Minime. 711



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 711 del 25 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Daniele Lugli: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
2. Fulvio Cesare Manara: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
3. Michele Meomartino: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
4. Luisa Mondo: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
5. Marco Palombo: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
6. Silvana Sacchi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
7. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
8. Enrico Piovesana: La guerra continua
9. "L'Unita'" intervista Hiam Abbas
10. Stefano Anastasia: Abolire l'ergastolo
11. Antonella Litta: Dopo il convegno di Ronciglione
12. Un incontro di riflessione sulla Shoah al liceo scientifico di Tuscania
13. Alessandro Portelli: L'America di Obama
14. Maria Teresa Carbone intervista Antjie Krog
15. Benito D'Ippolito: Una tenzone
16. La newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino
17. La "Carta" del Movimento Nonviolento
18. Per saperne di piu'

1. VOCI. DANIELE LUGLI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Daniele Lugli (per contatti: daniele.lugli at libero.it) per
questo intervento]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' ne ho atteso il primo numero in un
anno ormai lontano e perche' la sua piccola luce va custodita e difesa
(direbbe l'amico fraterno Piero Pinna) nell'oscurita' che ci circonda. La
propongo, come posso, a tanti. A me sembra, nella sua modestia, bella e
utile.
E' luogo in cui si incontrano con familiarita' e tensione (ci raccomandava
Capitini) i contributi di persone, diverse per esperienza e formazione
ideale, unite dall'amicizia alla nonviolenza, dalla volonta' di
approfondirne il messaggio, di sperimentarne la prassi.
Sono molto grato a chi ne porta il peso maggiore per assicurarne la puntuale
uscita.

2. VOCI. FULVIO CESARE MANARA: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0 at tin.it) per
questo intervento]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
Non so perche'.
Potrei dire che se non lo facessi, perderei un "filo di Arianna" che seguo
da sempre ed ho anche "ricostruito" dal primo numero (avendo reperito,
grazie a Pietro Pinna, l'intera raccolta). Ma sono quisquilie e bazzecole.
Come dicevano alcuni mistici: la rosa non ha un perche'. O i maestri zen che
precisano: i fiori fioriscono come fioriscono. L'ahimsa non ha un perche'.
E' il supremo dharma. E' essa stessa il perche' senza perche', silenzioso, a
volte sopraffatto da rumori di distruzione e violenza inaudita. Ma vivo e
vitale.
C'e' bisogno di un "perche'" per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"?

3. VOCI. MICHELE MEOMARTINO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Michele Meomartino (per contatti: michelemeomartino at tiscali.it)
per questo intervento]

Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche' chi aspira a costruire la pace
attraverso la nonviolenza non puo' rinunciare ad uno dei pochi strumenti che
abbiamo a disposizione per perseguirla. Con le sue interessanti rubriche
"Azione nonviolenta" ci offre piu' di uno stimolo per approfondire tanti
temi. Non posso che essere grato a quanti con il loro impegno e passione ci
forniscono quest'utile servizio.

4. VOCI. LUISA MONDO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Luisa Mondo (per contatti: lu.mondo at tiscalinet.it) per questo
intervento]

Ho rinnovato l'abbonamento perche' so che in ogni numero che ricevero' in
futuro, come in tutti quelli del passato, trovero' articoli che mi
interessano, che allargano i mie orizzonti in  alcuni casi, e in altri
confermano le mie certezze di nonviolenta.

5. VOCI. MARCO PALOMBO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Marco Palombo (per contatti: elbano9 at yahoo.it) per questo
intervento]

Chi scrive e' convinto che ci sia una sproporzione enorme tra la "grandezza"
della cultura nonviolenta e gli strumenti per divulgarla, svilupparla ancora
ed intervenire sulla realta', micro e macro, sfruttando i suoi insegnamenti.
Sogno un'"esplosione" della diffusione della cultura e della pratica
nonviolenta, ma la realta' e' quella che e' ed e' difficile costruire, e'
difficile dare continuita'. Allora curiamoci bene "Azione nonviolenta" che
e' stata costruita 45 anni fa e continua oggi ad arrivarci puntuale. Si puo'
tentare di aprire nuove strade alla nonviolenza, ma e' necessario cooperare
per assicurare altri 45 anni di uscita regolare ad "Azione nonviolenta".
Abbonarsi e' il primo passo in questa direzione che ognuno di noi puo' fare.

6. VOCI. SILVANA SACCHI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Silvana Sacchi (per contatti: ssacchi at libero.it) per questo
intervento]

Perche' lo ritengo un modo valido ed efficace per tenermi aggiornata, per
leggere la realta' in modo critico, per continuare a sperare che il mondo
possa cambiare in meglio, per non arrendersi all'inevitabilita' della guerra
e della violenza come uniche possibili soluzioni dei conflitti, per (far)
conoscere iniziative e idee attive nella poliedrica galassia nonviolenta
(tra cui i campi estivi Mir-Mn che coordino da piu' di dieci anni).
Perche' conosco e stimo alcune delle persone che lavorano alla realizzazione
della rivista, ne conosco la serieta' e la motivazione.
Perche' sono 29 euro ben spesi.

7. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. AFGHANISTAN. ENRICO PIOVESANA: LA GUERRA CONTINUA
[Dal sito di "Peacereporter" (http://it.peacereporter.net) riprendiamo
pressoche' integralmente il seguente aerticolo del 21 gennaio 2009 dal
titolo "La guerra di Obama" e il sommario "Le strategie della nuova
amministrazione in Afghanistan e Pakistan"]

Mentre a Washington Barack Obama stava giurando come quarantaquattresimo
presidente degli Stati Uniti, nella valle afgana di Tagab, 50 chilometri a
nord di Kabul, venticinque civili morivano sotto le bombe sganciate dai
cacciabombardieri statunitensi.
Nelle stesse ore a Islamabad il capo del Comando centrale Usa, generale
David Petraeus, ordinava ai pachistani di darsi da fare contro le retrovie
talebane nelle Aree Tribali. Detto fatto: in poche ore sulle montagne di
Mohmand, a ridosso del confine afgano, sessanta presunti militanti islamici
venivano uccisi in una massiccia offensiva terrestre e aerea delle forze
armate pachistane e una trentina di abitazioni di civili "sostenitori" della
guerriglia venivano date alle fiamme e demolite dai soldati di Islamabad.
*
Il fronte afgano
Il nuovo presidente Usa l'aveva detto chiaro e tondo prima di essere eletto:
l'Afghanistan, assieme al Pakistan, sarebbe stato il fronte di guerra su cui
si sarebbe concentrata la sua amministrazione.
Obama - su indicazione del generale Petraeus e del suo consigliere per le
politica estera, Zbigniew Brzezinski - ha dato il via libera al "surge"
afgano: un aumento di truppe senza precedenti che nel giro di pochi mesi
raddoppiera' il numero dei soldati Usa che combattono in Afghanistan,
portandoli a 60.000 dai 30.000 attuali. Una strategia di "guerra totale"
duramente criticata dallo stesso presidente afgano Hamid Karzai, secondo il
quale piu' guerra portera' solo piu' morte e distruzione e quindi maggior
sostegno popolare ai talebani. Ma la sua parola ormai conta poco: non e' un
mistero che a Washington stiano cercando un uomo piu' "affidabile" con cui
rimpiazzare Karzai alle prossime elezioni afgane di fine anno. A Kabul gia'
circola un nome: quello dell'attuale ministro dell'Interno, Mohamad Hanif
Atmar.
*
Il fronte pachistano
Per quanto riguarda il Pakistan, i progetti di Obama sono altrettanto
bellicosi.
Le Aree Tribali pachistane alla frontiera con l'Afghanistan verranno d'ora
in avanti considerate parte integrante del teatro di guerra afgano, in
quanto ritenute - non a torto - la retrovia strategica della guerriglia
talebana che combatte in Afghanistan contro le truppe Usa e Nato e che qui
ha i suoi centri politico-militari di reclutamento, addestramento, armamento
e finanziamento. La strategia militare di Obama in questa regione prevede un
aumento dei bombardamenti missilistici Usa (gia' regolarmente in corso)
accompagnata da un'ulteriore intensificazione dell'offensiva militare
"appaltata" alle forze armate pachistane (e magari "assistita" da
consiglieri militari e forze speciali Usa).
Alcuni analisti militari intravedono un parallelo storico tra questa
strategia e la decisione del presidente Richard Nixon, nel 1969, di
bombardare le retrovie dei Vietcong in Cambogia. Allora per gli Stati Uniti
non ando' a finire bene...

9. RIFLESSIONE. "L'UNITA'" INTERVISTA HIAM ABBAS
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 23 gennaio 2009 col titolo "Intervista a Hiam
Abbas: Io palestinese credo al dialogo anche dopo l'orrore di Gaza" e il
sommario "L'attrice del Giardino dei limoni: Ho vissuto con il mio popolo la
sofferenza della guerra. Spero in Obama ma voglio giudicarlo dai fatti"]

L'ospite inatteso del nuovo cinema mondiale e' una donna palestinese di
quarantotto anni. Negli ultimi venti, con volto, occhi e voce, Hiam Abbas ha
dato forma a ipotesi di convivenza finora impercorribili. Un'avventura
esistenziale incapace di chiudere gli occhi davanti al presente. Al telefono
da Parigi, dove vive da anni, alterna durezze e sorrisi.
*
- "L'Unita'": L'ha rincuorata ascoltare il discorso inaugurale di Barack
Obama, la mano tesa al mondo islamico, la telefonata ad Abu Mazen?
- Hiam Abbas: Parole bellissime e gesti che fanno ben sperare, ma prima di
giudicare preferisco aspettare lo svolgimento degli eventi. Ho assistito a
troppi buoni propositi stracciati senza preavviso, per poter affermare che
l'orizzonte possa mutare all'improvviso.
*
- "L'Unita'": Cosa prova adesso, a ritiro ultimato?
- Hiam Abbas: Ho litigato con me stessa per non scivolare nella spirale
dell'odio, mantenere l'autocontrollo, rispettare la mia filosofia. Non e'
stato semplice. Avrei provato compassione di fronte a chiunque si fosse
trovato inerme sotto le bombe. Da giorni mi accompagna un dolore. Un
dilemma. Un'indignazione. Ma non voglio arrendermi. Sono sempre convinta che
la soluzione si possa trovare. E' l'unica via percorribile: quando le
violenze finiranno, qualcuno dovra' sedersi intorno a un tavolo e parlare.
*
- "L'Unita'": Nei suoi film, a partire dal Giardino di limoni, le donne
sembrano essere le sole a rendere possibile un contatto tra universi
inconciliabili.
- Hiam Abbas: Nel dialogo credo molto, anche se nelle scorse settimane
questa condizione dell'animo ha subito duri colpi. Ci sono stati momenti
terribili da sopportare. Provavo ansia e dolore aggrappata ai media
alternativi, nel tentativo di non informarmi con le sole notizie diramate
dalla televisione francese, con le immagini scelte con cura, con la sottile
manipolazione della realta'.
*
- "L'Unita'": Ritiene che il nuovo cinema israeliano, fortemente critico nei
confronti della politica interna, possa scuotere le coscienze?
- Hiam Abbas: A volte mi trovo a ragionare su questo tema in assoluta
solitudine. Senza risposte certe. Le collaborazioni artistiche tra isreliani
e palestinesi potrebbero contribuire ad allargare la visione complessiva, la
comprensione reciproca, far mutare i punti di vista. Pero' per me e'
difficile quantificarne l'incidenza.
*
- "L'Unita'": Perche'?
- Hiam Abbas: Me ne sono andata vent'anni fa eppure e' come se fossi sempre
rimasta li'. Ho sviluppato l'arte tra le linee del conflitto, a due passi da
casa. E' una lunga conquista. Non basta un mese o un anno, forse nemmeno una
vita intera. Continuero' a comportarmi come ho fatto finora, provando a
battere percorsi alternativi.
*
- "L'Unita'": Crede ancora alla creazione di un solo Stato per due popoli?
- Hiam Abbas: Sarebbe la soluzione ideale ma nella situazione attuale e'
pura utopia. Il primo passo e' cercare l'equita', suddividendo la terra
senza ingiustizie. Se avvenisse, sono certa che i palestinesi si
comporterebbero diversamente.
*
- "L'Unita'": Ha visto Valzer con Bashir, il film che ricostruisce l'eccidio
di Sabra e Chatila?
- Hiam Abbas: Dopo aver lasciato la sala, sono rimasta attonita per alcune
ore. Nella sua contraddittorieta', mi e' piaciuto. E' un'opera che inquieta,
offre la possibilita' di fare un viaggio all'indietro e pone molte domande
universali sul genere umano. Anche a gente che mai ha conosciuto
disperazione e guerra. Calarsi nella vita di un ragazzo diventato uomo,
costretto a ripensare a una mostruosa parentesi della sua giovinezza, e'
un'operazione interessante. La storia si ripete. Ho una sola obiezione.
*
- "L'Unita'": Quale?
- Hiam Abbas: Perche' la rivisitazione avviene oltre 25 anni piu' tardi? Ti
arrabbi e ti chiedi: non potevi pensarci prima a fare un film?
*
- "L'Unita'": Lei vive in Europa dal 1989. Vantaggi, nel cambio di
prospettiva?
- Hiam Abbas: Allontanarmi mi ha regalato la giusta distanza e il privilegio
per osservare le cose in maniera piu' oggettiva. Se in un dramma sei
coinvolto emozionalmente e' arduo essere lucidi. Vivere a Parigi mi ha
aiutato a considerare entrambe le sofferenze, permettendomi un approccio
inesplorato alle diverse posizioni.
*
- "L'Unita'": In che contesto crebbe Hiam Abbas?
- Hiam Abbas: Felice ma poco indulgente. I miei genitori insegnavano e
tenevano alla tradizione piu' che ad ogni altra cosa. Tutto cio' che esulava
da quel quadro, me lo sono dovuta conquistare.
*
- "L'Unita'": Fu complicato?
- Hiam Abbas: Molto. La ribellione mi servi' ad evitare che le mie migliori
energie si incanalassero in qualcosa di prestabilito da altri. Ho sempre
rifiutato di piegarmi. Fosse andata in un altro modo, oggi non sarei cio'
che sono.

10. INIZIATIVE. STEFANO ANASTASIA: ABOLIRE L'ERGASTOLO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "Ergastolo: a
quando l'abolizione?"]

"E, per quanto riguarda questa richiesta della pena, di come debba essere la
pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non
soltanto per la pena capitale, che istantaneamente, puntualmente, elimina
dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena
perpetua: l'ergastolo, che, privo com'e' di qualsiasi speranza, di qualsiasi
prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del
soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di
morte". Cosi' parlava Aldo Moro ai suoi studenti, nella Facolta' di Scienze
politiche, a Roma, solo due anni prima di essere sequestrato e ucciso dalle
Brigate Rosse.
Nell'Italia di oggi, invece, la pena dell'ergastolo non sembra fare piu'
scandalo, stretti come siamo tra ossessione per la sicurezza e risposte
giustizialiste. E anzi sembra troppo poco, al punto che sia da destra che da
sinistra si chiede che il regime speciale del 41 bis diventi ordinaria forma
di punizione dei condannati per fatti di criminalita' organizzata. Su
iniziativa dell'associazione "Liberarsi", 739 detenuti, nel novembre scorso,
si sono rivolti alla Corte europea dei diritti umani, ciascuno con il
proprio ricorso individuale, per la violazione dei diritti umani che sarebbe
propria dell'ergastolo. All'attenzione della Corte di Strasburgo sono anche
i casi provenienti dai Paesi del Consiglio d'Europa che prevedono
l'ergastolo senza possibilita' ordinarie di revisione ("actual lifers" sono
chiamati i malcapitati): violerebbero il divieto di pene inumane o
degradanti. Eppure, nel dibattito pubblico italiano appare cosi' stramba la
encomiabile iniziativa di "Antigone" e de "La societa' della ragione" di
dedicare un pomeriggio di discussione a "La pena dell'ergastolo nella
Costituzione e nel pensiero di Aldo Moro" (il 22 gennaio, a partire dalle
15, a Roma, in via di Santa Chiara 4, info: www.societadellaragione.it).
Dieci anni fa, quando il Senato approvava il disegno di legge Salvato per
l'abrogazione dell'ergastolo (colpevolmente mai esaminato dalla Camera nei
successivi tre anni di legislatura), e le forche non andavano di moda quanto
oggi, l'argomento preferito dagli oppositori dell'iniziativa abolizionista
era che l'ergastolo, di fatto, non esiste piu', perche' - normativamente -
anche gli ergastolani possono accedere ai benefici penitenziari e, in modo
particolare, alla liberazione condizionale, dopo aver scontato 26 anni di
pena. Con questa stessa motivazione, nel 1974, la Consulta salvo'
l'ergastolo, giudicandolo costituzionalmente legittimo tanto quanto non piu'
effettivamente tale, e cioe' rimediabile grazie alla liberazione
condizionale. Un po' la preoccupazione che ha ora la Corte europea di fronte
ai Paesi che conservano gli ergastoli senza sconti. Argomento suggestivo
(per quanto capzioso), ma insufficiente. Scoprimmo infatti, durante quella
discussione parlamentare, che non erano pochi gli ergastolani che avevano
superato il limite per l'accesso alla liberazione condizionale senza godere
di quel beneficio. Addirittura uno, il povero Vito De Rosa, era sepolto in
un ospedale psichiatrico giudiziario da 47 anni (e ci sarebbe rimasto
ancora, prima di essere graziato per andare a morire in un istituto di
cura). E cosi' ora, secondo "Liberarsi", ci sono ergastolani detenuti da 38
a 42 anni: non sono "actual lifers" questi? O dobbiamo passare alla macabra
contabilita' di chi l'ergastolo lo sconta per davvero: quanti sono stati,
nell'Italia repubblicana che vieta le pene contrarie al senso di umanita', i
condannati alla pena a vita che sono morti in stato di detenzione? Non sono
loro i "veri" ergastolani?
La Commissione Pisapia, nella scorsa legislatura, propose - tra l'altro -
l'abolizione dell'ergastolo nella riforma del codice penale, ma il ministro
Mastella - dimentico della lezione di Moro - non trovo' di meglio da
criticare, nel lavoro della Commissione da lui stesso istituita, che questa
basilare previsione di civilta'.
Intanto, in omaggio all'uso simbolico della giustizia penale, le condanne
all'ergastolo si moltiplicano (erano poco piu' di 200 nei primi anni '90,
circa 800 quando se ne discusse l'abrogazione, intorno a 1.300 oggi),
moltiplicando i potenziali "actual lifers" e il riprodursi di una pena
"crudele e disumana", secondo le parole di Moro. A quando l'abolizione?

11. INIZIATIVE. ANTONELLA LITTA: DOPO IL CONVEGNO DI RONCIGLIONE
[Da Antonella Litta (per contatti: antonella.litta at libero.it) riceviamo e
diffondiamo il seguente comunicato dal titolo "Dal convegno scientifico
promosso dai Medici per l'ambiente le soluzioni per il risanamento del lago
di Vico"]

L'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of
Doctors for the Environment - Italia), sezione di Viterbo, vuole esprimere
pubblicamente il proprio sentito e doveroso ringraziamento ai relatori
intervenuti al convegno, svoltosi il 20 gennaio 2009 a Ronciglione, sul tema
"Le problematiche generali dell'ecosistema del lago di Vico in relazione
alla potabilita' e salubrita' delle sue acque". Gli studi e le relazioni
presentate dalla dottoressa Milena Bruno dell'Istituto Superiore di Sanita',
dai professori Giuseppe Capelli e Roberto Mazza del dipartimento di Scienze
Geologiche dell'Universita' degli Studi "Roma Tre"; dal professor Giuseppe
Nascetti, ordinario di Ecologia dell'Universita' della Tuscia; dalla
dottoressa Elisabetta Preziosi, ricercatrice dell'Istituto di Ricerca sulle
Acque (Irsa-Cnr) e dal dottor Mauro Mocci del Coordinamento dell'Alto Lazio
dell'Isde, hanno permesso di conoscere  meglio le emergenze ambientali e
sanitarie della nostra provincia e in dettaglio le complesse criticita'
ambientali sofferte dal lago di Vico.
Le acque del lago, infatti, a causa della sua origine vulcanica sono ricche
di arsenico, un elemento classificato come cancerogeno dalla Agenzia
Internazionale di Ricerca sul Cancro (I.A.R.C.) e presentano periodiche
fioriture di un'alga denominata Plankthotrix rubescens, produttrice di una
microcistina dannosa per la salute delle persone ma anche per la flora e la
fauna ittica lacustre. I relatori hanno indicato le soluzioni piu' idonee
per un rapido  risanamento del lago e per meglio tutelare la qualita' delle
sue acque, che alimentano gli acquedotti comunali di Ronciglione e
Caprarola. Queste soluzioni consistono: nel monitoraggio  piu' intenso e
costante dello stato delle acque, della flora e della fauna, nel piu'
corretto ed appropriato uso dei potabilizzatori degli acquedotti comunali,
che devono essere dotati di filtri adatti ai diversi e possibili inquinanti,
come l'arsenico, i pesticidi e la tossina prodotta dell'alga rossa, l'avvio
immediato delle piu' corrette pratiche agricole che prevedono la riduzione
sostanziale dell'uso di fertilizzanti e fitofarmaci e l'eliminazione di
eventuali  scarichi fognari abusivi.
L'Isde di Viterbo esprime quindi grande soddisfazione per questo evento che
oltre ad aver rappresentato un momento di importante e qualificato
approfondimento scientifico ha saputo fornire concrete metodologie di
lavoro.
Un ulteriore ringraziamento va inoltre a tutti i cittadini, ai
rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni ambientaliste che con
la loro presenza hanno voluto testimoniare liattenzione, la preoccupazione e
anche liimpegno per trovare soluzioni rapide, efficaci e condivise allo
stato attuale dell'ecosistema del lago.
L'Isde di Viterbo coglie questa occasione per annunciare che nei prossimi
mesi promuovera' altri convegni di studio per favorire una sempre piu' forte
collaborazione tra mondo scientifico, istituzioni e societa' civile.

12. INCONTRI. UN INCONTRO DI RIFLESSIONE SULLA SHOAH AL LICEO SCIENTIFICO DI
TUSCANIA

Sabato 24 gennaio 2009 in alcune classi del liceo scientifico di Tuscania
(Vt) si e' svolto un secondo incontro di riflessione in preparazione della
"Giornata della memoria della Shoah" del 27 gennaio.
Dopo il primo incontro del 22 gennaio, dedicato soprattutto alla figura e
all'opera di Primo Levi, l'incontro del 24 gennaio ha particolarmente
tematizzato le interpretazioni della Shoah nella riflessione morale
contemporanea.
Fondamentale il riferimento alla riflessione di Hannah Arendt sulla
"banalita' del male"; alla riflessione di Primo Levi sui temi svolti
soprattutto nell'ultima sua opera, I sommersi e i salvati; alle
testimonianze di Etty Hillesum, di Margarete Buber Neumann, di Jean Amery,
di Elie Wiesel; alle analisi di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, di
Guenther Anders, di Norbert Elias, di Zygmunt Bauman, di Tzvetan Todorov;
all'"etica del volto" di Emmanuel Levinas e al "principio responsabilita'"
di Hans Jonas...
Si e' messo in evidenza come la memoria delle vittime sia non solo un dovere
morale, un atto di pietas, ma anche un fondamentale strumento di
riconoscimento di umanita', di opposizione alla barbarie, di interpretazione
del presente, di presa di posizione esistenziale e civile, empatica e
solidale, dinanzi al dolore degli altri; e come il ricordo dell'orrore
assoluto della Shoah debba persuadere ogni persona di volonta' buona
all'impegno contro tutte le violazioni della dignita' e dei diritti di ogni
essere umano.

13. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: L'AMERICA DI OBAMA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 gennaio 2009 col titolo "L'America di
Obama"]

All'inizio di Invisible Man, il grande romanzo di Ralph Ellison del 1952, il
protagonista - un giovane afroamericano - riceve dal nonno sul letto di
morte un ambiguo messaggio: "Voglio che li soffochi a forza di dirgli di
si', che li mitragli di sorrisi, che li porti a morte e distruzione a forza
di consensi, che ti lasci ingoiare da loro fino a farli vomitare o
scoppiare...", "Overcome them with yesses": un consenso che distrugge,
l'espressione radicale dell'ironia del blues. Ma dire di si' a che cosa,
soffocare e far scoppiare, overcome chi, che cosa? Invisible Man si puo'
leggere come la sequenza dei tentativi del protagonista per interpretare e
praticare questo messaggio; e la conclusione e' che dire di si' ai valori
dichiarati dell'America sara' il gesto che distruggera' il dominio di coloro
che li hanno traditi: "Forse voleva dire, anzi senz'altro voleva dire, che
dovevamo accettare il principio sul quale il paese si fondava... che
dovevamo assumerci noi la responsabilita' di tutto, perche' eravamo noi gli
eredi e... proprio noi, tra tutti, noi piu' di tutti, dovevamo affermare il
principio in nome del quale eravamo stati brutalizzati e sacrificati".
Sono parole che tornano alla mente il momento in cui il primo presidente
afroamericano degli Stati Uniti - non direttamente discendente di schiavi ma
comunque caricato di quella storia - riecheggia l'idea ellisoniana di
"responsabilita'" nel suo discorso inaugurale, e rinvia proprio a quei
principi fondativi traditi e distrutti da un potere che in loro nome ha
seminato morte, distruzione, poverta' e ingiustizia. Nei suoi momenti piu'
difficili, afferma Obama, "l'America e' andata avanti... perche' noi, il
popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati e ai loro
documenti di fondazione". E adesso si tratta di ricominciare da capo, di
"rifare" l'America per realizzare "la promessa che viene da Dio, che tutti
sono uguali, tutti sono liberi, e tutti hanno il diritto alla possibilita'
di cercare la piena misura della loro felicita'".
Sono parole anche consumate, che sono servite a dire e fare il contrario -
in nome di queste parole ("enduring freedom") gli afroamericani sono stati,
appunto, "brutalizzati e sacrificati", l'Iraq e il Vietnam invasi e
bombardati. Ed e' per questo, dicono Ellison e Obama, che quando le
riprendono in mano proprio gli oppressi, gli emarginati e i loro eredi -
quelli che non erano contati come esseri umani, che non erano liberi e che
non avevano diritto a sogni di felicita' - ridiventano parole, se non
rivoluzionarie come due secoli e mezzo fa, certo aperte al cambiamento e
alla speranza.
Non mancano momenti di perplessita', ascoltando Obama: per esempio, quando
chiama ancora "guerra" la lotta al terrorismo, o quando insieme con la
guerra d'indipendenza, la guerra civile, la seconda guerra mondiale aggiunge
anche il ben piu' problematico Vietnam.
Quando ribadisce che la promessa democratica della fondazione americana e'
una promessa di origine divina, puo' dare fastidio a noi laici. Ma proprio
per questo uno dei passi piu' importanti mi sembra quello in cui dice che
l'America e' un paese di cristiani e musulmani, ebrei e indu' - e di non
credenti. In questo paese dove il presidente che lo ha preceduto parlava
direttamente con Dio, affermare in un momento cosi' solenne che anche chi
non crede e' un cittadino come gli altri non e' uno scherzo.
Ma il discorso di Obama sta dentro una grande tradizione americana: quella
per cui il cambiamento si annuncia sempre come una forma di continuita', in
cui la critica all'America esistente e' fatta in nome di un'America ideale
incarnata nelle sue doppie origini - la migrazione puritana e la rivoluzione
nazionale democratica. Sono entrambe origini di rottura, che - come ha
scritto Sacvan Bercovitch - legittimano il dissenso facendone una forma piu'
alta di consenso (il "si'" sovversivo dell'uomo invisibile di Ellison, il
sogno di Martin Luther King "profondamente radicato nel sogno
americano"...).
In un certo senso, la storia americana ha una forma a spirale: a ogni crisi
ritorna all'inizio, ma su un piano diverso, riaffermando in nome del
cambiamento la missione originaria: e' un impulso a recuperare i principi
senza metterli in questione, a rivendicare una rivoluzione fondante per dire
che un'altra rivoluzione non e' necessaria perche' l'identita' nazionale e'
comunque un processo continuo di cambiamento.
Una spia di questa modalita' e' il fatto che nel suo discorso Barack Obama
non dice mai (salvo alla fine) "Stati Uniti", ma sempre America. Come scrive
ancora Sacvan Bercovitch, non sono la stessa cosa: gli Stati Uniti sono una
realta' empirica, con un territorio, delle istituzioni, dei confini,
l'"America" e' un'idea che non conosce limiti e che si riempie di contenuti
vaghi, incerti e anche contraddittori.
A seconda di che vuol dire, "America" puo' essere un progetto di
responsabilita' e convivenza democratica, o una minaccia di prevaricazione e
dominio, in nome delle stesse parole ("enduring freedom") e degli stessi
valori. E che cosa significhera' "America" da ora in avanti dipendera' certo
in buona misura da Barack Obama, ma molto anche dal significato che a questa
idea attribuiranno i suoi stessi cittadini. E la discussione e' cominciata,
implicitamente ma in profondita', nel corso stesso del cerimoniale di
insediamento.
Il discorso di Barack Obama termina con la formula "God Bless the United
States of America", Dio benedica gli Stati Uniti d'America, una sia pure
rituale rivendicazione del rapporto speciale fra l'America e Dio. Ma il
giorno prima, davanti alla statua di Lincoln e alla spianata dei monumenti,
Pete Seeger e Bruce Springsteen hanno cantato, e fatto cantare a un milione
di persone This Land Is Your Land, la canzone che Woody Guthrie scrisse,
negli anni '40, proprio per esprimere rabbia e dissenso verso i sentimenti
patriottardi della canzone God Bless America di Irving Berlin. E vale la
pena di soffermarsi su questo momento, e sul suo dialogo con il discorso
presidenziale del giorno dopo.
Spero abbiamo visto in molti il momento emozionante in cui il vecchio Pete
Seeger, che dagli anni '30 a oggi e' stato la voce e l'ispirazione del folk
revival democratico e militante, passava il testimone a un rocker come Bruce
Springsteen: sta a lui, e alla sua musica, oggi parlare dell'America.
Negli anni '50, Pete Seeger era stato in lista nera per la sua vicinanza al
partito comunista: che fosse uno dei perseguitati di allora a sancire il
nuovo ciclo alla Casa Bianca (con una canzone scritta da un altro comunista)
era commovente. Tanto piu' che, come abbiamo visto, Pete Seeeger non si e'
pentito per niente.
A sua volta, fin dall'inizio della sua carriera Bruce Springsteen ha avuto
chiaro che il rock, musica giovane del momento presente, del futuro e del
nuovo, ha anche un passato, uno spessore di storia e di memoria. Gran parte
della sua musica e' stata un richiamo ai principi fondatori del rock and
roll. Pensiamo alla sua ormai classica Thunder Road (1975): Mary esce sul
portico con l'abito bianco mosso dal vento, e sullo sfondo c'e' Roy Orbison
che "canta per chi e' solo", citazione di un disco di 15 anni prima, che per
il rock sono ere geologiche; in piu', il titolo veniva da un film (e da una
canzone) di Robert Mitchum del 1958, ambientato fra i minatori di Harlan. Se
Roy Orbison cantava per i lonely, fin da allora Bruce Springsteen - come
scrisse allora un critico - cantava per tutti i giovani ribelli che avevano
smesso di essere giovani ma non di essere ribelli. E figuratevi quanto e'
vero questo per il quasi novantenne Pete Seeger, sugli scalini del Lincoln
Center, a cantare quasi settant'anni dopo una canzone che imparo' quando
aveva vent'anni.
This Land Is Your Land, questa terra e' la tua terra, e' diventata una
specie di inno patriottico, insegnata ai bambini e sfigurata dalla
pubblicita', un elogio della vastita' e della bellezza di un'America ideale
di foreste, campi di grano, cieli e strade aperte. Ma non e' tutta qui.
Ispirato dal New Deal e infuriato da God Bless America, Woody Guthrie popola
quest'America ideale con la presenza sofferta degli Stati Uniti reali.
Sono strofe dimenticate e censurate (ma Bruce Springsteen le canto' in
concerto gia' nei primi anni '80), strofe cancellate, che evocavano la crisi
degli anni '30 e che raccontano la crisi di oggi: "nelle piazze delle mie
citta' ho visto la mia gente fare la fila per il sussidio, e mentre loro
stavano li' affamati io pensavo: quanto vorrei che questa terra fosse fatta
per te e per me". E che dichiaravano dove stava la causa: "c'era un gran
muro che cercava di fermarmi, e sopra c'era scritto proprieta' privata - ma
dall'altra parte non c'era scritto niente".
L'altro giorno, a Washington, Pete Seeger e Bruce Springsteen l'hanno
cantata, e l'hanno fatta cantare, tutta intera a un milione di persone.
Inaugurare un presidente americano con una canzone contro la proprieta'
privata (che poi diventa pure una metafora della ricchezza di carta con
niente dietro che stava all'origine della crisi del '29 come di quella del
2008) non e' uno scherzo. E allora dire "questa terra e' la mia terra" non
significa solo adesione sentimentale: significa dire che uno puo' amare il
proprio paese, e dire che deve cambiare (e l'aveva gia' detto, senza farsi
capire allora, Bruce Springsteen con Born in the Usa).
Ma il cambiamento di cui parlano Guthrie, Springsteen e Seeger va oltre le
formule dei padri fondatori. Per chi e' stata fatta questa terra? Che
significa questa bandiera? Chi siamo, "you and me", chi e' il "we" dello
"yes we can" e del "we the people"?
E questi Usa dove siamo nati, questa America benedetta, che cosa e' e che
cosa vogliamo che sia? Tutta la storia della musica popolare, della canzone
di protesta, e del rock and roll, ha posto queste domande al nuovo
presidente. Che qualcosa ha detto: ha riconosciuto le difficolta' materiali
di tanti americani, in cerca di sussidi come nella canzone di Woody Guthrie;
ha preso atto della necessita' di dare una regolata al mercato, di
ricostruire l'immagine internazionale degli Stati Uniti, di restituire un
ruolo alle istituzioni pubbliche.
Possono essere passi sulla lunga strada proclamata da Woody Guthrie. Se lo
saranno, e quanto si andra' lontano, piu' che da Barack Obama dipendera' da
"you and me".

14. RIFLESSIONE. MARIA TERESA CARBONE INTERVISTA ANTJIE KROG
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 gennaio 2009 col titolo "Antje Krog:
In lotta per diventare un paese coerente"]

A poco piu' di un anno dai Mondiali di calcio del 2010, che attireranno sul
Sudafrica l'attenzione dei media di tutto il mondo, il grande paese africano
e' forse l'emblema piu' efficace di un continente in movimento. Un paese che
ha cercato con coraggio di accettare le proprie contraddizioni e la propria
complessita', come testimonia l'intenso Terra del mio sangue di Antjie Krog
(Nutrimenti 2007), testimonianza insieme fattuale e letteraria del lavoro
della Commissione per la verita' e la riconciliazione istituita da Nelson
Mandela e presieduta da Desmond Tutu. Alla scrittrice sudafricana abbiamo
rivolto alcune domande in occasione del decimo anniversario della
pubblicazione di quei materiali.
*
- Maria Teresa Carbone: In Terra del mio sangue, lei sottolinea piu' volte
la fatica di documentare nei suoi reportage per la radio l'attivita' della
Commissione per la verita' e la riconciliazione. Cosa l'ha decisa allora a
scrivere questo libro, che l'ha costretta a continuare un lavoro tanto
arduo?
- Antjie Krog: E' stato Stephen Johnson di Random House South Africa a
chiedermi di scrivere un libro sui lavori della Commissione, e mi e' stato
subito chiaro che non avrei riproposto i miei reportage quotidiani, e che
non avrei scritto un testo poetico, come i miei precedenti. A interessarmi
e' stato proprio il confronto con un genere letterario nuovo, che mi avrebbe
portato a organizzare diversamente l'enorme mole di materiali che avevo
raccolto.
*
- Maria Teresa Carbone: Nel libro lei ha giustapposto estratti di documenti,
resoconti radio, dialoghi, ricordi, riflessioni. Che criterio ha seguito per
ordinare questi materiali?
- Antjie Krog: Come ho accennato, il libro e' nato in parte come reazione al
lavoro giornalistico che avevo svolto per due anni alla radio. Avevo tenuto
i miei reportage e ne ho utilizzato parecchi, ma in realta' il nucleo del
libro sta in quello che ho scritto tra i vari resoconti. La struttura,
pero', e' di fatto molto tradizionale: comincia con l'inizio della stesura
della legge che ha portato alla nascita della Commissione e si conclude con
la consegna del rapporto a Mandela.
*
- Maria Teresa Carbone: Una volta lei ha detto che "la scrittura comporta
sempre un grande rischio" e che se un autore non e' pronto a farsi
distruggere dal suo libro, la sua opera non vale granche'. Puo' spiegare il
senso di questa affermazione?
- Antjie Krog: Quello che detesto e' la "scrittura sicura", non mi piace
leggere in un libro cose che avrebbe potuto dirmi un tassista riportandomi a
casa dall'aeroporto. Sono convinta che lo scrittore con i suoi testi debba
lanciare una sfida, che sia nello stile o nei contenuti. Di recente ho
pubblicato una raccolta di poesia che ha in copertina la fotografia di una
donna nuda, una donna che ha gia' superato l'eta' della menopausa. Anche
questo e' un grosso grosso rischio.
*
- Maria Teresa Carbone: Alla fine del libro, lei scrive che "la parola
'riconciliazione' echeggia ancora in tutto il Sudafrica". A dieci anni da
quando il lavoro della Commissione per la verita' e la riconciliazione e'
stato reso pubblico, pensa che il paese sia "riconciliato"?
- Antjie Krog: Non credo che per nessun paese sia possibile "riconciliarsi",
nel senso che questo porti a una stabilita' assoluta della situazione. Sono
convinta che noi sudafricani possiamo essere davvero "insieme", ma che
stiamo battagliando per diventare un paese coerente, essendo costretti a
fare i conti con una grande poverta' e tanti altri problemi. I bianchi
devono imparare a vivere come minoranza priva di potere, e i neri devono
imparare cosa significa detenere il potere e come usarlo per il bene di
milioni di persone sfavorite. Il mio autore preferito, Njabulo Ndebele, ha
pubblicato da non molto un libro, in cui ha scritto: "Smettiamo di cercare
scuse, governiamo!".

15. LE ULTIME COSE. BENITO D'IPPOLITO: UNA TENZONE

I. A parla a B
Sempre credetti soltanto nelle spade
e nelle candele.
Le spade che rossa traggono dalle carni acqua
le candele che piangono e fanno luce
divorate dal fuoco.
Sempre credetti solo nella morte.

II. B risponde ad A
Come la notte volli esser tutto orecchio.
Solo silenzio, solo respiro.
Solo la voce del mare e delle foglie.
Solo il ritorno del giorno e delle tenebre.
E la vita, la vita infinita.

III. Questo specchio
Questo vetro e' un cavallo di pietra.
Questo vetro non sa benedizioni.
Uno solo sono i due volti
i due lati sono un lato solo.

IV. A Gaza
Era tuo figlio che bruciava il tuo fuoco.
Era tua madre che si scioglieva in sangue.
La tua arma squartava le tue carni.
Finche' non cessi di uccidere uccidi
te stesso. Amico mio assassino,
unico nostro volto.

16. STRUMENTI. LA NEWSLETTER SETTIMANALE DEL CENTRO STUDI "SERENO REGIS" DI
TORINO

Segnaliamo la newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di
Torino, un utile strumeno di informazione, documentazione, approfondimento
curato da uno dei piu' importanti e piu' attivi centri studi di area
nonviolenta in Italia.
Per contatti e richieste: Centro Studi "Sereno Regis", via Garibaldi 13,
10122 Torino, tel. 011532824 e 011549004, fax: 0115158000, e-mail:
info at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org

17. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

18. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 711 del 25 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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