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Minime. 697
- Subject: Minime. 697
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 11 Jan 2009 01:02:49 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 697 dell'11 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Alcune cose che ho imparato 2. Alcuni estratti da "Mosaico" di Stefano Levi Della Torre 3. Nadia Fusini presenta "Le meraviglie del creato e le stranezze degli esseri" di Zakariyya Ibn Muhammad al-Qazwini 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: ALCUNE COSE CHE HO IMPARATO "Quod apud Graecos in proverbium cessit: talis hominibus fuit oratio qualis vita" (Seneca, Ad Lucilium, 114, 1) Il vantaggio di avere una lunga barba bianca, ovvero di essere ancora vivo a un'eta' in cui si sa di essere fortunati ad esserci arrivati, e' che alcune cose dovresti averle imparate. * 1. Ho imparato che la giusta e necessaria lotta di liberazione e di solidarieta' dei popoli e delle classi oppresse deve essere nonviolenta, o sara' destinata alla sconfitta, ed in questa sconfitta sara' travolta l'umanita' intera. La nonviolenza e' la lotta di liberazione e di solidarieta' che l'umanita' intera raggiunge, convoca, riconosce, salva. * 2. Ho imparato che l'unica vera fondamentale misura della liberta' di tutti e' nella liberta' femminile: una societa' - o una cultura - che nega la liberta' delle donne e' gia' il fascismo. * 3. Ho imparato che la civilta' umana si fonda sul riconoscimento dell'altrui umanita' e sulla comune responsabilita' per la biosfera. E che quindi l'uccidere e la guerra sono nemici assoluti dell'umanita', ed e' compito dell'umanita' intera e di ogni persona in cui essa si incarna contrastare la guerra e le uccisioni, e di esse tutti gli strumenti, gli apparati e le logiche. * 4. Ho imparato che non sara' la lotta armata (sia essa degli eserciti regolari degli stati arabi, della guerriglia di liberazione nazionale, del terrorismo fondamentalista) che potra' garantire la nascita di uno stato in cui il popolo palestinese possa vivere in liberta', sicurezza e benessere. Solo la pace garantira' la liberta' e i diritti del popolo palestinese in uno stato di Palestina indipendente e democratico al fianco dello stato di Israele. Chi uccide o tenta di uccidere pretendendo di farlo in nome del popolo palestinese, del popolo palestinese e' nemico. * 5. Ho imparato che nessuna guerra potra' mai garantire la sicurezza della popolazione dello stato di Israele e l'esistenza stessa di quello stato, anzi ogni guerra accrescera' il pericolo per essa ed esso. Politicanti irresponsabili e assassini facendo la guerra possono vincere le elezioni, certo; ma nessuno spargimento di sangue potra' portare pace, sicurezza, benessere. Solo la pace garantira' la sicurezza e il benessere della popolazione israeliana in uno stato di Israele sovrano e democratico al fianco dello stato di Palestina. Chi uccide o tenta di uccidere pretendendo di farlo in nome della popolazione e dello stato di Israele, del popolo e dello stato di Israele e' nemico. * 6. Ho imparato che in Europa Hitler ha seminato tanti seguaci ed eredi che sono divenuti legione e prominenti non solo nei governi di destra e nelle gerarchie religiose, ma finanche nei gruppi dirigenti e nelle basi militanti della sedicente sinistra (che pertanto sinistra gia' non e' piu'). Di solito costoro fingono di essere contrari ai pogrom, fingono di essere inorriditi dalla Shoah, fingono di non essere piu' razzisti. Ma ogni tanto, anzi fin troppo spesso, le loro parole e i loro gesti piu' banali e irriflessi tradiscono un loro piu' fondo pensiero e talune loro piu' profonde intenzioni, ed a me che soffro di nevralgia del trigemino e basta un nonnulla per sentirmi trafiggere quasi non passa giorno che non percepisca nelle parole di autorevoli religiosi, di neofascisti e razzisti in doppiopetto o in orbace, e di scalmanati, imprenditori e burocrati dello squadrismo che pretende spacciarsi per sinistra, le stesse frasi, gli stessi scarponi, lo stesso filo spinato, lo stesso corso di ferine pulsioni e di disumanate ideologie dei seguaci del Mein Kampf. La lotta contro Hitler non finisce mai. Alla lotta contro Hitler devi prendere parte tu oggi, dentro e fuori di te. * 7. Ho imparato che se riuscissimo, le persone di volonta' buona tutte insieme, a promuovere la pace e la giustizia in terra di Palestina, fra dieci o cinque o tre generazioni non ci sara' piu' motivo per due stati diversi in quel luogo: venuta la pace, quelle popolazioni si riconosceranno sorelle, si riconosceranno infine una popolazione sola dalle molte preziose radici, una sola umanita' come in effetti gia' sono, come in effetti gia' e' l'umanita' intera. Ma oggi, oggi, occorre che nasca subito lo stato di Palestina a fianco dello stato di Israele. Subito. Occorrono subito due stati indipendenti, sovrani, liberi, sicuri, democratici. E' un passaggio urgente e indispensabile. * 8. Ho imparato che la massima sciagurata "il nemico del mio nemico e' mio amico" e' l'idiozia delle idiozie, la scelleratezza delle scelleratezze. Coloro che oggi sostengono i neonazisti del cosiddetto fondamentalismo islamico (ovvero i gruppi politico-militari che si spacciano per islamici, tradendo cosi' l'islam nel suo fondamento stesso ed essendo pertanto in realta' anti-islamici) sono dei folli e dei criminali. Cosi' come coloro che sostengono la deriva militarista e razzista del governo di Israele. * 9. Ho imparato che essere vivi e' l'unico bene che abbiamo senza del quale altro bene non si da'. E che quindi l'uccidere e' il crimine che l'umanita' deve bandire per sempre. * 10. Ho imparato che la nonviolenza e' l'unica politica adeguata ai compiti presenti dell'umanita'. * E' stato detto: neminem laedere. E' un buon inizio. E' stato detto: tratta le altre persone come vorresti essere trattato tu. E' una buona norma. E' stato detto: ama il tuo nemico. Ed e' ben detto. E' stato detto: nessun essere umano e' mio nemico. Ed e' ancor piu' ben detto. Vi e' una sola umanita', abbine cura. 2. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "MOSAICO" DI STEFANO LEVI DELLA TORRE [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Stefano Levi Della Torre, Mosaico. Attualita' e inattualita' degli ebrei, Rosenberg & Sellier, Torino 1994] Indice del volume Prefazione; Glossario; Tribu', 1982; Riflessi ebraici nella cultura europea; Oblio e memoria dello sterminio; Ricorsi dell'antisemitismo; Giudeofobia e misoginia; Il delitto eucaristico; Il Dio degli eserciti e il Dio della pace; Israeliani e Palestinesi: due nazioni si riconoscono; Il centro e il vuoto; Il sabato e il vuoto. * Da pagina 7 Prefazione Nel 1982 protestai insieme con altri contro l'attacco israeliano in Libano. Per la prima volta Israele lanciava una guerra puramente offensiva, e un confronto molto duro si era aperto con gli ebrei e tra gli ebrei. Ma avendo preso posizione su un punto cosi' pieno di implicazioni, mi sono subito trovato a dover dipanare una matassa senza fine e un groviglio di domande: perche' un italiano avrebbe, in quanto ebreo, la responsabilita' particolare di pronunciarsi sulla politica del governo israeliano? Che cosa e' un ebreo? Che cosa c'e' da dire, in quanto ebrei, non solo sulla memoria, ma anche sull'attualita' delle discriminazioni e degli stermini? O sui rapporti tra maggioranza e minoranze in una societa' multiculturale e multietnica? O sui rapporti tra diverse religioni, o tra religione e laicita'? Gli stereotipi inerenti agli ebrei, tanto quelli positivi quanto quelli negativi, tornavano a essere in discussione in Europa, e cio' era un indice e insieme una chiave di lettura di un profondo mutamento del corso della storia e delle mentalita'. Negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta ho avuto occasione di tenere numerose conferenze e discussioni su questi argomenti e sui loro intrecci. I saggi qui raccolti derivano da questa attivita' di chiarimento in pubblico: come avessi da render conto di qualcosa ogni volta, a me stesso in primo luogo, nel susseguirsi di eventi traumatici. Alle domande che si ponevano (che cosa ha da dire un ebreo?...) non avevo risposte gia' pronte ne' per me ne' per gli altri. Per me come per molti della mia generazione diffusamente secolarizzata, nata fortunosamente durante lo sterminio nazista o subito dopo, l'ascendenza ebraica era rimasta sullo sfondo, un blasone di scampato martirio e un insieme di sintomi, di storie e di lessici familiari, un retaggio delegato alla generazione dei padri e delle madri. Ma la loro morte ci ha posto di fronte alla scelta di assumere o no quell'eredita' tramandata appena per cenni: ho dovuto mettermi a studiare, partendo da una fondamentale ignoranza. Ma non era solo questione di un'eredita' peculiare; si entrava in un clima in cui ci si sentiva orfani delle ideologie e degli schieramenti politici che avevano orientato le identita' personali e collettive per quasi un secolo, e il loro collasso spingeva alla ricerca di altri ancoraggi, di paradigmi piu' duraturi; l'ebraismo rappresentava una strategia culturale della durata. Trovandomi a render conto a me stesso e a un pubblico di volta in volta differenziato per eta', condizione, religione e cultura, non potevo non chiedermi quanto l'ebraismo costituisca una realta' a se', o quanto sia una peculiarita' capace di parlare universalmente. E ho usato spesso criteri comparativi, per scoprire sia cio' che nella civilta' e nell'esperienza ebraica e' specifico e divergente rispetto ad altre civilta' ed esperienze, sia cio' che e' convergente e generalizzabile. Vorrei essere riuscito in queste pagine a rappresentare un movimento che e' personale, ma e' anche tipico di quest'epoca investita dai problemi dell'identita': il volgersi di un ebreo verso l'ebraismo, e dall'ebraismo verso il mondo. Questi scritti, in parte gia' pubblicati separatamente in libri collettivi e riviste, contengono riferimenti d'occasione, che ho preferito lasciare come registrazione del loro sviluppo nel tempo. Vi ho apportato pero' diversi ritocchi ed aggiunte. Il titolo, Mosaico, mi e' stato suggerito da una frase scritta nel 1638 da Simone Luzzatto, rabbino a Venezia: "un ebreo e' un mosaico di elementi diversi": mosaico per il carattere composito di ogni identita' e cultura; mosaico, come aggettivo riferito a Mose'; e infine mosaico perche' il libro e' composto di "tessere" di diverso argomento. * Da pagina 13 Tribu', 1982 [1983] Incontro P. M. ad una manifestazione contro la guerra in Libano: "sono qui perche' c'e' un'amica a Beirut", mi spiega, aggressiva, come a volersi scrollare di dosso il sospetto di un'intenzione politica che non abbia un immediato motivo personale. Dissociazione tra intelletto ed affetto: ogni volta dobbiamo constatare la nostra difficolta' ad assimilare la tragedia. Siamo piu' intimamente coinvolti dalla sofferenza di un singolo che abbia un volto per noi, che da un disastro o una strage. L'intelletto concepisce anche milioni di morti, ma il sentimento comprende quasi solo i fatti personali, perche' l'affetto e l'emozione sono rimasti alle dimensioni primitive del clan familiare e del villaggio. Non tanto la ragione, quanto una potente fantasia puo' estendere le dimensioni ridotte delle nostre emozioni, puo' allargare i confini del "nostro prossimo" fino a cercare di comprendere, o meglio di sentire, qualcosa di universalmente umano. Forse si puo' dire che tra l'individuo e l'universo, tra l'universo e il vissuto limitato ed incerto del singolo, c'e' una dimensione intermedia e variabile, il luogo di una socialita' essenziale, fisica e diretta con altri esseri umani, dove conoscere e riconoscersi e dove il senso delle cose e' per gran parte consenso, sentire insieme, senso comune, e quindi reciproca conferma e capacita' di comunicare, linguaggio: quella dimensione ne' troppo piccola ne' troppo grande, senza la quale il singolo non impara ne' osa generalizzare, e neppure ha esperienza sufficiente del "tu" per potersi definire come "io". Non basta la mamma, ci vuole "tribu'", comunita', il senso comune, il senso fisico ed emotivo di una appartenenza sociale affinche' il singolo si faccia persona - l'"io" e il "tu", in un'unica persona - e riproduca se stesso come persona. Una comunita' ne' cosi' piccola e chiusa da essere incapace di confermare il senso di una cosa come senso (forse) universale; ne' cosi' grande ed aperta da essere indeterminata, priva di identita', e troppo al di la' dall'essere compresa come esperienza tattile e come presenza. Si puo' dire che il carattere umano - impasto di affetto ed intelletto - della "coscienza di classe" (vissuta, non ideologica), sta nel fatto che su una comunanza di interessi materiali si svolga una identita' collettiva, un senso di appartenenza a una comunita' fisica fatta di rapporti interpersonali, contro il rapporto impersonale con il capitale: sta nel senso tribale della classe, di "fratellanza" come immaginaria parentela, che ha una sua dimensione non indefinita. L'internazionalismo (proletari di tutto il mondo...) rimane cosi' un concetto, difficilmente si fa sentimento: solo in qualche caso non e' al di la' della portata emotiva: solo di rado e' assunto in proprio e non delegato all'esterno, al partito e alla sua capacita' di astrazione. Che cosa e' quella felicita', ossia quel senso di pienezza e di ricomposizione interiore che, almeno per un tempo breve, sperimenta chiunque si faccia prendere da un movimento collettivo? E' la rivelazione di una appartenenza tribale, di una forma di parentela, la cui fisicita' sta nella presenza (i "compagni", le "donne"): quell'essere "noi" non in astratto, ma in tempi e luoghi determinati e reali. E se l'infelicita' sociale sta anche nella normale dissociazione tra dimensione intellettuale e dimensione emotiva, tra il comprendere e l'essere coinvolti, la condizione del movimento, come forma caduca e intensa del "bisogno di tribu'", si presenta come felice ricomposizione momentanea: attraverso la fisicita' collettiva, attraverso il senso comune, e il movimento dentro uno spazio reale, intelletto ed affetto trovano, per una volta, una misura comune. E' un sogno in comune, in uno spazio reale, come il teatro. * Da pagina 51 Oblio e memoria dello sterminio [1988] Gli "ultra" allo stadio, che con striscioni e slogans evocano le camere a gas e i forni crematori, contro gli avversari "ebrei", sognano una vittoria assoluta della loro squadra e un annientamento dell'altra. Dal loro punto di vista, la partita e' un gioco "a somma zero": vittoria piu' sconfitta = zero. La partita e' allora un simbolo di tutti i "giochi a somma zero", di tutti gli antagonismi totali, che sono quelli piu' tragici ma anche intellettualmente ed emotivamente piu' elementari. Corrispondono allo schema binario "si', no". L'esaltazione di Auschwitz allo stadio ha lo stesso senso: anche i nazisti sostenevano di aver ingaggiato con gli ebrei un "gioco a somma zero": o noi annientiamo loro o loro annienteranno noi. Cosi', la competizione sportiva e' vista come antagonismo assoluto, come "soluzione finale", Auschwitz ne e' il paradigma e l'ideale. La partita, invece di disinnescare il conflitto giocandolo, lo amplifica e lo proclama come intenzione politica. Domanda: e' l'odio contro gli ebrei a ispirare un antagonismo assoluto, o e' il bisogno di un antagonismo assoluto, elementare e risolutivo, ad affermare lo sterminio nazista come bandiera? E' piu' la seconda cosa che non la prima: ma cio' non tranquillizza, perche' anche l'antisemitismo strettamente inteso e' ispirato dagli stessi meccanismi "astratti", dai principi economici dell'odio che governano i nostri comportamenti sociali non meno di quelli dell'amore e della solidarieta'; odio e amore come istanze "a priori", che solo dopo trovano il loro oggetto, magari gia' codificato dalla tradizione. Chi esalta Auschwitz allo stadio non lo fa, come qualcuno ha sostenuto, per ignoranza. Al contrario, lo fa proprio perche' di Auschwitz sa quanto meno l'essenziale: che vi furono sterminate milioni di vittime, vagheggiate come nemici mortali. Per lungo tempo ho creduto, come molti, che la conoscenza dei campi di sterminio fosse il principale antidoto contro ideologie naziste o di "pulizia etnica". Ora le cose mi sembrano piu' complicate. Le conseguenze del sapere mi sembrano meno univoche. Da un lato, e' vero, il sapere educa i molti, ma per altri puo' essere assuefazione o persino istigazione. E' successo, dunque puo' succedere di nuovo, ha detto Primo Levi (ad esempio succede in Bosnia). Ha anche detto: chi nega che sia successo quel che e' successo e' proprio quello che e' pronto a rifarlo. Ma forse e' pronto a rifarlo, o ad accettarlo, anche chi non nega affatto quanto e' successo. In altri termini, mi sembra semplicistico pensare che la battaglia su questo fronte sia quella del sapere contro l'ignoranza. E' una battaglia di principi, di valori e di coscienza, e il "sapere" non e' ancora tutto questo, come il nazismo, che non era fatto di incolti, ha dimostrato. E' anzi proprio questo rapporto tra sapere e barbarie uno dei problemi centrali che il nazismo ci ha lasciato in eredita'. * Da pagina 135 Il Dio degli eserciti e il Dio della pace [1994] Mentre crollano o si logorano potenti "regni mondani", una nuova effervescenza religiosa segna questo fine millennio. Essa sembra rispondere alla caducita' delle certezze antropocentriche di due secoli di secolarizzazione. E' una rivalsa dell'illusione sulle delusioni della storia, una critica alla "modernita'", alla ragione strumentale dei liberalismi e dei marxismi, di cui vuole rappresentare un'alternativa e uno sbocco. Solo in apparenza e' "un balzo di tigre nel passato", nella tradizione: ha in se' qualcosa di vitale come lo ha ogni ripresa dell'illusione, dato che - spiegava Leopardi - l'illusione e' la molla del futuro. Ma di un futuro non necessariamente migliore. Che siano islamici o cristiani, ebraici o induisti, gli integralismi religiosi, in espansione dagli anni Settanta, si intrecciano con l'eterofobia e la xenofobia, e fomentano intolleranza e conflitti. Ma, dall'altra parte, sull'altro versante dello stesso impulso religioso, c'e' una ricerca di fondamenti etici e un respiro intellettuale ampio che favoriscono i riconoscimenti reciproci e la pace. Le religioni attraversano i confini statali e linguistici, sono piu' estese o piu' ridotte delle entita' politiche e nazionali. Rivolgendosi alla spiritualita' individuale e alle appartenenze comunitarie, le identita' religiose delineano una dimensione spostata rispetto a quella di cittadinanza. In altre parole, l'accento sull'appartenenza religiosa e' uno degli indici che dall'alto e dal basso, da una dimensione sovranazionale o subnazionale, rivelano una situazione critica degli stati/nazione. E poiche' la democrazia come controllo popolare della delega politica e' una possibilita' verificata solo su determinate estensioni territoriali e demografiche, e assai meno sulle nuove dimensioni transnazionali, o continentali, o di "governo mondiale" (di piu' difficile percezione e controllo), l'elemento religioso indica anche i limiti attuali dell'esercizio della democrazia e li rimette in discussione. Il nazionalismo ottocentesco, che ha dato forma statuale alle nazioni moderne, tendeva a fare della nazione una superetnia: una stessa lingua, stessi miti e tradizioni, una stessa cultura, possibilmente una stessa religione. Oggi assistiamo a tendenze inverse: ad etnie che pretendono di farsi nazione e stato, come nella ex Jugoslavia o nel Caucaso; a correnti religiose che pretendono di farsi super-nazioni e stati-guida, come l'Iran. La critica religiosa alla "modernita'" non va nel senso di negarla, ma nel senso di sussumerla. Come osserva Gilles Kepel (La revanche de Dieu, Paris, Seuil, 1991), se fino agli anni Settanta il problema sembrava quello di modernizzare il cristianesimo o l'islamismo o l'ebraismo, ora, all'inverso, si pone nel senso di come cristianizzare, islamizzare o ebraizzare la "modernita'". * Secolarizzazione reversibile Ma cio' che con termine rozzamente riassuntivo definiamo "modernita'" ha sviluppato criteri alternativi alla religione spesso piu' apparenti che reali. Usciamo da due secoli di secolarizzazione imperfetta, poiche' molte delle figurazioni proprie del religioso non sono state realmente superate, ma piuttosto riciclate in nuove incarnazioni. Le facciate ufficiali della secolarizzazione sono state trionfalistiche (la tecnica, il progresso...), come trionfalistica e' l'ufficialita' religiosa. La sostituzione della "dea ragione" alla divinita' tradizionale durante la rivoluzione francese, non era una battuta polemica, ma piuttosto un lapsus, la sincera riedizione di un culto, di caste sacerdotali trasferite dal terreno della teologia a quello della ideologia, dall'appartenenza confessionale all'appartenenza politica e ideologica. Cosi', se Durkheim insegnava che nei culti religiosi le societa' venerano la propria immagine camuffata, noi abbiamo visto come nei culti politici le collettivita' venerino antichi idoli camuffati da istituzioni civili. Hans Kelsen (L'anima e il diritto, 1989) sostiene che "il problema fondamentale della teologia, il rapporto tra Dio e il mondo, corrisponde perfettamente al problema centrale della dottrina dello Stato, il problema del rapporto tra Stato e diritto: nel senso della trascendenza dello Stato rispetto alla societa' e al diritto". J. L. Talmon (Destin d'Israel, Paris, Calmann-Levy, 1967) osserva come "non si potrebbe trovare nella storia dell'umanita' una rivoluzione di piu' vasta portata della perdita della fede in una provvidenza che veglia sugli esseri umani e sulla societa', e che li guida verso qualche soluzione razionale e salvifica". Tuttavia, questa rivoluzione non e' avvenuta che in alcuni spiriti tragici ed eletti (in Leopardi, in Nietzsche, in Kafka, critici radicali della provvidenza secolarizzata), non gia' nelle vicende maggioritarie della secolarizzazione. La divina provvidenza cacciata dalla porta e' rientrata travestita dalla finestra. Prima nell'idea borghese di progresso, della "mano invisibile" del mercato e dell'interesse privato, provvidenzialmente volti verso il bene comune. Poi, la tragedia reale del progresso tecnico, con le sue trasformazioni accelerate e dissolutrici, ha suscitato due nuove incarnazioni "mutanti" della provvidenza, l'una di destra, l'altra di sinistra. L'una, da destra, reagiva all'angoscia del mutamento e delle mescolanze promettendo l'affermazione dell'immutabile: indossava, nel fascismo e nel nazismo, le vesti della Natura e dello Spirito, annunciando l'ordine gerarchico e provvidenziale del "superiore" sull'"inferiore". L'altra, da sinistra, reagiva alla tragedia del mutamento indossando le vesti della storia, provvidenzialmente orientata verso un futuro di uguaglianza e giustizia, un futuro fraterno ma soprattutto sotto controllo. Cosi' ideologie liberali, fasciste o socialiste, pur differenti di carattere e valore, hanno ciascuna per il suo verso ricalcato le strade della teologia. Se qualcosa di vero c'e' in queste considerazioni sommarie, potremmo allora osservare che, come le ideologie sono state almeno in parte un viraggio secolaristico delle rappresentazioni teologiche del mondo, cosi' oggi la ripresa delle religioni rappresenta in parte un viraggio teologico dei problemi della secolarizzazione. In parte, l'alternativa tra religione e secolarizzazione e' apparenza. L'alternarsi dell'una e dell'altra e', in parte, un falso movimento, poiche' sembra ruotare su alcune categorie comuni ad entrambe. Si puo' forse ancora osservare: un tempo i credenti pensavano vero cio' che credevano e da cio' traevano la loro identita'. Oggi pensano vera l'identita' e da cio' traggono il loro credere. * Rotazioni Ora, se la religione si proponesse di far credere cio' che e' credibile, non assolverebbe nessuna funzione sua propria. La fede e' tale solo se si apre sull'incredibile e sull'inaudito, e questo vale non solo per la fede religiosa, ma per qualunque atto creativo e innovativo. Ma quando questa sublime contraddizione, di credere nell'incredibile, cade in basso, si degrada in una incoerenza, qual e' quella di uccidere in nome di un dio che vieta di uccidere; di non perdonare in nome del dio del perdono; di fare la guerra in nome del dio della pace. Di per se' le religioni non danno alcun affidamento. Ruotano, come tutte le cose umane, tra il bene e il male. Sicche' anche il nostro titolo: "Il Dio degli eserciti e il Dio della pace" non lo terremo fermo ma lo faremo ruotare. * Da pagina 149 Israeliani e palestinesi: due nazioni si riconoscono [1993] Israele e' nata dall'immigrazione, ma ora e' in maggioranza di nativi; i palestinesi erano nativi ma hanno acquistato il senso di se' come "nazione" soprattutto a contatto e in contrasto con la formazione di Israele. Come "nazioni", israeliani e palestinesi sono giovani, pressoche' coetanei. Ossessionati dal problema di esistere come nazioni, misurano il loro grado di esistenza sul possesso dello stesso territorio. Per ciascuno riconoscere l'altro significava infirmare la propria stessa esistenza. Come appariva l'altro? Non come un popolo, una societa' impegnata in primo luogo a esistere, ma come agente di un progetto politico ostile, e come tale neutralizzabile e da neutralizzare: i palestinesi riassunti come "terrorismo"; gli israeliani riassunti come "imperialismo". Ma l'antisemitismo ha offerto un esempio estremo di questo riassumere la ragion d'essere di un gruppo umano in una sua presunta funzione politica: per l'antisemita, la ragion d'essere dell'ebreo non e' che politica, il "progetto politico di un dominio sul mondo". Questo, al limite. Concretamente, negli stereotipi di parte araba e palestinese, la ragion d'essere principale di Israele non era quella di vivere, ma quella di funzionare come agenzia dell'imperialismo: negli stereotipi israeliani ed ebraici, la ragion d'essere dei palestinesi non era tanto in se', nel fatto di essere li' come popolazione nativa fattasi nazione, ma quella di agenzia politica del terrorismo. Ci potevano essere elementi di verita', ma stravolti nella loro importanza. Questi stereotipi reciproci infatti sopravvalutavano le "funzioni politiche" e sottovalutavano la tenacia inesorabile di chi lotta soprattutto per esistere e per garantirsi un futuro. Nel quadro di questi stereotipi, ogni concessione fatta alle ragioni vitali dell'altro risultava un autolesionismo e un tradimento. I filoisraeliani a oltranza e gli antisionisti a oltranza hanno contribuito a inchiodare gli uni e gli altri a una logica senza sbocco, riducibile a questo: contrapporre tutte le ragioni degli uni contro tutti i torti degli altri. Una logica che non poteva portare che a uno stallo, a un "gioco a somma zero". Ma poiche' nessuna delle parti poteva permettersi di perdere l'essenziale, compromettendo la propria sopravvivenza nazionale, che e' un argomento duro, molto piu' solido di quella mera "funzione politica" che la propaganda dell'uno attribuiva alla ragion d'essere dell'altro, lo stallo e' durato decenni. Il nocciolo della questione era un altro: la' non si fronteggiavano delle ragioni contro dei torti, ma due ragioni, due stati di necessita' prodotti dalla storia, due diritti irrinunciabili a esistere sulla stessa terra. E questo dato di fatto doveva portare a un gioco "a somma diversa da zero", in cui ogni parte, guadagnando qualcosa, avrebbe perduto qualcosa, attraverso la trattativa e la spartizione. Shamir diceva: "Arafat e' come Hitler", e ora Rabin gli stringe la mano. Che sia dettata dalla convenienza o dalla convinzione, la scena e' tutt'altro che formale. I capi fanno un gesto fino a un giorno prima bollato come tradimento dalle rispettive dottrine ufficiali, trasgrediscono per televisione un tabu', una fissazione delle rispettive mitologie nazionali. Passare da un "gioco a somma zero" a uno "a somma diversa da zero" non solo cambia la politica, ma rimette in discussione il come ciascuno si e' raccontata la storia, va fino a toccare i paradigmi dell'identita'. Tra gli ebrei la questione coinvolge i rapporti con Israele in quanto polo di identita', e il cambiamento di prospettiva non e' affatto pacifico: molti "elaborano un lutto". Anche in campo palestinese avviene un rimescolamento. Mille nuove tensioni sono indotte dalla svolta. Non che la cosa nasca ora: dall'inizio, ma segnatamente dalla guerra del Libano del 1982, un lavoro politico e dottrinario, filosofico e morale ha fatto crescere, specie nel mondo ebraico, un vasto movimento per la pace e ha preparato l'avvenimento nella mentalita' e nei linguaggi. Ma ai molti (tra cui ho l'onore di annoverarmi) che hanno per anni nuotato contro corrente, la stretta di mano tra Rabin e Arafat da' comunque la sensazione di un salto. Il rimescolamento mentale andra' in diverse direzioni; e' difficile calcolarne la portata. Come per esempio riaffileranno i loro argomenti (di destra e di sinistra) i demonizzatori del sionismo, piu' "palestinesi" dell'Olp? Quali nuove razionalizzazioni troveranno quei portatori sani di antisemitismo, laici o religiosi, che cercavano nella protervia del governo israeliano la conferma di quanto gia' "sapevano" dell'"essenza ebraica"? Questa svolta e' di altro ordine che non quella di Camp David, che porto' alla pace tra Israele ed Egitto nel 1979. La' i palestinesi venivano lasciati fuori, e il nocciolo simbolico e politico della questione veniva aggirato. Qui, l'incontro e' tra i due protagonisti. Il fatto che la tornata di trattative arabo-israeliane, aperta dopo la guerra del Golfo, abbia i suoi primi risultati a partire dai palestinesi, significa che la questione e' stata presa non per la coda ma per le corna. Questo da' all'intero processo di pace un punto di partenza forte: gia' se ne vedono gli effetti a catena (con la Giordania, il Marocco, l'Indonesia, il Vaticano). E se la Siria, scavalcata, va organizzando una rivolta di gruppi palestinesi contro l'Olp e contro l'accordo, credo lo faccia per guadagnare terreno nelle trattative; non per uscirne. Gli israeliani hanno vantato a ragione la loro anomalia, d'essere l'unica democrazia nella regione. I palestinesi hanno lottato anche in nome degli stessi principi a cui si richiamano gli israeliani: diritto alla terra, diritti umani, diritto a uno Stato, democrazia, giustizia, autodeterminazione. Cio' ha indotto negli stessi palestinesi un'anomalia rispetto agli altri popoli arabi. Lottando corpo a corpo, israeliani e palestinesi si sono consolidati come due anomalie nella regione. Anche per questo le divergenze si stanno ribaltando in convergenze: nel contesto in cui si trovano, avranno da difendere in comune le loro rispettive anomalie, le conquiste che si sono reciprocamente strappate. Le simmetrie che li opponevano, ora sembrano diventare argomento di riconoscimento reciproco, elementi comuni di linguaggio, malgrado l'odio che rimarra'. L'accordo dice: "A cominciare da Gerico e Gaza". E' chiaro, non e' che l'inizio. Ci saranno ostacoli, cadute, atti di terrorismo da entrambe le parti. Ci si scontrera' sui problemi di Gerusalemme, della distribuzione delle acque, dei rapporti economici in una situazione di sviluppo ineguale, sui problemi dei coloni e della sicurezza, di un nuovo Stato o di una federazione con la Giordania. Per cominciare, questo accordo deve essere nutrito con idee e denaro, dall'appoggio internazionale: come il Sudafrica, e' un fatto di controtendenza in un quadro di montante razzismo e conflitti etnici. E se oggi va di moda dire che e' difficile vivere quando si perde un nemico, almeno su questo possiamo andare tranquilli: questa intesa ha molti nemici. Post scriptum: "Halwaj she-ja'amod" disse il Signore, guardando il creato ai suoi primi passi: "Speriamo che stia in piedi". 3. LIBRI. NADIA FUSINI PRESENTA "LE MERAVIGLIE DEL CREATO E LE STRANEZZE DEGLI ESSERI" DI ZAKARIYYA IBN MUHAMMAD AL-QAZWINI [Dal quotidiano "La Repubblica" del 7 gennaio 2009 col titolo "Islam tra scienza e magia. Una lezione antica del mondo mussulmano" e il sommario "Ci fu un tempo in cui tra Oriente e Occidente il rapporto era di scambio creativo come dimostra il grande classico Le meraviglie del creato e le stranezze degli esseri di Zakariyya al-Qazwini. L'autore sembra rivolgersi al lettore con un'intima confidenza: non deve essere uno specialista, ma curioso e pronto alla sorpresa. Fin da subito di un'immensa popolarita', divenne uno dei testi piu' celebri della letteratura araba e tra i piu' letti dagli eruditi d'Oriente. Un'enciclopedia della natura del Duecento che descrive i fenomeni senza eliminarne l'eccentricita' e con una specie di rapimento estatico"] Sapreste rispondere alla domanda: l'amore e' figlio della conoscenza, o la conoscenza dell'amore? Leonardo dice che e' vera la prima ipotesi, qualora si intenda una conoscenza concreta. Alla stessa domanda al-Qazwini risponderebbe che no, la conoscenza e' figlia dell'amore. Anzi, aristotelicamente, della meraviglia. La quale meraviglia ha molto a che fare con l'amore, e con il sentimento della gratitudine. E' un sentimento che trasuda dallo studio del creato del grande studioso persiano del Duecento Zakariyya Ibn Muhammad al-Qazwini, intitolato per l'appunto Le meraviglie del creato e le stranezze degli esseri (a cura di Syrinx von Hees, traduzione di Francesca Bellino, Mondadori, pagg. xxxv+322, euro 17). Gia' dal titolo si intende che sara' una particolarissima opera scientifica, dove la scienza piu' che una fredda disciplina preoccupata del rigore dei suoi statuti, e' interpretata come una disposizione alla catalogazione, alla descrizione dei fenomeni. Al-Qazwini, piu' che uno scienziato, piu' che un filosofo, e' un enciclopedista, e soprattutto uno scrittore, e descrive il mondo creato con rapimento estatico, mai togliendo ai fenomeni quel che la scienza, la nostra idea di scienza, tendera' a far passare in secondo piano, addirittura eliminare, e cioe' la singolarita', l'eccentricita'. Chi fa scienza da un certo punto in poi, intendo dal punto di vista temporale, dovra' rispondere alla struttura generale, piu' che all'esperienza singola. Dovra' descrivere leggi. Ma c'e' un momento, meraviglioso davvero, di cui questo libro scritto nel Medioevo islamico e' un esempio, e che dura piu' o meno fino al Cinquecento, dove la scienza e la magia si toccano. Vengono in mente altrettanto meravigliose opere che circolano ancora nel Rinascimento inglese, come il De proprietatibus rerum del francescano Bartolomeus Anglicus, scritto intorno alla prima meta' del secolo XIII, o il Liber de natura rerum, del belga Tommaso di Cantimpre' scritto anch'esso negli stessi anni. Non sorprende che questa enciclopedia della natura dell'erudito Zakariyya godette fin da subito di una immensa popolarita', fino a diventare, come conferma la dotta curatrice del volume Syrinx von Hees, uno dei testi piu' celebri della letteratura araba: fu tradotto in varie lingue e si impose come uno dei libri piu' letti dagli eruditi d'Oriente fino al XIX secolo. La valorosa traduttrice, Francesca Bellino, da parte sua ci rammenta che nonostante l'importanza e l'ampia circolazione nel mondo islamico, l'opera non e' stata mai tradotta integralmente in nessuna lingua occidentale. Anche questa sua traduzione riguarda circa la meta' delle meraviglie e delle stranezze catalogate e descritte nell'originale. Ma tanto basta per incantare il lettore. Il quale, a distanza di secoli e di terre e mari, si sente interpellato direttamente dall'autore con una confidenza intima, semplice. Affidati a me, gli consiglia Zakariyya, e ti raccontero' le meraviglie del creato e non devi essere uno specialista, devi essere curioso e pronto alla sorpresa. Per te, lettore, continua, io ho raccolto quel che era sparpagliato e ho rilegato in un libro quel che era disperso. Un libro! C'e' forse qualcosa di piu' meraviglioso di un libro? - un libro che fa da specchio al libro della Natura, che e' il libro di Dio? Nel nome di Dio, Clemente e Misericordioso, il servo Zakariyya si mette all'opera. Scrive. Perche' i libri danno senso alla vita. E racconta come fu che lui personalmente comincio' a leggere i libri. Non aveva neppure vent'anni, quando la sua citta', Qazwin, collocata a nord-ovest di Teheran, ai piedi delle montagne che s'affacciano sulla riva meridionale del Mar Caspio, fu conquistata dall'esercito mongolo. Insieme ad altri dotti persiani Zakariyya emigro' e si stabili' a Mosul, e li' trascorse gran parte della sua esistenza. Nella nuova citta' si trovo' bene, ma la nostalgia era grande, e la solitudine tanta. E prese a leggere i libri: "la migliore compagnia". E a osservare il mondo intorno a lui. Ma sempre attraverso gli occhi di un libro, il Corano, che insegna tra le altre cose anche a guardare. Perche', spiega Zakariyya, il significato di guardare non e' tanto quello di scrutare con gli occhi, bisogna avere cuore. Esseri che hanno cuori con i quali non comprendono, insegna il Profeta, hanno occhi con i quali non vedono, hanno orecchi con i quali non sentono... Il vero significato di guardare e' di leggere in ogni cosa la presenza divina. In altro modo, noi potremmo dire: riconoscere a ogni cosa il significato profondo. La realta'. Questo non e' facile, riconosce lo studioso; l'uomo ignorante e negligente non lo sa fare, mentre e' esercizio che riguarda l'uomo intelligente e saggio. E' a lui che rivolge il suo libro, con innocente pedanteria affermando: "non ho inventato nulla, ho scritto tutto cosi' come l'ho ricevuto". La tradizione e' concetto importante, qui; religioso. Per lo piu' Zakariyya poggia su Aristotele, sul Corano, su Tolomeo, su Avicenna e altri enciclopedisti piu' o meno contemporanei. Poi passa a spiegare i due termini centrali del suo trattato: "meraviglia" e "stranezze". Con "meraviglia" intende lo stupore che prende chi guardi qualcosa di cui ignora il come e il che cosa. Fa l'esempio di un'arnia. Uno che non l'abbia mai vista si stupira' senz'altro della sua perfezione architettonica: chi ha potuto e saputo creare quegli esagoni equilateri, che neanche un ingegnoso ingegnere con tanto di riga e compasso potrebbe eguagliare? E da dove viene la cera che sigilla le piccole celle una identica all'altra? e il miele che fara' da scorta per l'inverno? e come fanno le api a sapere che e' arrivato l'inverno? Le domande incalzano la mente intelligente, che rimane sbigottita; l'animo perspicace, che sorpreso rende lode a Dio. Ecco il significato di "meraviglia". Per quanto riguarda la "stranezza", "strano" e' ogni fatto che capita di rado, diverso da quanto si vede di solito. Come i miracoli dei profeti. E gli atti dei santi pii. Tra i fatti strani si contano i fenomeni celesti, le stelle cadenti, le comete, la nascita di animali, come ad esempio un uomo con il corpo di donna da meta' in giu', e da meta' in su due corpi diversi con quattro mani e due teste e due facce. Ora, la disposizione alla meraviglia, allo stupore, alla stranezza, che e' atteggiamento proprio del giovane, di chi manca di esperienza, e' naturale che con l'eta' si perda. Ma almeno in parte dovremmo conservare quel modo di restare aperti alla realta'. Alla sua bellezza. Perche' di questo si tratta, in fondo: non si muove atomo nei cieli e sulla terra che non provi la magnificenza, la maesta' di Dio. Noi potremmo dire: della Realta'. Della Natura. Due termini che, certo, acquisiscono una particolare forza se si sostengono a uno sfondo metafisico, religioso. Ma anche se spogliata del fondale religioso, anche a chi legga oggi con occhi abituati all'indigenza, la realta' che al-Qazwini descrive apparira' magnifica. Anche chi non vi sappia rintracciare l'arte divina, cogliera' la bellezza delle forme. La complessita' strabiliante. Il fine didattico dell'enciclopedia e' chiaro, e a tal scopo al-Qazwini seleziona un sapere specialistico, derivato da autorita' della materia, e lo organizza in modo chiaro, elegante, fedele. Altrettanto chiaro e' l'insegnamento: ovvero, grazie alla legge religiosa, ogni cosa trova il suo posto. Il suo senso. Di tale insegnamento un lettore di oggi, crocefisso alla croce della sua modernita', per forza ironica, che ne fara'? Lo terra' a mente e dell'ordine e del senso cui rimanda ne godra' come di una rivelazione estetica. E riflettera' su come, piu' o meno sempre, la contemplazione trasformi l'oggetto del suo atto in un affascinante agalma: immagine bella, simbolo, feticcio, idolo, trappola che sia. Segno della presenza, o assenza - e' la stessa cosa - dell'Altro. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 697 dell'11 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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