[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Nonviolenza. Femminile plurale. 231
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 231
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 22 Jan 2009 16:10:33 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 231 del 22 gennaio 2009 In questo numero: 1. Becky Behar 2. Patricia Lay-Dorsey: La sacra tela del mondo 3. Giuliana Sgrena: Il velo 4. Marinella Correggia: Cerro de Pasco 5. Virginia Cox: Scrittrici in Italia tra Cinquecento e Seicento 6. Massimo Raffaeli presenta "Spirale di dolcezza + Serpe di fascino. Scrittrici futuriste" a cura di Cecilia Bello Minciacchi 7. Marina Verzoletto presenta "Alessandro Manzoni. Quattro ritratti stravaganti" di Silvia Giacomoni 1. LUTTI. BECKY BEHAR [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "E' scomparsa Becky Behar" e il sommario "La sopravvissuta della strage di Meina. Le sue memorie raccolte nel volume La strage dimenticata"] Sopravvissuta alla strage di Meina e degli ebrei dal lago Maggiore del settembre-ottobre 1943, quando aveva poco piu' di tredici anni, Becky Behar ha dedicato gran parte della sua vita a portare testimonianza di quei tragici avvenimenti in ogni dove e soprattutto nelle scuole. Assieme al marito Paolo, ha incontrato migliaia di studenti, ha raccontato la sua storia ovunque, si e' battuta per la verita' contro ogni tentativo di strumentalizzazione e banalizzazione, contro ogni forma di razzismo, per salvare la memoria e la dignita' di chi in quella orrenda strage scomparve nel nulla. E' un lutto grave, che priva ogni cittadino democratico di una voce (la sua era roca e dolcissima allo stesso tempo) preziosa e insostituibile. Ancora in questi giorni stava organizzando nuovi incontri (a Meina per l'inaugurazione delle scuole ai Fratelli Fernandez Diaz, a Stresa, a Verbania, a Novara, a Prato Sesia, a Oleggio) in occasione del prossimo Giorno della memoria. Della sua preziosa testimonianza rimane anche un libro, realizzato in collaborazione con la Comunita' di Sant'Egidio e recentemente ripubblicato da Interlinea in occasione dell'uscita del film Hotel Meina di Carlo Lizzani; il volume contiene alcune pagine di diario nelle quali viene raccontata la strage del 1943 attraverso gli occhi della Behar bambina. * La strage dimenticata. Meina settembre 1943. Il primo eccidio di ebrei in Italia (Interlinea) ricostruisce la tragica vicenda della prima strage di ebrei in Italia, avvenuta 60 anni fa sulle rive del lago Maggiore. Nel settembre '43 la divisione corazzata SS Leibstandarte Adolf Hitler, guardia del corpo di Hitler, proveniente dal fronte russo, con compiti militari, polizieschi e politici, ebbe l'ordine di stabilirsi sul lago per proteggere l'accesso alla frontiera svizzera e per impedire la fuga di soldati italiani. Il comando venne alloggiato all'Hotel Beaurivage di Baveno. Tra il 15 settembre e l'11 ottobre, soldati del primo battaglione assassinarono 54 ebrei, 16 dei quali a Meina, ottenendo i nominativi con la collaborazione degli uffici comunali. 2. FAVOLA. PATRICIA LAY-DORSEY: LA SACRA TELA DEL MONDO [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione la seguente favola di Patricia Lay-Dorsey (il testo originale e' disponibile nel sito www.windchimewalker.net)] Lei era, in effetti, al centro di tutto. Sebbene gli adulti avessero dimenticato, i bambini sapevano. Senza l'aiuto di lei, tutto sarebbe andato perduto. Lei viveva dietro la rimessa, sul lato estremo del prato. La', sull'angolo rivolto ad est, la sua magnifica tela splendeva nel sole del mattino. Lei era nera, e la sua tela era d'argento. Gli adulti tentavano di insegnare ai bambini ad averne paura. E molti di loro ascoltavano. "I ragni sono cattivi. Potrebbero infilarsi nei tuoi capelli, potrebbero morderti. Le loro tele mi sporcano le tende". Percio' i ragni, dopo aver lavorato cosi' tanto per creare tele, venivano scacciati da scope e vecchi stracci. Ma non si arrendevano mai. Ricominciavano semplicemente una nuova tela. Tutti, eccetto lei, che viveva dietro la rimessa. La sua tela non era mai stata distrutta. Cresceva piu' bella di giorno in giorno. Vedete, nessuno oltre ai bambini andava dietro la rimessa. E neppure tutti i bambini ci andavano. Alcuni erano troppo spaventati dai ragni, percio' restavano nei pressi della casa. Ma una ragazzina e il suo fratellino piu' piccolo amavano quel misterioso angolo del prato. C'era sempre qualche sorpresa da quelle parti. E volete sapere la cosa migliore? La', sorella e fratello si sentivano al sicuro. C'era ormai cosi' poco che fosse sicuro, nelle loro vite. Quasi ogni notte, specialmente d'estate, dovevano dormire sul pavimento, perche' i fucili sparavano nel vicinato. Ed era pericoloso giocare di fronte a casa, perche' c'erano ragazzi grandi con le loro armi, le loro droghe, i loro combattimenti. Sopravvivevano nel mezzo di una guerra, e sembrava che nessuno sapesse come fermarla. Eccetto lei, ecco. Lei sapeva come fare. Lei e le creature sue amiche sapevano come vivere in pace. Per questo la ragazzina e il bambino si sentivano al sicuro dietro la rimessa, con lei. Un giorno, poco dopo che aveva piovuto, tornarono in quel posto, sulla terra umida. Lei stava aggiungendo un nuovo filo alla sua tela, ma si fermo'. "E' il momento", sussurro' a se stessa, "E' venuto il momento di insegnare ai bambini. Sono stati seduti in silenzio abbastanza a lungo, percio' ora saranno pronti ad ascoltare". "Bambini", disse, "Vengo a voi in pace. Siamo stati insieme a lungo, ed io ho apprezzato il rispetto che avete mostrato a me ed alla mia tela. Ora parleremo". Per quanto stupiti, sorella e fratello annuirono quieti. "Il vostro mondo ha dimenticato la tela che ci sostiene tutti, e tutti ci tiene insieme. E' una rete persino piu' bella di quella che tesso io. I suoi fili sono forti, e se uno viene spezzato un altro prende il suo posto. Questa tela, la sacra tela della Terra, e' cosi' vasta che si estende su terre ed oceani, per connettere tutta la vita sulla Terra. Il suo vincolo e' l'amore. Questa tela non ha nozione di paesi separati, di lingue diverse, di religioni o razze. Rispetta ogni forma di vita per cio' che essa e': donna o uomo, montagna o ruscello, roccia o albero, puzzola o farfalla. Ognuno ha un posto, ed una ragione per esistere. La tela non sarebbe completa senza di esso". La ragazzina disse: "Grazie, Madre Ragno, per averci parlato della sacra tela della Terra. Sembra una cosa bellissima. Ma io non capisco. Se siamo tutti legati dall'amore, perche' ci feriamo e uccidiamo l'un l'altro?". "Mia cara piccina", disse il ragno, "la tua domanda e' saggia. E la risposta e' semplice. La gente di questo tempo ha dimenticato. Questa e' la loro sofferenza: non ricordano di essere legati da fili d'amore". "Allora cosa possiamo fare?" grido' la ragazzina, "Come possiamo aiutarli a ricordare, cosi' che cessino i combattimenti, e le guerre, e le uccisioni?". In quella, un ranocchio salto' fuori da un mucchio di foglie. Era uno degli amici di Madre Ragno. "Parla loro delle lacrime", gracido', "Di' loro della pioggia che cade dai nostri occhi per pulirci e rinfrescarci. E' solo quando riusciamo a piangere per la violenza che riusciamo a vederla per quel che e', e scegliamo di non vivere mai piu' in quel modo. Che le lacrime cadano come pioggia, sulla tela sacra della Terra, affinche' essa risplenda e le persone la vedano di nuovo". "Grazie amico ranocchio", disse lei, "Onoriamo il tuo dono delle lacrime". I bambini annusarono il nuovo venuto prima ancora di vederlo... era la puzzola. "Madre Ragno", essa disse, "parla per favore del rispetto di se stessi. Quando ogni persona sa ed apprezza cio' che e', la sacra tela della Terra e' piu' forte. Insegna a questi bambini ad evitare ogni persona o luogo dove non siano trattati con rispetto. Siate come me, piccoli. Potete essere dolci e coccoloni, ma potete sempre rovesciare una brutta situazione spruzzandoci sopra una richiesta di rispetto. Siate orgogliosi di cio' che siete". "Grazie, amica puzzola", disse il ragno, "Apprezziamo il dono del rispetto". In quella apparve una creatura alata e iridescente, che volteggiava sopra le teste dei bambini. "Guardatemi", disse loro, "Io sono la libellula e vi porto l'insegnamento di come si attraversano le illusioni. Le illusioni sono idee mascherate da verita'. Sono falsi modi di guardare al mondo. Per esempio, e' un'illusione che noi si possa essere separati gli uni dagli altri. Un essere umano pensa che cio' che accade fra lui ed un'altra persona riguardi solo loro due. Ma non e' vero, amici miei. Quando tu colpisci tua sorella, tutti i fili della sacra tela vengono colpiti. Quando la aiuti, stai aiutando il mondo intero. Per cui, Madre Ragno, insegna a questi bambini a vedere le cose in modi veritieri, e a credere nella realta' della tela". "Oh si', cara libellula", disse il ragno, "Essi impareranno ad uscire dall'illusione e a vivere uniti". L'ultima creatura a fare la sua apparizione aveva bellissime ali arancioni e nere ed i bambini la salutarono felici: "Benvenuta, farfalla". "Salve, piccoli amici", disse la farfalla, "Io vi porto il sogno del cambiamento. Siete voi che trasformerete questo mondo, portandolo dalla violenza all'amore. Siete voi, che ora vedete la sacra tela della Terra e, nel vederla, cominciate a rendere reale il sogno della pace. Avete vissuto in un bozzolo di paura troppo a lungo. E' tempo di danzare e cantare, di dipingere e disegnare, di amare e ridere, perche' questo vi aprira' la strada che conduce al centro della tela. Voi siete il cambiamento che doveva venire. Vivete la pace ora, persino in un mondo che sembra non conoscere cio' che essa significa. Nel mentre voi diventerete il vostro sogno, il vostro sogno diventera' voi". Il ragno ringrazio' la farfalla e poi disse: "Bambini, avete udito le creature rispondere alle vostre domande. Che farete, adesso?". "Permetteremo alle lacrime di ripulire e rinfrescare la tela, di modo che essa risplenda nel sole. Vivremo nel rispetto, perche' i fili della tela con esso si rinforzano. Abbandoneremo l'illusione di essere separati, e vivremo la verita' di essere tutti parte della stessa tela. E sappiamo che il cambiamento e' parte di noi. Vivremo in pace, e trasformeremo il mondo per sempre". "Allora andate, miei carissimi amici, e assaporate in profondita' la sicurezza della sacra tela della Terra. E' nel vostro cuore che tenete i suoi fili". E questa storia non ha una fine, perche' questo e' un inizio... 3. RIFLESSIONE. GIULIANA SGRENA: IL VELO [Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo il seguente articolo del 12 gennaio 2009 dal titolo "Il velo integralista"] Il velo non e' un obbligo religioso per le donne musulmane. Nel Corano si parla di tenda che separa le donne del profeta dagli estranei, ma ai tempi di Maometto era quasi una distinzione di classe che non riguardava le donne del popolo, che invece giravano a capo scoperto. A teorizzare l'uso obbligatorio del velo per le donne e' stato il teologo conservatore Ibn Taymya nel XIV secolo. E ancora oggi Ibn Tymmiyya e' il principale punto di riferimento degli islamisti, che strumentalizzano la religione a fini politici e che vedono nei diritti delle donne un ostacolo alla realizzazione del loro progetto di stato teocratico. Tuttavia, la limitazione dei diritti delle donne non e' una prerogativa esclusiva dell'islam ma e' condivisa da una visione conservatrice di tutte le religioni, soprattutto quelle monoteiste. Fondamentalismo religioso che nel suo anti-femminismo trova un supporto nel patriarcato e in alcune tradizioni e costumi tribali. Foulard, chador, hijab, turban, niqab, fino al piu' famigerato burqa, queste sono le varie fogge che assume un pezzo di stoffa che serve a coprire la femminilita', quelle parti del corpo che per i maschi possono rappresentare un elemento di seduzione. Un "pericolo" che i piu' integralisti rintracciano anche in un solo centimetro di pelle scoperto, in un'unghia smaltata, in un capello che sfugge al velo, in un dito del piede nudo oppure in un tacco che fa rumore al suo passaggio. A unire le forme piu' aberranti del velo a quelle piu' soft e' la simbologia dell'oppressione della donna. Una oppressione che si basa sul controllo della sessualita', perche' l'onore del maschio e' garantito dal pudore dell'altro sesso. E se questo onore viene tradito, poco importa di chi e' la colpa, e' sempre la donna a pagare: con il delitto d'onore o con la lapidazione. Il velo non e' nemmeno un segno identitario come spesso si tende ad accreditare, soprattutto in occidente: il velo che viene ora imposto alle donne dai movimenti oltranzisti non e' quello tradizionale di un paese o di una regione - senza contare che le tradizioni si superano, altrimenti anche in Italia porteremmo tutte il velo -, ma un velo ideologico omologato, che trova la sua ispirazione nel chador iraniano. Non e' forse stata la rivoluzione islamica di Khomeiny in Iran a dare la prima grande spinta alla reislamizzazione in tutto il mondo musulmano? Il velo viene imposto dai fautori di una reislamizzazione che vuole imporre una visione dell'islam molto piu' conservatrice rispetto alla pratica e per questo fa della visibilita', e quindi anche del velo per le donne, una esplicitazione di appartenenza. Appartenenza alla Umma (comunita' dei credenti), dunque, e non alla cultura del proprio paese di origine. In questo caso il velo puo' essere una scelta ideologica condivisa anche da donne e la diversa foggia puo' assumere una indicazione della "corrente" cui si appartiene: wahabismo (di origine saudita), talebanismo, khomeinismo o conservatorismo piu' generico. Piu' generalmente quando si parla di libera scelta delle donne di portare il velo e' molto difficile capire quanto contino le imposizioni (a volte anche violente di familiari o gruppi islamisti) e i condizionamenti sociali. Le donne musulmane, con rare eccezioni, non hanno la possibilita' di fare scelte sulla vita che le riguarda, come si puo' dunque considerare solo quella del velo una libera scelta? Per opprimere la donna i maschi ricorrono spesso alla demonizzazione del genere femminile. Anche se non siamo piu' ai tempi delle streghe bruciate sul rogo, in alcuni paesi le punizioni che subiscono le donne per trasgressioni non sono molto diverse. Nel passato possiamo risalire fino ad Adamo ed Eva per trovare il primo caso di colpevolizzazione della donna, ma per restare ai tempi piu' recenti e ritornando al tema del velo, anche la demonizzazione e' servita per importo o reimporlo. E' il caso dell'Egitto per esempio, dove esisteva un forte movimento femminista fin dall'inizio del secolo scorso. Le donne egiziane si erano liberate dal velo a cominciare dagli anni Trenta e, partecipando al movimento anticoloniale e per l'indipendenza del loro paese, avevano ottenuto importanti affermazioni anche sul piano politico (la prima ministra donna in Egitto e' stata nominata nel 1956, in Italia vent'anni dopo, nel 1976), ma questo dava fastidio ai fondamentalisti Fratelli musulmani. Che hanno accusato le donne e i loro costumi liberali di essere la causa della sconfitta dell'Egitto nella guerra dei sei giorni contro Israele (1967): si sarebbe trattato di una vendetta di Allah (come il terremoto in Algeria) e per questo hanno imposto alle donne di tornare a mettersi il velo. Questo e' solo un episodio, ma molto significativo di una visione oscurantista che ricorre a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio obiettivo. Detto questo per liberare le donne dall'oppressione e dal suo simbolo, il velo, occorre capirne le motivazioni senza dimenticare che sotto il burqa c'e' sempre una donna. 4. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: CERRO DE PASCO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 gennaio 2009 col titolo "Rulli di tamburo a Pasco"] Cerro de Pasco: e' la capitale mineraria del Peru', oltre 4.300 metri di altitudine, su un arido altipiano andino spazzato dal vento dove cresce quasi solo erba nana. Cerro de Pasco Corporation: e' una rapace multinazionale mineraria attiva lassu' fin dagli inizi del secolo scorso. Sono luoghi e soggetti indimenticabili per chi ha letto i micidiali romanzi storico-magici, un'opera epica, dello scrittore e attivista peruviano Manuel Scorza. Gia' negli anni Venti si scopri' che le estrazioni e lavorazioni minerarie sull'altipiano avvelenavano l'ambiente. Per evitare lo scandalo, la Cerro de Pasco compro' dallo stato peruviano enormi distese di terreno inquinato, usandolo per allevarvi le pecore. Per impedire ai pastori del posto di pascolarvi i propri animali recinto' i terreni. La comunita' di Rancas si ribello' per prima, senza mezzi ne' sostegno e con esiti tragici, ma accendendo la miccia dell'ondata di protesta contadina che travolse il Peru'. Negli anni '70 la Cerro de Pasco Corporation divento' proprieta' dello stato. Ma l'inquinamento e' continuato e tuttora persiste, connaturato alla piu' fossile di tutte le attivita' umane (insieme a quella bellica): l'attivita' estrattiva. Dal 1999 la compagnia peruviana - privata - Volcan gestisce una miniera a cielo aperto lunga 1,8 chilometri. Ne estrae zinco, piombo e argento. Nella regione del Pasco i posti di lavoro sono sempre stati barattati con la salute e dure condizioni di vita. Il 13 dicembre scorso il governo peruviano ha firmato un provvedimento per spostare 11.000 famiglie lontano dal territorio che circonda la miniera e le aree destinate a discarica delle scorie. La' e' piu' forte l'inquinamento da polvere di piombo, dinamite e gas tossici. Gia' nel 2006 l'Istituto per la difesa civile aveva concluso che l'85% delle abitazioni intorno alla miniera erano inabitabili - i bambini hanno elevatissimi livelli di piombo nel sangue, e nelle campagne il bestiame muore per mancanza di acqua ed erba contaminata - ma c'e' voluto tempo perche' il governo decidesse di trasferire quella popolazione, come "questione di necessita' pubblica e interesse nazionale". Nel 2005 uno studio dell'agenzia sanitaria regionale di Pasco aveva trovato che l'80% dei bambini nelle comunita' di Quiulacocha e Champamarca avevano livelli di piombo superiori a 10 microgrammi per decilitro di sangue, il limite considerato accettabile dalle autorita' sanitarie mondiali. Nel 2006, analoghi risultati a Yanacancha. L'inquinamento cronico da piombo provoca danni neurologici e al sistema riproduttivo, malattie renali, anemia, pressione alta e problemi cardiovascolari. Nei bambini impedisce la crescita, causa disturbi comportamentali e problemi nell'apprendimento, fino al ritardo mentale. Le concentrazioni piu' elevate possono portare alla morte. Nel 2007 un centro statunitense per la salute preventiva ha analizzato suoli e case ed esaminato 357 abitanti (bambini e donne) delle comunita' di Ayapoto, Chaupimarca e Paragsha. Conclusione: il 91% dei bambini fra uno e dodici anni e l'82% delle donne in eta' riproduttiva presentavano livelli elevati di sostanze tossiche nel sangue: piombo, cesio, tallio... Peggio ancora a Quiulalocha, dove 850 persone vivono vicino ai punti di discarica delle scorie e del materiale tossico minerario. Mentre la Volcan prevede di espandere ulteriormente le proprie attivita', il progetto governativo di trasferimento della popolazione inquinata prendera' dai 15 ai 20 anni, per un costo di 1,5 miliardi di dollari. "Venti anni? Per allora saro' gia' morto" ha commentato un giovane abitante. 5. LETTERATURA. VIRGINIA COX: SCRITTRICI IN ITALIA TRA CINQUECENTO E SEICENTO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 febbraio 2008, col titolo "La Controriforma giovo' alla letteratura delle donne" e il sommario "Traduciamo stralci di una relazione scritta per il congresso che si aprira' domani a New York sul tema 'Verso una storia di genere della letteratura italiana', nell'arco temporale tra il Medioevo e il Novecento" Nel suo classico saggio intitolato "La letteratura italiana nell'eta' del Concilio di Trento" Carlo Dionisotti ha scritto a proposito degli anni fra il 1540 e il 1560 che si e' trattato dell'unico periodo della storia letteraria italiana in cui le donne "hanno fatto gruppo": cioe', una "massa critica" di autrici rilevante sotto il profilo storico e culturale. Un fenomeno, nota Dionisotti, da ricollegare all'espansione della cultura letteraria italiana connessa allo sviluppo della stampa, prima delle contrazioni provocate dalle crisi economiche e dall'introduzione della censura. Ma poco tempo dopo, fra il 1580 e il 1610, si registro' un altro momento in cui le letterate italiane "fecero gruppo", un periodo per certi versi anche piu' importante del precedente per la quantita', la qualita' e la varieta' dei testi pubblicati da donne. Dopo, un lungo silenzio. Contrariamente all'opinione piu' diffusa fra gli accademici, non ci sono prove che la Controriforma abbia avuto un ruolo significativo in questa progressiva esclusione delle donne dalla cultura letteraria del XVII secolo. Per quanto possa sembrare logico vedere nella temporanea apertura del mondo letterario alle donne un fenomeno tipicamente "rinascimentale" e nella sua successiva chiusura un effetto della "repressiva" Controriforma, i fatti dimostrano che le cose andarono diversamente. Uno dei punti piu' alti della partecipazione femminile alla cultura letteraria italiana - forse il piu' alto - si situo' appunto fra il 1580 e il 1610, e dunque all'apice della Controriforma. Anche considerando un certo scarto temporale, e' impossibile concludere che la Controriforma abbia sistematicamente messo sotto silenzio la scrittura delle donne. Paradossalmente, essa potrebbe avere avuto, invece, un effetto positivo: il suo intento di stimolare una letteratura edificante e ispirata a concetti religiosi, depurata di qualsiasi "devianza" morale e sessuale, potrebbe avere provocato (in modo presumibilmente non intenzionale) l'apertura alle donne di aree di quella produzione narrativa e drammaturgica in precedenza precluse. (...) Ben piu' importante della controriforma, nell'allontanare le donne dalla scena letteraria nella seconda meta' del Seicento fu semmai il declino delle corti che, fin dal XV secolo, si erano rivelate gli ambienti piu' favorevoli al loro emergere come protagoniste della cultura del tempo. Quanto al ruolo della scrittrice come significante culturale, dagli studi compiuti sulle loro opere dal Quattrocento al Seicento, e dalle risposte maschili a queste stesse opere, emerge con chiarezza come le scrittrici furono investite di un particolare significato storico e culturale, diventando cosi' il luogo privilegiato di processi di autodefinizione. Alcuni esempi possono aiutare a comprendere meglio questa ipotesi. Gia' dal XIV e dal XV secolo, gli umanisti, a partire da Petrarca e Boccaccio, costruirono il loro concetto di donna laica, colta e intellettuale mutuandolo dalla cultura dell'antichita' classica (in termini visuali, basti pensare alla figura di Saffo nel Parnaso dipinto da Raffaello). Questo consenti' ad altri, piu' tardi umanisti di misurare il progresso culturale italiano dal riapparire di tali modelli: moderne intellettuali come Isotta Nogarola e Cassandra Fedele venivano abitualmente elogiate come novelle Saffo. In particolare, all'interno dell'umanesimo delle corti, l'ammissione di queste donne colte alla cerchia degli uomini era il segno della novita' introdotta dalla cultura umanistica rispetto al pensiero scolastico. Un fenomeno che si accentuo' nelle corti del XVI secolo, quando la presenza delle donne come interlocutori intellettuali torno' a funzionare come significante della modernita', a maggior ragione se si tiene conto del fatto che fin dalla nascita della tradizione letteraria italiana le donne erano state identificate con le fortune del vernacolo. Tutto cio' rende piu' comprensibile la logica che governo' l'esclusione secentesca delle donne dal Parnaso e la nuova misoginia sottintesa. Se da un secolo si era accentuata la tendenza a integrare le donne nella cultura letteraria italiana, un segnale efficace di novita' e di rottura sarebbe stato il rifiuto di questa integrazione: ed e' quanto avvenne con il barocco... 6. LIBRI. MASSIMO RAFFAELI PRESENTA "SPIRALE DI DOLCEZZA + SERPE DI FASCINO. SCRITTRICI FUTURISTE" A CURA DI CECILIA BELLO MINCIACCHI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 settembre 2008 col titolo "L'altra meta' del futurismo. Avventuriere alle prese con la scrittura" e il sommario "Trenta profili delle adepte di Marinetti, unite dal sospetto verso posizioni troppo cerebrali, dal rifiuto dei giochi troppo eccentrici e da una specifica attenzione per il corpo e per i rapporti interpersonali. Una antologia curata da Cecilia Bello Minciacchi per Bibliopolis con il titolo Spirale di dolcezza + Serpe di fascino. Scrittrici futuriste"] E' noto che nel primo Manifesto del Futurismo, datato 1909, Filippo Tommaso Marinetti proclama il rifiuto della tradizione e dei suoi simboli piu' conclamati, quali l'immobilita' pensosa, il Museo e la Biblioteca, il sentimentalismo, il lirismo e il pacifismo; meno rilevata e' la dichiarazione di misoginia che pure fa da clausola al nono punto dello stesso Manifesto: "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo e il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna". E' un disprezzo, si capisce, suffragato dalla condizione di reclusa e muta immobilita' femminile in cui Marinetti vede i segni di una condizione ontologica, non certo di una costrizione storico-sociale; ne' la sua cultura di maschio nazionalista, sia pure ibridato di cosmopolitismo a' la page, puo' intendere il fatto che le donne gemebonde e diafane della recente tradizione romantica e preraffaellita, "fatalone" dannunziane incluse, siano costruzioni culturali e dunque proiezioni unilaterali dell'immaginario maschile. * Quella loro speciale virilita' Del resto l'avanguardista Marinetti mostra di ignorare sia le prime militanti del socialismo sia le suffragette del nascente femminismo; tanto meno spreca una parola per le poetesse che in quegli anni gia' testimoniano una fisionomia precisa e nient'affatto passatista o pompier: per esempio Luisa Giaconi (la cui raffinata Tebaide esce postuma nel '12), Ada Negri, il cui Esilio e' del '14, e Amalia Guglielminetti che nel '13 pubblica L'insonne. Quasi per contrappasso, colui che avrebbe sposato un'artista di indubbio rilievo e presto devota all'"aeropoesia", Benedetta Cappa, vedra' via via moltiplicarsi le poetesse convertite al verbo futurista. La prima a replicare o meglio a rovesciare il contenzioso e' una vera e propria avventuriera della scrittura, Valentine de Saint-Point, che fra il '12 e il '13 pubblica il Manifesto della donna futurista e il Manifesto futurista della lussuria. Muovendo da Nietzsche e mirando a un connubio di femminilita' e mascolinita' in cui convivano l'apollineo e il dionisiaco, de Saint-Point condanna il presunto "errore cerebrale" del femminismo e rivendica alla donna una sua specifica virilita', che e' infatti l'antipode del femminile atavico e passivo; ne conclude, platealmente: "nel periodo di femminilita' in cui viviamo, solo l'esagerazione contraria e' salutare. Ed e' il bruto che si deve proporre a modello". Il paradosso fa scalpore, Marinetti tace e pero' le rispondono, su "Lacerba", i compagni di strada futuristi pubblicando un Elogio della prostituzione a firma di Italo Tavolato ma scritto su suggerimento del maestro di cappella della reazione italica, Giovanni Papini, cui segue una grottesca coda giudiziaria (su tutta la vicenda, che rammenta la miseria intellettuale e morale degli accusati, si puo' sempre leggere un vecchio libro di Sebastiano Vassalli, L'alcova elettrica , Einaudi 1986). Il silenzio tombale di Marinetti, nonostante la nutrita presenza femminile in "L'Italia Futurista" e nei fogli ufficiosi del movimento, sarebbe durato ancora a lungo, anche dopo avere rincarato la dose, nel '17, col libello Come si seducono le donne, antesignano del machismo fascista: solo nel 1939, gia' accademico d'Italia e ormai quasi in punto di morte, si degno' di includere una donna nella silloge, peraltro minore, dei 24 giovani aeropoeti futuristi; un vuoto di testimonianze e di testi cui nel dopoguerra hanno parzialmente sopperito, fra gli altri, le antologie di Glauco Viazzi (I poeti del futurismo 1909-1944, Longanesi 1975) e soprattutto di Claudia Salaris (Le futuriste. Donne e letteratura d'avanguardia in Italia 1909-1944, Edizioni delle donne 1982). A tale riguardo, va considerato quindi una riparazione l'eccellente lavoro storico-filologico di Cecilia Bello Minciacchi, Spirale di dolcezza + Serpe di fascino. Scrittrici futuriste. Antologia (Bibliopolis, pp. 486, euro 40), che cosi' viene introdotto: "Si vedra' che il volume, rispetto a scritti giornalistici, teorici o polemici, privilegia scritti letterari, incentrato com'e' sulle opere e sui caratteri peculiari della scrittura piuttosto che sulla discussione 'di genere' ovvero su quella 'polemica sulle donne' che si sviluppo' intorno alla pubblicazione del marinettiano Come si seducono le donne. Sebbene di scrittrici futuriste si sia a volte discusso (...) oggi con rammarico possiamo ripetere anche per le scrittrici cio' che Franca Zuccoli lamentava per le artiste visive del futurismo: un sostanziale e immeritato oblio, se non un''obliterazione'". Ingente e' l'apparato documentario e bibliografico di quest'opera che comprende trenta autrici e riserva a ciascuna un profilo monografico. Alcune sembrano davvero risorte dal nulla - per esempio Emma Marpillero, Marj Carbonaro, Bianca Cafaro, Elda Norchi, e Pina Bocci di cui era nota solamente la tarda produzione di segno intimista e il carteggio relativo con Manara Valgimigli; di altre, gia' storicizzate, si disegna una immagine molto meno stereotipa: ed e' il caso, su tutte, proprio di Benedetta Cappa, moglie di Marinetti e integerrima custode del suo lascito, qui avvalorata per l'originalita' dei suoi romanzi - Le forze umane, Viaggio di Garara', Astra il sottomarino, usciti fra il '24 e il '35 - e dunque per la scelta di un genere che si direbbe il meno futurista in assoluto. Ma e' proprio la forma-romanzo a segnare fisionomia e percorsi delle maggiori autrici incluse nell'antologia: in primo luogo, Rosa Rosa' (1884-1978), pittrice e poligrafa, firmataria di un Bildungsroman, Una donna con tre anime (1918), scritto contro l'ipocrisia sociale e la noia della vita familiare in un tono che le merita la stima di scrittrice "duramente antiborghese"; ma anche Enif Robert, che induce Marinetti a co-firmare, ovvero ad "approvare incondizionatamente", il suo romanzo Un ventre di donna (1919) dove in conclusione si leggono parole di una precocita' davvero sorprendente: "Cerchiamo quindi di cambiar strada e di convivere raccontando d'ora in poi la nostra vita vera, intessuta di realta' non sempre sorridenti, che mai piu' dobbiamo diluire nel sogno. Facciamo che 'donna futurista' voglia dire coraggio+verita'". Una verita' che altre donne, specie tra le futuriste di seconda generazione, vedono purtroppo incarnata nell'Italia di Benito Mussolini e nei suoi rovinosi bluff imperialisti; quanto a cio', una giovane del gruppo bolognese "Guglielmo Marconi", Maria Goretti, traduttrice di Platone e autrice del saggio Poesia della macchina, scrive l'anno successivo una Marcia di soldato per i reduci della sciagurata spedizione in Unione Sovietica, da cui torna, pallido fantasma di se stesso, anche Sua Eccellenza Marinetti: "Soldato/ marcia/ grigioverde/ strada/ di fango/ di neve/ di sole/ piedi sanguinosi/ piedi congelati/ sulla proda raccoglie/ un fiorellino azzurro/ andando mastica/ un fiore che sa di cicca". * I denominatori comuni Pure in un frammento tanto limitato e per giunta ascrivibile a una poetessa cosi' condizionata dal suo credo ideologico, si legge tuttavia il denominatore comune del Futurismo al femminile: vale a dire il sospetto delle posizioni puramente cerebrali, il rifiuto del gioco eccentrico o gratuito, e una specifica attenzione, invece, per la realta' del corpo e piu' in generale per la concretezza dei rapporti umani. Come se al privilegio della scrittura, e per giunta di una scrittura absolument moderne, costoro, in quanto donne, dovessero per forza accedere da fuori o da sotto, cioe' pagando un doppio pegno personale, e talora sanguinoso. Anzi, mutamente sanguinoso. Quel soldato alla deriva non fa pensare affatto alla Battaglia di Adrianopoli e ai suoi rimbombi grotteschi ma fa pensare, semmai, ai commilitoni laceri e infangati di Giuseppe Ungaretti, un altro ex futurista poi a lungo, e piu' o meno ambiguamente, fascista: perche' non sulle tavole del paroliberismo ma nel dolore assoluto, nell'esperienza estrema del corpo, e' nata la poesia che diciamo nostra contemporanea. 7. LIBRI. MARINA VERZOLETTO PRESENTA "ALESSANDRO MANZONI. QUATTRO RITRATTI STRAVAGANTI" DI SILVIA GIACOMONI [Dal mensile "Letture" n. 653 del gennaio 2009 col titolo "Cosi' cattolico, cosi' biblico, cosi' moderno"] Silvia Giacomoni, Alessandro Manzoni. Quattro ritratti stravaganti, Guanda, 2008, pp. 167, euro 13. * "Amare Manzoni non e' di moda; e' come amare la moglie". La battuta di Silvia Giacomoni da' il tono al dibattito nella riunione mensile per il "Libro del mese", che questa volta vede presente l'autrice. I Quattro ritratti stravaganti sono stati originariamente disegnati dalla Giacomoni per accompagnare il ciclo di letture manzoniane che il compianto Carlo Rivolta tenne nel 2006 su iniziativa di don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carita': quattro serate nell'ambito del Progetto Italia Telecom, in cui Manzoni veniva presentato con percorsi originali, capaci di avvicinarlo al pubblico contemporaneo e di richiamare le radici "manzoniane" di quell'anima caritativa di Milano che forse si sta perdendo. I temi scelti furono l'umilta' ("Io sono Alessandro Manzoni e nient'altro"), la paura ("Non era nato con un cuor di leone"), la conversione ("La grazia di Dio"), la carita' ("Il pane del perdono"). Alla Giacomoni interessava in particolare la ricerca della carita' nella scrittura: se la scrittura e' comunicazione, implica il mettere in comune, ossia una forma di carita' nei confronti del lettore; e premeva indagare la vicenda misteriosa della conversione di Manzoni. A don Colmegna, interessavano i motivi della paura, o meglio, del perche' i preti non devono aver paura dei potenti, e della carita' nel senso piu' pieno e consueto. Ne usci', in quelle serate e ora nel libro, un Manzoni sorprendentemente attuale, un ritratto a piu' facce che forse snobba gli specialisti accreditati ma invoglia a rileggere i Promessi sposi. La sorpresa per questo Manzoni cosi' moderno e poco "ottocentesco", spiega la stessa Giacomoni, e' anche conseguenza dei molti luoghi comuni che ancora affliggono la cultura letteraria nazionale. A partire dall'unita' d'Italia si e' identificata la letteratura italiana con quella filorisorgimentale, anticlericale e quindi antireligiosa. Ne consegue, per esempio, l'ignoranza delle corrispondenze bibliche, dovuta al fatto che i critici italiani perlopiu' ignorano le Scritture e quindi non sono in grado di cogliere i riferimenti che invece per gli scrittori nati nel Settecento erano d'uso quotidiano. Proprio per questo costante riferimento alla Scrittura Manzoni era anzi considerato "non cattolico". Seguendo le vicende redazionali dei Promessi sposi si nota che nel Fermo e Lucia ci sono citazioni bibliche esplicite, ma non c'e' ancora lo spirito biblico dei Promessi sposi, che rende superflue le citazioni stesse. Sarebbe interessante poter ricostruire i tempi degli studi biblici di Manzoni e metterli in correlazione con le diverse stesure del romanzo; e valutare in tal senso se e quanto influsso abbia avuto la dimestichezza con le Scritture della moglie calvinista. Questo rilievo conduce la discussione sui temi del rapporto tra scrittura e vita: alla boutade pirandelliana "o si vive o si scrive" la Giacomoni oppone l'esempio della bibliografia anglosassone, con la sua costante produzione di saggi biografici. Come rileva don Rizzolo, l'antipatia degli studenti nei confronti dei Promessi sposi e' dovuta, oltre che all'obbligo di una lettura imposta, all'ignoranza rispetto all'umanita' dell'autore. Disincarnato dal contesto biografico e storico, il testo diventa muto per il lettore. Tanto piu' se si tratta di autore come Manzoni che, rileva Parazzoli, come Leopardi appare segnato da ambiguita' e ambivalenze: una personalita' da leggere a livelli diversi, dunque adattissima a diventare protagonista di un ritratto biografico a piu' facce. La struttura del libro sembra a Parazzoli di particolare interesse: il metodo del montaggio di citazioni sortisce un effetto cubista, per cui i quattro ritratti sono come quattro episodi che si sovrappongono, quattro prospettive simultanee dalle quali l'opera di Manzoni viene smontata e rimontata. Non una manzonista ma un'affezionata di Manzoni, la Giacomoni ha scelto i testi da montare seguendo percorsi del tutto personali: la conoscenza diretta, derivante dalla familiarita' con l'Ottocento milanese conseguente agli studi su Cattaneo; la collaborazione con Angelo Stella e Gian Marco Gaspari alla Casa del Manzoni; il contributo di testi da parte di Giuseppe Polimeni dell'Universita' di Pavia. Il criterio fondamentale e' stato partire dalle persone che erano state piu' vicine a Manzoni e poi progressivamente allargare l'orizzonte, arrivando per esempio a Goethe come caso illustre di ricezione nell'alta cultura europea. Quanto alla ricorrenza dei riferimenti biblici, alla domanda di Parazzoli se siano stati ricercati per una particolare sensibilita' dell'autrice dopo il lavoro sulla Bibbia condotto per Salani la Giacomoni replica vivacemente: "Non ho dovuto cercare i riferimenti biblici, mi sono, per cosi' dire, saltati addosso!". Comunque, dalla consuetudine con il testo biblico nasce uno degli episodi piu' emozionanti del libro: nel terzo "ritratto", la narrazione delle vicende biografiche di Manzoni a partire dalla morte di Enrichetta Blondel, narrazione condotta come una parafrasi del libro di Giobbe. In effetti l'autrice ha dovuto costruirsi un datario della biografia manzoniana, al fine di curare le corrispondenze tra gli episodi che ricompaiono nei diversi ritratti. In tal modo le e' balzata agli occhi l'impressionante sequenza di lutti e rovesci che inizia nel 1833 e prosegue fino alla morte del Manzoni, crudelmente preceduta di tre settimane da quella del figlio maggiore Pietro, che nessuno ebbe il coraggio di riferirgli. Secondo Alessandro Zaccuri, ad avvicinare i Promessi sposi e la Bibbia e a condannarli a una comune disaffezione e incomprensione e' anche la circostanza di essere letti a pezzi piuttosto che nella loro integrita'. Impressiona ed e' molto forte in Manzoni il fatto di arrivare alla Bibbia attraverso la liturgia, ossia attraverso l'ascolto. In effetti la liturgia, rileva la Giacomoni, fu una presenza costante nella vita quotidiana del giovane Alessandro. La particolare struttura narrativa si manifesta anche in una scelta tipografica rilevata da Aldo Giobbio e che, a prima vista, puo' sembrare una carenza editoriale: l'assenza di variazioni tipografiche che identifichino le citazioni. Scelta intenzionale, invece, cosi' come il confinamento delle note a fine volume, affinche' il testo sia letto come un racconto unico e non come un collage frammentario. Altri dettagli emergono dalle molte sfaccettature dei quattro ritratti: per esempio la questione della "castita'" di Lucia, che nella prima redazione del romanzo non era cosi' verginale, anzi recava una carica di fisicita' di cui resta traccia nella resistenza al "risciacquo in Arno" delle sue espressioni linguistiche. Giobbio e' diffidente riguardo alla piena ortodossia cattolica dei Promessi sposi, che gli appaiono piuttosto come un romanzo a doppia chiave: il vero finale sarebbe un'impasse totale, sulla quale la peste interviene come deus ex machina. Una nota di dubbio, che rende comunque omaggio al temperamento di storico del Manzoni e al metodo di contestualizzazione biografica di Silvia Giacomoni. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 231 del 22 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Minime. 708
- Next by Date: Minime. 709
- Previous by thread: Minime. 708
- Next by thread: Minime. 709
- Indice: