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Minime. 710
- Subject: Minime. 710
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 24 Jan 2009 00:59:09 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 710 del 24 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Maryam 2. Paolo Hutter, Stefano Levi della Torre, Moni Ovadia, Susanna Sinigaglia: Un appello a sostegno dei pacifisti israeliani 3. Michele Giorgio intervista Yitzhak Ben Muha 4. Simcha Leventhal: Rompere il silenzio 5. Oggi a Torino 6. Una lettera agli amici della Filca-Cisl di Viterbo 7. David Bidussa: Raccontare l'orrore della Shoah 8. Norberto Bobbio: La virtu' della giustizia 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. LE ULTIME COSE. MARIA G. DI RIENZO: MARYAM [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo articolo] Le ultime notizie che ho risalgono a lunedi' 19 gennaio. Scontri fra talebani e truppe straniere nella provincia di Kapisa (circa trenta miglia a nord di Kabul), attacco aereo, 19 morti fra i talebani, 25 morti fra i civili. Di questi ultimi i comandanti statunitensi non sanno dire nulla alle agenzie di stampa: stanno vagliando, prendono la cosa molto seriamente, investigheranno. Sono gli stessi tizi che, solo nel 2007, hanno sganciato sull'Afghanistan 4.500 tonnellate di bombe cercando di centrare Osama bin Laden e mancandolo sempre. Non so se si tratti di un problema di vista o di un problema di intelligence, ma so di cosa il mio paese si e' reso corresponsabile. L'Afghanistan e' oggi il paese piu' povero del mondo, in cui l'aspettativa di vita si aggira attorno ai quarant'anni. Solo il Burkina Faso o il Niger a volte ottengono risultati peggiori nelle classifiche. Tre decenni di guerre, un decennio di siccita'. Malattie da lungo tempo debellate come tubercolosi e poliomielite sono rifiorite e stanno facendo strage di donne e bambini. Un bimbo su quattro muore prima dei cinque anni, preferibilmente di colera o diarrea (milioni di afgani non hanno accesso ad acqua potabile). Meta' delle donne in eta' fertile finisce per morire di parto. Solo nell'area di Kabul si stimano in 60.000 i bambini che non vanno a scuola e vivono per strada, vendendo cianfrusaglie, mendicando o rubando. I talebani si mettono d'impegno anche loro, per queste creature, non c'e' dubbio: dal 2005 fanno saltare in aria circa 150 scuole all'anno, specialmente se in esse si pretende di insegnare alle bambine. Secondo i dati dell'Unicef, nelle quattro province del sud sono chiuse piu' di meta' delle scuole, 380 su 748. Ancora un po' di numeri? L'87% delle donne riferisce di subire violenza domestica. Il 60% dei matrimoni e' forzato. Il 57% delle spose hanno meno di 16 anni (eta' legale per contrarre matrimonio). E dato che le donne devono stare a casa, persino la moglie del presidente Karzai, che e' una ginecologa del cui lavoro il suo paese avrebbe terribilmente bisogno, fa la casalinga. Sono le "loro tradizioni", e' sempre andata cosi'? No, basterebbe guardare le fotografie degli anni '70 e '80, non e' passato poi cosi' tanto tempo, e vedreste studentesse, impiegate, insegnanti, mediche, infermiere, avvocate e ingegnere afgane andarsene in giro vestite come preferiscono e guidare tranquillamente le loro automobili. Certo, per ottenere rispetto e diritti avevano dovuto puntare i piedi e sgomitare e resistere e urlare e persuadere, come tutte le altre donne al mondo. Invasati guerrafondai di ogni tipo in trent'anni hanno tolto loro tutto. * E qui veniamo a Maryam. E' una ragazzina di 14 anni che vive nell'Afghanistan centrale (provincia di Bamyan). Nel luglio scorso e' stata stuprata da un compaesano, ma per timore di essere incarcerata, buttata fuori di casa o uccisa, non ha detto nulla. Purtroppo e' rimasta incinta. Quando attorno al sesto mese di gravidanza cio' che era accaduto e' diventato evidente, la sua famiglia le ha aperto il ventre usando dei rasoi da barbiere, ha estratto il feto e lo ha seppellito vivo. L'operazione e' stata ovviamente condotta senza alcuna anestesia o precauzione medica, ed e' andata avanti un'ora circa, dopo di che la ragazza e' stata ricucita con l'ago e il filo che c'erano in casa. Cinque giorni dopo, con le ferite infettate, in punto di morte, e' stata portata all'ospedale. I familiari hanno detto che era stata morsa da un cane, ma ai medici e' stato sufficiente vedere il suo corpo massacrato: "E' stata macellata come un animale", ha dichiarato uno degli operatori sanitari dell'ospedale di Yakawlang, dove la ragazza e' in terapia intensiva. Come ha ripreso conoscenza Maryam ha raccontato la verita', e oggi sua madre, suo fratello ed il suo stupratore sono in custodia cautelare in attesa di processo. Dando conferma alla stampa della tragedia di Maryam, la Commissione indipendente afgana per i diritti umani ha aggiunto di essere "particolarmente preoccupata perche' la natura e le tipologie della violenza contro le donne stanno peggiorando, e inoltre i casi sono aumentati rispetto allo scorso anno". Soraya Rahim Suhbrang, membro della Commissione, e' molto chiara: "Non e' cultura afgana, e' cultura della violenza". 2. APPELLI. PAOLO HUTTER, STEFANO LEVI DELLA TORRE, MONI OVADIA, SUSANNA SINIGAGLIA: UN APPELLO A SOSTEGNO DEI PACIFISTI ISRAELIANI [Dal sito www.aprileonline.info riprendiamo il seguente appello dal titolo "Sosteniamo il pacifismo israeliano"] Abbiamo ragionato un po' su cosa fare di utile dall'Italia e pensiamo che sia sicuramente importante e positivo, anzi necessario dare un sostegno ai pacifisti israeliani nel momento forse piu' difficile della loro storia. Ovviamente i soccorsi umanitari sono urgenti, ma ci battiamo affinche' l'Onu, la Ue, gli Stati, le Regioni realizzino gli impegni che hanno preso per questi soccorsi, col denaro pubblico. Come singoli cittadini o gruppi, con soldi nostri e scelta politica, riteniamo di dare un contributo ai pacifisti isrealiani, attraverso il conto corrente e la garanzia amministrativa dell'Arci di Milano che ha accettato la nostra proposta. In particolare intendiamo far arrivare cio' che raccoglieremo a "Alternative Information Center" e a "The other voice". Quest'ultimo gruppo opera a Sderot, dove arrivano i razzi di Hamas. Paolo Hutter, Stefano Levi della Torre, Moni Ovadia, Susanna Sinigaglia * La mail per informazioni e adesioni politiche e': campodellapace at yahoo.it Conto corrente Arci Milano, causale "pacifisti israeliani", IT 63 Z 0501 801 6 00000000 116663. Mandare anche una mail per ricevere la ricevuta valida ai fini fiscali per dedurre dal reddito, indirizzando a: amministrazione.mi at arci.it, con nome cognome ed estremi del bonifico * Ecco le presentazioni delle due strutture destinatarie della nostra raccolta: a) "The other voice" Dal 2000, i cittadini della regione di Sderot e della striscia di Gaza vivono una realta' violenta e instabile in cui migliaia di persone sono state uccise o ferite: bambini, anziani e altri civili innocenti. I nostri leader hanno messo in campo la forza militare ma senza nessun successo: noi spariamo su di loro e loro rispondono sparandoci. E' un circolo vizioso senza fine. Allora abbiamo detto: basta! Abbiamo preso il nostro destino nelle nostre mani e iniziato ad agire per interrompere il bagno di sangue. "Other Voice" e' un gruppo ben radicato sul territorio che riunisce circa cento cittadini della regione di Sderot e zone limitrofe; vi partecipano uomini e donne di ogni estrazione politica, eta', professione e fede. Dall'inizio del 2008 abbiamo incominciato a impegnarci per riportare la speranza e promuovere azioni nonviolente a beneficio delle popolazioni che vivono su entrambi i lati del confine, per creare una nuova prospettiva di vita nella regione. Oltre a regolari incontri settimanali, abbiamo organizzato due iniziative pubbliche a cui hanno partecipato piu' di 150 persone: na "biciclettata" nell'agosto 2008, in cui abbiamo sfilato per la pace e parlato al telefono con i nostri vicini di Gaza, facendo appello per una soluzione pacifica del conflitto; l'invio di cartoline con gli auguri di buone feste per il Ramadan e Rosh ha'Shanah (il Capodanno ebraico) rivolte via web alla popolazione palestinese di Gaza, nel settembre 2008, e pubblicizzate presso i nostri conoscenti di Gaza. Adesso stiamo organizzando degli incontri con i palestinesi di Gaza, essenziali se vogliamo porre fine alla violenza. Il nostro progetto e' di: arrivare a una conferenza di docenti al Sapir College; raccogliere le famiglie colpite dalla violenza per promuoverne il dialogo; organizzare una manifestazione a Sderot con israeliani di Sderot e palestinesi di Gaza perche' si comunichino le reciproche esperienze; fare alla fine della manifestazione un comunicato congiunto e un appello ad azioni pratiche che portino alla pace. Questa terribile guerra ha reso il vostro sostegno anche piu' importante e vi ringraziamo in anticipo per questa iniziativa. Per ulteriori informazioni, potete consultare il nostro sito: www.othervoice.org o contattarci per qualsiasi domanda scrivendo a Eric Yellin, e-mail: info at othervoice.org * b) "Alternative Information Center" L'Alternative Information Center (Aic) e' un'associazione di attivisti israeliani e palestinesi impegnata nella diffusione di informazioni e analisi critiche del conflitto israelo-palestinese, nell'organizzazione di mobilitazioni politiche e militanza di base della societa' palestinese e israeliana. L'Aic sostiene e promuove la piena uguaglianza, individuale e collettiva, economica, politica e di genere, la liberta' e la democrazia e il rifiuto della weltanschauung della separazione. Il piu' importante obiettivo regionale e' trovare una giusta soluzione a un conflitto coloniale che dura da cent'anni in Palestina e approfondire la comprensione del legame tra il regime di occupazione israeliano alla luce del contesto internazionale. Il metodo di azione dell'Aic si sviluppa a partire dalla consapevolezza che le lotte locali devono essere collocate, praticamente e analiticamente, all'interno delle lotta globale per la giustizia. L'organizzazione ha un sito molto ricco, www.alternativenews.org, con molte sezioni e una societa' di produzione, la Sadaa, che crea materiali audiovisivi per la televisione e il web. Scopo di Sadaa e' offrire al pubblico israeliano e internazionale una rappresentazione accessibile e indipendente dai media ufficiali della realta' dell'occupazione; evidenziare gli aspetti sociali, economici, ambientali, politici e legali dell'occupazione soprattutto a Gerusalemme. Il materiale prodotto comprende brevi videoclip, reportage e documentari. 3. TESTIMONIANZE. MICHELE GIORGIO INTERVISTA YITZHAK BEN MUHA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2009 col titolo "I refusenik. Ma quale difesa dello Stato, stiamo solo perpetuando l'occupazione" e il sommario "Parla il sergente Ben-Muha, uno dei pochi riservisti israeliani che ha avuto il coraggio di dire di no all'offensiva contro la Striscia"] Si abbatte la scure sulle voci israeliane di dissenso verso l'offensiva "Piombo fuso". L'esercito sta usando il pugno di ferro nei confronti di quei pochi riservisti che hanno rifiutato di partecipare all'attacco contro Gaza. Una decisione difficile, che ha messo i "refusenik" contro un'opinione pubblica massicciamente a favore (il 96%) dei bombardamenti che hanno causato oltre 1.300 morti e migliaia di feriti tra i palestinesi di Gaza. A finire in prigione o agli arresti domiciliari negli ultimi giorni sono stati refusenik come il sergente Yitzhak Ben-Muha, il tenente Noam Livneh, la soldatessa Maya Yehieli, colpevoli di non condividere il bombardamento di Gaza. Un portavoce militare ha spiegato che "in tempo di guerra tutti i casi di insubordinazione e diserzione vengono trattati con estrema severita'". Ne abbiamo discusso con il sergente Yitzhak Ben Muha, 25 anni, ex paracadutista e membro di una unita' di elite dell'esercito israeliano. * - Michele Giorgio: Sergente Ben Muha, siete pochi ma, a quanto pare, date fastidio. - Yitzhak Ben Muha: Si', in effetti i riservisti refusenik sono pochi. Ciononostante i comandi militari in qualche caso hanno adottato contro di noi misure dure. Noam Livneh, ad esempio, e' stato arrestato, ammanettato e incarcerato come un disertore qualsiasi, mentre e' un obiettore di coscienza molto noto, che gia' negli anni passati si era rifiutato di servire a Nablus, nel nord della Cisgiordania occupata. In questo clima evidentemente l'esercito si sente autorizzato a usare il pugno di ferro e a tappare la bocca di chi non e' d'accordo con "Piombo fuso". * - Michele Giorgio: Raccontaci il tuo caso. - Yitzhak Ben Muha: Sono un paracadutista ed ex membro di un'unita' di elite. Circa due settimane fa sono stato richiamato. Ero molto depresso, perche' nei giorni precedenti avevo visto le immagini dei pesanti bombardamenti aerei contro i centri abitati palestinesi a Gaza. Tanto sangue innocente era gia' stato versato e sapevo che molti altri civili sarebbero stati uccisi nei giorni successivi. Quando sono arrivato alla base, avevo gia' preso la mia decisione: al comandante ho detto che non avevo intenzione di prendere parte alla campagna militare. Il giorno successivo mi hanno detto di andare a casa e di rimanere a disposizione. Mi hanno risparmiato il carcere, ma non tutti sono stati fortunati come me. * - Michele Giorgio: Quindi a fermarti e' stata la possibilita' concreta di colpire persone innocenti? - Yitzhak Ben Muha: Si', ma non solo quello, le motivazioni sono piu' ampie. Non mi considero un pacifista in senso classico e credo nel diritto di uno Stato di difendersi da minacce esterne. Ma con "Piombo fuso" non stiamo difendendo Israele, ma solo perpetuando un'occupazione militare che dura da oltre 41 anni. Qualche anno fa credevo che i nostri leader politici fossero effettivamente impegnati a trovare una soluzione di pace ma in seguito mi sono reso conto che la sofferenza di una intera nazione sotto occupazione, e anche la condizione di tanti giovani soldati, sono all'ultimo posto delle priorita' dell'establishment. Per questo oggi dico "Mai piu'" in nome del popolo palestinese e di tutti gli israeliani che rigettano l'occupazione. Mi sento ancora un combattente, ma ora solo per la pace. 4. TESTIMONIANZE. SIMCHA LEVENTHAL: ROMPERE IL SILENZIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 gennaio 2009 col titolo "Io artigliere ho usato fosforo bianco" e la nota redazionale "L'autore e' un veterano dei corpi di artiglieria dell'esercito israeliano e membro fondatore di Breaking the Silence"] Ho servito come artigliere nella divisione M109 dell'esercito israeliano dal 2000 al 2003 e sono stato addestrato a utilizzare le armi che Israele sta usando a Gaza. So per certo che le morti di civili palestinesi non sono una sfortunata disgrazia ma una conseguenza calcolata. Le bombe che l'esercito israeliano ha usato a Gaza uccidono chiunque si trovi in un raggio di 50 metri dall'esplosione e feriscono con ogni probabilita' chiunque si trovi a 200 metri. Consapevoli dell'impatto di queste armi, le gerarchie militari impediscono il loro uso, anche in combattimento, a meno di 350 metri di distanza dai propri soldati (250 metri, se questi soldati si trovano in veicoli corazzati). Testimonianze e fotografie da Gaza non lasciano spazio a dubbi: l'esercito israeliano ha usato in questa operazione bombe al fosforo bianco, che facevano parte dell'arsenale quando anche io servivo nell'esercito. Il diritto internazionale proibisce il loro uso in aree urbane densamente popolate a causa delle violente bruciature che provocano: la bomba esplode alcune decine di metri prima di toccare il suolo, in modo da aumentarne gli effetti, e manda 116 schegge infiammate di fosforo in un'area di piu' di 250 metri. Durante il nostro addestramento, i comandanti ci hanno detto di non chiamare queste armi "fosforo bianco", ma "fumo esplosivo" perche' il diritto internazionale ne vietava l'uso. Dall'inizio dell'incursione, ho guardato le notizie con rabbia e sgomento. Sono sconvolto dal fatto che soldati del mio paese sparino con l'artiglieria pesante su una citta' densamente popolata, e che usino munizioni al fosforo bianco. Forse i nostri grandi scrittori non sanno come funzionano queste armi, ma sicuramente lo sanno le nostre gerarchie militari. 1.300 palestinesi sono morti dall'inizio dell'attacco e piu' di 5.000 sono rimasti feriti. Secondo le stime piu' ottimiste, piu' della meta' dei palestinesi uccisi erano civili presi tra il fuoco incrociato, e centinaia di loro erano bambini. I nostri dirigenti, consapevoli delle conseguenze della strategia di guerra da loro adottata, sostengono cinicamente che ognuna di quelle morti e' stata un disgraziato incidente. Voglio essere chiaro: non c'e' stato alcun incidente. Coloro che decidono di usare artiglieria pesante e fosforo bianco in una delle aree urbane piu' densamente popolate del mondo sanno perfettamente, come anche io sapevo, che molte persone innocenti sono destinate a morire. Poiche' conoscevano in anticipo i prevedibili risultati della loro strategia di guerra, le morti civili a Gaza di questo mese non possono essere definite onestamente un disgraziato incidente. Questo mese, ho assistito all'ulteriore erosione della statura morale del mio esercito e della mia societa'. Una condotta morale richiede che non solo si annunci la propria volonta' di non colpire i civili, ma che si adotti una strategia di combattimento conseguente. Usare artiglieria pesante e fosforo bianco in un'area urbana densamente popolata e sostenere poi che i civili sono stati uccisi per errore e' oltraggioso e immorale. 5. INCONTRI. OGGI A TORINO [Dal Centro Studi Sereno Regis (per contatti: comunicazione at serenoregis.org) riceviamo e diffondiamo] Sabato 24 gennaio 2009, alle ore 16, nella Sala Gandhi del Centro Studi Sereno Regis, in via Garibaldi 13, a Torino, si terra' un incontro in ricordo di Domenico Sereno Regis. A 25 anni dalla morte, lo ricordano gli amici di sempre. Domenico Sereno Regis: partigiano nonviolento, animatore della democrazia di base, strenuo sostenitore dell'obiezione di coscienza in tutte le sue forme, lavoratore della giustizia internazionale, presidente del Mir, sezione italiana dell'Ifor. * Per ulteriori informazioni: Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 - 011549004, fax: 0115158000, e-mail: comunicazione at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org 6. DOCUMENTAZIONE. UNA LETTERA AGLI AMICI DELLA FILCA-CISL DI VITERBO [Riportiamo questa lettera aperta del 21 gennaio 2009 dal titolo completo "Agli amici della Filca Cisl di Viterbo che il 22 gennaio incontreranno il Ministro dei Trasporti"] Carissimi amici, come sapete a molti di voi mi lega una stima e un affetto di lunga data, che risale ai tempi della nostra comune gioventu' e del nostro comune impegno per tante buone cause, per la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani, per la difesa e la promozione del nostro territorio, per l'emancipazione di tutti i lavoratori e la costruzione di una societa' giusta e solidale. Vedo che il 22 gennaio incontrerete il Ministro dei Trasporti in un convegno che avete promosso a San Martino al Cimino. E che l'oggetto dell'incontro e' il mega-aeroporto di Viterbo. Credo sappiate che io sono di quelli che tenacemente si oppongono alla realizzazione di quest'opera. E mi oppongo ad essa per i seguenti motivi: 1. il mega-aeroporto provochera' un disastro ambientale e devastera' irreversibilmente l'area termale del Bulicame, ovvero una risorsa fondamentale per la nostra terra; 2. il mega-aeroporto provochera' un danno enorme alla salute, alla sicurezza e alla qualita' della vita dei cittadini viterbesi; 3. il mega-aeroporto costituira' un colossale sperpero di soldi pubblici per realizzare un'opera nociva e distruttiva, mentre quei soldi pubblici potrebbero e dovrebbero essere utilizzati a vantaggio - e non a danno - della popolazione di Viterbo e dell'Alto Lazio; 4. il mega-aeroporto sara' un'ennesima servitu' speculativa e inquinante che danneggera' il nostro territorio, la nostra economia e i nostri diritti: e sarebbe ora che Viterbo smettesse di essere considerata terra di conquista, colonia da sfruttare e devastare con opere che altri territori ed altre comunita' giustamente rifiutano (vedi Ciampino); 5. il mega-aeroporto contribuira' all'incremento del trasporto aereo, che invece va urgentemente e drasticamente ridotto essendo fortemente corresponsabile dell'inquinamento globale del pianeta ed in particolare di quell'"effetto serra" che costituisce oggi la maggior emergenza ambientale globale che l'umanita' deve fronteggiare; 6. il mega-aeroporto viola fondamentali normative europee ed italiane; la procedura decisionale fin qui seguita e' stata giustamente denunciata come scandalosamente irregolare; e' stato dimostrato che a rigor di legge si tratta di un'opera irrealizzabile. E' quindi un'opera illecita oltre che irragionevole. In anni passati, voi lo ricordate, ci siamo battuti insieme in difesa dei diritti dei lavoratori e dei cittadini contro operazioni speculative e poteri criminali. Mi piacerebbe che anche in questa vicenda noi si possa lottare insieme ancora una volta contro un'opera avvelenatrice ed illegale, in difesa dei diritti di tutti, per la nostra terra e per la nostra gente. Un cordiale saluto dal vostro Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo Viterbo, 21 gennaio 2009 7. RIFLESSIONE. DAVID BIDUSSA: RACCONTARE L'ORRORE DELLA SHOAH [Dal quotidiano "La Repubblica" del 16 gennaio 2009 col titolo "Shoah. Quando non ci saranno piu' testimoni" e il sommario "Il 27 gennaio sara' la Giornata della Memoria. Un libro di David Bidussa affronta la retorica ufficiale del genocidio ebraico e il ruolo della storia. Questa data non e' il giorno della commemorazione dei morti, ma del ricordo per i vivi. Tutto e' successo perche' il sistema consentiva la non responsabilita' individuale. Anticipiamo una parte del libro Dopo l'ultimo testimone (Einaudi, pp. 136, euro 10) da oggi in libreria] Quando rimarremo soli a raccontare l'orrore della Shoah, non bastera' dire "Mai piu'!" ne' rifugiarsi tra le convenzioni della retorica. Serviranno gli strumenti della storia e la capacita' di superare i riti consolatori. (...) Nel Giorno della memoria non ci interroghiamo dunque sui sopravvissuti o sui testimoni diretti, ma su noi stessi, venuti dopo, e che da quell'evento siamo segnati, qualunque sia il nostro rapporto individuale e familiare con esso. Sia che siamo figli delle vittime, dei carnefici o di quella ampia fascia di zona grigia, di mondo degli spettatori, che si trova in mezzo. Insieme a noi, ci sono i testimoni culturali, ovvero gli autori della produzione storiografica, figurativa, letteraria, cinematografica, che accompagnano l'estrinsecazione delle testimonianze dei sopravvissuti. In sostanza non c'e' da attendere un domani, piu' o meno lontano, per chiedersi che cosa faremo dopo che l'ultimo testimone sara' scomparso. Quel passaggio si e' gia' consumato. Del resto, a riprova, la notizia della morte - avvenuta il 17 giugno 2008 - di Henryk Mandelbaum, l'ultimo sopravvissuto in Polonia del "Sonderkommando" del campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau, non ha modificato il quadro emozionale, non ha segnato nella coscienza pubblica un "prima" e un "dopo". Si e' inaugurata l'eta' della postmemoria, una stagione che obbliga a confrontarsi con le domande che questa condizione pone rispetto alla conservazione di un certo passato e sugli strumenti che noi abbiamo per indagarlo, comprenderlo e rappresentarlo. La nostra attualita' e' attraversata da diversi scenari che rischiano di trasformare quest'attenzione in una nuova eclissi. Il primo riguarda i tempi della memoria. Il ricordo del genocidio ebraico ha avuto tempi lunghi prima di rendersi autonomo e "visibile" nella coscienza pubblica. Ha avuto un suo risveglio a partire dagli anni '80, sull'onda anche della spettacolarizzazione dovuta a Holocaust (il serial televisivo che nel 1978, negli Stati Uniti come in Europa, ha inaugurato una nuova stagione nella percezione del genocidio ebraico). Da allora quel tema e' stato al centro della discussione pubblica, anche "riscoprendo" le domande di chi a lungo e con pazienza aveva indagato intorno all'evento nell'indifferenza generale. L'esempio piu' evidente e' proprio nell'opera unanimemente oggi riconosciuta come la piu' esaustiva, ovvero la monografia di Raul Hilberg, La distruzione degli ebrei d'Europa, composta in solitudine, ignorata negli anni '50, pubblicata nel 1961 nell'indifferenza generale e infine "scoperta" nel 1985. Tornero' piu' in dettaglio su Hilberg, ma e' importante sottolineare come la ricerca storica talora viva di vita propria e non solo di spettacolarizzazione o di rapporto con le domande che la discussione pubblica suscita. Quelle domande riguardano lo spessore, la fisionomia, l'estensione e la tipologia della "zona grigia", una questione che resta in eredita' a chi viene dopo e che, soprattutto, non ha il fascino ne' della celebrazione dell'eroe, ne' della consolazione della vittima. La storiografia quando ha un valore civile non consola, bensi' pone domande, e probabilmente e' anche per questo che nonostante tutti dichiarino di amare la storia, di provare per essa un interesse quasi morboso, poi tengono la storiografia a distanza. Ci sono opere che bruciano ancora per le domande che pongono e perche' rispetto a esse l'insorgenza morale non serve. E in ogni caso non e' solo una questione morale. E' una problematica che coinvolge il sentimento politico e, piu' generalmente, la mentalita' diffusa, specie nel caso italiano. Infatti, intorno al concetto di zona grigia, soprattutto nel modo in cui si e' radicata quest'immagine nel senso comune in Italia, e' venuta costruendosi una filosofia politica. L'espressione "zona grigia", creata da Primo Levi e originariamente riferita a coloro che nell'esperienza del Lager rappresentano l'area dei privilegiati nella complessa sociologia e gerarchia degli schiavi, nella storiografia sulla Resistenza e sulla guerra civile ha avuto uno slittamento di significato ed e' percio' venuta a designare quella parte di popolazione che passivamente non si e' schierata con nessuna delle due parti in campo. Una condizione inizialmente vissuta con disagio e poi, lentamente, rivendicata con orgoglio (...) Il secondo scenario riguarda la centralita' delle vittime. Nel corso degli ultimi due decenni la dimensione della vittima ha assunto una nuova fisionomia. Se a lungo la questione degli stermini e' stata pensata in relazione al termine di trauma - e dunque il problema e l'attenzione rispondevano all'esigenza di individuare strategie volte al recupero o al reinserimento -, la dimensione della vittima tende ora a essere presentata come una condizione non mutabile. La vittima nella comunita' entra in ragione della violenza che ha subito e dunque per questo trova spazio e rispetto. Ma lentamente quella condizione si estende e genera un nuovo diritto: nello spazio pubblico comincia ad affermarsi la convinzione che solo presentandosi come vittime si avra' diritto alla giustizia. E' un meccanismo che lentamente dimentica il presupposto da cui era partito, legato all'eccezionalita', alla condizione estrema del sopravvissuto, ed estende cosi' all'infinito la realta' traumatica. Trasforma una condizione fisica, oggettiva, in una psicologica. L'effetto e' la ripresa del meccanismo vittimario, che non e' solo appannaggio dei sopravvissuti, ma anche e sempre piu' di coloro che hanno una visione paranoica della realta', ossessionati dall'idea di forze potenti che agiscono contro la propria gente. Un'affermazione del processo di produzione delle vittime che elimina la dimensione storica e fattuale del suo realizzarsi in termini di atti, conflitti, figure, circostanze (e dunque non indaga su chi siano i persecutori, non descrive le azioni dei carnefici, bensi' destoricizza perche' riconduce a se' tutta la vicenda) e spiega, ad esempio, perche' paradossalmente la richiesta di riflessione sulle vittime, che pure esigerebbe una maggior produzione di analisi storica, chiami in causa altre piste di indagine - la psicologia, la psicoanalisi, la teologia - ma significativamente eviti la storia sociale e si guardi bene dall'affrontare la storia dei comportamenti. Paradossalmente, solo portando al centro le figure dei carnefici o della macchina dello sterminio, quella domanda di storia ha avuto la possibilita' di sostenersi. Nello specifico e' stato da una parte La banalita' del male di Hannah Arendt ad aprire questa possibilita', proprio perche' al centro del libro non erano poste le vittime ma la macchina distruttiva, e successivamente si e' aggiunto il saggio di Christopher Browning, Uomini comuni, che ha consentito una nuova stagione di indagine culturale, storica e sociale sugli stermini. In tutti e due i casi il cuore dell'indagine riguarda la sfera dei carnefici e degli esecutori, la macchina burocratica come luogo produttivo della storia. Un nuovo aspetto che chiama in causa la nostra quotidianita' ma che, di nuovo, evitiamo di mettere al centro della nostra riflessione, sulle forme del consenso, o su come si produce la morte di massa nell'eta' della tecnica. Un evento che evoca il principio della cooperazione industriale. La fabbrica moderna e' capace di produrre in serie milioni di esemplari dello stesso prodotto perche' migliaia di individui nello stesso istante compiono un gesto, un atto sequenziale. Questo processo e' possibile perche' pone a suo fondamento la cooperazione tra individui. Il genocidio ebraico, come ricorda lo storico Pierre Vidal-Naquet, e' un evento possibile, e realizzabile, perche' basato sullo stesso principio organizzativo: un sistema che consente la non responsabilita' individuale nello sterminio. 8. MAESTRI. NORBERTO BOBBIO: LA VIRTU' DELLA GIUSTIZIA [Dal quotidiano "La Stampa" dell'8 gennaio 2009 col titolo "La virtu' della giustizia", il sommario "Nel centenario della nascita, un testo inedito del filosofo, maestro di politica e diritto", la nota redazionale "Il 2009 e' l'anno di Norberto Bobbio. Del filosofo torinese, tra le maggiori autorita' intellettuali e morali del Novecento, ricorre il centenario della nascita (18 ottobre 1909), oltreche' il quinto anniversario della morte (9 gennaio 2004). Per celebrare la ricorrenza il ministero dei Beni culturali ha istituito un Comitato nazionale, composto da oltre cento istituzioni e personalita' della cultura italiane e straniere, che ha elaborato un fitto programma di iniziative per promuovere il dialogo e la riflessione intorno al pensiero di Bobbio e sul futuro della nostra democrazia. 'La Stampa', che ha avuto il filosofo tra i suoi collaboratori di punta per quasi trent'anni, propone qui un testo inedito, trovato tra le carte dell'Archivio Norberto Bobbio presso il Centro studi Gobetti di Torino: si tratta di un dattiloscritto, presumibilmente della fine degli anni '50, sul tema della giustizia, voce preparata per un progetto di dizionario enciclopedico mai realizzato, di cui pubblichiamo uno stralcio", e la breve scheda "Editorialista della 'Stampa'. Se l'universita' fu 'la prima casa' di Norberto Bobbio, 'La Stampa' fu la seconda. Per un trentennio cruciale il professore, che considerava l'insegnamento la sua attivita' piu' importante, da grande editorialista spiego' l'agonia della Prima Repubblica e denuncio' le illusioni, gli equivoci, i rischi della successiva. Aveva esordito il 3 marzo 1976, invitato dal direttore Arrigo Levi, con un commento di terza pagina sul congresso del Psi e 'Gli intellettuali amici ma critici' di quel partito. La collaborazione, piu' intensa nel 1977, ebbe un suggello drammatico e definitivo quel novembre, dopo gli attentati contro il giornale e la morte del vicedirettore Carlo Casalegno, assassinato dalle Brigate Rosse. Fra il 1944 e il '45, 'nell'ultimo anno della lotta senza quartiere' al fascismo, tra i compagni nel Partito d'azione Casalegno era quello cui Bobbio si sentiva 'piu' vicino per comunanza di ideali e per quell'amore (...) delle idee chiare e distinte'. Da quei giorni intreccio' la sua vita con quella della 'Stampa', in piena sintonia con altri suoi amici: Alessandro Galante Garrone, Massimo Mila, Primo Levi, Giovanni Spadolini. E fino all'ultimo il filosofo della politica, il giurista, il senatore, anche da giornalista sollevo' dubbi e interrogativi etici, condusse la sua battaglia contro la confusione di morale e diritto, per il pensiero progressista, per una 'democrazia senza aggettivi'"] Nella filosofia politica antica la giustizia era una virtu', una delle virtu' etiche fondamentali, cioe' un abito o un'abitudine di compiere certe azioni giudicate aventi un valore positivo e di evitare certe altre azioni giudicate aventi un valore negativo. La valutazione di un'azione come virtuosa, in particolare come giusta, rinviava necessariamente al criterio in base al quale le azioni potevano essere distinte come giuste o ingiuste. Nel pensiero moderno e soprattutto contemporaneo si intende per giustizia questo criterio di valutazione, o valore ideale, o principio direttivo dell'azione che permette di giudicare le azioni umane, onde chiamiamo giuste quelle che vi corrispondono, ingiuste quelle che non vi corrispondono. Per quanto siano quasi infinite le definizioni che sono state date della giustizia nel corso dei secoli, l'ambito di riferimento di queste definizioni e' pur sempre l'azione sociale dell'uomo, ovvero l'azione che l'uomo compie nelle sue relazioni con altri uomini. Il problema della giustizia e' strettamente connesso al problema della costituzione e della conservazione della societa' umana: onde azione giusta e' quella che contribuisce in qualche modo a rendere possibile la coesistenza degli uomini, ingiusta quella che la ostacola. S'intende che i diversi modi di definire la giustizia dipendono dai diversi modi di concepire la societa', dai diversi fini che le si attribuiscono, dai diversi ideali sociali che si vogliono raggiungere. Due sono soprattutto gli ideali che entrano a formare, separatamente o congiuntamente, la nozione giustizia: l'ideale dell'ordine e quello dell'eguaglianza. L'idea dell'ordine sociale e' sorta, sin dai primordi della riflessione sulla giustizia, in corrispondenza all'idea dell'ordine dell'universo; e di volta in volta l'ordine dell'universo e' stato concepito a immagine dell'ordine sociale (la natura come insieme di enti che ubbidiscono alla volonta' sovrana di Dio o degli dei), e l'ordine sociale e' stato considerato come il riflesso dell'ordine cosmico (le leggi che regolano la societa' umana sono una parte delle leggi giuridiche naturali che regolano l'universo), dando luogo ora a una concezione etica e giuridica dell'ordine naturale, ora a una concezione naturalistica dell'ordine giuridico. Ogni totalita' ordinata ha bisogno di norme o leggi, cioe' di canoni che prescrivano o determinino la regolarita' dei comportamenti. Ordine e legge sono due nozioni strettamente connesse: l'ordine e' garantito dal fatto che la legge, cioe' la regolarita' dei comportamenti, sia rispettata. Questo rispetto della legge, che assicura l'ordine, e' cio' che si chiama, in una delle accezioni tradizionali, giustizia. In questa accezione la giustizia consiste nella conservazione dell'ordine costituito: conservazione, appunto, che viene ottenuta attraverso il rispetto delle leggi costitutive dell'ordine. Ingiustizia e' la rottura dell'ordine, perpetrata attraverso la violazione della legge: e' disordine o caos, contrapposto a ordine o cosmo; in termini piu' drammatici, e' guerra contrapposta a pace. E in quanto violazione della legge, in quanto disordine, caos o guerra, e' la dissoluzione di ogni possibile convivenza, e' la rovina della societa'. In questa connessione con l'ideale dell'ordine, la nozione di giustizia si risolve in quella di legalita': la concezione della giustizia come legalita' e' una delle concezioni ricorrenti nella storia del pensiero occidentale. E' quella concezione per cui si dice giusta l'azione conforme alla legge, ingiusta quella difforme; e uomo giusto e' colui che ha l'abito di rispettare le leggi, ingiusto colui che ha l'abito di trasgredirle. Partendo da questo modo di intendere la giustizia, il fine e il contenuto delle leggi non entrano in questione: la garanzia dell'ordine e' data dal rispetto delle leggi, quali che esse siano. Cio' che garantisce l'ordine e' infatti la corrispondenza dell'azione alla legge, non il tipo di azione che la legge prescrive o determina. Si tratta di una concezione meramente formale della giustizia. L'idea dell'eguaglianza integra quella dell'ordine in quanto esprime l'esigenza che per attuare la giustizia occorra non un ordine qualunque esso sia, ma un ordine fondato su un certo principio che e', appunto, quello dell'eguale distribuzione di onori e di oneri. Anche la societa' tenuta insieme da leggi tiranniche, e quindi esclusivamente con la spada, e' a rigore una societa' ordinata; ma e' sufficiente quest'ordine a garantire la conservazione della societa'? L'ideale dell'eguaglianza e' quello che fa porre nelle mani della giustizia, accanto alla spada, anche la bilancia. Non basta allora che vi siano leggi rispettate, come chiede la concezione formale della giustizia (perche' le leggi vengano rispettate puo' bastare anche soltanto la forza), ma occorre inoltre che le leggi stesse rispettino alcuni criteri fondamentali nella distribuzione degli onori e degli oneri, in primis il criterio dell'eguaglianza. Sennonche' la nozione di eguaglianza e' anch'essa generica, in quanto indica soltanto un rapporto tra termini, ma non da' altre indicazioni sui termini da mettere in rapporto. Gia' Aristotele aveva distinto la giustizia commutativa, che ha luogo principalmente negli scambi economici e che e' fondata sul criterio dell'eguaglianza aritmetica, e la giustizia distributiva, che ha luogo principalmente nei rapporti fra lo Stato e i cittadini, fondata sul criterio dell'eguaglianza geometrica o proporzionale. La giustizia distributiva ha avuto nell'antichita' due celebri formulazioni, che sono state poi tramandate, per lo piu', come le definizioni della giustizia senz'altro, e si distinguono unicamente perche' l'una riguarda l'azione doverosa dell'individuo nei confronti della comunita', l'altra l'azione doverosa della comunita' nei confronti dell'individuo: la formulazione platonica, secondo cui la giustizia consiste nell'eseguire il proprio compito, cio' che a ciascuno compete nell'ordine della societa' (e' il celebre "suum agere"); la formulazione che si suol chiamare romana (si trova in Cicerone e in Ulpiano), secondo cui la giustizia consiste nel dare a ciascuno cio' che gli spetta (e' il non meno celebre "suum cuique tribuere"). Ma questo "suum", che si trova in entrambe le formulazioni, come viene determinato? Il criterio del "suum", come e' ovvio, non e' piu' definibile in termini di eguaglianza, di proporzione, e quindi nascono tante definizioni di giustizia distributiva quanti sono i criteri adoperati, di volta in volta, nelle varie societa', in modo esclusivo oppure, piu' spesso, in modo complementare, per determinare per ciascun membro della societa' l'ambito di cio' che e' il suo dovere o il suo diritto. I criteri storicamente rilevanti sono soprattutto i quattro seguenti: il criterio del rango, del merito, del lavoro, del bisogno, per cui si ritiene giusto, rispettivamente, dare a ciascuno secondo la propria posizione nella gerarchia sociale, secondo le proprie capacita', secondo l'attivita' svolta nella produzione di beni e servizi, secondo le proprie necessita' spirituali e materiali. Per quanto tutti e quattro i criteri si trovino di solito applicati in corrispondenza di diverse situazioni, ciascuno di essi presiede all'orientamento di un tipo determinato di societa'. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 710 del 24 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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