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Minime. 690
- Subject: Minime. 690
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 4 Jan 2009 01:04:03 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 690 del 4 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Maurizio Matteuzzi ricorda Helen Suzman 2. Vaclav Havel, Hasan bin Talal, Hans Kung, Yohei Sasakawa, Desmond Tutu, Karel Schwarzenberg: Del genere umano 3. Giampaolo Calchi Novati: O la violenza o la politica 4. Michel Warschawski: In Israele cresce l'opposizione alla guerra 5. Antonio Livi presenta le "Confessioni" di Agostino 6. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 8. L'Agenda dell'antimafia 2009 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. MAURIZIO MATTEUZZI RICORDA HELEN SUZMAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Un'icona antirazzista" e il sommario "E' morta ieri Helen Suzman, ebrea di origini lituane, grande figura della lotta contro l'apartheid"] Uno dei pochi bianchi a conquistarsi il rispetto dei neri. Questo forse e' l'epitaffio piu' bello per Helen Suzman che si e' spenta ieri nella sua casa di Johannesburg all'eta' di 91 anni. Helen Suzman, la "anti-apartheid icon", la "conscience of a troubled land". Il rispetto dei neri Helen Suzman comincio' a conquistarselo nel 1953 quando fu eletta quasi per gioco nel parlamento "white-only" del Sudafrica dell'apartheid. In parlamento ci sarebbe rimasta per 36 anni, fino a quando non si ritiro' nell'89, prima come deputato dello United Party, il partito di (finta) opposizione al National Party di governo, e poi del liberale Progressive Party di cui fu fra i fondatori nel '59. Dal '61 al '74 per 13 anni fu la sola parlamentare inequivocabilmente contraria al regime di segregazione razziale. Una outsider nel panorama bianco del Sudafrica di allora, una piccola donna di madrelingua inglese e di origini ebraiche in un parlamento dominato da uomini afrikaner e calvinisti di lingua afrikaans. Suzman "divenne una spina nel fianco nel sistema dell'apartheid", ha scritto ieri in un suo comunicato l'African national congress e, come si legge in una nota della Nelson Mandela Foundation, "una grande patriota e un'intrepida combattente contro l'apartheid". Per anni da sola: 165 contro uno. Lei. Ma questa solitudine non l'aveva mai intimidita, come neanche le cure particolari riservatele dalla polizia e gli insulti dei premier o presidenti. Il contrario. Quella solitudine la spingeva ad attaccare ancor piu' ferocemente dai banchi del parlamento di Pretoria ("Sono provocatoria, lo ammetto", disse). Non la fermavano ne' la intimidivano le accuse di nazisti di turno, come Verwoerd o Vorster o Botha, ne' gli insulti degli altri deputati bianchi che le gridavano "Torna a Mosca", "Torna in Israele", "strumento dei comunisti"... Esasperato dalle sue critiche una volta il primo ministro Vorster la investi' con queste parole: "Dove vuole arrivare? Cosa lei e i suoi amici comunisti state cercando di fare con il Sudafrica?". "Quel che stiamo cercando di fare e' fermare voi", fu la fulminante risposta. Il presidente Botha che credeva di schernirla chiamandola "la madre superiora", si senti' rispondere in faccia: "Io non ho paura di lei, non l'ho mai avuta e non l'avro' mai". Quando un ministro l'accuso' di fare domande che imbarazzavano il Sudafrica a livello internazionale, lei lo gelo' dicendo che "non sono le mie domande a imbarazzare il Sudafrica, sono le vostre risposte". In poco tempo e per molti anni quella donna piccola e carina della buona societa' bianca sudafricana divenne l'esponente politico piu' detestato nel Sudafrica white-only e uno dei piu' ammirati fuori. Negli anni '70 una rivista francese la indico' come una delle 50 "donne piu' importanti oggi nel mondo", fra pesi massimi come l'israeliana Golda Meir e l'indiana Indira Gandhi. Helen Suzman era nata il 7 novembre 1917 a Germiston, citta' mineraria vicina a Johannesburg, figlia di immigrati ebrei dalla Lituania. A 20 anni aveva sposato un dottor Moses Suzman molto piu' vecchio di lei e con lui ebbe due figlie. Giovane, piacente, ricca, buona societa' e partite di golf. Nel '53 corse per il parlamento forse come un diversivo. Quella vittoria inaspettata cambio' la sua vita per sempre. E fece di lei una di quella minoranza di ebrei banchi che si schierarono fin dal principio - quando era piu' duro e pericoloso - con i neri nella lotta di liberazione. Helen Suzman come Nadine Gordimer, come i comunisti Joe Slovo e Ruth First, come gli altri comunisti che sedevano fra gli imputati del processo di Rivonia a fianco di Nelson Mandela, Walter Sisulu, Gowan Mbeki, Ahmed Kathrada: Arthur Goldreich, Denis Goldberg, Lionel Bernstein, Bob Hepple. Helen non e' mai stata comunista, nonostante le accuse dei suoi colleghi parlamentari. Una liberale fino all'osso, una che credeva nel capitalismo e nel mercato, una che era stata contraria al boicottaggio economico in quanto "non funziona". Ma una - per molti anni la sola - che dopo le condanne all'ergastolo di Mandela e gli altri leader anti-segregazionisti nel '64, uso' la sua condizione di parlamentare per andare a visitarli nella prigione di Robben Island, o a Soweto e negli altri ghetti neri. Fece infuriare i bianchi ma si conquisto' il rispetto dei neri e l'ammirazione di Mandela. Per sempre. * Postilla Nella sua autobiografia Lungo cammino verso la liberta', Nelson Mandela ricorda le visite di Helen Suzman nel carcere di Robben Island: "Era un'apparizione strana e meravigliosa vedere quella donna coraggiosa far capolino nelle nostre celle e girovagare per il cortile. Lei fu la prima e l'unica donna che abbia mai ingentilito le nostre celle". Helen Suzman, che studio' economia e statistica nell'universita' sudafricana di Witwatersrand, ricevette una trentina fra lauree honoris causa e altre onorificenze per la sua attivita' contro l'apartheid: Oxford, Cambridge, London School of Economics, Harvard, Columbia, Cape Town sono alcune delle universita' che l'incoronarono. Helen Suzman fu per due volte candidata al premio Nobel per la pace che non vinse ma ricevette un'infinita' di titoli da gruppi religiosi e di difesa dei diritti umani. La regina Elisabetta d'Inghilterra conferi' a Helen Suzman il titolo di "Dame Commander of the Order of the British Empire". Nel 1997 Nelson Mandela, divenuto presidente della repubblica nel '94, conferi' a Helen Suzman la piu' alta onorificenza civile del Sudafrica: "the Order of Meritorious Service". 2. APPELLI. VACLAV HAVEL, HASAN BIN TALAL, HANS KUNG, YOHEI SASAKAWA, DESMOND TUTU, KAREL SCHWARZENBERG: DEL GENERE UMANO [Dal quotidiano "La Repubblica" del 3 gennaio 2009 col titolo "A Gaza. E in gioco l'etica del genere umano" e la nota redazionale "Vaclav Havel e' stato presidente della Repubblica Ceca; Sua Altezza Reale Principe Hasan bin Talal e' presidente dell'Arab Thought Forum (Forum per il Pensiero Arabo) e presidente emerito della Conferenza mondiale delle Religioni per la pace; Hans Kung e' Presidente della Stiftung Weltethos (Fondazione per un¥etica globale) e Professore Emerito di Teologia Ecumenica all¥universita' di Tubingen; Yohei Sasakawa e' presidente della Sasakawa Peace Foundation; Desmond Tutu e' stato insignito del Premio Nobel per la pace; Karel Schwarzenberg e' ministro degli esteri della Repubblica Ceca"] Perdere tempo e' sempre deplorevole. Ma il tempo perso in Medio Oriente e' anche fonte di pericolo. E' trascorso un altro anno senza alcun consistente progresso per superare le divisioni tra palestinesi e israeliani. Le incursioni aeree in atto su Gaza, cosi' come i continui lanci di razzi contro Ashkelon, Sderot e altre citta' del Sud di Israele stanno a dimostrare l'estrema gravita' della situazione. L'impasse esistente tra Israele e la leadership palestinese di Gaza sulla questione della sicurezza ha condotto tra l'altro al blocco degli aiuti alimentari israeliani alla popolazione di Gaza, riducendo letteralmente alla fame un milione e mezzo di persone. Sembra che nelle sue trattative con i palestinesi di Gaza Israele sia tornato a impuntarsi sul primato della "hard security": un'impostazione che porta solo a precludere ogni altra opportunita' di segno non violento, ogni soluzione creativa al contenzioso israelo-palestinese. Con l'inasprimento della loro posizione i politici israeliani restano legati alla prospettiva di ulteriori insediamenti israeliani in Cisgiordania. E molti palestinesi, messi in questo modo con le spalle al muro, incominciano a non vedere altra scelta, per tradurre in realta' le loro aspirazioni nazionali, al di fuori delle tattiche piu' radicali. Da qui il rischio di sempre nuove violenze. E' quindi fondamentale, per i partner regionali di Israele come per gli attori internazionali, comprendere che i palestinesi non potranno comunque essere distolti dall'obiettivo strategico della conquista di uno Stato indipendente. Il popolo palestinese non abbandonera' mai la sua lotta nazionale. Ma israeliani e palestinesi devono rendersi conto che non conseguiranno mai i loro obiettivi a lungo termine con il solo uso della forza. E' necessaria invece l'adozione di scelte accettabili per entrambe le parti in causa, volte ad evitare le esplosioni di violenza. E sebbene talora non si possa escludere l'uso della forza, solo la via del compromesso verso una soluzione integrata puo' produrre una pace stabile e duratura. Perche' un processo di risoluzione di un conflitto possa avere esito positivo, e' necessario che le energie generate dallo scontro siano canalizzate verso alternative costruttive e non violente. Questo dirottamento delle energie conflittive e' possibile in ogni fase del ciclo dell'escalation; ma quando non vi e' stata, fin dai primi segnali di tensioni, un'azione preventiva per affrontare i problemi e costruire la pace, soprattutto allorquando il conflitto si intensifica e degenera nella violenza, e' necessario ricorrere a un qualche tipo di intervento. Solo allora diventa possibile instaurare un processo di mediazione e conciliazione, avviare il negoziato, l'arbitrato e la collaborazione in vista della soluzione dei problemi. In definitiva, la ricostruzione e la riconciliazione sono le sole vie percorribili per giungere a una stabilita' che comunque non puo' essere imposta. In tutto questo non c'e' nulla di sorprendente. E tuttavia e' il caso di chiedersi per quale motivo non vi sia stato un impegno piu' concertato e concentrato per trasformare la situazione a Gaza e in Palestina. Si e' parlato di un protettorato internazionale, per proteggere i palestinesi sia dagli elementi piu' pericolosi al loro interno che dagli israeliani, e fors'anche gli israeliani da se stessi; ma questa proposta ha ricevuto scarsa considerazione. Cio' che preoccupa in particolare chi si impegna nella risoluzione delle crisi internazionali e' l'assenza di un tentativo coordinato di costruire un accordo tra israeliani e palestinesi, in vista di una struttura basata su un approccio inclusivo, interdisciplinare e sistemico, in grado di spostare le variabili e di condurre a una pace che entrambi i popoli possano considerare giusta ed equa. Uno degli elementi chiave per una struttura di riconciliazione e' la crescita economica. Come ha ripetutamente sottolineato la Banca Mondiale, esiste una stretta correlazione tra poverta' e conflitti. Ecco perche' una soluzione politica sostenibile tra palestinesi e israeliani non puo' prescindere dal superamento del deficit di dignita' umana, del divario esistente tra una societa' prospera e una popolazione priva di tutto. Ma gli sforzi in questo senso sono stati finora frammentari, e quindi insufficienti a consentire la speranza reale di una vita migliore. E' necessario che tra israeliani e palestinesi si stabilisca un dialogo costruttivo, al di la' dell'enorme divario sociale che li divide; e allo stesso modo e' imprescindibile il dialogo tra le autorita' e la gente comune, gli abitanti di queste zone che vivono nella confusione su quanto si sta facendo in loro nome. E' necessario ricostruire la fiducia per consentire alle parti in causa di individuare le vie per il superamento delle ostilita' del passato. Solo l'avvio di un nuovo clima di fiducia pubblica permettera' di procedere a una diagnosi corretta dei problemi, per poterli affrontare efficacemente. Naturalmente, tutte le parti in causa devono comprendere l'esigenza di sicurezza degli israeliani; e allo stesso modo, le misure di costruzione della fiducia hanno bisogno del contributo di tutti. Ma piu' di ogni altra cosa c'e' bisogno oggi di un chiaro messaggio ad indicare che non la violenza, ma il dialogo e' la via maestra da seguire in questo periodo di grandi tensioni. Quello che e' in gioco a Gaza e' l'etica fondamentale del genere umano. Le sofferenze, l'arbitrio con cui si distruggono vite umane, la disperazione, la privazione della dignita' umana in questa regione durano ormai da troppo tempo. I palestinesi di Gaza, e tutti coloro che in questa regione vivono nel degrado e privi di ogni speranza non possono aspettare l'entrata in azione di nuove amministrazioni o istituzioni internazionali. Se vogliamo evitare che la Fertile Crescent, la "Mezzaluna fertile" del Mediterraneo del Sud divenga sterile, dobbiamo svegliarci e trovare il coraggio morale e la visione politica per un salto qualitativo in Palestina. 3. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: O LA VIOLENZA O LA POLITICA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Guerra dopo guerra"] In un aspetto la crisi israelo-palestinese e' uguale a tutti i conflitti di tutto il mondo: le cause, le motivazioni, le responsabilita' sono plurime, si rimandano e si rafforzano l'una con l'altra. I razzi Qassam non spiegano da soli la guerra d'Israele contro Gaza: se si puo' chiamare guerra uno scontro cosi' sproporzionato non solo per la tecnologia militare dei due contendenti ma per il fatto che da una parte combatte uno stato in piena regola, persino troppo "sovrano" visto che a Israele, a dispetto dell'opinione dei piu', sono permesse violazioni delle regole non ammissibili in genere per nessuno (salvo le superpotenze), e dall'altra una larva priva di qualsiasi personalita' (tanto che spesso si paragona la lotta di Hamas a una guerriglia benche' le analogie con le guerre di liberazione o le insorgenze siano davvero scarse se non per le vicende delle Intifada, che pero' si sono svolte nella West Bank piu' che a Gaza). Le provocazioni di Hamas sono una mezza verita'. Non si capisce del resto perche' le condizioni di vita degli abitanti di Israele a ridosso della Striscia e sotto il tiro dei missili artigianali sparati da Gaza dovrebbero essere piu' insopportabili delle condizioni di chi e' rinchiuso in una specie di prigione, in perenne embargo, senza collegamenti esterni, oggetto di periodiche incursioni e omicidi mirati. Per essere seri si deve partire dall'eccezionalita', per non dire unicita', della fattispecie arabo-israeliana e poi israelo-palestinese e dalla sostanziale circolarita' degli scambi. Non ci sono azioni e reazioni singole. C'e' una storia a piu' facce che si trascina da un secolo. Anche in Israele-Palestina valgono le questioni legate allo stato e alla nazione, al potere, alle classi, alla terra e alla formazione sociale, ma sopra o sotto questi fattori c'e' l'intreccio di due realta' concrete e simboliche che nessuna divisione e' riuscita veramente a separare. La stessa guerra e' il modo d'essere di questa interazione un po' perversa. Guerra dopo guerra, lo spazio fra israeliani e palestinesi e' diventato sempre piu' comune, anche se via via piu' sbilanciato a favore di Israele quanto a capacita' di gestirsi e ad autonomia effettiva e protetta. Israele, come stato e come soggetto collettivo di cui fanno parte, oltre alle decisioni delle autorita', un'opinione pubblica informata e un discorso politico-culturale che si presume libero, fa torto a se stesso se cerca di far credere che senza i deprecati e deprecabili razzi non ci sarebbe stato bisogno di una guerra. Dov'e' finita la coscienza critica che si e' soliti attribuire alla sua sofisticata intellettualita'? Si aveva ragione di ritenere che al centro del confronto in vista delle elezioni di febbraio - in una fase obiettivamente cruciale per le obbligazioni dell'ordine globale, la crisi finanziaria, il cambio alla Casa Bianca, la (forse) crescente ambizione dell'Europa - non ci fossero i Qassam ma temi come la natura dello stato ebraico oggi e domani, la conciliabilita' fra democrazia e demografia, le vie per integrarsi convenientemente nel Medio Oriente (altro che Unione europea). In gioco fra Israele e Palestina c'e' l'ingombro fatale del disegno che ha portato alla nascita e all'affermazione dello stato ebraico con la grandezza dell'utopia e le sue insanabili contraddizioni. Allo stesso modo, e lo si dice non solo per equidistanza, i dirigenti di Hamas e al limite l'intero movimento palestinese non possono ridurre tutto alle colpe di Israele (l'assedio della Striscia, gli insediamenti nei territori, il muro, ecc.), perche' l'applicazione degli accordi o degli schemi di accordo messi a punto a tutt'oggi si e' dimostrata o inadeguata o effimera o impossibile. La questione israelo-palestinese puo' essere affrontata in due modi diversi e alternativi: o con la violenza o con la politica. Si puo' sostenere che anche la violenza e' un'espressione della politica: e' vero, ma la distinzione e' fra la violenza come fine e la violenza come mezzo. Non si ripeta la solita solfa del "processo di pace" e dei "due stati per due popoli". Questi obiettivi possono essere raggiunti sia come sbocco della violenza (sopraffazione anche nelle eventuali concessioni) che per una scelta politica (equita' nel riconoscimento dei diritti degli uni e degli altri). Finora ha prevalso l'uso sistematico della violenza. Israele ha in mente una soluzione - la sicurezza come dogma, la pace come possibilita', lo stato palestinese solo come necessita' - che presuppone lo squilibrio, la supremazia, un dominio acclarato come unico pegno di sicurezza dando per scontato che i rapporti con i palestinesi, gli arabi e l'ambiente mediorientale nel suo insieme saranno sempre e comunque di ostilita' se non di belligeranza. Fatah e Hamas soffrono anche a distanza per la mancanza di una strategia attendibile. Arafat ebbe almeno il merito di tenere in vita un'idea unica di Palestina quando la Palestina era smembrata e negata da tutti. In ogni caso, nessuna componente del movimento palestinese ha mai immaginato di imporre una soluzione che implicasse un'egemonia a senso unico. La fase storica del "rifiuto arabo", quale che fosse il suo significato reale, e' chiusa. Sono altre le minacce che incombono su Israele (provenienti anche dall'interno). Determinante, pur nella lunga durata, e' il contesto in cui il contrasto si colloca di volta in volta. C'e' una bella differenza fra Nasser e Mubarak. Ai tempi di Nasser l'impegno arabo e panarabo aveva come riferimento il sovvertimento dei rapporti di origine coloniale. Il Rais vinceva politicamente anche quando usciva sconfitto da una guerra perche' cavalcava l'onda ascendente. Si supponeva che l'ordine mondiale potesse e dovesse essere forzato per adattarsi alle aspettative del Terzo mondo. Il 1956 a Suez fu il clou esaltante di quell'impegno: non servi' a nulla a Francia e Inghilterra sbaragliare l'Egitto in una guerra sbagliata e anacronistica. Israele allora credette utile mettersi al servizio dell'ultima fiammata del colonialismo europeo e subi' piu' umiliazioni che gratificazioni scontrandosi con la politica decisamente post-coloniale degli Stati Uniti. Il declino della causa araba comincio' nel 1967 con la guerra dei sei giorni e si preciso' nel 1977 quando Sadat ando' alla Knesset a concordare i termini della resa. Il bipolarismo Est-Ovest non dava nessuna copertura alla causa araba. L'errore strategico di Israele e' di non aver colto le diverse opportunita' dei vari passaggi adottando lo stesso schema dell'autodifesa preventiva per esibire sempre e solo la forza militare. L'invasione del Libano nel 1982 lo dimostra in modo fin troppo evidente. Invece di rompersi la testa sui "piccoli problemi" delle "piccole patrie", che appartengono al passato (la prima rivolta araba esplose nella Palestina mandataria nei lontani anni Trenta), Israele, palestinesi e arabi farebbero bene a misurarsi con le sfide che riguardano le loro posizioni relative nel sistema globalizzato. La globalizzazione, si sa, si occupa dell'ordine, non delle vittime. Le novita' non mancano. Potrebbe essere imminente il superamento dell'era degli idrocarburi da cui dipende l'economia di quasi tutti i paesi arabi della regione. La Palestina ha il vantaggio di non doversi sottoporre a questo tipo di riconversione. Il suo interlocutore obbligato nella transizione e' e restera' Israele. E qui si apprezza meglio la differenza fra la guerra e la politica. Le alternative diventano: esclusione o inclusione. Demarcare i confini era il compito del colonialismo. In futuro, con o senza Hamas, conteranno i diritti della cittadinanza (piu' della sovranita'), le funzioni e le specialita' (piu' dell'origine etnica). Se Israele e' la forza vincente, incombono su Israele le responsabilita' maggiori. Deve scegliere molto semplicemente se accanirsi contro i vinti (i palestinesi) o contribuire al loro riscatto. 4. DOCUMENTAZIONE. MICHEL WARSCHAWSKI: IN ISRAELE CRESCE L'OPPOSIZIONE ALLA GUERRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Lo spettro di un fiasco", il sommario "Barak sogna il blitzkrieg ma l'aria sta gia' cambiando" e la nota redazionale "Michel Warschawski e' il portavoce del Centro d'informazione alternativa a Gerusalemme, autore di Israele-Palestina, la sfida binazionale (Edizioni Sapere 2000)"] Bisogna dirlo e ripeterlo: quella che si svolge nella Striscia di Gaza non e' una guerra, ma una carneficina compiuta dalla terza forza aerea al mondo contro una popolazione indifesa. Bisogna dirlo e ripeterlo: la carneficina di Gaza non e' una reazione "sproporzionata" ai razzi lanciati dai militanti della Jihad Islamica e altri gruppuscoli palestinesi sulle localita' israeliane vicine alla Striscia di Gaza, ma un'azione premeditata e preparata da molto tempo, come d'altronde riconosce la maggior parte dei commentatori israeliani. Bisogna dirlo e ripeterlo: quei razzi non sono, come vogliono far credere certi diplomatici europei, "provocazioni ingiustificabili", ma risposte, peraltro abbastanza insignificanti, a un embargo selvaggio imposto da Israele, da un anno e mezzo, a un milione e mezzo di residenti della Striscia di Gaza, donne, bambini, e vecchi compresi, con la complicita' criminale degli Stati Uniti ma anche dell'Europa. Bisogna dirlo e ripeterlo: non assistiamo, come si cerca di spiegare a tutti quelli che hanno la memoria corta o selettiva, a un atto di autodifesa a lungo procrastinato di fronte a un'aggressione palestinese assolutamente ingiustificabile. Ehud Barak lo confessa tranquillamente, sono mesi che l'esercito israeliano si prepara a colpire "l'entita' terrorista" denominata Gaza. Come spiegava opportunamente Richard Falk, relatore speciale dell'Onu per i diritti umani nei territori occupati, quando si definisce "entita' terrorista" una zona popolata da un milione e mezzo di esseri umani si entra in una logica genocida. L'aggressione israeliana a Gaza, come l'attacco al Libano nel 2006, s'inscrive nella guerra globale permanente e preventiva degli strateghi neoconservatori in forza a Tel Aviv e, per qualche mese ancora, alla Casa Bianca. Come l'espressione indica, questa strategia e' preventiva, non ha bisogno di pretesti immediati e tangibili: l'occidente democratico sarebbe minacciato da un nemico globale, che prima e' stato definito "terrorismo internazionale", poi "terrorismo islamico" per diventare infine semplicemente l'Islam. Lo "scontro di civilta'" di Huntington non e' una descrizione della realta' politica internazionale, ma il quadro ideologico della strategia offensiva dei neoconservatori americani e israeliani, per com'e' stata elaborata di comune accordo dalla seconda meta' degli anni '80. In questa strategia di guerra, la minaccia islamica ha sostituito quello che e' stato il pericolo comunista durante la guerra fredda: un nemico globale che giustifica una guerra globale. Se il bombardamento criminale di Gaza gode in Israele di un sostegno consensuale, se la sinistra istituzionale, e in particolare il partito Meretz, si e' unita al coro di guerra diretto da Ehud Barak, e' appunto perche' condivide questa visione del mondo che fa dell'Islam una minaccia esistenziale che bisogna imperativamente neutralizzare prima che sia troppo tardi. All'orrore per questo crimine bisogna aggiungere quello per l'abiezione delle sue motivazioni contingenti: tra meno di due mesi si svolgeranno in Israele le elezioni, e le vittime palestinesi sono anche argomenti elettorali. I martiri dell'attacco israeliano su Gaza sono oggetto di una gara mediatica tra Ehud Barak, Tzipi Livni et Ehud Olmert, fra chi sara' il piu' determinato nella brutalita'. Il criminale di guerra che dirige il Partito laburista, o piuttosto quel che ne resta, si vantava ieri mattina di aver guadagnato quattro punti nei sondaggi. Oltre al cinismo senza limiti di barattare 350 vittime palestinesi innocenti contro qualche decina di migliaia di voti, Barak mostra, una volta di piu', la sua miopia politica: nel crescendo di bestialita', e malgrado tutti gli sforzi, non riuscira' mai a superare Benjamin Netanyahu, gli elettori preferiscono sempre l'originale alla copia. Tantopiu' che il guerrafondaio si trova oggi di fronte allo stesso problema di colui che ha trasformato la guerra del Libano nel fiasco israeliano, un problema ben noto a tutti quelli che hanno iniziato le guerre coloniali: come porvi termine? "Ci fermeremo solo dopo aver finito il lavoro", egli dichiara con l'arroganza dei capetti. Ma quando sara' finito "il lavoro"? Quando la popolazione di Gaza e di Cisgiordania accettera' di capitolare di fronte ai sogni coloniali dei dirigenti israeliani e limitare le sue aspirazioni nazionali a uno "Stato palestinese" ridotto a una decina di riserve isolate le une dalle altre e circondate da un muro? Se tale e' il "lavoro" che Barak spera di poter realizzare, il popolo israeliano deve allora essere pronto a una guerra che non solo sara' estremamente lunga ma anche interminabile. E se lo Stato ebraico e' ben attrezzato per le guerre-lampo (blitzkrieg, in tedesco), soprattutto quando queste sono condotte dall'aviazione, entra rapidamente in crisi quando si tratta di una prova di resistenza in cui i palestinesi, come tutti gli altri popoli vittime dell'oppressione coloniale, sono maestri. Questo spiega perche' meno di una settimana dopo il suo inizio, e malgrado le dichiarazioni trionfalistiche dei politici e dei militari, l'aria in Israele sta gia' cominciando a cambiare. Sabato scorso, qualche ora dopo il bombardamento di Gaza, eravamo poco piu' di mille persone a manifestare, spontaneamente, la nostra rabbia e la nostra vergogna. Ma saremo molti di piu' il prossimo sabato sera a esigere sanzioni internazionali contro Israele, a esigere che Ehud Barak e soci siano tradotti davanti a una corte di giustizia internazionale. Ne sono convinto. 5. LIBRI. ANTONIO LIVI PRESENTA LE "CONFESSIONI" DI AGOSTINO [Dal mensile "Letture", n. 558, giugno-luglio 1999, col titolo "Confessioni pubbliche e di successo" e il sommario "Nello scritto autobiografico di sant'Agostino c'e' tutto: la sua fede, la sua genialita' letteraria, la sua passione per la ricerca filosofica. Per questo e' sfuggito all'oblio, anzi e' un testo ancora adottato nella scuola italiana ed e' ristampato di continuo"] Chiamiamo in italiano Confessioni di sant'Agostino un suo bellissimo scritto autobiografico, composto tra il 397 e il 401. Il titolo originale e': Confessionum libri XIII, che potrebbe essere tradotto cosi': "Racconto della mia vita, in tredici libri, a gloria di Dio"; infatti, con il termine confessio - che in latino significa "dichiarazione, proclamazione" - ci si puo' riferire tanto al riconoscimento delle proprie colpe (la "confessione" in senso moderno) quanto alla proclamazione dei meriti altrui, e sant'Agostino volle narrare le vicende salienti della propria vita (dall'infanzia fino all'eta' di 47 anni) non solo per riconoscersi peccatore ma anche e soprattutto per ringraziare Dio della sua misericordia e lodarlo per la sua provvidenza. Agostino infatti vede tutta la sua vita come una vicenda di tanti errori suoi e di altrettanti interventi di Dio; con san Paolo ripete: "Dove abbondo' il peccato, sovrabbondo' la grazia". E prorompe in una commossa lode di Dio, che e' stato nei suoi confronti cosi' pazientemente misericordioso (perche' gli ha perdonato i peccati, in vista della conversione finale) e cosi' sapientemente provvidente (perche' lo ha fatto nascere da una madre santa, Monica, sempre sollecita della salvezza del figlio; gli ha fatto vivere esperienze dolorose ma sempre arricchenti; gli ha fatto conoscere sant'Ambrogio, vescovo di Milano, la cui dottrina e la cui vita sono state per lui l'ultimo e definitivo incoraggiamento verso la conversione). * Professore di retorica Ricordiamo allora qualche data della biografia del grande filosofo e dottore della Chiesa. Aurelio Agostino era nato a Tagaste (oggi Souk-Ahras, in Algeria) nell'anno 354; professore di retorica, prima nella provincia romana dell'Africa e poi nella stessa Roma, era giunto al vertice della carriera una volta stabilitosi a Milano. Con la conversione al cristianesimo, nel 386, Agostino abbandona la professione di retore, si ritira a Cassiciaco in Brianza e si dedica alla filosofia, scrivendo il Contra academicos (una critica dello scetticismo di Carneade), il De vita beata (dove stabilisce l'identita' di filosofia e desiderio di Dio) e i Soliloquia (libro che parla di Dio: incomprensibile eppure certissimo). Lasciata Milano, dove aveva scritto il trattato De immortalitate animae (sulla natura e il destino dell'uomo), Agostino si ferma di nuovo a Roma e scrive il De libero arbitrio (sul problema del male) e il De vera religione (sulla concordanza tra ragione e fede). Divenuto sacerdote (391) e poi vescovo (398), Agostino fa ritorno in Africa, dove compone ancora opere filosofiche, come il De magistro (sulla trasmissione della verita'), ma si dedica prevalentemente al lavoro pastorale e alla produzione di opere teologiche, nelle quali illustra il vero senso delle Scritture e combatte le eresie del suo tempo (il manicheismo, che egli stesso aveva accettato, e poi il donatismo e il pelagianesimo, dottrine contrarie alla verita' sulla grazia e sulla salvezza); appartengono a quest'ultima parte della sua vita i celebri trattati De Trinitate e De civitate Dei. La filosofia continua a essere presente in ogni suo scritto, ma soprattutto in due opere a carattere autobiografico: le Confessioni, appunto, nelle quali narra le sue vicende, e le Retractationes, nelle quali illustra il motivo e il vero messaggio delle sue opere. Agostino muore nella citta' di Ippona, della quale e' vescovo, mentre l'assediano i Vandali, i barbari che gia' avevano conquistato gran parte dell'impero romano; e' l'anno 430. Il vescovo Agostino non potra' partecipare al grande concilio di Efeso (431), ma la sua dottrina e' gia' patrimonio fondamentale e perenne della Chiesa latina e greca. Nel libro delle Confessioni, composto negli anni della maturita', c'e' tutto sant'Agostino: la sua fede ardente di convertito, il suo zelo teologico per la difesa del Vangelo contro le eresie, la sua responsabilita' pastorale come vescovo della diocesi africana di Ippona, la sua passione per la ricerca filosofica, la sua genialita' letteraria. Quest'ultimo aspetto e' il piu' immediatamente evidente: le Confessioni (un discorso in prima persona, con un io narrante che si rivolge a un Tu ineffabile ma amatissimo e sempre presente, che e' Dio) rappresentano da sempre uno dei piu' conosciuti e riconosciuti capolavori della letteratura mondiale. * Armonia di ragione e fede Forse proprio per questo le Confessioni sono uno dei pochi testi della "filosofia cristiana" (la filosofia dei cristiani che hanno saputo armonizzare la ragione con la fede) sfuggito all'oblio o alla noncuranza ai quali sembrano invece condannati i libri di Origene, di Cirillo Alessandrino, dello Pseudo-Dionigi, di Scoto Eriugena, di sant'Anselmo, di san Bonaventura, di san Tommaso e del beato Giovanni Duns Scoto, di Rosmini, di Newman; i testi di tutti questi autori li si conosce a malapena per il titolo (e infatti ne dovremo parlare in questa stessa rivista, tentandone un recupero), mentre di Agostino possiamo parlare come di un classico, ben conosciuto e molto amato da generazioni di studiosi, e anche da generazioni di "lettori deboli". Tra l'altro, nella scuola italiana (specie nei licei) le Confessioni sono un testo filosofico spesso adottato come "classico" per il primo anno del triennio finale, a differenza degli altri testi della filosofia cristiana antica, medievale e moderna, quasi mai adottati. Dicevamo che nelle Confessioni c'e' tutto sant'Agostino: nella scrittura stessa - in quel latino bellissimo e vivacissimo - c'e' anzitutto il finissimo retore e professore di retorica (ebbe la cattedra a Milano nel 384), nutrito di cultura latina classica (soprattutto delle opere filosofiche di Cicerone), capace ora di slanci lirici commoventi, ora di convincenti riflessioni metafisiche. C'e' poi l'appassionato filosofo, che da pagano si era sentito attratto dalla visione dualistica dei manichei (che consideravano la materia come il male assoluto, in eterno conflitto con il bene), per poi abbandonarla, cadendo pero' nello scetticismo degli Accademici (la principale scuola ellenistica di origine platonica), finendo per recuperare la fiducia nella ragione a contatto con i neoplatonici (Plotino e Porfirio). * Supera i neoplatonici Chiara e misteriosa allo stesso tempo la posizione che Agostino assume di fronte ai neoplatonici: riconosce di dovere molto alla profondita' e alla coerenza del loro pensiero, incentrato su Dio, dal quale tutto procede, ma aggiunge che solo nel Vangelo ha potuto trovare la verita' definitiva e salvifica, cioe' il Verbo incarnato; sa bene che i neoplatonici (fioriti nel III secolo dopo Cristo) rappresentano l'ultimo tentativo dell'ellenismo di opporre alla filosofia cristiana una filosofia totalmente pagana, eppure tenta (con successo innegabile) di costruire una filosofia cristiana coerente utilizzando proprio lo schema metafisico e antropologico del neoplatonismo, lo schema dell'exitus e del reditus, che esprime la derivazione di tutte le cose da Dio e il loro ritorno a lui. Il famosissimo incipit delle Confessioni e' una sintesi quantomai efficace di questo schema metafisico e antropologico: "Tu, Domine, fecisti nos ad te: et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te" (Tu, Signore, ci hai creati per te: e il nostro cuore e' senza pace, finche' non puo' riposare in te). In questa preghiera del filosofo c'e' tutta la metafisica antropologica del neoplatonismo cristiano: c'e' infatti il principio di causalita' (fecisti nos) e il principio di finalita' (ad te), entrambi legati all'interiorita' dell'uomo che riflette sulla sua esperienza (cor); c'e' la persuasione che l'esperienza umana (cor nostrum) e' condivisa e condivisibile, e' il "senso comune" che precede e fonda la ragione filosofica; e c'e' infine la consapevolezza che il Dio della fede, il Padre di Gesu' Cristo, e' lo stesso "Dio dei filosofi", reso visibile e vicino dall'incarnazione del Figlio. L'agostinismo filosofico perenne e' proprio questo: e' interiorita', e' teocentrismo, e' sintesi vitale di ragione e fede, e' amore del bello; come dice ancora Agostino in un'altra famosa sua frase delle Confessioni: "Tardi ti ho amato, o Bellezza eterna!". Si capisce come nel XIII secolo lo spirito francescano di amore per la natura ("l'estetica pia", diceva Teodorico Moretti-Costanzi) abbia trovato nella filosofia agostiniana, con san Bonaventura, la sua espressione piu' connaturale. * Di lui e' stato pubblicato tutto L'opera fondamentale per affrontare il pensiero del vescovo di Ippona e' a tutt'oggi, malgrado il molto tempo che e' passato dalla pubblicazione dell'originale francese (1935), il celebre studio di Etienne Gilson, Introduzione allo studio di sant'Agostino (Marietti, Casale Monferrato 1984). Sempre del filosofo francese e' stata pubblicata di recente la traduzione italiana di un saggio del 1947 su Filosofia e cristianesimo in sant'Agostino, a cura di Luigino Zarmati (Edizioni Romane di Cultura, Roma 1999). Altrettanto ricca di spunti interpretativi e' la monografia del filosofo Michele Federico Sciacca, Sant'Agostino, pubblicata nel 1954 e successivamente (1990) ripubblicata dall'editrice Epos di Palermo. Si possono poi leggere altre opere (di carattere divulgativo, ma rigorose nei contenuti) come quelle di Battista Mondin, Il pensiero di Agostino: filosofia, teologia, cultura (Citta' Nuova, Roma 1988) e di Marco Vannini, Invito al pensiero di sant'Agostino (Mursia, Milano 1989). Per accostarsi invece direttamente alle opere di Agostino e' disponibile l'edizione dell'opera omnia, in italiano e con testo latino a fronte, curata da Agostino Trape' e Remo Piccolomini per Citta' Nuova Editrice (Roma); per un commento e un'attualizzazione dei testi e' consigliabile servirsi delle belle edizioni curate da Maria Bettetini per l'editore Rusconi (Milano), tra le quali quella su Ordine, musica, bellezza (1992) e quella su Il maestro e la parola (1993). Per quanto riguarda particolarmente Le confessioni, l'edizione piu' recente e piu' accurata e' quella approntata da Giuliano Vigini per l'Editrice Bibliografica di Milano (5 volumi, 1993-1996). 6. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 8. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 690 del 4 gennaio 2009 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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