbe diverso, avrebbe piu' senno, forse la si potrebbe convincere a
tacere su quanto le e' accaduto, ma ha solo sedici anni: di lei non ci si
puo' fidare. Tuttavia non la uccide di mano sua, chiama un suo sottoposto
che la sopprima con un colpo alla nuca. Ora, questo Muhsfeld non era un
misericorde; la sua razione quotidiana di strage era trapunta di episodi
arbitrari e capricciosi, segnata da sue invenzioni di raffinata crudelta'.
Fu processato nel 1947, condannato a morte e impiccato a Cracovia, e questo
fu giusto; ma neppure lui era un monolito. Se fosse vissuto in un ambiente
ed in un'epoca diversi, e' probabile che si sarebbe comportato come
qualsiasi altro uomo comune.
Nei Fratelli Karamazov, Grusen'ka racconta la favola della cipollina. Una
vecchia malvagia muore e va all'inferno, ma il suo angelo custode, sforzando
la memoria, ricorda che essa, una volta, una sola, ha donato ad un
mendicante una cipollina che ha cavata dal suo orto: le porge la cipollina,
e la vecchia vi si aggrappa e viene tratta dal fuoco infernale. Questa
favola mi e' sempre sembrata rivoltante: quale mostro umano non ha mai
donato in vita sua una cipollina, se non ad altri ai suoi figli, alla
moglie, al cane? Quel singolo attimo di pieta' subito cancellata non basta
certo ad assolvere Muhsfeld, basta pero' a collocare anche lui, seppure al
margine estremo, nella fascia grigia, in quella zona di ambiguita' che
irradia dai regimi fondati sul terrore e sull'ossequio.
Non e' difficile giudicare Muhsfeld, e non credo che il tribunale che lo ha
condannato abbia avuto dubbi; per contro, il nostro bisogno e la nostra
capacita' di giudicare si inceppano davanti alla Squadra Speciale. Subito
sorgono le domande, domande convulse, a cui e' dura impresa dare una
risposta che ci tranquillizzi sulla natura dell'uomo. Perche' hanno
accettato quel loro compito? Perche' non si sono ribellati, perche' non
hanno preferito la morte?
In certa misura, i fatti di cui disponiamo ci permettono di tentare una
risposta. Non tutti hanno accettato; alcuni si sono ribellati sapendo di
morire. Di almeno un caso abbiamo notizia precisa: un gruppo di quattrocento
ebrei di Corfu', che nel luglio 1944 era stato inserito nella Squadra,
rifiuto' compattamente il lavoro, e venne immediatamente ucciso col gas. E'
rimasta memoria di vari altri ammutinamenti singoli, tutti subito puniti con
una morte atroce (Filip Mueller, uno fra i pochissimi superstiti delle
Squadre, racconta di un suo compagno che le SS introdussero vivo nella
fornace), e di molti casi di suicidio, all'atto dell'arruolamento o subito
dopo. Infine, e' da ricordare che proprio dalla Squadra Speciale fu
organizzato, nell'ottobre 1944, l'unico disperato tentativo di rivolta nella
storia dei Lager di Auschwitz, a cui gia' si e' accennato.
Le notizie che di questa impresa sono pervenute fino a noi non sono ne'
complete ne' concordi; si sa che i rivoltosi (gli addetti a due dei cinque
crematori di Auschwitz-Birkenau), male armati e privi di contatti con i
partigiani polacchi fuori del Lager e con l'organizzazione clandestina di
difesa entro il Lager, fecero esplodere il crematorio n. 3 e diedero
battaglia alle SS. Il combattimento fini' molto presto; alcuni degli insorti
riuscirono a tagliare il filo spinato ed a fuggire all'esterno, ma furono
catturati poco dopo. Nessuno di loro e' sopravvissuto; circa 450 furono
immediatamente uccisi dalle SS; di queste, tre furono uccise e dodici
ferite.
Quelli di cui sappiamo, i miserabili manovali della strage, sono dunque gli
altri, quelli che di volta in volta preferirono qualche settimana in piu' di
vita (quale vita!) alla morte immediata, ma che in nessun caso si indussero,
o furono indotti, ad uccidere di propria mano. Ripeto: credo che nessuno sia
autorizzato a giudicarli, non chi ha conosciuto 1'esperienza del Lager,
tanto meno chi non l'ha conosciuta. Vorrei invitare chiunque osi tentare un
giudizio a compiere su se stesso, con sincerita', un esperimento
concettuale: immagini, se puo', di aver trascorso mesi o anni in un ghetto,
tormentato dalla fame cronica, dalla fatica, dalla promiscuita' e
dall'umiliazione; di aver visto morire intorno a se', ad uno ad uno, i
propri cari; di essere tagliato fuori dal mondo, senza poter ricevere ne'
trasmettere notizie; di essere infine caricato su un treno, ottanta o cento
per vagone merci; di viaggiare verso l'ignoto, alla cieca, per giorni e
notti insonni; e di trovarsi infine scagliato fra le mura di un inferno
indecifrabile. Qui gli viene offerta la sopravvivenza, e gli viene proposto,
anzi imposto, un compito truce ma imprecisato. E' questo, mi pare, il vero
Befehlnotstand, lo "stato di costrizione conseguente a un ordine": non
quello sistematicamente ed impudentemente invocato dai nazisti trascinati a
giudizio, e piu' tardi (ma sulle loro orme) dai criminali di guerra di molti
altri paesi. Il primo e' un aut-aut rigido, l'obbedienza immediata o la
morte; il secondo e' un fatto interno al centro di potere, ed avrebbe potuto
essere risolto (in effetti spesso fu risolto) con qualche manovra, con
qualche ritardo nella carriera, con una moderata punizione, o, nel peggiore
dei casi, col trasferimento del renitente al fronte di guerra.
L'esperimento che ho proposto non e' gradevole; ha tentato di rappresentarlo
Vercors, nel suo racconto Les armes de la nuit (Albin Michel, Paris 1953) in
cui si parla della "morte dell'anima", e che riletto oggi mi appare
intollerabilmente infetto di estetismo e di libidine letteraria. Ma e'
indubbio che di morte dell'anima si tratta; ora, nessuno puo' sapere quanto
a lungo, ed a quali prove, la sua anima sappia resistere prima di piegarsi o
di infrangersi. Ogni essere umano possiede una riserva di forza la cui
misura gli e' sconosciuta: puo' essere grande, piccola o nulla, e solo
l'avversita' estrema da' modo di valutarla. Anche senza ricorrere al
caso-limite delle Squadre Speciali, accade spesso a noi reduci, quando
raccontiamo le nostre vicende, che l'interlocutore dica: "Io, al tuo posto,
non avrei resistito un giorno". L'affermazione non ha un senso preciso: non
si e' mai al posto di un altro. Ogni individuo e' un oggetto talmente
complesso che e' vano pretendere di prevederne il comportamento, tanto piu'
se in situazioni estreme; neppure e' possibile antivedere il comportamento
proprio. Percio' chiedo che la storia dei "corvi del crematorio" venga
meditata con pieta' e rigore, ma che il giudizio su di loro resti sospeso.
(Parte seconda - segue)

6. VOCI. PAOLO PREDIERI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Paolo Predieri (per contatti: paolo.predieri at fraternita.it) per
questo intervento]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' mi trasmette sempre qualcosa che
e'  musica nuova ed antica al tempo stesso, e mi da' l'occasione di stare
meglio sentendomi collegato a tanti altri amici che fanno qualcosa per
migliorare questo nostro mondo e le vite di tutti noi.

7. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 715 del 29 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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