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Coi piedi per terra. 149
- Subject: Coi piedi per terra. 149
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 31 Dec 2008 13:00:17 +0100
- Importance: Normal
=================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 149 del 31 dicembre 2008 In questo numero: 1. Una diffida al Presidente della Regione Lazio 2. Proprio mentre. Un commento alla diffida al Presidente della Regione Lazio 3. Alcuni estratti da "Ricchezza ecologica" di Maurizio Pallante 4. Alcuni estratti da "Una nuova etica per l'ambiente" a cura di Cosimo Quarta 5. Per contattare il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo 1. DOCUMENTI. UNA DIFFIDA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO Al Presidente della Regione Lazio e per opportuna conoscenza: al Prefetto di Viterbo Oggetto: Diffida Signor Presidente della Regione Lazio, le scriviamo in quanto da oltre un anno lei e' tra i piu' accaniti sostenitori della realizzazione a Viterbo di un illegale e irrazionale mega-aeroporto per voli low cost del turismo "mordi e fuggi" per Roma. Ed in questo suo accanimento lei sembra voler ignorare che la realizzazione dell'opera violerebbe non solo vigenti leggi italiane ed europee ma anche impegni, piani, normative e vincoli di salvaguardia stabiliti dalla stessa Regione Lazio. Le segnaliamo per l'ennesima volta che la realizzazione nell'area termale del Bulicame di un nocivo e distruttivo mega-aeroporto provocherebbe inevitabilmente: a) un grave ed irreversibile danno ad un'area di enorme valore naturalistico, storico-culturale, sociale, terapeutico ed economico; b) un inquinamento che colpirebbe pesantemente il territorio ed i cittadini, provocando gravi danni alla salute, alla sicurezza e alla qualita' della vita dei viterbesi; c) ulteriori gravi danni che abbiamo piu' volte segnalato, ad esempio nella nostra lettera al Presidente della Repubblica del 4 agosto 2008, lettera che gia' le inviammo per opportuna conoscenza. Con la presente siamo pertanto a chiederle di volersi finalmente opporre alla realizzazione di un'opera inquinante, nociva e distruttiva, un'opera contraria al pubblico interesse, un'opera che violerebbe le vigenti norme a tutela dei beni ambientali e culturali, della salute dei cittadini, dei diritti soggettivi e dei legittimi interessi della popolazione viterbese. Qualora lei intendesse proseguire invece nel favoreggiamento della realizzazione di un'opera dagli esiti inammissibili, la presente valga come diffida. Riservandoci di sollecitare l'intervento delle competenti istituzioni di controllo e particolarmente delle magistrature giurisdizionalmente preposte ad intervenire, voglia gradire distinti saluti, Antonella Litta, portavoce del Comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di tutti Peppe Sini, responsabile del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo Viterbo, 29 dicembre 2008 2. RIFLESSIONE. PROPRIO MENTRE. UN COMMENTO ALLA DIFFIDA AL PRESIDENTE DELLA REGIONE LAZIO Bene ha fatto il movimento che si oppone al nocivo e distruttivo mega-aeroporto a Viterbo ad inviare una diffida al Presidente della Regione Lazio, che da oltre un anno continua irragionevolmente a voler imporre a Viterbo un'opera insensata e illegale che devasterebbe rilevantissimi beni ambientali, storico-culturali, terapeutici ed economici (l'area termale del Bulicame) e aggredirebbe gravemente la salute della popolazione. * Proprio mentre la Regione Lazio proclama di impegnarsi per il termalismo, il suo vertice continua ad essere favoreggiatore della lobby politico-affaristica che a Viterbo vuole reduplicare il disastro ambientale e sanitario di Ciampino e devastare per sempre l'area termale del Bulicame con un mega-aeroporto nocivo e distruttivo. * Proprio mentre la Regione Lazio dichiara di voler difendere ed incentivare i parchi, tutelare gli ecosistemi, salvare e valorizzare i beni culturali, realizzare un piano paesaggistico territoriale con vincoli adeguati a contrastare la speculazione e i vandalismi, il suo vertice si fa corifeo di un'opera dissennata e palesemente illecita come il mega-aeroporto che e' in assoluto contrasto con tutti questi impegni. * Proprio mentre la Regione Lazio afferma di operare in condizioni di gravi ristrettezze di bilancio in relazione alle strutture preposte al diritto alla salute, il suo vertice si fa capofila della realizzazione di un'opera come il mega-aeroporto che il diritto alla salute della popolazione altolaziale aggredisce nel modo piu' crudo. * Proprio mentre la Regione Lazio proclama l'importanza della mobilita' sostenibile e del trasporto ferroviario, il suo vertice appoggia un'operazione affaristica come quella del mega-aeroporto a Viterbo per il turismo low cost "mordi e fuggi" per Roma, operazione che, oltre agli altri danni gia' menzionati, sperpererebbe ingentissime risorse finanziarie pubbliche e porterebbe al collasso la gia' fragile e abbandonata rete infrastrutturale locale. * Proprio mentre la Regione Lazio dichiara importante sostenere l'impegno globale per i diritti umani, la pace e la giustizia tra gli esseri umani e con l'ambiente, il suo vertice propugna un'opera come il mega-aeroporto interna a un incremento del trasporto aereo che con le sue emissioni inquinanti sta contribuendo in considerevole misura al disastro climatico planetario e alla violazione di fondamentali diritti umani di intere popolazioni, come ha ricordato il premio Nobel Desmond Tutu. * Proprio mentre la Regione Lazio afferma di aver capito che occorre drasticamente ridurre i voli a Ciampino, il suo vertice agisce non per ridurli davvero e subito, come sarebbe possibile, doveroso e necessario, ma per procrastinare di fatto "sine die" un intervento che la popolazione ciampinese aspetta ormai da anni, e - per soprammercato - per "ciampinizzare" anche un'altra citta' e asservire ancora di piu' il Lazio agli imprenditori - e ai pirati - del trasporto aereo low cost. * Continuando pervicacemente a voler condannare Viterbo a una nociva e distruttiva "ciampinizzazione" il presidente della Regione Marrazzo e la sua giunta rischiano di essere un domani ricordati nell'Alto Lazio non solo come quei signori "non-mi-ricordo-piu'-come-si-chiamavano" che fecero tante promesse non mantenute, ma anche, e peggio, come coloro che avallarono ed anzi furono testa d'ariete di uno scempio ambientale ed un avvelenamento dei cittadini di proporzioni mastodontiche. Non sarebbe proprio un bel ricordo. 3. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "RICCHEZZA ECOLOGICA" DI MAURIZIO PALLANTE [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Maurizio Pallante, Ricchezza ecologica, Manifestolibri, Roma 2003] Indice del libro Per una riconversione ecologica dell'economia. Il mercato; Economia e politica; Il vecchio e il nuovo; Breve appendice sulla new economy; Il lavoro; Crescita economica e disoccupazione; Modesta proposta per incrementare prodotto interno lordo e occupazione; Batistin un intermezzo; Per una riconversione economica dell'ecologia. Economia e ecologia; Agricoltura; Architettura; Dialogo sui massimi problemi energetici; Uso razionale dell'energia e fonti rinnovabili: un confronto; Immondizia ordine privativo a publicis; monopoliis tractata; L'ecologismo degli stenterelli; I monasteri del III millennio. * Da pagina 13 Quintessenza del bene o quintessenza del male? Monsieur de La Palisse direbbe che a fil di logica il mercato e' lo strumento migliore per far circolare le merci. Anzi che le merci e il mercato - lo dice la parola stessa - sono inscindibili, come la vite e il bullone, il treno e i binari, il caminetto e il fuoco. L'esperienza storica dimostra che le cose stanno proprio cosi'. La concorrenza tra i produttori e la dinamica tra la domanda e l'offerta, sono gli strumenti piu' efficaci per avere le merci migliori ai prezzi piu' convenienti. Non e' compito dello Stato entrare nelle attivita' economiche, ne' in tutto, come e' accaduto nel socialismo reale, ne' in parte, come e' avvenuto nei paesi capitalisti con le industrie di proprieta' pubblica. Nei confronti del mercato lo Stato ha due doveri imprescindibili. Il primo e' la definizione del contesto normativo entro il quale si devono svolgere la concorrenza tra i produttori e la dinamica tra la domanda e l'offerta, per impedire che la riduzione dei costi avvenga a scapito della sicurezza sui luoghi di lavoro, dei diritti civili, della tutela dei minorenni, dell'ambiente, dei diritti degli animali, della salute pubblica, ecc. Il secondo e' la definizione degli interessi pubblici da tutelare, privilegiare e difendere mediante un uso discreto e attento delle leve tariffarie e fiscali. In sostanza, stabilire cosa non si deve fare e incentivare i fini sociali da perseguire attraverso le attivita' economiche e produttive. All'interno di questi limiti e di queste priorita' che garantiscono a tutti gli operatori uguali condizioni e opportunita', il mercato e' lo strumento piu' efficace per selezionare le merci migliori qualitativamente e piu' convenienti economicamente. Il mercato sarebbe quindi la quintessenza del bene? Se tutta la produzione umana fosse produzione di merci si'. Ma se merce e mercato linguisticamente hanno la stessa radice e sono inscindibili, non tutti i prodotti del lavoro umano sono merci. Il lavoro umano puo' dare origine a due tipi di prodotti non paragonabili tra loro: i valori d'uso e i valori di scambio. I valori d'uso, i beni prodotti per se' e i servizi autogestiti, non sanno cosa sia il mercato perche' non si valutano in base al prezzo. I prodotti di un orto a gestione familiare hanno sicuramente un costo di produzione piu' alto delle verdure comprate al supermercato, ma cio' non impedisce che molti preferiscano coltivali anziche' comprarli. Le ore di un infermiere costano sicuramente meno di quelle di un professionista che rinunci a una parte del suo lavoro per accudire un genitore malato, ma la qualita' del rapporto umano che si instaura tra chi svolge un servizio in cambio di denaro e chi lo fa per affetto non e' paragonabile. Il mercato, questa misteriosa entita' metafisica, lo sa. Sa che se certamente vince in termini monetari, in termini qualitativi non puo' che perdere. E questo non lo tollera. Non accetta una concorrenza che si svolga al di fuori del suo dominio, che e' il dominio del denaro. Per questo non puo' che fagocitare sistematicamente tutti gli ambiti dell'attivita' umana che ancora gli sfuggono. Ogni sacca di resistenza in cui ancora si producano valori d'uso, sia nei territori su cui gia' da tempo ha esteso il suo dominio, sia nei territori in cui ancora non e' arrivato, e' un'intollerabile provocazione che mette in crisi la sua onnipotenza. E una divinita' non onnipotente non e' una divinita'. O e' onnipotente o non e'. Per questo qualsiasi nicchia al di fuori del suo dominio, per piccola o insignificante che sia, e' intollerabile e va distrutta. "Ma come, ho conquistato la Cina, con il suo miliardo e passa di abitanti, e non riesco a piegare la resistenza di quel montanaro? Ma come, ho sconfitto quelli che pensavano di tagliare la mia mano invisibile mentre moltiplicavano la produzione di merci a danno dei valori d'uso, e intellettuali incuranti delle fittizie barriere che ho innalzato tra destra e sinistra riscoprono gli scambi fondati sul dono e sulla reciprocita'? Ma come, ho spostato milioni di persone dalle campagne alle citta', dai paesi del terzo mondo ai paesi dell'occidente avanzato, facendo luccicare vetrine e tubi catodici e quel cittadino da tre generazioni ritorna in campagna?". * Da pagina 17 La rivincita dell'economia e' cominciata negli ultimi decenni del secolo attraverso la sua internazionalizzazione sempre piu' spinta. Lo sviluppo dell'elettronica, dell'informatica e della telematica hanno consentito ai grandi gruppi industriali e finanziari di decentrare le attivita' produttive a livello mondiale sfuggendo al controllo degli Stati e di operare sui mercati finanziari di tutto il mondo accumulando enormi capitali in grado di esercitare sulle politiche economiche nazionali un potere superiore a quello dei governi. La mondializzazione dei mercati ha dato all'economia un potere sempre maggiore nei confronti della politica e l'ha portata a sconfinare sistematicamente nel suo dominio. Non essendo soggetto ai limiti che la democrazia impone al potere politico, il potere economico ha costituito autonomamente i suoi organismi operativi a livello mondiale (Banca Mondiale, Fondo Mondiale degli Investimenti, World Trade Organization), li ha fatti riconoscere a tutti gli Stati e attraverso di essi impone la sua volonta' alla politica. I suoi funzionari sono nominati dai consigli di amministrazione delle societa' industriali e finanziarie che controllano l'economia mondiale e non essendo eletti, non devono sottoporre le loro scelte al gradimento e alla verifica elettorale. Per contro, tutti i parlamenti e tutti i governi devono sottoporre le proprie scelte di politica economica al loro gradimento e alla loro verifica, per cui agiscono in una condizione di liberta' limitata. Esercitandosi al di fuori di ogni controllo pubblico, questo potere agisce sempre in forme impersonali, o attraverso l'entita' metafisica e onnipotente dei mercati, o attraverso l'entita' fisica ma invisibile ai comuni mortali degli organismi internazionali che eseguono le loro volonta'. La scelta di fondo che i mercati, attraverso gli organismi che ne sono i portavoce, hanno fatto in relazione alle economie nazionali e' stata di abolire tutte le attivita' economiche e produttive che non rientrino in una logica mercantile e di abolire insieme ad esse tutte le differenze culturali non conformi a questa logica. La mondializzazione dei mercati finanziari e delle attivita' industriali ha imposto la standardizzazione dei comportamenti umani. * Da pagina 19 Se l'economia occupa il territorio della politica e i fini dell'attivita' produttiva vengono indicati dai mercati, il lavoro perde la sua connotazione di attivita' finalizzata a migliorare le condizioni di vita degli uomini e si riduce a essere il mezzo per massimizzare il profitto anche a costo di peggiorarle. La vittoria conseguita dall'economia sulla politica e la mondializzazione hanno trasformato il mondo in un serbatoio di risorse e in un deposito di rifiuti, uniformando il comportamento, i valori e i modi di pensare degli individui, impoverendo insieme alle diversita' culturali le biodiversita', riducendo gli uomini a semplici ingranaggi di un meccanismo economico e produttivo di cui non controllano piu' il funzionamento, che li riduce a passivi esecutori sia nel momento della produzione, sia nel momento del consumo di cio' che hanno prodotto. * Da pagina 46 Cio' di cui c'e' bisogno nei paesi industriali avanzati, proprio in conseguenza del fatto che negli scorsi decenni l'attivita' produttiva e' stata finalizzata alla crescita del prodotto interno lordo, senza nessuna preoccupazione per le conseguenze ambientali che ne potevano derivare sia in termini di inquinamento, sia in termini di esaurimento delle risorse, sono i beni e i servizi che consentono di ridurre l'impatto ambientale dei processi di produzione e piu' in generale delle attivita' umane. Solo incentivando, attraverso gli strumenti della politica economica, lo sviluppo di questi beni e servizi e' possibile creare un'occupazione quantitativamente significativa e stabile. Se si continua a perseguire la crescita del prodotto interno lordo, ovverosia una crescita connotata semplicemente in termini quantitativi, si aggraveranno sia la crisi ambientale (in entrambi gli aspetti in cui si manifesta: esaurimento delle risorse e inquinamento), sia la crisi occupazionale, perche' per sostenere la concorrenza internazionale occorrera' ridurre progressivamente l'incidenza della manodopera sul valore aggiunto. Per evitare che questi effetti indesiderati si verifichino, le innovazioni tecnologiche non devono piu' essere indirizzate ad accrescere la produttivita' del lavoro, ma a ridurre il consumo di risorse, le emissioni inquinanti e i rifiuti dei processi di produzione e dei beni di consumo. In questo ambito c'e' molto da fare, non solo per riparare i guasti gia' fatti, ma per evitare di farne in futuro. Tutto il sistema economico e produttivo deve essere riconvertito in termini di stringente compatibilita' ecologica. Le conoscenze scientifiche attuali consentono di farlo e poiche', in ultima analisi, la riduzione dell'impatto ambientale dei processi di produzione e dei prodotti passa attraverso una sempre maggiore efficienza nell'uso delle risorse, la riduzione degli sprechi che ne deriverebbe non si traduce soltanto in una riduzione dell'inquinamento e dei rifiuti, ma in una riduzione direttamente proporzionale dei costi di produzione. Riducendo gli sprechi e utilizzando meglio le materie prime e l'energia, non solo si rallenta il loro esaurimento e si riducono le varie forme di inquinamento, ma si ottengono risparmi economici con cui si possono ammortizzare i costi d'investimento nelle tecnologie che consentono di usare meglio le materie prime e l'energia. Un ampio processo di riconversione ecologica dell'economia richiede grandi quantita' di lavoro e libera grandi quantita' di risorse economiche con cui se ne possono pagare i costi. Nei paesi industriali avanzati non c'e' altra strada per accrescere l'occupazione e non ne deriverebbe un'occupazione purchessia, ma utile e qualificata. Il compito dei governi non dovrebbe pertanto ridursi a utilizzare i tradizionali strumenti della politica economica per rilanciare la crescita quantitativa, ma dovrebbe incentrarsi su un uso discreto e attento delle leve fiscali e tariffarie, di incentivi e disincentivi mirati, al fine di indirizzare gli investimenti del sistema produttivo in direzione delle tecnologie ecologiche, lasciando alla libera concorrenza il compito di selezionare i mezzi piu' efficienti e piu' efficaci per raggiungere con l'attivita' produttiva i fini sociali individuati mediante il confronto e la dialettica politica. 4. LIBRI. ALCUNI ESTRATTI DA "UNA NUOVA ETICA PER L'AMBIENTE" A CURA DI COSIMO QUARTA [Dal sito www.tecalibri.it riprendiamo i seguenti estratti dal libro di Cosimo Quarta (a cura di), Una nuova etica per l'ambiente, Dedalo, Bari 2006] Indice del volume Il rapporto uomo-natura come problema etico, di Cosimo Quarta; Parte prima: l'ambiente come problema etico. Perche' un'etica dell'ambiente?, di Carmelo Vigna; Per un umanesimo ecologico, di Luisella Battaglia; L'ambiente come oggetto di riconoscimento, di Mario Manfredi; Il problema dell'ambiente nel XXI secolo, di Vittorio Hoesle; Principio di precauzione e filosofia pubblica dell'ambiente, di Mariachiara Tallacchini; Antropocentrismo e biocentrismo. Ricerca di una integrazione dialettica, di Piergiacomo Pagano e Maurizio Di Natale; La formazione della coscienza ecologica, di Cosimo Quarta; Parte seconda: per una prassi ecologica. Mente, corpo, ambiente ed evoluzione: la visione olistica originaria, di Teodoro Brescia; Ecofemminismo e natura, di Maria Alberta Sarti; Dalla distopia ipertelica all'etica conviviale:verso nuovi fattori di ricchezza, di Paolo Coluccia; Dalla teoria alla prassi: una testimonianza del Movimento ambientalista in Germania, di Siegfried Mueller; Indice dei nomi. * Da pagina 5 Il rapporto uomo-natura come problema etico, di Cosimo Quarta 1. La riflessione morale sul dissesto ambientale La necessita' di una riflessione morale sul rapporto uomo-natura e' sorta nel momento in cui l'umanita' ha preso coscienza dei gravissimi danni, talvolta irreversibili, che una prassi sconsiderata stava causando non solo alla specie homo, ma all'intera biosfera. Uno dei primi autori che ha sentito l'urgenza di una riflessione etica sull'ambiente e' stato il naturalista statunitense Aldo Leopold, il quale, intorno alla meta' del '900, esprimeva con forza l'esigenza di un'"etica della terra" (Land Ethic), ossia di una nuova concezione della moralita' che includesse tra i doveri dell'uomo il rispetto non solo dei propri simili, ma anche delle altre specie viventi e dell'intero pianeta. Alle istanze di Leopold fecero seguito, di li' a poco (ossia nei primi anni Sessanta), le denunzie di alcuni autori, come, ad esempio, Rachel Carson - la quale, in un suo documentatissimo e pionieristico volume, mise a nudo i terribili guasti prodotti dall'uso irresponsabile dei pesticidi nelle campagne Usa - o come Barry Commoner, che in un suo saggio chiamo' direttamente in causa, per il dissesto ambientale, la responsabilita' degli scienziati e dei tecnologi. Pur con queste ed altre circostanziate denunzie, il dibattito sull'ambiente non riusci' ad imporsi all'attenzione dell'opinione pubblica per tutti gli anni Sessanta. Fu solo con la pubblicazione, nel 1972, del famoso primo rapporto al Club di Roma, dal titolo I limiti dello sviluppo, che la discussione sui problemi ambientali attrasse l'attenzione non solo di studiosi di diverse discipline, ma anche del grande pubblico. Dal dibattito emerse con chiarezza che le cause del dissesto ambientale affondavano le loro radici nell'etica. Da questo momento in poi, la riflessione morale sull'ambiente prese il largo, grazie agli studi di autori come Passmore, Jonas, Apel e molti altri, che si sforzarono di individuare nuovi principi e norme per regolare i rapporti tra uomo e natura. Nella cultura occidentale, com'e' noto, l'etica tradizionale ha assunto un carattere fondamentalmente antropocentrico, dal momento che ha rivolto la sua attenzione, in modo pressoche' esclusivo, ai problemi concernenti i rapporti tra uomo e uomo. E cio' perche' lo sfondo su cui l'etica tradizionale si e' costituita e' stata la polis, ossia la citta', lo stato nelle sue diverse articolazioni. Basti pensare alla definizione aristotelica dell'uomo come zoon politikon, ossia come l'essere, il vivente che si caratterizza per la sua politicita', per la sua socialita', per il suo co-essere. Il problema del rapporto uomo-natura non veniva preso in considerazione, sotto il profilo etico, perche' si dava per scontato che la natura - in quanto principio di vita e di movimento, in quanto sostrato, in quanto ambiente che da ogni parte e da sempre avvolge e ingloba l'uomo, di cui si configura, appunto, come l'originario ed ineludibile spazio d'esistenza - fosse stabile, inattaccabile, indistruttibile, capace, in ogni caso - in quanto cosmo, in quanto realta' bene ordinata e principio d'ordine - di rimarginare con prontezza le eventuali ferite che l'uomo poteva causarle, anche involontariamente, con la propria attivita'. E invero per secoli, anzi, per millenni, il rapporto uomo-natura non ha posto grossi problemi, perche' l'agire umano, anche quando utilizzava strumenti (cio' che, del resto, l'umanita' ha imparato a fare fin dai suoi primordi), intaccava solo marginalmente gli equilibri ecologici, data l'esigua potenza delle sue tecniche. Le cose cominciarono a cambiare con l'evo moderno, allorche' la ragione umana si trasforma e si riduce a "ragione calcolante", prima con la scienza sperimentale (che cerca di conoscere la natura, attraverso il calcolo, applicando cioe' alle scienze naturali il metodo matematico), poi con la presenza egemonica del capitale e, quindi, con la scienza economica moderna, la quale ragiona solo in termini di "profitti e perdite", di vantaggi e di svantaggi, dal momento che ha come criterio-guida solo l'utile. La scienza, con i suoi continui progressi, costituiva una ghiotta occasione per aumentare i profitti, che il capitale non si lascio' sfuggire, utilizzando su vasta scala le macchine e gli altri ritrovati della tecnica. Nacque cosi' il fenomeno industria, che favori' e accelero' il processo di trasformazione - che era in corso ormai da qualche secolo - della scienza in tecnologia. Con tale trasformazione, la scienza non e' piu' rivolta alla conoscenza pura, ma s'impegna a costruire nuovi strumenti di produzione o, comunque, a escogitare nuove tecniche; le quali, se da un lato contribuiscono ad accrescere il benessere dell'umanita', dall'altro vengono sovente utilizzate anche per massimizzare i profitti o per accrescere la potenza economica o militare degli stati. Oltre a cio', la "ragione calcolante", utilizzando come criteri di giudizio l'efficienza, la produttivita' e il profitto, ha finito col generare quello che ora viene chiamato pensiero unico. Si tratta di quel pensiero, di quella mentalita', di quella Weltanschauung che ha ridotto l'agire umano ad un mero fare. Frequentemente, i termini "agire" e "fare" vengono usati come sinonimi, occorre rilevare invece che tra i due verbi vi sono differenze che non sono di poco conto. Il verbo "agire", infatti, etimologicamente significa "spingere in avanti" (in questo senso e' l'opposto di ducere, "essere capo", "guidare") e designa "l'attivita' nel suo esercizio continuo". In altri termini, nell'agire, l'uomo esercita o puo' esercitare la sua liberta', nel senso che puo' agire in diversi modi. Al contrario, il verbo facere (fare), poiche' esprime l'esecutivita' di un atto, implica l'idea di costrizione, di necessita', ossia di qualcosa che bisogna fare, eseguire. Dal verbo agire derivano infatti i termini azione e atto, in cui v'e' dentro l'idea di qualcosa che e' in via di svolgimento, mentre dal verbo fare deriva il termine fatto, ossia l'idea di qualcosa che e' gia' compiuto e da cui non si puo' tornare indietro. La "ragione calcolante", attraverso la scienza-tecnologia, la scienza economica e il fenomeno industria, ha trasformato l'agire umano in fare. L'uomo dell'era tecnologica opera all'interno di apparati (uffici pubblici e privati, banche, industrie, negozi, ecc.), al cui interno egli e' chiamato solo ad eseguire. E mentre, fino a pochi decenni fa, ad "eseguire" erano solo i lavoratori dipendenti (si pensi alla catena di montaggio in fabbrica), ora invece anche l'alta dirigenza sembra aver perduto la propria autonomia, la liberta' di decidere. Non a caso, infatti, molti imprenditori o managers, in occasione, ad esempio, della chiusura o trasferimento di un'azienda, dichiarano, con estrema naturalezza, che a tale decisione sono pervenuti perche' "costretti" dal mercato. E al "dio mercato" ormai, soprattutto in seguito all'attuale processo di globalizzazione, offrono "sacrifici" anche gran parte dei capi politici di tutti i paesi del mondo; al punto che perfino coloro che erano pregiudizialmente ostili e refrattari all'economia di mercato, come i comunisti cinesi, oggi riconoscono, senza arrossire, che non si puo' fare a meno di obbedire alle sue ferree leggi. Anche la politica, dunque (ossia la sfera del potere per antonomasia), pervasa dalla "ragione calcolante", si e' posta ormai a servizio dell'economia, perdendo cosi' il suo primato, ossia la capacita' di prendere liberamente decisioni. Ma se nemmeno i politici sono piu' liberi di decidere e, quindi, non sono piu' responsabili delle loro azioni, ossia se anche l'agire politico si e' trasformato in fare, in mera esecutivita', allora oggi costoro - non potendo nemmeno ricorrere alla terribile ed ipocrita giustificazione che gli ufficiali nazisti addussero al processo di Norimberga e altrove, allorche' dichiararono che loro si limitavano ad eseguire gli ordini dei "superiori" - sono costretti a scaricare la responsabilita' dei guasti sociali sul "dio mercato", considerato, appunto, come un'entita', a cui ci si deve solo inchinare. Qui si puo' capire meglio la distinzione tra l'agire e il fare. Chi "agisce", proprio perche' libero, e' responsabile delle proprie azioni. Chi invece "fa", ossia chi si limita ad eseguire, non si sente per niente responsabile. E in una societa' in cui l'agire e' stato trasformato in fare, e' inevitabile che il senso di irresponsabilita' dilaghi. Cosi', se un operaio costruisce mine antiuomo, o armi chimiche o batteriologiche, ecc. puo' sempre dire: "Io mi limito ad eseguire gli ordini e, quindi, non sono responsabile". Oppure, di fronte ad un'azienda che chiude o si trasferisce, gettando sul lastrico migliaia di famiglie, l'imprenditore e il politico si limitano a dichiarare, magari con animo costernato, la loro "impotenza", rifugiandosi dietro il comodo paravento del "mercato". Senza dire poi dei danni ambientali, di cui nessuno si sente responsabile. In un contesto storico, come quello odierno, in cui l'agire umano e' ridotto al puro fare ossia a mera esecuzione, gli spazi per l'agire etico, ossia per l'esercizio della liberta' e della responsabilita', sembrano davvero ridotti ai minimi termini se non addirittura scomparsi. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Come si diceva, dunque, a trasformare l'agire umano in fare tecnico e' stato il connubio tra capitale e scienza. E' accaduto cioe' che il capitalismo, con la sua logica del profitto, ha soppiantato l'agire etico, nel senso che il profitto e' diventato il valore sommo, a cui ogni altro valore deve essere sacrificato. A questa ferrea logica del profitto ha dovuto piegarsi anche la scienza moderna, la quale, peraltro, aveva gia', con Bacone e Cartesio, indicato nell'utile il fine ultimo della conoscenza. Una ricerca che mirasse alla pura conoscenza, che si fermasse cioe' alla sola teoria, senza trasformarsi in strumenti di utilita' pratica, era ritenuta, appunto, inutile. E non a caso, ancor oggi, ogni progetto di ricerca che non indichi gli scopi pratici cui mira viene preso in scarsa considerazione ai fini del finanziamento e, al piu', deve accontentarsi delle briciole che cadono dalla mensa, spesso riccamente imbandita, della ricerca applicata. E' chiaro, allora, come in un siffatto contesto storico, in cui ogni attivita' umana e' orientata al profitto o, comunque, all'utilita' pratica, anche la ricerca scientifica ha dovuto adeguarvisi. Anzi, e' accaduto che, grazie proprio alla scienza, ormai trasformatasi in scienza-tecnologia, l'imperativo dell'etica tradizionale, che Kant aveva sapientemente sintetizzato nel motto "devi, quindi tu puoi", sia stato capovolto nell'imperativo della tecnica, che comanda, in modo perentorio: "Puoi, quindi tu devi". Nel senso che, secondo le clausole stabilite dal contratto, il risultato di ogni ricerca scientifica deve essere immediatamente "brevettato" e trasformato in un qualche prodotto vendibile, cioe' in merce e, quindi, in profitto. E se non ci si adegua a tali condizioni-capestro, oggi e' assai difficile ottenere finanziamenti per la ricerca. * Da pagina 11 2. Valenza utopica dell'ecologia Come si vedra', le proposte avanzate nei diversi saggi, oltre ad elaborare principi e norme etiche, miranti a provocare un cambiamento nei comportamenti quotidiani di ciascuno di noi, implicano anche un mutamento della prassi sociale nella sua globalita'. E cio' accade perche' il superamento della crisi ambientale impone un ripensamento dell'intera struttura sociale, impone cioe' una riprogettazione della societa'. La crisi ambientale, proprio per la sua gravita' e complessita', non consente scorciatoie, ma anzi ci esorta ad affrontare i molteplici ed intricati problemi ad essa connessi con strumenti adeguati, senza cioe' lasciarsi vincere dalla tentazione delle soluzioni "facili", a portata di mano. Tali soluzioni, infatti - in quanto scaturiscono da intuizioni personali piu' che da una reale e approfondita conoscenza della realta' - si rivelano, soprattutto nelle nostre societa' complesse, non solo unilaterali e inadeguate, ma spesso anche controproducenti. Insomma, la crisi ambientale non si risolve con misure-tampone, ma con interventi radicali, in grado di apportare mutamenti significativi in ogni ambito della societa'. Si tratta di ripensare il senso dell'economia, della politica, della scienza, della tecnologia e dell'intero modello culturale su cui si sono costruite, lungo l'evo moderno, soprattutto in Occidente, le nostre societa'. Questo mostra come l'ecologia abbia anche una forte valenza utopica. E qui e' opportuno soffermarsi brevemente per chiarire il senso in cui il termine utopia, in questo contesto, deve essere inteso. Contrariamente all'opinione corrente, l'utopia non e' un gioco letterario, un ozioso fantasticare su mondi impossibili, un sogno, un'illusione, una chimera, un castello in aria, ma non e' nemmeno un puro ideale della ragione. Essa e' invece, anzitutto, una categoria fondamentale dello spirito umano, il quale ha come sua caratteristica essenziale quella di sporgersi dall'essere verso il dover essere, ossia di protendersi a diventare quel che ancora non e'. * Da pagina 14 Sia chiaro, qui, che rispettare la natura non significa fare di essa qualcosa di sacro e intangibile, come si e' pure sostenuto da parte di certo estremismo ecologico. L'opposizione tra "natura naturata" e "natura artificiata" non e' una conseguenza inevitabile del progresso scientifico-tecnologico. E' la sua distorsione ai fini del profitto di pochi ad aver generato quella opposizione. Come si diceva, l'uomo ha da sempre interagito col suo ambiente naturale. Ma tali interazioni, anche quando si rivelavano distruttive per la natura, non lo erano mai in maniera irreversibile, proprio perche' gli strumenti tecnici di cui egli disponeva avevano una potenza assai limitata. Ora, invece, attraverso la "macchina", l'uomo possiede uno strumento talmente potente che, usato in maniera scriteriata, puo' provocare danni irreparabili all'ambiente. L'uomo rispetta la natura quando, intervenendo su di essa per adeguarla ai propri bisogni, non le si contrappone, non la considera come mero oggetto di sfruttamento e rapina, ma si adegua alle sue "leggi" e ne tutela la bellezza. Una norma di comportamento, questa, che l'uomo tecnologico sembra aver dimenticato. Ecco perche' l'etica e' chiamata a svolgere oggi un ruolo decisivo. Per stabilire i doveri in questo ambito importantissimo dell'agire umano e' necessario che essa entri in un campo dal quale, forse da sempre, era stata esclusa: il campo delle tecniche. L'etica deve intervenire in questo ambito non per indicare come fare una certa cosa o un certo intervento, ma se e perche' e' il caso di farlo. Occorre cioe' bloccare l'assurdo imperativo della scienza-tecnologia moderna, in base al quale tutto cio' che e' possibile fare e' da farsi. Occorre restituire all'uomo il potere di guidare le tecniche, piuttosto che lasciarsi guidare da esse. Occorre restituirgli quella saggezza pratica che sa commisurare i mezzi ai fini e che e' stata emarginata ed occultata dal delirio di onnipotenza. Ma oltre che a livello culturale e' necessario intervenire con urgenza anche sul piano delle strutture. E' necessario intervenire anzitutto sulle tecniche di produzione per renderle quanto piu' possibile compatibili con gli equilibri naturali. Oggi gran parte dei prodotti del settore industriale finiscono col rivelarsi inquinanti, come ci attesta non solo l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo, ma anche l'enorme quantita' di rifiuti che vengono prodotti nelle societa' industrialmente avanzate. Di qui l'urgenza di porre mano ad una riforma radicale della produzione. Si tratta di reimpostare l'economia, orientando la produzione non verso "merci" che generano il massimo profitto e il massimo inquinamento, ma verso beni che abbiano il minimo impatto ambientale e siano realmente rispondenti ai bisogni della persona, della sua autentica crescita. Al tempo stesso, occorre agire sul fronte dei consumi, che e' strettamente connesso a quello della produzione. Occorre rilevare, a questo proposito, che ben pochi ai nostri giorni, soprattutto nei paesi industrializzati, si rendono conto che responsabili verso l'ambiente non sono solo coloro che producono beni, inquinando, ma anche coloro che tali beni consumano in tranquilla coscienza, salvo poi protestare - con altrettanta tranquilla coscienza - contro l'inquinamento del pianeta. Qui mi preme rilevare che limitare i consumi non significa affatto bloccare la crescita dei bisogni umani. Blocco che sarebbe, peraltro, un obiettivo assai difficile da realizzare, dal momento che una delle caratteristiche fondamentali della specie umana e' proprio il bisogno evolutivo, dinamico, creativo, rispetto alla staticita' del bisogno animale. Cio' che invece qui si propone e' di far cessare i consumi inquinanti. Occorre cioe' che si prenda coscienza che la societa' dei consumi, oltre a rapinare le risorse naturali, induce molto spesso bisogni illusori e percio' falsi, la cui soddisfazione anziche' arricchire impoverisce l'uomo. Lo spreco che cosi' si genera si rivela dannoso non solo per la natura e per l'uomo dei paesi industrializzati, ma anche e soprattutto per i paesi del Terzo Mondo, i cui bisogni, non essendo "solvibili", vengono ignorati dal sistema produttivo. Qui va ricordato che il tragico fenomeno della continua crescita del numero dei denutriti e dei morti per fame e' certamente dovuto anche alla sovrappopolazione, ma la causa prima di esso risiede nella rapina sistematica delle risorse dei popoli sottosviluppati; rapina che peraltro e' ordinata non a soddisfare gli urgenti bisogni di quei popoli, quanto piuttosto ad alimentare i consumi, o meglio, i flussi di spreco del mondo industrializzato. Oggi perfino i sostenitori piu' tetragoni del vecchio modello di sviluppo riconoscono la necessita' di un cambiamento di rotta. Quasi tutti ormai si sono convertiti all'idea dello sviluppo sostenibile, sebbene poi ciascuno lo intenda a suo modo. Per evitare che questa espressione diventi un puro slogan propagandistico, e' necessario uscire dal vago, che genera solo umanismi di comodo, e conferirle dei contenuti e obiettivi chiari e precisi, in modo che i risultati possano essere riconosciuti e controllati da tutti i cittadini. Soprattutto, occorre prendere coscienza che lo sviluppo sostenibile ha dei costi, e che tali costi devono essere equamente ripartiti tra coloro che aspirano a svilupparsi, senza farli ricadere sulla natura o sui paesi economicamente piu' deboli, come finora e' accaduto. Lo sviluppo sostenibile, comporta, infatti, tra l'altro, la fine della tecnologia del profitto, dello scambio ineguale, della rapina delle risorse naturali, dello sfruttamento della manodopera, dell'esportazione delle industrie inquinanti; e la cancellazione dei debiti dei paesi poveri. 5. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE ALL'AEROPORTO DI VITERBO Per informazioni e contatti: Comitato contro l'aeroporto di Viterbo e per la riduzione del trasporto aereo: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 149 del 31 dicembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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