Minime. 696



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 696 del 10 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Opporsi a tutte le uccisioni
2. Ali Rashid e Moni Ovadia: La questione morale del nostro tempo
3. Alcuni estratti da "Con gli occhi del nemico" di David Grossman
4. Maurizio Schoepflin presenta "L'evoluzione creatrice" di Henri Bergson
5. Laurence Pernoud
6. Letture: Anna Puglisi, Storie di donne
7. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta"
8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
9. L'Agenda dell'antimafia 2009
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. OPPORSI A TUTTE LE UCCISIONI

Opporsi a tutte le uccisioni: e' il programma minimo per una politica
ragionevole.
Scegliere la nonviolenza: e' il compito dell'ora per salvare la civilta'
umana.

2. APPELLI. ALI RASHID E MONI OVADIA: LA QUESTIONE MORALE DEL NOSTRO TEMPO
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'8 gennaio 2009 col titolo "La questione
morale del nostro tempo"]

Le immagini che giungono da Gaza ci parlano di una tragedia di dimensioni
immani e le parole non bastano per esprimere la nostra indignazione. Col
passare dei giorni cresce la barbarie che insieme alla vita, alle
abitazioni, agli affetti, ai luoghi della cultura e della memoria, distrugge
in tutti noi l'umanita' e con essa il sogno e la speranza. E deforma in noi
il buon senso, mortifica la cultura del diritto, forgiata dalle tragedie del
secolo passato per prevenirne la ripetizione.
Cosi' diventano carta straccia le convenzioni internazionali e le norme
basilari del diritto internazionale nonche' le sue istituzioni, paralizzate
dai veti e svuotate di autorevolezza oltre che di strumenti per l'agire.
Cosi' crescono l'odio e il rancore, si radicalizzano le posizioni e le
distanze diventano incomunicabilita'. Le stesse responsabilita' si
confondono, tanto che la vita in una prigione a cielo aperto diviene la
normalita', l'invasione di uno degli eserciti piu' potenti del mondo e' alla
stessa stregua di un atto pur esecrabile di terrorismo.
Ma cosi' non si aiuta la pace, che e' fatta in primo luogo di ascolto,
dialogo e compromesso. Certo, anche di diritto, ma abbiamo visto che per
questa sola via sessant'anni non sono bastati e dopo ogni crisi ci si e'
ritrovati con un po' di rancore in piu' e di certezza del diritto in meno.
Noi sappiamo che l'occupazione genera resistenza, la guerra rafforza il
terrorismo, la violenza cambia le persone e i fondamentalismi si alimentano
reciprocamente. Ma abbiamo anche imparato in tutti questi anni che gli
obiettivi di pace, sicurezza e prosperita' non passano attraverso l'uso
della forza delle armi, ma attraverso l'adozione di scelte accettabili per
entrambe le parti in causa e l'avvio di un processo di riconoscimento
reciproco, del dolore dell'altro in primo luogo, che e' il primo passo verso
la riconciliazione.
Al contrario, ogni volta che ci si e' avvicinati ad un compromesso
accettabile, il ricorso scellerato alla violenza, all'assassinio
premeditato, all'annichilimento dell'altro, e' servito a demolire cio' che
si era pazientemente costruito, quel po' di fiducia reciproca in primo
luogo.
Il tutto viene poi complicato dal peso della storia che in questo contesto,
nel rapporto fra Europa, "Terrasanta" e Medio Oriente, agisce come un
macigno non elaborato, generando falsa coscienza, ipocrisia,
irresponsabilita'.
L'esito e' stato l'incancrenirsi di una questione, quella palestinese, che
ha avuto ed ha effetti destabilizzanti in tutta la regione ed anche oltre,
diventando - come ebbe a definirla Nelson Mandela - "la questione morale del
nostro tempo".
Di questo vulnus si sono nutriti in questi anni il terrorismo e il
fondamentalismo, regimi autoritari e cultori dello scontro di civilta'. A
pagare sono state le popolazioni della regione, sono i bambini e i ragazzi
cresciuti in un contesto di odio, di violenza e di paura, ma anche la
democrazia e la cultura laica che pure traevano vigore dalle tradizioni
ebraiche e arabo-palestinesi.
Cosi' anche da questa guerra, assassina e stupida come ogni guerra, a trarne
vantaggio saranno solo i fondamentalismi e chi pensa che la soluzione possa
venire dall'annichilimento dell'avversario.
Come hanno scritto nei giorni scorsi Vaclav Havel, Desmond Tutu ed altri
uomini di cultura, "quello che e' in gioco a Gaza e' l'etica fondamentale
del genere umano. Le sofferenze, l'arbitrio con cui si distruggono vite
umane, la disperazione, la privazione della dignita' umana in questa regione
durano ormai da troppo tempo. I palestinesi di Gaza, e tutti coloro che in
questa regione vivono nel degrado e privi di ogni speranza non possono
aspettare l'entrata in azione di nuove amministrazioni o istituzioni
internazionali. Se vogliamo evitare che la Fertile Crescent, la "Mezzaluna
fertile" del Mediterraneo del Sud, divenga sterile, dobbiamo svegliarci e
trovare il coraggio morale e la visione politica per un salto qualitativo in
Palestina".
Per questo facciamo appello alle persone che amano la pace e che vedono
nella tragedia di queste ore la loro stessa tragedia, di fare tutto cio' che
e' nelle loro possibilita' affinche' vi sia
- l'immediato, totale, cessate il fuoco - non la beffa delle "tre ore";
- la fine dell'assedio sulla Striscia di Gaza e il rispetto delle
istituzioni palestinesi democraticamente elette;
- l'intervento di una forza di pace internazionale sotto l'egida delle
Nazioni Unite in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza lungo i confini del
'67;
- l'avvio di un negoziato per arrivare ad una soluzione politica basata sul
rispetto dei diritti dei popoli, delle minoranze e della persona,
nell'ambito di un processo che possa garantire nell'immediato confini sicuri
per lo Stato di Israele e per lo Stato di Palestina;
- la creazione di un comitato per la pace in Palestina, che superi i limiti
e le strumentalizzazioni che hanno caratterizzato le iniziative degli ultimi
anni;
- l'adesione delle persone e delle associazioni che hanno a cuore la pace in
Medio Oriente per impedire che il conflitto si trasformi in guerre di
religione e tra civilta', con la promozione di iniziative su tutto il
territorio italiano e la convocazione di una manifestazione nazionale al
piu' presto.
Nondimeno, in un contesto dove l'interdipendenza e' il tratto del nostro
tempo e come persone che hanno comuni radici mediterranee, non smettiamo di
pensarci come cittadini di una comune regione post-nazionale
euromediterranea, parte di una cultura che - attraverso la storia di
conflitti tra citta' e campagna, o nella concorrenza tra fede e sapere, o
nella lotta tra i detentori del dominio politico e le classi antagoniste -
si e' lacerata piu' di tutte le altre culture e non ha potuto fare a meno di
apprendere nel dolore come le differenze possano comunicare.
In questo spirito ci impegniamo a ricostruire quel che la guerra sta
abbattendo, i ponti fra le persone, le culture, i luoghi della pace in e fra
entrambe le societa', per creare nuovi terreni di relazione e collaborazione
fra l'Italia e la Palestina, intensificando altresi' gli atti di
solidarieta' verso tutte le vittime, in modo particolare la popolazione
della Striscia di Gaza.
Per le adesioni a questo appello: paceinpalestina at gmail.com

3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "CON GLI OCCHI DEL NEMICO" DI DAVID GROSSMAN
[Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di
David Grossman, Con gli occhi del nemico. Raccontare la pace in un paese in
guerra, Mondadori, Milano 2007]

Indice del volume
Conoscere l'altro dall'interno, ovvero la voglia di essere Gisele; L'arte di
scrivere nelle tenebre della guerra; Meditazioni su una pace che sfugge; Il
dovere di Israele e' scegliere la pace.
*
Da pagina 7
Oggi, pero', vorrei parlare di un ulteriore movente dello scrivere. Esso e'
certamente legato, in un modo o nell'altro, a tutto quello che ho appena
menzionato; diro' anche che, per quanto mi riguarda, e' una motivazione che
si va facendo sempre piu' forte a mano a mano che gli anni - quelli della
vita e quelli del mestiere - aumentano, a mano a mano che cresce in me, e'
questo che scopro, la necessita' dell'atto creativo, della scrittura in
quanto stile di vita, in quanto mio modo di stare al mondo.
Il movente di cui parlo e' l'aspirazione a rimuovere, volontariamente, cio'
che mi difende dall'altro. L'aspirazione ad abbattere quella parete
divisoria, per lo piu' invisibile, che separa me dal prossimo (chiunque egli
sia), verso il quale provo un interesse fondamentale, profondo;
l'aspirazione a espormi in tutto e per tutto, senza alcuna difesa, in quanto
individuo e non soltanto scrittore, di fronte alla personalita' e alla vita
di un altro individuo, alla sua interiorita' piu' segreta e autentica,
primordiale.
Ma dinanzi a tale aspirazione si pone subito un grosso ostacolo: gia',
perche' piu' osservo me stesso, piu' osservo l'umanita' in generale, vicina
e lontana, piu' giungo a una conclusione che a prima vista mi sorprende e mi
delude, e che respingo immediatamente, dicendomi che e' soltanto una regola
infondata. Tuttavia, essa torna di continuo a insinuarsi dentro di me, in
innumerevoli forme e sfumature, e percio' qui la espongo, ma voi siete
assolutamente autorizzati a liquidarla e a dire che non ha nemmeno un grano
di verita'.
Ecco, ho l'impressione che sotto molti aspetti noi esseri umani - creature
sociali per eccellenza, che tanto investiamo nel rapporto affettivo ed
empatico con la nostra famiglia, i nostri amici, il nostro pubblico - siamo
in realta' sulle difensive, asserragliati in modo assai efficace, non solo
di fronte a un nemico: in un certo senso siamo sulle difensive - cioe'
difendiamo noi stessi - dal prossimo, chiunque esso sia. Dalla radiazione
della sua interiorita' dentro di noi, da cio' che la sua interiorita' esige
da noi e che si riversa incessantemente su di noi. Da quella cosa che qui
chiamero' il caos che risiede dentro l'altro.
"L'inferno e' l'altro" ha scritto Jean-Paul Sartre, e forse proprio per
questo, per la paura di quell'inferno che esiste nel prossimo, il sottile
strato d'epidermide che ci avvolge, che separa noi dal prossimo, a volte e'
spesso e coriaceo come il muro di cinta di una fortezza, nella sua duplice
funzione di confine e di ostacolo che separa.
Guardiamoci intorno per un momento. Non di rado si riscontra, anche in una
coppia che vive insieme magari da decenni - una vita piu' o meno felice,
fatta di reciproco amore e di buona spartizione dei ruoli come genitori e
membri di una famiglia -, la presenza, istintiva e inconsapevole, di un
tacito accordo (che esige, fra l'altro, una collaborazione sottile, limata!)
i cui principi si riassumono cosi': meglio non conoscere il partner fino in
fondo. Meglio non scoprire tutto quello che accade in lui. Non conoscere,
non chiamare per nome, perche' in tale contesto di rapporti coniugali questa
"vicenda" interiore non trova posto; e anzi, potrebbe determinare una
spaccatura, un collasso che nessuno dei due vuole.
*
Da pagina 24
Qui giungiamo a una questione ulteriore che si dipana da quanto ho appena
detto, che vi e' strettamente legata. Vorrei dire infatti qualche parola sul
senso della scrittura letteraria per chi, come noi, vive ormai da un secolo
in una regione che, senza tema di smentite, si puo' definire "disgraziata".
Lo dico sin d'ora: non intendo parlare di politica in senso stretto e
riduttivo, ma dei processi intimi e profondi che avvengono dentro chi vive
in una regione come questa. E del ruolo della letteratura e della scrittura
in un clima catastrofico come il nostro.
Vivere in una regione disgraziata significa, prima di tutto, essere
contratti, tanto fisicamente quanto mentalmente. I muscoli del corpo e della
psiche sono tesi, sempre un po' contratti, pronti ad assorbire il colpo ma
anche a balzare via in fuga. Chiunque viva in una situazione del genere lo
sa bene: non solo il corpo, anche la psiche si concentra, si prepara per il
boato della prossima esplosione o per la prossima edizione del notiziario.
"Colui che ride probabilmente non ha ancora ricevuto la terribile notizia"
ha scritto Bertolt Brecht - anche lui esperto cittadino di una regione
disgraziata - nella poesia A quelli nati dopo di noi. Gia', quando vivi in
una zona di tragica emergenza, scopri che sei sempre sul chivala'. Sei
sempre pronto e teso con tutto te stesso al dolore che verra', al prossimo
scoramento.
Difficile dire quando comincia esattamente la crudele metamorfosi: da
quando, insomma, non ha piu' senso chiedersi se il dolore e lo scoramento
verranno o meno, visto che comunque ci sei gia' dentro anche se tutto per il
momento rimane ancora nell'ambito del possibile. In sostanza, tu gia' crei
tutto dentro di te. Stabilisci ormai una normalita' di vita gia' tutta
impregnata di disperazione, a causa della perenne paura di questa
disperazione. E non ti accorgi nemmeno piu' di quanto la tua vita, come
quella di tutti gli altri, scorra per lo piu' dentro la paura della paura,
quanto il terrore distorca ormai il tuo carattere, quanto ti rubi la gioia
di vivere e il senso della vita.
Cosi', se e' vera quella sensazione di pancia secondo cui in una situazione
di minaccia come questa "chi sente di piu', soffre di piu'", allora a questo
stadio la cosa si traduce piu' o meno cosi': "Chi sente, soffre", punto e
basta. In altre parole, il timore costante - e assai fondato - di una
lesione, della morte o di una perdita insopportabile fa si' che ciascuno di
noi riduca la propria vitalita', la propria tonalita' interiore, spirituale
e di coscienza.
*
Da pagina 32
Scrivere del nemico significa prima di tutto pensare al nemico. Cosa cui e'
ovviamente tenuto chiunque abbia un nemico, anche se si ha perfettamente
chiaro di essere dalla parte della ragione, anche se si e' sicuri della
cattiveria, della crudelta' e dell'errore di quel nemico. Pensare (o
scrivere) il nemico non significa in alcun modo giustificarlo. Non posso
nemmeno immaginare, per esempio, di scrivere sul personaggio di un nazista e
trovarmi a giustificarlo, benche' abbia sentito l'impulso - persino il
dovere - di mettere in Vedi alla voce: amore un ufficiale nazista, per poter
capire come un uomo comune e normale abbia potuto trasformarsi in un
nazista, giustificare a se stesso quel che fa e quel che passa, facendo cio'
che fa.
A questo proposito sono belle le parole di Sartre contenute nel suo
esemplare saggio Perche' si scive?: "Nessuno avanzerebbe mai l'ipotesi che
si possa scrivere un buon romanzo facendo l'elogio dell'antisemitismo.
Perche' non si puo' esigere da me, nel momento in cui provo che la mia
liberta' e' indissolubilmente legata a quella di tutti gli altri uomini, che
usi questa liberta' per approvare l'asservimento di alcuni di questi uomini.
Cosi' lo scrittore, sia saggista, libellista, satirico o romanziere, sia che
parli soltanto delle passioni individuali oppure prenda di mira il regime
sociale, in quanto uomo libero che si rivolge a uomini liberi, ha un solo
tema: la liberta'".
Sartre e' un po' ingenuo quando scrive che "nessuno potrebbe mai pensare,
foss'anche per un solo istante, che sia ammissibile scrivere in favore
dell'antisemitismo": libri in proposito ne sono stati scritti eccome, e
tutto fa pensare che se ne scriveranno ancora. Ma egli ha perfettamente
ragione quando parla dell'unico argomento che sta alla base dello scrivere,
che e' l'anima stessa dell'opera letteraria: la liberta'. La liberta' di
pensare diversamente, di guardare in modo nuovo a situazioni e persone,
anche se sono i nostri nemici.
Pensare il nemico, dunque. Pensarlo con rispetto e profonda attenzione. Non
solo odiarlo o temerlo. Pensarlo come una persona, una societa' o un popolo,
distinti da noi e dalle nostre paure, dalle nostre speranze, dalle nostre
fedi e prospettive, dai nostri interessi e dalle nostre ferite. Permettere
al nemico di essere "prossimo" - foss'anche per un solo momento - con tutto
cio' che questo comporta. Potrebbe risultare utile anche dal punto di vista
della condotta bellica, dell'acquisizione di informazioni essenziali, questo
principio del "conoscere il nemico dall'interno", ma puo' servirci anche per
cambiare la realta', cosicche' questo nemico cessi gradualmente di essere
tale per noi.
Voglio chiarire che non sto affatto invitando ad "amare il nemico". A tale
proposito non posso dire di essere stato dotato di una cosi' nobile
longanimita' (che considero sempre un po' sospetta, peraltro, quando mi
capita di incontrarla negli altri). Per parte mia, intendo unicamente lo
sforzo di tentare di capire il nemico, i suoi impulsi, la sua logica
interiore, la sua visione del mondo, la storia che narra a se stesso.
Ovviamente non e' una cosa facile ne' semplice quella di leggere la realta'
attraverso gli occhi del nemico. E' spaventosamente difficile rinunciare ai
nostri sofisticati meccanismi di difesa, esporci ai sentimenti vissuti dal
nemico nel conflitto con noi, nella lotta contro di noi, a cio' che prova
nei nostri confronti. E' un'ardua sfida alla nostra fiducia in noi stessi e
nelle nostre ragioni. Contiene il rischio di sconvolgere la "versione
ufficiale", che e' per lo piu' anche l'unica lecita, "legittima", che un
popolo disorientato, un popolo in guerra, racconta costantemente a se
stesso.
*
Da pagina 48
Io scrivo. Il mondo non mi si chiude addosso, non diventa piu' angusto. Mi
si apre davanti, verso un futuro, verso altre possibilita'. Io immagino.
L'atto stesso di immaginare mi rida' vita. Non sono pietrificato,
paralizzato dinanzi alla follia. Creo personaggi. Talora ho l'impressione di
estrarli dal ghiaccio in cui li ha imprigionati la realta'. Ma forse, piu'
di tutto, sto estraendo me stesso da quel ghiaccio.
Io scrivo. Percepisco le innumerevoli opportunita' presenti in ogni
situazione umana e la possibilita' che ho di scegliere fra di esse, la
dolcezza della liberta' che pensavo di avere ormai perso. Mi compiaccio
della ricchezza di un linguaggio vero, personale, intimo, al di fuori dei
cliche'. Riprovo il piacere di respirare nel modo giusto, totale, quando
riesco a sfuggire alla claustrofobia degli slogan, dei luoghi comuni.
Improvvisamente comincio a respirare a pieni polmoni.
Io scrivo. E mi rendo conto di come un uso appropriato e preciso delle
parole sia talvolta una sorta di medicina che cura una malattia. Uno
strumento per purificare l'aria che respiro dalle prevaricazioni e dalle
manipolazioni dei malfattori della lingua, dai suoi vari stupratori.
Io scrivo. Sento che la sensibilita' e l'intimita' che ho con la lingua, con
i suoi diversi substrati, con l'erotismo, con l'umorismo e con l'anima che
essa possiede, mi riportano a quello che ero, a me stesso, prima che questo
"io" fosse ridotto al silenzio dal conflitto, dal governo, dall'esercito,
dalla disperazione e dalla tragedia.
Io scrivo. Mi libero da una delle vocazioni ambigue e caratteristiche dello
stato di guerra in cui vivo, quella di essere un nemico, solo ed
esclusivamente un nemico. Io scrivo, e mi sforzo di non proteggere me stesso
dalle sofferenze del nemico, dalle sue ragioni, dalla tragicita' e dalla
complessita' della sua vita, dai suoi errori, dai suoi crimini. E nemmeno
dalla consapevolezza di quello che io faccio a lui, ne' dai sorprendenti
tratti di somiglianza che scopro tra lui e me.
Io scrivo. A un tratto non sono piu' condannato a una dicotomia totale,
fasulla e soffocante: la scelta brutale fra "essere vittima o aggressore"
senza che mi sia concessa una terza possibilita', piu' umana. Quando scrivo
riesco a essere un uomo nel senso pieno del termine, un uomo che si sposta
con naturalezza tra le varie parti di cui e' composto; che ha momenti in cui
si sente vicino alla sofferenza e alle ragioni dei suoi nemici senza
rinunciare minimamente alla propria identita'.
*
Da pagina 78
Parlero' anche del prezzo di una vita senza speranza. Dell'oppressione
esercitata dal fatalismo, dal disfattismo, per colpa del quale cosi' tanti
israeliani vivono con la sensazione che le cose non andranno mai meglio di
cosi', che le armi avranno sempre pane per i loro denti, e che esiste una
specie di "dannazione dal cielo" inflitta su di noi: uccidere ed essere
uccisi per l'eternita'. Io penso che sessanta, cinquant'anni fa la societa'
ebraica nella giovane terra di Israele era pronta a qualunque sacrificio
perche' sentiva di avere uno scopo perfettamente giusto. Oggi invece, per
parti non indifferenti della popolazione questo scopo non sembra piu' cosi'
giusto, e non di rado si fa persino fatica a comprendere quale sia
l'obiettivo. Questa mancanza di senso e di fiducia nella leadership rode
gradualmente anche il cuore della questione, la convinzione cioe' della
legittimita' dello Stato ebraico, del suo diritto all'esistenza, e rafforza
in alcuni particolari contesti quelle posizioni secondo cui tutto lo Stato
di Israele - e non soltanto i suoi insediamenti nei Territori occupati -
sarebbe un torto colonialista, capitalista, un regime d'apartheid, estraneo
a qualsivoglia motivazioni storiche, nazionali e culturali, e pertanto senza
legittimita' ne' diritto all'esistenza.
La fine dell'occupazione potra' condurre alla guarigione di alcune di queste
lesioni interne. Non credo che un cambiamento tanto drastico possa avvenire
in tempi brevi, ma se anche cio' dovesse verificarsi nel giro di una o due
generazioni, potrebbe contribuire a sanare la "deformazione" che ha portato
Israele lontano dal suo stesso ethos. Se questo dovesse succedere, si
svilupperebbe forse qui anche una nuova potenzialita' di interessante
sintesi fra i due modelli fondamentali del popolo ebraico: da un lato il
modello ebraico israeliano, che vive nella propria nazione sopra il suolo e
nel paesaggio che gli appartengono, con una sua lingua e cultura, un corpo
radicato dentro una quotidianita' e una concretezza, in tutti gli aspetti e
con tutte le contraddizioni che cio' comporta; dall'altro il modello
dell'ebreo universale, cosmopolita, che aspira a compiere una missione
intellettuale e morale, a esprimere la voce dei deboli e degli oppressi
d'ogni dove, a rappresentare un sistema morale chiaro, deciso, radicato
nella forza intellettuale e filosofica, in quella mobilitazione etica che fa
di ogni individuo una grande creazione, unica e irripetibile, come hanno
detto tanto il profeta Isaia quanto pensatori moderni quali Franz Rosenzweig
e Martin Buber.
Pensate per un momento alla possibile combinazione di questi due modelli!
Pensate a un Israele che riesca a crearsi un posto nuovo, unico nel suo
genere, nella famiglia dei popoli: Israele come nazione sovrana, sicura, nel
cui patrimonio culturale trovino spazio l'impegno umanistico universale, il
coinvolgimento nelle avversita' del mondo, la voce morale su questioni
sociali, politiche ed economiche, il sostegno umanitario ovunque ce ne sia
bisogno. In altre parole, uno Stato di Israele che torni a svolgere - questa
volta da un posto nuovo, sovrano, integro, sicuro - il ruolo e il compito
storico, morale, del popolo ebraico nella storia umana.
Talvolta un pensiero solletica la coscienza: che cosa sarebbe successo e
come sarebbero andate le cose se Israele fosse riuscito a crearsi come
un'entita' nazionale e sociale unica nel suo genere, invece di diventare,
con una rapidita' sorprendente, una parodia un po' grottesca degli Stati
arabi? Che cosa sarebbe successo se Israele avesse optato sin dall'inizio
per una scelta nazionale e sociale ardita, assai distante da quella su cui
si e' cristallizzata ora? Una scelta capace di conciliare i valori ebraici
universalistici con un sistema economico e sociale veramente umanistico,
centrato sull'uomo, invece dell'utilitarismo e della forza e di una
competitivita' aggressiva; una scelta che avesse un che di unico,
particolare e financo geniale, come e' stata, per esempio, l'idea del
kibbutz all'inizio, prima che si guastasse, e quale si e' manifestata
nell'apporto ebraico a molti e diversi ambiti dell'esperienza umana, nella
scienza e nell'economia, nell'arte e nella filosofia, negli studi politici e
sociali.

4. LIBRI. MAURIZIO SCHOEPFLIN PRESENTA "L'EVOLUZIONE CREATRICE" DI HENRI
BERGSON
[Dal mensile "Letture", n. 559, agosto-settembre 1999, col titolo "La
filosofia che salvo' due aspiranti suicidi" e il sommario "L'evoluzione
creatrice esalta intuizione, coscienza e liberta' umana. Da giovani in
crisi, Jacques e Raissa Maritain si aggrapparono alle lezioni dell'ebreo
Bergson, che alla conversione preferi' la solidarieta' con il suo popolo
perseguitato"]

Definita dal filosofo americano William James "un'apparizione divina",
L'evoluzione creatrice, l'opera teoreticamente piu' densa e impegnativa di
Henri Bergson, venne pubblicata nel 1907, quando l'autore aveva 48 anni e
occupava un posto di primo piano nel panorama culturale francese. Se l'era
conquistato - lui nato in una famiglia ebrea di non floride condizioni
economiche - attraverso studi brillanti e un'altrettanto brillante carriera
di docente, prima nei licei, poi nell'universita' (ove, per la verita',
inizialmente non si comprese appieno la grandezza di questo intellettuale
profondo e gentile) alla quale aveva conquistato l'accesso grazie alla
pubblicazione di scritti di notevolissimo livello, quali il Saggio sui dati
immediati della coscienza del 1889 e Materia e memoria del 1896.
Da allora la notorieta' e il successo non lo abbandoneranno piu': tiene
conferenze e corsi di straordinario successo (importante il ciclo svolto
alla Columbia University di New York tra il 1912 e il 1913); nel 1914 entra
a far parte dell'Accademia di Francia; durante la prima guerra mondiale
svolge per il suo Paese compiti diplomatici e politici di estrema
delicatezza; all'indomani del conflitto e' chiamato a ricoprire un
importante incarico in seno alla Societa' delle Nazioni; nel 1928, gia'
duramente colpito da una malattia che ne minera' il fisico, ma non la
lucidita' della mente, non puo' recarsi a Stoccolma a ritirare il premio
Nobel del quale era stato insignito; nel 1930 gli viene conferita la gran
croce della Legion d'Onore, la piu' alta onorificenza francese, mentre i
suoi libri conoscono decine e decine di edizioni e ristampe.
*
Schedato dai nazisti
Abbandonato l'insegnamento, Bergson continua a studiare e a scrivere (del
1932 e' l'ultimo capolavoro, Le due fonti della morale e della religione).
Gli anni della vecchiaia sono segnati dall'angoscia: l'avvento del nazismo
gli procura enorme sofferenza, ma il suo animo e' forte e decide di non
abbandonare i fratelli ebrei perseguitati, tanto che, sebbene esentato a
motivo della sua notorieta' e delle precarie condizioni di salute
dall'obbligo di andare a farsi schedare dalle autorita' naziste che occupano
Parigi, non accetta tale privilegio, volendo rimanere ebreo fino all'ultimo
giorno, fedele a quanto aveva scritto nel Testamento redatto nel 1937: "Le
mie riflessioni mi hanno portato sempre piu' vicino al cattolicesimo, in cui
vedo il coronamento completo del giudaismo. Mi sarei convertito se non
avessi visto che da anni si preparava la formidabile ondata di antisemitismo
che sta per scatenarsi sul mondo. Ho voluto restare tra quelli che domani
saranno perseguitati". Non casualmente, la moglie Louise, sposata nel 1891
(alle nozze fungeva da paggio d'onore Marcel Proust: un piccolo evento che
potremmo interpretare come qualcosa di piu' di una mera curiosita'
biografica), alla morte del marito chiede a un prete cattolico di pregare
davanti alla salma e di tracciare un segno di croce sulla fronte del
defunto.
*
Spiritualismo originale
Ne L'evoluzione creatrice sono contenute le idee-chiave del bergsonismo, una
filosofia che gli interpreti hanno faticato a etichettare, ma che puo'
essere considerata come un'originale forma di spiritualismo, caratterizzata
da una critica serrata del positivismo e del sapere scientifico che guarda
alla realta' secondo un'ottica prevalentemente materialista e determinista.
Innanzitutto, Bergson prende in esame la questione - gia' affrontata in
precedenza e davvero cruciale nell'economia del suo discorso filosofico -
del tempo, per criticare la visione che di esso ha la scienza, una visione
meccanica e spazializzata che niente ha a che fare con l'esperienza concreta
che ne ha l'uomo, specialmente quando egli si rivolge alla propria
interiorita', ove il tempo si presenta come "durata", cioe' come un
continuum di passato, presente e futuro, come crescita su se stesso e non
come giustapposizione parcellizzata di momenti tutti uguali fra loro.
In tal modo, Bergson toglie al meccanicismo uno dei suoi piu' fedeli
alleati, vale a dire la concezione spazializzata del tempo, e ne dimostra
l'incapacita' a comprendere le dinamiche piu' profonde della coscienza e
della vita, elementi che sfuggono al determinismo e fanno piuttosto
riferimento alla liberta'. In questo contesto, il filosofo francese prende
le distanze anche dal finalismo radicale che "implica che le cose e gli
esseri non facciano altro che realizzare un programma prestabilito" (H.
Bergson, L'evoluzione creatrice, a cura di Vittorio Mathieu, Laterza, Bari
1957, pp. 85-86).
Agli occhi del filosofo francese, la vita umana si presenta come liberta' e
creativita': essa e' evoluzione creatrice, costantemente sospinta dallo
slancio vitale, una sorta di vis a tergo che si diffonde in diverse
direzioni, dando origine, nell'incontro-scontro con la materia, a varie
forme vitali, via via sempre piu' perfezionate: le piante, gli animali e,
infine, l'uomo, l'unico nel quale la coscienza ha potuto realizzarsi e
dispiegarsi.
Giunto a questo punto del suo percorso, Bergson sviluppa una significativa
riflessione intorno ai concetti di istinto, intelligenza e intuizione e ai
loro rapporti, riflessione che e' uno dei nodi speculativi piu' importanti
de L'evoluzione creatrice: "L'istinto e', eminentemente, la facolta' di
adoperare uno strumento naturale organico. [...] L'intelligenza, per contro,
e' la capacita' di fabbricare strumenti inorganici, ossia artificiali. [...]
Giungiamo cosi' al punto di maggior rilievo per la nostra ricerca: la
differenza tra l'istinto e l'intelligenza, che tutta la nostra analisi
cercava di fissare. La formuleremo cosi': vi sono cose che l'intelligenza
sola e' capace di cercare, ma che, di per se', non trovera' mai. Queste cose
solo l'istinto le troverebbe: ma non le cerchera' mai" (H. Bergson,
L'evoluzione creatrice cit., pp. 117-119).
Sara' l'intuizione a conciliare istinto e intelligenza: essa, che procede
attraverso la simpatia, e' in grado di guidare l'uomo all'interno della
realta', rendendogli possibile un'autentica penetrazione nelle profondita'
della vita, che e' durata e liberta'. In tal modo, l'intuizione diviene in
Bergson l'organo della metafisica: "essa non e' soltanto assimilazione del
dato ma anche, e soprattutto, assimilazione al dato. [...] Invece di
attirare a se', la realta', va a trovarla a casa sua, sul piano che le e'
proprio" (V. Jankelevitch, Henri Bergson, traduzione italiana, Morcelliana,
Brescia 1991, p. 209).
Facendo perno sui fondamentali guadagni speculativi ottenuti ne L'evoluzione
creatrice - quelli che ruotano intorno ai concetti di durata, coscienza,
liberta', intuizione -, Bergson procede nel suo intenso itinerario
filosofico, affrontando con particolare e appassionata sensibilita' i temi
della vita etico-sociale e della religione. Per quanto concerne la questione
della morale e dei rapporti fra gli uomini raccolti in societa', il
pensatore parigino si dimostra critico nei confronti di ogni forma di
obbligazione e di abitudine: coerente con i presupposti metafisici della sua
filosofia, egli sostiene apertamente la morale assoluta, tipica dei santi
cristiani, dei profeti d'Israele e dei sapienti greci, figlia della liberta'
e dello slancio vitale.
*
La religione dei mistici
Per cio' che riguarda la societa', Bergson indica una differenza di fondo
tra quella chiusa, ove la liberta' e l'iniziativa personale hanno minimo
spazio, e quella aperta, che, sul versante sociale, rappresenta cio' che,
sul versante etico, rappresenta la morale assoluta con la sua innovativa
carica di amore e di vitalita'. In sintonia con tale prospettiva, Bergson
svolge pure una suggestiva analisi della dimensione religiosa: a una
religione statica, che l'umanita' abbraccia per timore, intrisa di miti e
superstizioni, egli contrappone una religione dinamica, frutto di eroismo e
carita', che ha trovato nei grandi mistici cristiani l'espressione piu' alta
e convincente.
Ha scritto a questo riguardo Jankelevitch: "La morale e la religione
dinamica ci darebbero non il benessere ma la gioia, non il conforto egoista
e svenevole che ci addormenta nella sicurezza delle nostre virtu' borghesi,
ma l'entusiasmo avventuroso dei mistici" (V. Jankelevitch, Henri Bergson,
cit., p. 244). Di tali figure, di uomini e donne capaci di unirsi a Dio e al
prossimo attraverso l'amore, l'umanita' non puo' fare a meno, e Bergson ne
invoca la presenza al fine di lenire i mali del mondo e di diffondere la
gioia.
Oggi assai attenuato, l'influsso del bergsonismo fu assai rilevante.
Singolare si rivelo' il suo destino tra i pensatori cattolici, presso i
quali ebbe un'accoglienza piuttosto contrastata: alcuni, tra cui De
Tonquedec e Olgiati, ne sottolinearono l'inconciliabilita' con la verita'
cattolica; altri, come Sertillanges, Peguy e Le Roy, considerarono il
pensiero di Bergson un possibile, valido alleato della filosofia cristiana.
Un caso a parte e' rappresentato da Jacques Maritain, che nel 1913 critico'
duramente il bergsonismo nell'opera La philosophie bergsonienne (critica
addolcita ma non smentita, piu' tardi, nel libro De Bergson a' saint Thomas
d'Aquin). Un caso a parte, quello di Maritain - si diceva -, perche', quando
egli e l'amica Raissa, non ancora ventenni, angosciati tanto da meditare il
suicidio, decisero di andare ad ascoltare le lezioni di Bergson, una luce
completamente nuova li colpi': i suoi corsi, scrive Raissa, "facevano
entrare in quelle regioni alle quali si direbbe che tutti aspiriamo
naturalmente, nelle quali respiriamo liberamente, in cui il nostro cuore
arde in noi e dove cominciamo ad avere il presentimento che esiste uno
spazio spirituale".

5. MEMORIA. LAURENCE PERNOUD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 gennaio 2009 col titolo "Se ne va
Laurence Pernoud, scrisse bestseller di puericultura"]

La scrittrice francese Laurence Pernoud, molto nota in tutto il mondo per i
suoi testi di puericultura, e' morta giovedi' nella sua casa di Parigi a
novant'anni. L'annuncio della scomparsa e' stato dato ieri dalla famiglia
alla stampa francese. Pernoud era famosa in particolare come autrice di due
bestseller tradotti in una quarantina di lingue, e venduti in oltre trenta
milioni di copie: Il libro della mamma e del papa' e soprattutto Aspetto un
bambino, che usci' oltre mezzo secolo fa, nel 1955, dall'editore francese
Pierre Horay e da allora e' stato aggiornato con cinquanta nuove edizioni.
Entrambi i volumi, che si prefiggono di fornire ai genitori gli strumenti
per comprendere i progressi e le esigenze del bambino, sono editi in
italiano da Piemme.

6. LETTURE. ANNA PUGLISI: STORIE DI DONNE
Anna Puglisi, Storie di donne. Antonietta Renda, Giovanna Terranova, Camilla
Giaccone raccontano la loro vita, Di Girolamo Editore, Trapani 2007, pp.
192, euro 16,50. Anna Puglisi ed Umberto Santino intervistano tre donne
impegnate nella lotta contro la mafia e ne raccolgono tre storie di vita
preziose ed illuminanti. Antonietta Marino Renda e' un pezzo di storia del
movimento delle donne e della sinistra italiana; Giovanna Giaconia
Terranova, vedova del magistrato assassinato dalla mafia, ha avuto un ruolo
fondamentale nel promuovere il movimento antimafia; Camilla (Milly)
Giaccone, figlia del medico Paolo Giaccone assassinato dalla mafia, ne tiene
viva la memoria, ne prosegue l'impegno professionale e civile, fa parte
dell'Associazione donne contro la mafia. Un libro che vivamente
raccomandiamo. Per richieste alla casa editrice: info at ilpozzodigiacobbe.com

7. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA"

"Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da
Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito
sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo.
Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363
intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona.
E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo
an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'".
Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e
15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org

8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 696 del 10 gennaio 2009

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su:
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe

Per non riceverlo piu':
nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe

In alternativa e' possibile andare sulla pagina web
http://web.peacelink.it/mailing_admin.html
quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su
"subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).

L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing
list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica
alla pagina web:
http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html

Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004
possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web:
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la
redazione e': nbawac at tin.it