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Nonviolenza. Femminile plurale. 228
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 228
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 8 Jan 2009 16:20:14 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 228 dell'8 gennaio 2009 In questo numero: 1. Alla scuola di Hannah Arendt 2. Ilaria Urbani presenta le fotografie dal Messico di Lina Pallotta 3. Marina Forti presenta le fotografie dall'India di Laura Salvinelli 4. Il 12 gennaio a Roma 5. Giuseppina Manin intervista Cecilia Chailly 6. Alcuni estratti da "Il comunista" di Anna Baldini (parte seconda e conclusiva) 7. Maria Luigia Casieri presenta "La marcia di Radetzky" di Joseph Roth 1. LE ULTIME COSE. ALLA SCUOLA DI HANNAH ARENDT Alla scuola di Hannah Arendt questo si apprende: ad opporsi al fascismo, ad amare l'umanita'. 2. MOSTRE. ILARIA URBANI PRESENTA LE FOTOGRAFIE DAL MESSICO DI LINA PALLOTTA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 gennaio 2009 col titolo "Napoli. Scatti di morte sul confine messicano"] Volti di donna rassegnati e assenti, operaie all'uscita dalla fabbrica, adolescenti o poco piu' che bambine tra le aride distese di terra al confine tra Messico e Texas. Sono i ritratti delle vittime del femminicidio che da quattordici anni si sta consumando nello stato del Chihuahua e ha gia' fatto almeno 400 vittime. Tutte donne tra gli 8 e i 30 anni, scomparse o morte dopo sevizie e violenze sessuali. I corpi ritrovati solo dopo molti anni di silenzio. A ricordarci questo massacro e' Lina Pallotta, fotoreporter napoletana, d'adozione newyorkese-capitolina, che da quattordici anni esplora in lungo e largo i dintorni di Piedras Negras, confine messicano con il Texas. La fotografa espone per la prima volta a Napoli, al Maschio Angioino fino al 25 gennaio, la mostra "Basta, lavorare e morire sul confine messicano". Quaranta scatti tremendi che come un pugno nello stomaco ci fanno piombare nella quotidianita' delle donne delle maquilas di Tijuana e Ciudad Juarez, le industrie di assemblaggio straniere che in queste zone al confine con gli Usa sfruttano i lavoratori, soprattutto donne, con il lasciapassare di leggi favorevoli e basso costo della manodopera. Niente dazi e niente tasse, nessun vincolo per lo smaltimento di rifiuti tossici che vengono sistematicamente sotterrati nel deserto. E' in queste zone franche del mercato e dei narcotrafficanti della famiglia Fuentes che le donne vengono maltrattate, picchiate, violentate e spesso uccise. Lina Pallotta ha documentato, con l'aiuto dell'assistente sociale Julia Quinones, la vita delle operaie de La linea, il confine delimitato dal Rio Bravo. Istanti di vita di donne che potrebbero essere fatte fuori da un momento all'altro. In un luogo dimenticato dove ogni sopruso contro il genere femminile e' impunito. 3. MOSTRE. MARINA FORTI PRESENTA LE FOTOGRAFIE DALL'INDIA DI LAURA SALVINELLI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 gennaio 2009 col titolo "Gli sguardi intensi e fieri di un sindacato unico al mondo" e il sottotitolo "Roma. Fotografia. "Indiana", reportage di Laura Salvinelli"] La giovanissima sigaraia ha uno sguardo fiero, quasi arrabbiato. Le operaie muratrici sono troppo intente nel lavoro, mattoni e filo a piombo, per guardare l'obiettivo: vediamo soprattutto le loro mani, decorate con l'henne'. Le lavoratrici della ferriera si lasciano andare a un sorriso, visi invecchiati anzitempo. Non cosi' le dai, le levatrici: i loro sguardi rugosi sono seri, quasi scrutatori, straordinariamente intensi. Ritratti in bianco e nero da cui trabocca energia, determinazione, e non e' un caso: le donne fotografate da Laura Salvinelli fanno parte di un'esperienza unica al mondo. Esposte a Roma sotto il titolo "Indiana", accompagnate da testi di Mariella Gramaglia, quelle foto sono in effetti un reportage su Sewa, o "Self Employed Women's Association", sindacato di lavoratrici autonome in India. Esperienza unica davvero, Sewa. Nata dalla tradizione gandhiana (nella citta' del Mahatma, Ahmedabad, nello stato nord-occidentale indiano del Gujarat) si e' sviluppata in modo autonomo a partire dal 1981 come un vero e proprio sindacato di lavoratrici "auto-occupate", cioe' senza contratto di lavoro, in quella che in India e' spesso definita "economia informale". Sono le venditrici ambulanti, ricamatrici, cuoche, le donne che vanno a raccogliere stracci e materiali da riciclare nelle discariche (eccole nei ritratti di Laura Salvinelli: sacca di plastica sulla spalla, piedi scalzi e visi dignitosi in quella distesa di rifiuti e liquami che la bellezza delle foto rende quasi accettabile, come in certi inferni umani di Joao Salgado). O le sigaraie di bidi, la sigaretta dei poveri: foglie di tabacco raschiate, tagliate e arrotolate da donne pagate a pezzo. Nello slum di Dudhisswar eccole raccolte in gruppo, all'ombra di una veranda: Sewa ha condotto battaglie memorabili perche' fossero riconosciute e trattate in modo degno, e oggi a Ahmedabad organizza circa diecimila sigaraie. Ecco poi le donne che arrotolano stoppini, quelle che fabbricano bastoncini di incenso. O quelle che riciclano il metallo, come l'anziana signora che qui vediamo accoccolata come un buddha davanti alla sua incudine. Lavoratrici urbane e rurali - come le fierissime artigiane della tribu' dei rabari, madre e figlia, occhi color acqua. Lavori umili, considerati marginali, ma e' proprio contro l'idea di marginalita' che si batte Sewa: tutelare e ridare dignita' e orgoglio al lavoro delle donne. In questa galleria vediamo hindu e musulmane, come le ragazze che arrotolano le dupatta, lunghe sciarpe increspate in piegoline: nulla nel loro aspetto le distingue dalle giovani hindu, ma la didascalia ci ricorda che oggi a Ahmedabad tra i musulmani domina la paura, dopo che nel febbraio 2002, con la complicita' del governo in carica, interi loro quartieri sono stati dati alle fiamme da estremisti del partito ultranazionalista hindu. Sewa e' un sindacato dunque, con oltre un milione di iscritte e una leadership femminile - la fondatrice Ela Bhatt e' ritratta qui con il suo sguardo calmo e determinato, e cosi' le piu' giovani leader che hanno raccolto la sua eredita'. Ma e' anche un movimento di donne che lavora per l'accesso alla salute, all'istruzione, organizza forme di microcredito e di mutuo soccorso. Ecco perche' in questo reportage vediamo le levatrici: come Chanchalma, signora dai capelli bianchi china sul pancione di una paziente sul pavimento di una casa di villaggio. E quelle donne dallo sguardo attento, speranzoso, con matita e quaderno durante una lezione serale: la Academy e' un aspetto importante dell'attivita' di Sewa, e insieme all'alfabetizzazione ci sono corsi di formazione politica, di educazione alla salute, di recupero scolastico, di formazione all'informatica e ai media elettronici. Il reportage fotografico di Laura Salvinelli fa parte di un progetto comune: l'esperienza di Sewa e' ampiamente riportata nel libro di Mariella Gramaglia, Indiana. Nel cuore della democrazia piu' complicata del mondo (Donzelli, 2008), basato sull'esperienza di collaborazione con Sewa nell'ambito di un progetto coordinato dalla Cgil. Foto di Salvinelli illustrano il libro, testi di Gramaglia accompagnano la mostra (al Palazzo Incontro, via dei Prefetti 22, a Roma, fino al 18 gennaio). 4. INCONTRI. IL 12 GENNAIO A ROMA [Dalla redazione di "Leggendaria" (per contatti: info at leggendaria.it) riceviamo e diffondiamo] 12 gennaio 2009, ore 10-19. Giornata di studio sulle forme della scrittura saggistica femminile. Casa Internazionale delle Donne, Sala "Simonetta Tosi", via della Lungara, 19, Roma. * Il sapere come esperienza di relazione A partire dalla pubblicazione dei primi quattro volumi della collana "Workshop" della Iacobelli editore e dall'uscita in libreria del libro di Monica Farnetti, Tutte signore di mio gusto (La Tartaruga edizioni), l'area cultura della Casa internazionale delle donne, la Iacobelli editore e la Sil (Societa' Italiana delle Letterate) - con la collaborazione delle riviste "Leggendaria" e "DWF" - propongono una giornata di riflessione e confronto sulle forme della scrittura saggistica femminile. La scrittura saggistica femminile, afferma Monica Farnetti, ha "caratteristiche evidentemente proprie" che la mantengono "a sufficiente distanza dai maestri e dai modelli della scuola europea, rispetto a cui essa compie uno spostamento a dir poco radicale". Il suo discorso si riferisce in primis alla critica letteraria ma una altrettanto significativa innovazione si e' verificata in altri campi tra cui quello filosofico, come conferma anche la pubblicazione del volume a cura di Annarosa Buttarelli e Federica Giardini, Il pensiero dell'esperienza (Baldini Castoldi Dalai editore), che nel 2009 sara' al centro del ciclo d'incontri annuale promosso dall'area cultura della Casa internazionale delle donne. * Prima sessione. ore 10-13 e 14,30-16,30 Laboratorio (si consiglia l'iscrizione, e' gratuita): un confronto su un modo altro di fare critica, elaborare il pensiero e comunicarlo con efficacia. Quattro gli spunti di riflessione iniziali: 1. come valutare l'avvenimento dello spostamento radicale della scrittura saggistica femminile dal canone tradizionale delle diverse discipline? 2. come esso si e' costruito nel corso del tempo, a ridosso e intrecciato con il farsi soggetto delle donne nel femminismo? 3. quanto e' spendibile nel mercato editoriale (dell'editoria libraria e delle riviste) e nell'informazione culturale di stampa e tv? 4. quanto linguaggio e forma di questa saggistica risultano efficaci nelle relazioni con donne delle generazioni successive (all'universita', ad esempio, ma non soltanto)? Intervengono, tra le altre: Anna Maria Crispino, Paola Bono, Monica Farnetti, Laura Fortini, Federica Giardini, Monica Luongo, Giuliana Misserville, Silvia Neonato, Laura Salvini, Maria Serena Sapegno, Bia Sarasini. * Pranzo: Nell'intervallo, e' possibile pranzare al ristorante interno alla Casa, "Luna e l'altra", al prezzo concordato di 7 euro (si consiglia di segnalare la propria partecipazione per consentire di predisporre i pasti alla mail: leggendaria at supereva.it). * Seconda sessione, ore 17,30 Presentazione del volume Tutte signore di mio gusto, Tartaruga edizioni, e dei volumi della collana "Workshop" della Iacobelli editore: Il romanzo del divenire. Un Bildungsroman delle donne? a cura di Paola Bono e Laura Fortini; Figurazioni del possibile. Sulla fantascienza femminista, a cura di Maria Serena Sapegno e Laura Salvini; Isole. Confini chiusi, orizzonti aperti, a cura di Monica Luongo e Giuliana Misserville; In estrema sostanza. Scenari, servizi e interventi sul consumo di cocaina, a cura di Fabrizia Bragozzi e Claudio Cippitelli. Coordinano Anna Maria Crispino e Maria Palazzesi. * Per tutto la giornata sara' allestito un banchetto per la vendita diretta d testi, tra i quali i volumi della collana Workshop della Iacobelli editore; Tutte signore di mio gusto, di Monica Farnetti, La Tartaruga edizioni; Il pensiero dell'esperienza, a cura di Annarosa Buttarelli e Federica Giardini, Baldini Castaldi Dalai editori; le riviste "Leggendaria" e "DWF". * Per informazioni e prenotazioni: e-mail: redazione at leggendaria.it, siti: www.casainternazionaledelledonne.it, www.societaitalianadelleletterate.it 5. RIFLESSIONE. GIUSEPPINA MANIN INTERVISTA CECILIA CHAILLY [Dal "Corriere della sera" del 5 gennaio 2008 riprendiamo pressoche' integralmente la seguente intervista dal titolo "Io accuso la classica" e il sommario "L'arpista e compositrice, sorella del direttore d'orchestra: anche i colleghi ci ignorano. Cecilia Chailly: Noi donne emarginate. La musica colta dominata dal maschilismo..."] Musiciste in Italia. Chi le ha viste? Perche' nel nostro Paese la classica e' appannaggio solo degli uomini? Possibile che non esistano compositrici? O forse il potere, anche in questo campo, e' tutto saldamente in mani maschili? Cecilia Chailly, arpista e compositrice di formazione classica ma votata anche al pop, jazz, new age, non si rassegna. L'altra meta' del cielo della musica, nel nostro empireo le risuona drammaticamente vuota. "Ma le donne, dove sono?" invoca Cecilia. "Perche' nessun teatro, nessun conservatorio, nessun ente culturale, offre mai qualche occasione a un'artista? Anche i colleghi ti ignorano o, tutt'al piu', ci provano. C'e' molto maschilismo nella classica. Il massimo che ti puo' capitare in questo Paese e' di venir considerata la musa ispiratrice di qualche sedicente talento. Insomma, dove sono le pari opportunita' nella musica?". Eppure, sostiene con foga, il femminile deve trovare una sua collocazione anche in quei territori. "Si parla tanto di crisi, addirittura di morte della musica colta. Perche' non attingere alla creativita' femminile? Non andare a cercare tra i suoi tanti talenti nascosti, soffocati? Il mio spazio io me lo sono conquistato in un territorio diverso, in quel cosiddetto 'crossover' che consente piu' liberta' e autonomia. Pero' le mie radici sono classiche. Mi sono diplomata al Conservatorio di Milano, a 17 anni ero prima arpa alla Scala. Poi ho scelto altre vie, ho lavorato con Cage, Einaudi, De Andre'... Non appartengo a nessuno, ma vorrei poter sperimentare su tutti i fronti. Classica compresa. Io non demordo". A casa Chailly non si usa. Cosi' insegnava papa' Luciano, compositore di valore, direttore artistico della Scala dal '68 al '71, cosi' ribadisce il fratello Riccardo, celebre direttore d'orchestra, oggi alla guida della Gewandhaus di Lipsia. Chiamarsi Chailly e' un onore e un onere. "Certo e' un cognome che ha contato, ma mai per 'far carriera' - assicura Cecilia -. Da noi le regole sono sempre state chiare: ciascuno doveva trovare la sua strada e percorrerla per conto suo, senza appoggi di sorta. Mio padre ci ha insegnato ad amare la musica ma e' sempre stato critico nei nostri confronti, pronto a smontarci piu' che a sostenerci". In quella famiglia importante, forse per certi versi ingombrante, Cecilia e' arrivata per ultima. "I miei avevano gia' due figli grandi, Riccardo e Floriana. Io non ero prevista dal copione, mi ha portata il caso. Un bel caso. Non potevo capitare meglio. Genitori uniti, figli amati, tutti con interessi spiccatissimi. Un'infanzia senza bambole, con strumenti per giocare alla musica, vita spartana ma piena di stimoli... A sei anni gia' cantavo nel coro della Filarmonica di Roma. La mia strada era quella". Una strada affascinante, fuori dagli schemi. Entrare nell'Orchestra della Scala a 17 anni e andarsene per saggiare altri mondi, non e' da tutti. Ma Cecilia e' tentata da cio' che e' nuovo, inconsueto. Studia composizione con Azio Corghi, frequenta il movimento dei neoromantici, Tutino, Ferrero, va a vivere in una "comune" di musicisti... "Con Luca Francesconi, Pietro Pirelli, Walter Prati. Un anno bellissimo", ricorda. Poi altri sconfinamenti. Pioniera dell'arpa elettrica, incrocia altri sperimentatori. "Ho suonato con John Cage. Un personaggio straordinario, dotato di energie strane, misteriose. Uno che leggeva i Ching e faceva sedute spiritiche. Quando mi telefono' dagli Usa, a casa mia cadde uno specchio senza rompersi". Altri incontri. Mina. "Mi chiamo' da Lugano spacciandosi per la segretaria della signora Mazzini e poi si svelo' ridendo proponendomi di prender parte al cd Ridi pagliaccio". Ludovico Einaudi: "Ci lega un'affinita' quasi parentale, potrebbe essere mio cugino". Fabrizio De Andre': "Un uomo meraviglioso, che sapeva ascoltare gli altri. Il piu' femminile degli artisti". Nel '97 pubblica il suo primo album da compositrice, Anima. "Un successo. Alcuni brani li volle Dario Argento per la colonna sonora del suo film Non ho sonno. 'Sei una musicista esatonale', mi disse mio padre. Non so bene se fosse un complimento o no". Si appassiona di filosofia e musica indiana, suona a Milano per il Dalai Lama, a Roma per il Papa. Il secondo album, Ama, segna il suo debutto nel pop e nella trance music. Nel 2006 e' la volta di Alone, a cui partecipa anche l'amico Einaudi e dove Cecilia mescola alla sua musica brani di antiche registrazioni fatte da papa' Luciano dove la voce di lui si mescola a quella di lei bimbetta. "Quando Sting ha sentito questo album mi ha scritto una lettera bellissima. Ci siamo conosciuti anni fa, dopo un suo concerto. Perche' ti sogno da 15 anni? gli ho chiesto. Non lo so, mi ha risposto lui. Poi ci siamo scolati una bottiglia di champagne e siamo diventati amici. Piu' sono grandi piu' sono semplici. Sting, Morricone, De Andre'... E Uto Ughi, mi piace molto"... 6. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "IL COMUNISTA" DI ANNA BALDINI (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Anna Baldini, Il comunista. Una storia letteraria dalla Resistenza agli anni Settanta, Utet Libreria, Torino 2008] Da pagina 137 8. Lo scrittore postumo 8.1. Morselli e Calvino Nell'ottobre 1965, dopo un'attesa durata qualche mese, Guido Morselli riceve una lunga lettera con la quale Italo Calvino respinge per conto di Einaudi il suo romanzo Il comunista. Non e' il primo ne' l'ultimo rifiuto editoriale che lo scrittore dovra' subire, sia in relazione a questo che a tutti gli altri romanzi scritti tra il 1961 e l'anno della morte (1973). Oltre alla lettera di Calvino, negli apparati della piu' recente edizione possiamo leggere la giustificazione del rifiuto de Il comunista da parte di Garzanti, ma a respingere il libro saranno anche Longanesi, Mursia e Mondadori. L'accordo con Rizzoli, che sembrava poter sfociare nella pubblicazione, naufraga nell'aprile del 1968. A rendere degna di nota la lettera di Calvino sono la qualita' e insieme la minuzia dell'analisi. La lettera e' suddivisa in due parti: nella prima viene dichiarato e argomentato un "a-priori" teorico: "Credo [...] che si puo' fare opera di letteratura creativa con tutto, politica compresa, ma bisogna trovare forme di discorso piu' duttili, piu' vere, meno organicamente false di quello che e' il romanzo oggi. Trattando i problemi che stanno a cuore si possono scrivere saggi che siano opere letterarie di gran valore, valore poetico dico, con non solo idee e notizie, ma figure e paesi e sentimenti. Delle cose serie bisogna imparare a scrivere cosi', e in nessun altro modo". Nonostante il pregiudizio, Calvino ammette che il romanzo l'ha attratto, coinvolto, e spinto a un gioco di smontaggio della materia: fa dunque seguire una "perizia di verosimiglianza" con la quale vengono valutati i diversi elementi del plot, e giustifica l'uso di questo criterio critico, a suo dire ormai desueto, attribuendo il libro al genere del "romanzo di rappresentazione quasi fotografica di ambienti diversi, il romanzo storico-privato", genere che "punt[a] tutto sulla credibilita', sulla riconoscibilita' delle situazioni e dei personaggi". Ben poco viene salvato dall'indagine documentaria: la figura del personaggio protagonista e la sua formazione, la descrizione della sua vita attuale di deputato comunista di provincia nella Roma parlamentare. Tutto il resto - la discussione ideologica, la materia americana, la descrizione dall'interno del Partito Comunista, la vita amorosa del protagonista e i personaggi femminili - rimangono, a parere di Calvino, freddi, danno l'impressione di essere frutto di una documentazione indiretta e non rendono il senso di una vita vissuta. * Da pagina 141 Il nocciolo filosofico de Il comunista si concentra sul medesimo problema su cui si affanna Amerigo Ormea in La giornata di uno scrutatore. La distanza tra Morselli e Calvino, che induce il secondo a rifiutare il romanzo del primo, non e' dunque ideologica ma formale e letteraria; rivela una disparita' sul concetto di letteratura, e di romanzo, ben piu' profonda di una divergenza sul realismo degli ambienti, comunisti o americani, descritti da Morselli. Il tema de Il comunista e' "una cosa seria", tanto seria che si trova al centro di un libro che funge da cerniera nella carriera letteraria dello stesso Calvino, ed e' proprio l'importanza del tema che induce Calvino a scrivere a Morselli che "la favola lo serve male". Delle cose serie non si puo' scrivere in forma di romanzo, e infatti Calvino rifiuta tale denominazione alla Giornata di uno scrutatore, per definire la quale ricorre a un elenco plurimo, a cavallo tra generi tutti rigorosamente non finzionali: "E' un racconto ma nello stesso tempo una specie di reportage sulle elezioni al Cottolengo, e di pamphlet contro uno degli aspetti piu' assurdi della nostra democrazia, e anche di meditazione filosofica su che cosa significa il far votare i deficienti e i paralitici, su quanto in cio' si rifletta la sfida alla storia d'ogni concezione del mondo che tiene la storia per cosa vana; e anche un'immagine inconsueta dell'Italia, e un incubo del futuro atomico del genere umano; ma, soprattutto, e' una meditazione su se stesso del protagonista (un intellettuale comunista), una specie di 'Pilgrim's Progress' d'uno storicista che vede a un tratto il mondo trasformato in un immenso 'Cottolengo' e che vuole salvare le ragioni dell'operare storico insieme ad altre ragioni, appena intuite in quella sua giornata, del fondo segreto della persona umana...". La crisi che segna il passaggio da una fase all'altra della storia letteraria di Calvino si incentra sul genere romanzesco, che era stato al centro degli attacchi della Neoavanguardia e delle proposte sperimentali della rivista "Officina". In questa fase di passaggio, in cui Calvino deve ridefinire le proprie posizioni letterarie sotto la spinta di questi nuovi entranti nel campo, lo scrittore accusa ripetutamente una "massiccia stanchezza per la letteratura, e per i romanzi in particolare". Nei suoi saggi Calvino moltiplica le testimonianze di sfiducia nelle possibilita' di sopravvivenza del genere, che gli sembra superato da altre forme artistiche o mediatiche: "C'e' ancora bisogno di scrivere romanzi? Al bisogno di raccontare storie che esemplifichino i casi della nostra societa', che segnino i mutamenti di costume, e mettano in linee i problemi sociali, bastano e avanzano il cinema, il giornalismo, la saggistica sociologica". La traiettoria letteraria di Morselli si era sviluppata lungo linee opposte a quelle che Calvino gli suggeriva di intraprendere abbandonando il genere romanzesco. La stagione unicamente dedita alla scrittura di romanzi non era iniziata per Morselli che nel 1961, con la redazione di Un dramma borghese; negli anni precedenti la sua attivita' intellettuale si era concentrata sul versante saggistico, dove troviamo anticipati i nuclei concettuali dei futuri romanzi. Il tema filosofico de Il comunista era gia' stato svolto, oltre che nelle pagine del Diario, in diversi saggi: in Appunti sul marxismo, redatto nel 1947 e pubblicato da "La Prealpina" nel 1949, Morselli sviluppa le proprie obiezioni all'edificio filosofico del marxismo, mentre nel trattato Fede e critica affronta il problema della teodicea usando come strumenti euristici la filosofia e l'esegesi biblica. L'opposizione tra i percorsi biografico-letterari di Calvino e Morselli non potrebbe essere piu' netta: le ragioni che fanno di Calvino un'icona della letteratura italiana contemporanea, il suo essere continuamente al passo con i tempi oltre che capace di dare una direzione a tale passo, sono le medesime che fanno di Morselli uno scrittore perennemente rifiutato dagli editori. Morselli sembra possedere il dono di produrre opere letterarie che giungono sempre al momento sbagliato: inizia a scrivere i suoi grandi romanzi negli anni Sessanta, quando la cultura letteraria italiana a' la page discetta sulla morte del genere; e gia' si era rivelato "fuori tempo" durante "l'esplosione letteraria" del neorealismo, quando traduceva la stessa materia bruciante e dolorosa lasciata in eredita' dalla guerra in un saggismo filosofico e teologico piuttosto che in opere narrative. * Da pagina 182 9.3. Voci dall'alterita' I romanzi e racconti fin qui esaminati sono accomunati da una fusione di tematica sessuale e allegoria sociale che passa attraverso il sistema dei personaggi. Incontro col comunista di Morselli, forse il testo letterario piu' compiuto in questo senso, serve il proprio tema fin dalla tipologia narrativa adottata: il racconto e' condotto da un narratore omodiegetico femminile, il cui desiderio sessuale, figura dell'attrazione sociale, viene esplorato dall'interno. L'opzione narrativa e' la stessa di Incontro col comunismo, ma quella operata da Morselli e' una scelta ben piu' forte: se per Vigano' il genere sessuale del narratore e' determinato dalla parziale sovrapposizione dell'esperienza autobiografica alle vicende narrate, Morselli viene meno alla "naturale" corrispondenza di genere tra voce narrante e autore. Nell'identificazione delle due forme di alterita' (sociale e di genere) balena il proposito di raccontare il punto di vista dell'altro (la donna e la classe subalterna) sul mondo e in particolare su di se'. Anche Moravia, "narratore borghese della crisi della borghesia", nel primo decennio del dopoguerra si impegna nel racconto dell'altro sociale, evadendo dal mondo chiuso del proprio oggetto privilegiato. Il clima civile e letterario postbellico lo influenza, favorendo nello scrittore la costruzione di un mito del popolo come alterita' positiva, al quale e' possibile quell'"abbandono passivo al ritmo dell'esistenza" che "a priori esclude il borghese". Lo scrittore ha fiducia di poter raccontare questa diversa dimensione dell'esistenza, di poterle dare parola facendo degli stessi popolani i narratori delle proprie storie: dal "popolo" sgorgano le voci narranti, tutte maschili, dei Racconti romani (1954; nel 1959 escono i Nuovi racconti romani), e due popolane sono le narratrici di La romana (1947) e La ciociara (1957). Se nei Racconti e' la lingua, mimando l'oralita', a farsi veicolo della voce dell'altro, nei due romanzi e' la femminilita' del personaggio narrante a marcare la distanza, quasi piu' antropologica che sociale, dell'autore dal mondo narrato. In La romana e La ciociara il principale personaggio maschile cui le due donne diversamente si legano e' un intellettuale, borghese e antifascista. Giacomo e Michele sono due personaggi radicalmente lontani dalle narratrici, che concentrano su di loro uno sforzo ermeneutico indotto in Adriana dall'amore, in Cesira da un affetto materno e protettivo. La coppia piu' interessante e' quella formata da Adriana e Giacomo in La romana, in cui si presentano mischiate l'attrazione sessuale e quella sociale: la prostituta Adriana si innamora del giovane studente Mino, figlio della buona borghesia di provincia, ma non ne viene mutata e introdotta nel mondo della passione politica, come era avvenuto a Ilaria in Incontro col comunista. La coppia moraviana e' divaricata a livello sociale, ma in maniera capovolta rispetto al romanzo di Morselli; l'intellettuale borghese non vi e' presente in figura, ma pienamente rappresentato per quello che e'; muta percio' la funzione del personaggio femminile, che diventa filtro per una rappresentazione straniata della sua realta' umana. Adriana e Cesira, rese esperte dall'immersione quotidiana nella concretezza dell'esistenza, valutano le cose per quello che sono; il loro sguardo ingenuo rivela il castello di astrazioni, proiezioni e infingimenti che regola il rapporto dell'intellettuale con il mondo, e che impedisce il radicamento delle sue convinzioni, anche e soprattutto politiche, nella realta'. * Da pagina 195 Conclusioni Compagno di strada, nemico di classe, istanza superegotica, oggetto di attrazione o desiderio: il comunista si trova al centro della rappresentazione narrativa che di se' ci ha lasciato la generazione letteraria segnata dalla Resistenza. Romanzi e racconti fanno perno su questi uomini e queste donne, contadini o operai, proletari o borghesi: e' il marchio lasciato in letteratura del ruolo protagonista - deuteragonista e antagonista - svolto dal comunismo nella storia e nella societa' italiane del secolo scorso. Al termine della seconda guerra mondiale i membri del Pci, sia dirigenti che militanti, incarnano esemplarmente la "generazione lunga antifascista" di cui ha parlato lo storico Claudio Pavone per identificare un fenomeno politico e culturale, piu' che una coincidenza anagrafica: un patrimonio di valori salda gli antifascisti del Ventennio ai ventenni entrati nella politica e nella vita durante la Resistenza. Li accomuna la convinzione che la guerra civile abbia tracciato una linea di demarcazione nella storia italiana, e che possa divenire punto di partenza per rivoluzionarla. Non e' stato cosi', ma l'intenzione stessa ha fatto di quell'evento una cesura. Il microcosmo letterario illustra esemplarmente questo duplice significato storico della Resistenza, insieme reale e simbolico: benche' permangano gli assetti istituzionali dell'anteguerra - editoriali, scolastici e accademici -, dopo il 1945 il neorealismo e la letteratura "impegnata" annunciano e propugnano un rinnovamento delle forme, dei contenuti e del mandato sociale della letteratura che riesce a imporre una nuova assiologia al campo letterario. * Da pagina 197 Un'appendice per non concludere: dopo il 1968 La fine degli anni Sessanta segna un mutamento epocale nella storia sociale italiana. Dopo le rivolte studentesche e operaie del 1968-1969, tra strategia della tensione e terrorismo rosso le forze politiche progressiste escono dal ghetto della guerra fredda: il Pci conosce una trionfale avanzata elettorale e irrompono in scena forze di rinnovamento estranee al Partito. La sinistra extraparlamentare, il femminismo, i movimenti di riforma delle istituzioni come Magistratura o Psichiatria Democratica, gli esiti dei referendum sul divorzio e sull'aborto mettono in luce i mutamenti profondi occorsi agli stili di vita e ai valori di una parte della popolazione italiana. La cesura del 1968-1969 segna un discrimine anche nei confronti del nostro oggetto di analisi: con l'emergere di una sinistra alla sinistra del Pci, quale personaggio letterario, quale agente della storia sociale possiamo definire "comunista"? Dobbiamo considerare tali, come in precedenza, i membri del Partito, oppure anche chi rivendica quel titolo contestando la legittimita' rivoluzionaria del Pci, di cui considera esaurita la spinta propulsiva? "Sindacalisti burocrati del Pci falsi marxisti leninisti poliziotti e fascisti hanno tutti una caratteristica in comune. Hanno una paura dannata della lotta operaia della capacita' operaia di mandare al diavolo padroni e servi dei padroni per decidere e organizzare autonomamente la lotta in fabbrica e fuori dalla fabbrica. Per loro abbiamo fatto questo volantino che finiva cosi' Diceva un tale che anche le balene hanno i loro pidocchi. La lotta di classe e' una balena. Poliziotti burocrati di partito e di sindacato fascisti e falsi rivoluzionari sono i suoi pidocchi". Questa "lassa" del romanzo del 1971 Vogliamo tutto di Nanni Balestrini esprime bene il disprezzo per il Pci proprio di una parte dei movimenti sociali degli anni Settanta. Ma il libro di Balestrini non e' significativo solo per il suo messaggio ideologico-politico, ma anche come segnale di quel mutamento di forze nel campo letterario cui abbiamo accennato nel terzo capitolo. Il ribellismo stilistico del brano citato, espressione e specchio di quello politico, dev'essere interpretato in termini radicalmente diversi da quelli con i quali leggiamo, per esempio, Capriccio italiano (1963) di Edoardo Sanguineti. * Da pagina 199 [...] A giudicare dal racconto di Rossana Rossanda dell'"autunno caldo" milanese, sembrerebbe che quello narrato da Balestrini sia stato il vissuto di una minoranza: "Non erano i poveri e gli oppressi, era la 'classe' che prendeva corpo in modo massiccio, dimostrava di essere in grado di garantire tutta la produzione e piu' fluidamente, sconcertando il padronato e scrollandone gli equilibri. Ignoro se si chiedessero come sarebbe finita, era il loro posto di lavoro, si battevano per cambiarlo e per tenerlo, non per andarsene - pochi avevano in mente il lavoro zero, tutti si scrollavano un'obbedienza di dosso. [...] Non si aggregavano per caso, non venivano dalla citta' atomizzata, erano nel loro luogo quotidiano, dettato e coltivato, parlavano di quel che si faceva e non si sopportava piu' di fare e come si sarebbe potuto fare. Il comunismo era questo, qualcuno aveva detto la cosa semplice difficile da fare - e invece si faceva. I fogli prodotti allora, e che per rivoli durano anche dopo, sono di gente che vuole dirigere assieme, non stendersi felicemente da sola sotto un albero. Il padrone e i suoi capi non c'erano, e domani non sarebbe stato come oggi. La posta in gioco era altissima, non ci puo' essere per il capitale una sfida piu' grande". Naturalmente anche quella di Rossanda e' una ricostruzione condotta da un punto di vista individuale e percio' parziale, ma non e' insensato darle piu' credito che a Balestrini. Non foss'altro per continuita' con un fenomeno gia' piu' volte sottolineato: abbiamo dedotto continuamente dalle nostre analisi di testi letterari come nell'immaginare l'esperienza vissuta da un operaio, da un contadino, da un militante della "base" comunista, gli scrittori esprimano piuttosto la propria che l'altrui condizione sociale. E' questa il sostrato autentico delle rappresentazioni di operai emarginati e alienati di Volponi o Balestrini; e' la condizione intellettuale a pensarsi in decadenza, straniata, sterilmente ribelle. L'operaio cui Balestrini pretende di dar voce direttamente e' la proiezione del discorso politico di un mondo intellettuale che non ha che una conoscenza mediata della realta' di cui si dichiara portavoce ideologico. Ogni opera letteraria, come ogni sguardo portato sul mondo, vive della prospettiva di chi guarda, che viene influenzata non solo da specificita' psicologiche, sociali e storiche, ma anche dalle dinamiche interne ai vari microcosmi sociali. L'opera letteraria e la proiezione non solo della prospettiva sul mondo di un individuo, ma di quella del suo specifico campo di azione sociale. Se il sistema dei personaggi di un impianto romanzesco costituisce un laboratorio sperimentale di dinamiche relazionali, la presenza stessa dell'osservatore, come insegna il principio di indeterminazione di Heisenberg, influenza il risultato dell'esperimento. E, come nella fisica quantistica, e' importante tener conto di questa rifrazione, il cui gradiente e' tanto maggiore quanto piu' autonomo e' un campo, e grazie alla quale l'opera d'arte finisce per celare in se' tracce della percezione e comprensione del mondo del suo autore. La maggior autonomia del campo lettarario italiano dopo il 1955 ha portato a una condanna della referenzialita' in letteratura, in contrapposizione all'ingerenza politica che nel decennio precedente aveva incoraggiato il realismo e sostenuto il primato della narrativa. Negli anni Sessanta si consolida un'assiologia letteraria che esalta l'opacizzazione dei referenti attraverso la ricerca formale, libera elementi fantastici e ludici, ma anche svaluta il genere romanzesco e chiude la letteratura in un circuito autoreferenziale, come avviene spesso nei periodi di piu' radicale autonomia delle ragioni dell'arte. Gli scrittori che abbiamo qualificato come "isolati" lo sono stati perche', per motivi diversi, continuano a credere nella possibilita' di un rapporto mimetico e referenziale tra letteratura e mondo, e nell'importanza della narrativa per la comprensione della realta'. Non c'e' da stupirsi dunque se un diverso racconto del vissuto di un operaio, rispetto agli schematismi e al populismo degli anni Cinquanta, ma anche rispetto alle deformazioni espressionistiche di Balestrini o Volponi, ci venga da un altro scrittore relativamente isolato rispetto al proprio contesto letterario. Nel 1978 Primo Levi pubblica La chiave a stella, una serie di storie di lavoro che l'operaio montatore Tino Faussone racconta a un anonimo chimico-narratore durante una comune permanenza a Togliattigrad. Fondamento e morale del libro e' un'etica radicalmente diversa rispetto al messaggio di quello di Balestrini: le voci dei due narratori con le loro storie di mestiere (il mestiere del montatore, quello del chimico, quello dello scrittore) compongono una sinfonia che, in una modulazione di tonalita' maggiori e minori - vittorie e sconfitte, giorni buoni e cattivi, fatiche e soddisfazioni - ruota intorno all'elogio dell'esperienza umana del lavoro: "Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci puo' donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo e' privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicita' sulla terra: ma questa e' una verita' che non molti conoscono. Questa sconfinata regione, la regione del rusco, del boulot, del job, insomma del lavoro quotidiano, e' meno nota dell'Antartide e per un triste e misterioso fenomeno avviene che ne parlano di piu', e con piu' clamore, proprio coloro che meno l'hanno percorsa. Per esaltare il lavoro, nelle cerimonie ufficiali viene mobilitata una retorica insidiosa, cinicamente fondata sulla considerazione che un elogio o una medaglia costano molto meno di un aumento di paga e rendono di piu'; pero' esiste anche una retorica di segno opposto, non cinica ma profondamente stupida, che tende a denigrarlo, a dipingerlo vile, come se del lavoro, proprio od altrui, si potesse fare a meno, non solo in Utopia ma oggi e qui: come se chi sa lavorare fosse per definizione un servo, e come se, per converso, chi lavorare non sa, o sa male, o non vuole, fosse per cio' stesso un uomo libero. E' malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma e' nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo. Si puo' e si deve combattere perche' il frutto del lavoro rimanga nelle mani di chi lo fa, e perche' il lavoro stesso non sia una pena, ma l'amore o rispettivamente l'odio per l'opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell'individuo, e meno di quanto si creda dalle strutture produttive entro cui il lavoro si svolge". 7. LIBRI. MARIA LUIGIA CASIERI PRESENTA "LA MARCIA DI RADETZKY" DI JOSEPH ROTH Un libro stupendo, con un linguaggio dalla straordinaria capacita' di penetrazione e dall'infinita ricchezza di sfumature. Nella descrizione, anche fugace, di personaggi e situazioni sembra di riconoscere esperienze dell'oggi con quell'intramontabile attualita' del cuore dell'uomo, colto in profondita'. Attraverso la vicenda del protagonista, nipote dell'"eroe di Solferino", e quindi delle due generazioni che lo precedono, si delinea il tramonto di un'epoca, quella dell'impero asburgico, e lo sgomento affacciarsi di un mondo nuovo. Ogni riga colpisce e sarebbe bello rimanesse indelebile, scolpita nella memoria. Una cosa soprattutto colpisce, la sorridente naturalita' con cui ci si accosta alla morte: a volte malinconica, con il perdurare del lento scorrere della pioggia sui vetri, che fa da contrappunto all'interrompersi dello scorrere della vita del capitano distrettuale, introdotto dal semplice gesto del "mettersi a letto di giorno"; a volte ironica, come nel caso dell'imperatore Francesco Giuseppe che, nella percezione del sentirsi ormai oltre la morte, coglie la distanza tra se' e gli astanti e ne determina l'incomprensibilita', in un gioco tra dire e non dire, sentire e non sentire; a volte luminosa, come per il passaggio del vecchio Jacques, in cui le ultime ore sono vive della capacita' di godere delle semplici gioie della vita, la luce del sole, il canto degli uccelli, lo stormire delle fronde degli alberi, il rassicurante ripetersi dei gesti quotidiani, la presenza e il ricordo di affetti discreti che contrassegnano una vita solitaria ma non oppressa dalla solitudine; a volte attonita e incredula come di fronte alla tomba della signora Slama, gia' sepolta in un ricordo di persona viva. Cosi' diverse queste morti, dalla morte cosi' poco eroica e quasi inaspettata del nipote dell'eroe di Solforino, dall'angosciosa e lacerante vicenda del suo amico Demant, il medico morto in ossequio a un assurdo vincolo d'onore, in quella che sembra la fiera delle contraddizioni e degli equivoci. Ma la morte percorre l'intera narrazione, come minaccia e oscuro presagio di cambiamento. Un cambiamento, come si e' detto, epocale, in cui, oltre che negli indizi continuamente disseminati nel testo, e' lo stesso imperatore il luogo in cui precipita la crisi di un sistema, tratteggiata nelle sue contraddizioni anche attraverso l'affiorare di un'intimita' personale in conflitto col ruolo pubblico, fino alla morte rivestito, quando la stessa guerra viene definita come "peccato". E l'esercito appare spesso il luogo in cui questo peccato si manifesta, almeno e soprattutto nella forma della sua insensatezza. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 228 dell'8 gennaio 2009 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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