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Minime. 675
- Subject: Minime. 675
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 20 Dec 2008 01:46:03 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 675 del 20 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. La newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino 2. Claudio Toscani: Federigo Tozzi 3. Giambattista Misantri: Domande sull'universita' 4. Giambattista Misantri: Domande sui mass-media 5. Daniela Monti presenta "Malamore. Esercizi di resistenza al dolore" di Concita De Gregorio 6. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 7. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 8. L'Agenda dell'antimafia 2009 9. Riedizioni: Omero, Iliade 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI. LA NEWSLETTER SETTIMANALE DEL CENTRO STUDI "SERENO REGIS" DI TORINO Segnaliamo la newsletter settimanale del Centro studi "Sereno Regis" di Torino, un utile strumeno di informazione, documentazione, approfondimento curato da uno dei piu' importanti e piu' attivi centri studi di area nonviolenta in Italia. Per contatti e richieste: Centro Studi "Sereno Regis", via Garibaldi 13, 10122 Torino, tel. 011532824 e 011549004, fax: 0115158000, e-mail: info at serenoregis.org, sito: www.serenoregis.org 2. PROFILI. CLAUDIO TOSCANI: FEDERIGO TOZZI [Dal mensile "Letture", n. 621, novembre 2005, col titolo "Federigo Tozzi" e il sommario "Lo scrittore senese porta agli esiti di maggior efficacia una narrativa nella quale l'autobiografia diventa risorsa di valore incalcolabile nella rifondazione del romanzo come acuminato strumento di scavo interiore"] Nato a Siena l'11 gennaio 1883, a Tozzi il padre diede lo stesso suo nome, Federigo, ma fu l'unica cosa che ebbero in comune. Contrapponendoglisi in tutto, il figlio non tenne in conto ne' la praticita' affaristica del genitore, ne' la sua volonta' di vivere e ben figurare tra la gente. Una paternita' severa ed esclusivista, da un lato, e una filialita' inquieta e indocile, dall'altro, costruirono a Federigo figlio un difficile destino d'uomo e di scrittore. Il piccolo Tozzi frequenta le prime scuole presso il Collegio Arcivescovile di citta'; qui tenta il Ginnasio, ma ne viene allontanato. La madre Annunziata, dedita e sottomessa moglie di "Ghigo" (cosi' era abitualmente chiamato il marito), colloca allora il figlio a studi privati presso un sacerdote, ma muore prima di assistere a un qualche risultato. Questa cruda evenienza coglie Federigo a dodici anni, gia' in via di tener testa alla debordante autorita' paterna; i ripetuti insuccessi scolastici (prima a "Belle Arti" e poi alle "Tecniche"), le nuove nozze del genitore, le sempre piu' frequenti liti con lui che intende farne l'affezionato erede della propria "roba", le prime "scapigliate" amicizie politiche (il socialismo senese ispirato a Enrico Ferri) e letterarie (Domenico Giuliotti, primo fra tutti), fanno di Federigo una sorta di figlio irredimibile. Attratto con assoluta irrevocabilita' dalla letteratura (presso la Biblioteca degli Intronati di Siena chiede le prime opere a prestito che non ha ancora quindici anni), Federigo riprende da autodidatta la via di una dura e ramificata conoscenza culturale a mezzo di disparate e disperate letture di classici e di contemporanei, italiani e stranieri. Nel 1908 gli muore il padre, lasciandolo improvvido e unico titolare di una consistente fortuna che, via via, provvedera' ad alienare senza grandi contropartite di agiatezza o di serenita'. Lo stesso anno, gia' destinataria di numerose lettere e oggetto di un amore contrastato e dialettico ma sincero, Emma Palagi acconsente al matrimonio con Federigo, dandogli l'anno appresso il figlio Glauco. Tozzi, intanto, che per rendersi autonomo dalla potesta' paterna s'era adattato a un impiego nelle Ferrovie, lascia l'occupazione e si ritira in uno dei due poderi ereditati. Qui si dedica per intero alla divorante passione delle lettere (e' il noto "sessennio di Castagneto", o "senese": 1908-1914) e alle prime pratiche di scrittura, non trascurando lo studio, la ricerca, le amicizie, le collaborazioni e le pubblicazioni, ne' vietandosi la varieta' dei generi creativi, dalla novella al teatro, dall'aforistica al frammento al romanzo, dalla polemica culturale (vedi l'esperimento della rivista "La Torre" fondata nel 1913 con Giuliotti) alla lettura critica o saggistico-riflessiva (cio' che permettera' poi di dar vita a quella postuma raccolta di scritti di vario umanesimo che ha per titolo Realta' di ieri e di oggi). A parte qualche isolata collaborazione a riviste quali "L'Eroica", il "San Giorgio" e "La grande illustrazione", Tozzi vede il suo primo volume di narrativa (Bestie) nel 1917, cioe' dopo i versi di La zampogna verde (1911), le pagine di una Antologia d'antichi scrittori senesi (1913), il poema La citta' della Vergine (pure del '13) e il volume di interesse storico-locale Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena (1915). Trasferitosi a Roma nel '14, dove restera' sino alla morte, nel 1920, nel cerchio di un avaro destino, Tozzi vivra' il suo piu' vero, autonomo e qualificato universo letterario. * Tra provincia ed Europa Ne' la componente ambientale d'origine o di soggiorno (Siena, citta' tarpante e provinciale; Roma, trasferimento deludente e dispersivo), ne' la contemporanea compresenza di personaggi quali Verga o D'Annunzio, ne' le concentriche spirali di alta tradizione patria (Dante, Boccaccio, Leopardi, Nievo), di memoria patronale (antichi mistici senesi), di amicale paternalismo (Giuliotti, da un lato e il critico Borgese, dall'altro), ne' l'eclettico elenco dei prestiti culturali stranieri (James, Poe, Zola), possono vantare una definitiva ipoteca sulle motivazioni creative tozziane o un qualche esclusivo marchio sulla sua opera. Infatti, se entro il cerchio del Decadentismo di marca internazionale (Rimbaud, Verlaine, Mallarme', Huysmans), rinforzato dalle ideologie-filosofie-scienze d'entre deux siecles (Nietzsche, Bergson, Freud), ritagliamo una interna circonferenza tutta italiana (Pascoli, D'Annunzio, Pirandello, Svevo; crepuscolari, futuristi, vociani), il nome di Federigo Tozzi celebra pressoche' in solitudine le sue realizzazioni letterarie. Ma se e' opinione critica abbastanza condivisa, e qua e la' maggioritaria, che egli abbia attraversato il suo tempo come un estraneo, va precisato allora che infiniti, anche se non palesi, sono stati per lui i circuiti che, tra esistenza singola e vicenda sociale, hanno attivato animo e psicologia, mente e mano. Se il contenuto storico degli scarsi "assenti" quarant'anni di vita tozziani (1883-1920) contempla l'avvio, con Giolitti e altri, del nostro trasformismo istituzionale, la guerra di Libia, l'uscita di minorita' politica dei cattolici, il primo conflitto mondiale e il dopoguerra ideologico che proprio nel '20 vedra' la fondazione del Partito nazionale fascista, il tempo culturale italiano, invece, considerato in taglio europeo, tiene a battesimo quel fervore innovativo a torto designato con l'ingeneroso titolo di "Decadentismo", al quale Tozzi appartiene di diritto e che per quanto gli compete segna a vista col graffio vivo e vivace della sua vocazione e della sua scrittura. Di fatto, nel progress storico-letterario di Naturalismo, Decadentismo e Avanguardismo primo-novecentesco, l'attimo in cui Tozzi, renitente a qualsiasi coscrizione di principio, milita fuori di ogni tendenza e si distingue da ogni altra figura in campo, e' contrassegnato da quel suo soggettivo risultato d'arte letteraria che e' lamento d'angoscia metafisica unita a spietata lotta esistenziale. E che, dissipate le iniziali ombre o tangenze dannunziane, frammentistico-vociane o veristiche, cerca tra causa ed effetto, e recupera, nell'evento minimale il segno e il senso della storia grande. Allo scadere del "sessennio senese", Tozzi ne imbocca uno "romano" (tra 1914-15 e 1920). Prima di approdare alla capitale, la', nella casa padronale a Castagneto, egli ha scritto o abbozzato quasi tutto, ma Roma gli urge in cuore come speranza grande di successo. Dagli anni romani, pero', non verranno che inattese e inedite delusioni. Se si eccettuano alcune entrature giornalistiche e scarse amicizie, Tozzi deve infatti subire, nella capitale, l'indifferenza della metropoli nei confronti del provinciale e una distanza fredda, anche se non sdegnosa, dell'intellighentzja di allora: il disinteresse, insomma, e la degnazione, non escluso qualche dileggio. Di fatto, sia Bestie (1917) che Le cose piu' belle di Santa Caterina da Siena (1918); sia Con gli occhi chiusi (1919) che Tre croci (1920); sia Ricordi di un impiegato (1920, in "Rivista Letteraria") che le raccolte di novelle Giovani e L'amore (1920, ma gia' postume); sia, infine, Il podere (a puntate in un periodico qualche settimana dopo la sua morte), sono tutti libri che non escono in conseguenza del suo inurbamento capitolino, o di una specifica congiuntura romana. Il piu' di Tozzi e' pubblicato dopo la sua morte: nel '21 l'editore Treves dara' ufficialita' a Il podere; nel '23 Mondadori a Gli egoisti e al dramma teatrale L'incalco. Poi, la moglie Emma trascegliera' in Novale (1925) alcune lettere di Federigo e, a parte ristampe o riproposte, dovra' giungere a maturazione il preciso intento del figlio Glauco per darci, presso Vallecchi, l'opera omnia del padre affinche' la critica disponga di un corpus filologicamente attendibile. * Nella parola, la crisi della realta' Ma e' con Paolo e con Adele, quasi paralleli incipit creativi del "sessennio senese" (il primo, prosa poematica d'aspirazione al libro; il secondo, abbozzo di romanzo, cresciuto e al tempo stesso depauperato per travasi verso altri testi) che Tozzi si avvia alla scrittura letteraria animando due figure di giovani dalla dolorosa inconcludenza esistenziale, angosciati e nevrotici, autodistruttivi al punto di uccidersi dopo essersi scorticati l'anima tra autoanalisi, fantasmi intellettuali, misticismo irrazionale e delirante sensualita'. Anche Ricordi di un impiegato, non e' un romanzo organico ma a schede, se non proprio a frammenti, storia di Leopoldo Gravi, ventenne figlio di un ristoratore che lascia la famiglia con la quale intrattiene rapporti burrascosi e affettivamente infidi per un impiego in ferrovia in quel di Pontedera. I fatti (l'andamento dell'ufficio, il difficile inserimento nell'ambiente inameno e pettegolo, il rientro a casa per la morte della fidanzata Attilia e la nascita di un'altra sorella, la nuova partenza, stavolta per Firenze) sono stemperati dalle prominenti vicende dell'io interiore, un io allo specchio, autoanalitico e autointerrogativo. Ricordi di un impiegato e' un esempio di narrativa che rompe i canoni e le unita' naturalistiche: uno fra i primi del nostro Novecento in cui sono denunciate una mancanza a essere, una incapacita' alla vita, una inettitudine all'alterita' (dimensione estranea e inattingibile del prossimo) non meno che al proprio foro interiore. Quello che sopraggiunge quasi subito e' il capolavoro di Con gli occhi chiusi (scritto nel '13), romanzo-simbolo, titolo-emblema e coscienza finalmente organizzata attorno ai propri strumenti espressivi. Domenico Rosi, uomo dispotico, egocentrico, di salda tempra fisica e di buona fortuna finanziaria, marito di Anna, una bastarda senza dote, e' finalmente padre di Pietro che meglio non si potrebbe definire, quanto a carattere, come il suo assoluto contrario. Ma un'altra figura interessa al procedere del libro, quella di Ghisola, una ragazza che compare in libro quando Pietro compie tredici anni e viene portato in campagna, a Poggio a' Meli. Pietro rivedra' Ghisola anche nelle due primavere successive e, nell'arco degli anni della sua difficile e scontrosa educazione giovanile, cui il padre non collabora se non con riottosa malagrazia e palesi minacce, la presenza della giovane contadina aprira' nella sua mente facili varchi d'affetto. Ma prima che Pietro vi si dedichi seriamente, la ragazza viene allontanata, intraprende un'esistenza di disinibita disponibilita', si lascia andare, diventa amante del vedovo Borio, del suo fattore, del signor Alberto (un commerciante separato dalla moglie) e finisce in un ostello-bordello quando, rimasta incinta e riallacciati i rapporti con Pietro, trama con l'aiuto di Alberto di sedurre il giovane, farsi sposare da lui, accollargli il figlio e redimersi socialmente, se non moralmente, accasandosi e sistemandosi per il resto della vita. La cosa sta per riuscire perche' Pietro vive "con gli occhi chiusi", ma finalmente folgorato dalla realta' li apre e l'abbandona, senza drammi, ma con irrevocabile ripudio. Con gli occhi chiusi sembra accennare a una sorta di viaggio esistenziale, tra astrattezze ed estraneita', verso un incontro-scontro con le contundenze del reale. Ma quelle cose che come un incubo oscillante si presentano alla vista nebbiosa di Pietro, che all'apertura del romanzo e' un ragazzo, sono le stesse che lo ritroveranno dopo il lampo rivelatore del ventre colmo di Ghisola (per proseguire in Il podere con un Pietro-Remigio anche piu' improvvido e sprovveduto). Niente sara' mai adatto a lui, al suo sentimento, o meglio, non-sentimento della vita. Tra Con gli occhi chiusi e Il podere, Tozzi scrive Bestie, raccolta di prose lirico-soggettive nate nel '14, sintesi di riflessioni condotte in anni amari con la tecnica spersonalizzante del flash, via via occasionata da continue accensioni interiori attorno a diversi nuclei generativi di scrittura. Uomini, cose, paesaggi, stati d'animo, tocchi d'atmosfera, ritratti di animali (giusta il titolo), ruotano in orbite descrittive strutturalmente eccentriche attorno alla prismatica presenza di un io che non si narra direttamente, ma per appunti di vita, senza logico ordito ma con la "bestia" in clausola, a mo' di personaggio, di tramite coesivo. E sopraggiunge Il podere (scritto nel '18) con il suo delusivo protagonista, Remigio Selmi, in veste di inopinato erede di una tenuta che non sa come condurre, tra l'interessata indifferenza di Luigia (seconda moglie del padre Giacomo) e l'ossessiva avidita' di Giulia Cappuccini, amante di Giacomo stesso. Rimasta indesignata erede dopo la morte di costui, Giulia intenta causa con la falsa testimonianza di due loschi figuri, "Ciambella" (Corradino Crestai) e "Chiocciolino" (Pietro Carletti). Tra le pretese delle donne (la vedova e l'ex amante), l'opportunistica schiera dei salariati che, deridendo Remigio, nuovo padrone, lo derubano pian piano del suo lasciando andare alla malora i raccolti e i frutti della terra, oltre che la terra stessa e i beni ivi pendenti, le oscure manovre di quanti vogliono impossessarsi del fondo (La Cosuccia); le unghiute interessenze dei vari avvocati e del notaio incaricato della successione e, infine, l'inconcludente brancolare di Remigio stesso, ecco che la "roba" va allo sfacelo e sul dramma della proprieta' si innesta da ultimo il raptus di Berto (un bieco salariato avverso al nuovo padrone) che finira' per assestargli un colpo d'accetta, uccidendolo. Il podere, oltre a ripresentare precedenti tematiche, esibisce una sua visione dell'individuo nella societa', dell'individuo che la societa' sacrifica (c'e' anche un tanto di rurale religio e il cruento rito di un laico "agnello" immolato, nel testo) per la continuita' del suo egoistico tornaconto, per la tranquilla e insoluta sequenza del suo avere. La realta' del conflitto in scena vede piccola borghesia contro proletariato, per dirla in termini d'oggi: l'una, in crisi per perdita di coscienza padronale (complicata, in Remigio, da smarrita identita' psicologica ed esistenziale); l'altro, che riesce a tener testa alla proprieta', ma non sa far altro che rovinarla, per ignoranza storica, inesistente cultura, incoscienza atavica e sonnolento gene anarco-distruttivo. Fatta la sua comparsa in modo singolo nel Podere, la morte si ripete nel romanzo Tre croci (anch'esso scritto nel '18). Coprotagonisti i tre fratelli Gambi: Giulio (che falsifica le firme del cavalier Orazio Nicchioli per prorogare continuamente la scadenza di un debito bancario), figura piu' malinconica ma anche piu' forte delle altre, piu' intelligente, lavoratrice ed educata, che si rende conto delle conseguenze morali oltre che pratiche del falso compiuto; Niccolo' (l'antiquario, il solitario, il girovago, l'unico sposato, fanatico del cibo, colui che morto Giulio rifiutera' di aiutare il superstite fratello, sino alla morte d'apoplessia); Enrico, infine (il legatore, sgarbato e prepotente, frequentatore di bettole e osterie, giocatore accanito dal prevedibile destino di barbone). Preso spunto da un evento cittadino (certi librai erano realmente falliti in Siena), il romanzo presenta un interno di negozio dove transita una piccola umanita' di clienti, ma bollono piu' che altro le "insaziabili" psicologie dei Gambi, dissipatori di sentimenti (oltre che di alimenti), nel senso che sperperano affetti, amicizie e simpatie in un cupo e morboso giro di ripicche, litigi, "armistizi" culinari, assalti, soprassalti, disprezzi e rancori. E' un interno di negozio, s'e' detto, ma anche un interno d'anime. Tozzi, e le sue insolvenze esistenziali, hanno buon gioco a specchiarsi nelle contorsioni psicologiche dei tre fratelli Gambi. Con Gli egoisti (elaborato tra il '17 e il '20) si completa la bibliografia tozziana. Dario Gavinai, protagonista del libro, e' un musicista che cala a Roma in cerca "del", anzi, a mietere "il" successo che gli par suo di diritto e che non avra' secondo lui da faticare a cogliere, tanto si sente sovreccitatamente invasato dal nume creativo. Subito pero', alla stregua di tutte le altre figure tozziane, Dario precipita nell'incapacita' e nell'inefficienza piu' paralizzanti. Se cio' non bastasse, la sua e' un'impotenza egoistica e immorale, un'apatia che prende i toni del cinismo, un'inconcludente snervatezza, oltre che nei confronti della musica, anche nei rapporti con Albertina Marelli, sua fidanzata e innamorata impaziente. Dario incontra a Roma tre amici: il primo, Nello Giachi, impiegato al ministero della Pubblica istruzione, una figura di routinier della burocrazia che gli promette molte cose ma non ne fa nulla, individuo insignificante e privo di ambizioni, dalla psicologia "breve" che fa centro sul "se'" piu' gretto e piu' stretto; il secondo, Ubaldo Papi, il mondano, il donnaiolo fatuo, l'insulso lover dall'egocentrismo mentale e "carnale"; il terzo, Ugo Carraresi, tra il contadino e il signore, approdato a Roma ma schifato dall'urbe che si vanta capitale della cristianita' e che, a suo avviso, altro non e' se non onfalo del peccato e dell'ignominia politica. Fin qui, la linea contenutistica. Ma Gli egoisti e' il libro della crisi, dopo che esistenziale e morale, religiosa di Tozzi: nel senso di un ritorno alla fede, non di un allontanamento. Tanto che, per nulla pretestuosamente, la critica ne ha parlato in modo assai piu' dialettico che non per tutti gli altri testi. Infatti, le cose si fanno ardue, e al limite dell'indecifrabile, se sulla realta' del foglio bianco lo scrittore tenta di rapprendere criterio o desiderio del totalmente Altro. Libro rimasto in fieri, non accudito cioe' sino in fondo, Gli egoisti e' il romanzo del recupero di alcune fermezze morali, se non proprio dimenticate, rimaste quanto meno inoperose sotto la gran mole di lavoro svolta in cosi' poco tempo. Dal canto suo, il ritorno al modello intimistico, introspettivo, viscerale, solitario, di libri scritti anni e anni prima, si compone in una materia non piu' bruciante, ancorche' biografica, ma decantata rispetto a quell'arbitrio strutturale che denotava trascorsi esperimenti. Quella innovativa frantumazione della linea del racconto che era stata empirica o piu' o meno inconscia prova d'avanguardia, ora e' consostanziale al suo stile. I traguardi emotivi che egli si augurava di raggiungere sono ora vere e proprie "cime", come dice lui stesso, di nuove unita' psicologiche. Il non finito, che non era molto diverso dal frammento e poteva confondervisi, ora e' traguardo di intenzionale rarefazione narrativa. E anche l'inatteso, insospettabile lieto fine (nessun libro di Tozzi vi approda), non e' conclusione vacua o incredibile o gratuita, ma prova in limine (morira' prima di rivedere il testo), di una esperienza creativa fatta alla luce di una riconsiderazione dei valori primari della vita: quello religioso anzitutto. * Le novelle, il teatro, la critica Parallelamente ai testi citati, esiste nell'opera di Tozzi tutta una cospicua dedizione novellistica, saggistica e teatrale, testimone di una sua costante innervatura lungo tutto il corpus narrativo. Ma non e' qui possibile mostrare il complesso dei riscontri, delle interferenze, dei ripiegamenti o degli aggiustamenti, delle conferme o delle contrapposizioni che novelle, pieces teatrali e riflessioni critiche offrono nei confronti dei romanzi. Il Tozzi dei racconti, o delle composizioni brevi, e' stato visto, nei confronti del Tozzi romanziere, in posizione pressoche' tributaria, fermo restando che nel campo della short story il nostro autore evita facili effetti, straordinarie evenienze, macchinosi colpi di mano. La sua novella, in genere, non conclude, restando sempre piuttosto sospesa sui casi e sui personaggi messi in moto ma trattati come propositi inespressi e quasi sgomenti, con risultati del tutto privi di esaltazioni, gesti e discorsi (cio' non toglie alla psicologia degli attori in pagina di essere sempre piuttosto surriscaldata, tesa, aspra, complicata). "Sacrificando con ingenuo eroismo tutte le occasioni di popolarita'", come e' stato ben detto, il Tozzi delle novelle privilegia gli stati d'animo, scende rapidamente e volentieri agli strati ultimi di quell'identitario endon psichico dei personaggi, nucleo di quei "misteriosi atti" che decifrano personalita' e caratteri. Anche se poi da', per rapidissime congiunture esistenziali (un tic, una mossa, un cenno, una frase, un atteggiamento), il senso intimo del dramma in partenza da uno spinoso reticolo di quotidiane coazioni oscuramente determinate sotto la volta delle coscienze e senza eccessivo corredo aneddotico. Tozzi, dunque, si pone il problema della novella in un frangente storico-culturale che intravedeva l'imminenza dei giornali e delle loro "appendici", delle pubblicazioni popolari e dei periodici illustrati: di una stampa, cioe', che al passo con tempi di rampante borghesia e di relativo agio socioeconomico, veniva profilando la letteratura come promettente surrogato cartaceo dei veri problemi della trasformazione del Paese. E lo risolve a modo suo, lungi da corrive compiacenze. Nei luoghi eletti delle sue tematiche, il Tozzi novellista convoca la parte afflitta dell'umanita'. Al di qua delle classi, egli campiona gli ultimi, quelli del possibile comportamento antistituzionale, la tranche socio-patologica funzionale a un certo grado di vocazione anarchica, se non eversiva. Il teatro tozziano, invece, ha meno storia, ne' si puo' sperare che l'abbia. La critica, se proprio non emargina tale creativo risvolto del senese, non gli riserva ne' molti entusiasmi ne' molta ammirazione. L'incalco, il piu' consistente e considerevole dei suoi lavori teatrali, passo' sempre attraverso degnazioni, se non stroncature. La poca critica favorevole fu, non a caso, di stampo letterario, non specialistico, non tecnico-scenico, men che meno registico-repertoriale. Tredici lavori inediti su un totale di sedici dicono la parola fine sull'argomento. Sul terreno della scrittura critica di Tozzi, infine, e per quanto profittevolmente vi sia da scoprire in quella cinquantina di pezzi dati a giornali, riviste o periodici del momento (v. la raccolta Realta' di ieri e di oggi), e' suggerimento dei piu' quello di accostarvisi come a un Tozzi che lateralmente spiega da se' la sua complessiva tematica. Intervenendo dialetticamente su autori, opere, correnti intellettuali e letterarie, egli affila gli strumenti della sua stessa scrittura, in ogni caso esercitandovisi con spirito fustigatore e rostrata penna di critico. Rilasciando inconsci biglietti d'invito a guardare senza schermi la sua stessa operazione letteraria, recensisce libri altrui, sviluppa temi che la cultura gli porge, accosta stili o proposte di altri, presenta proprie programmatiche proposte. Cio' che non gli si puo' negare e' la sua istintiva intelligenza del vero: la "sanita'" del Verga, la vivezza di D'Annunzio, la "relativita'" di Pirandello, la compattezza intellettuale e la sincerita' di Borgese. * Retorica della scrittura Visto a questo punto, in un suo retrospettivo e specificamente tecnico complesso, il lavoro di Federigo Tozzi mostra, in un personalissimo contesto di modalita' comunicative ed espressive (al di la', quindi, dei particolari intrecci, delle accensioni tematiche proprie a ogni libro, della chiamata in scena dei loro tanti interpreti o della varia casistica dei gesti e dei messaggi) un'assodata e inossidabile operazione linguistica. Sul suo modo di scrivere, sull'importanza della sua personale "formalita'" poetico-narrativa, va detto che Tozzi, quanto a lingua, uso' un vocabolario italiano e toscano sostanzialmente tonale, con accezioni gergali e vernacole mai eccentriche o preziose, mai particolari benche' particolarmente usate. Il gioco degli "ismi" favorevoli o contrastivi (Decadentismo, Naturalismo di ritorno e cosi' via), non basta a centrare Tozzi, non soddisfa. Tozzi ha cento tangenze e anche anticipazioni o precorrimenti sono nel conto e cosi' pure le inconsce consentaneita' con cio' che stava accadendo nel polifonico sconcerto del secolo appena nato. Ma la sua sigla fu quella della trasgressione innovativa di ogni galateo logico-formale e dell'inaugurazione di una struttura letteraria a mosaico lacunare, relativistico, insofferente della compiutezza e della regolarita', del risultato e della progressione causale secondo scontate attese. Qui Tozzi fu talmente delusivo della norma che per anni e anni la critica lo escluse dal catalogo dell'ufficialita' letteraria, non avvertendo nei messaggi del senese altra fondatezza che quella dei suoi propri verdetti di autoesclusione. Tozzi procede per shock narrativi, ingaggia una sorda lotta con la pagina e una tormentosa pratica della parola e della combinatoria verbale. L'occhio di Tozzi ("chiuso" per antonomasia) intuisce per lampi laconici, per identificazioni visionarie. E quando la sua penna recupera la memoria, ne fa rivisitato presente al battito di un'angoscia senza tempo: cronologia incompiuta, elastica, sospesa, non tanto alla treccia dei fatti, ma al filo della coscienza, dell'esperienza soggettiva. Il tempo tozziano e' dell'ordine della "durata" di Bergson; lo spazio e' colto tra grandangolo e microscopio, tra molecolare a molare; la figura e' vivisezionata e i suoi segni fisionomici tengono luogo di vicissitudini interiori. La storia grande non esiste, ma la guerra psicologica si', che e' sempre grande per chi la combatte. Ma cio' che maggiormente impressiona e' la scomposizione analitica (ma si potrebbe dire psicoanalitica, non foss'altro che ante litteram), con cui egli inaugura la stagione dei narratori abissali, di una letteratura che vedra', nell'accumulo del debito esistenziale, il progressivo avanzare del vuoto di coscienza. Tozzi mette a nudo la mera parvenza d'ogni cosa: presuppone che il flusso della vita o della storia o delle cose venga modificato, messo in discussione, tolto dalla banalita', dalla convenzione, dal condizionamento. Da qui l'inevitabile scacco e il ritorcersi in se' di tutta un'immensa "passione" non collocata, d'una altrettanto immane tensione non scaricata. La riserva non spesa della sua capacita' creativa e della sua vitalita' immaginaria va tutta nella direzione dello sfogo autodistruttivo. Alla perdita o alla inattingibilita' dei suoi oggetti d'amore (cose e persone, realta' e ideali) oppone la difesa di un pensiero piu' che altro fantasmatico. Tra il lampo interiore dello sguardo e la spirale del dire ogni possibile realta' si contagia con la visione o col sogno. E qui dovremmo riprendere dall'inizio, da quel suo funesto "romanzo familiare", se si vuol parlare con l'ausilio di Freud (il parentale conflitto cui si accennava in primis), che ha da subito suscitato in Tozzi un inconscio e quindi categoriale tumulto, tanto negli affetti umani quanto negli effetti letterari. Cio' che ne ha fatto uno scrittore dall'io "confessivo", qualcosa di piu' che semplicemente autobiografico. Cio' che in lui ha implicato l'uomo in genere piu' che l'autoritratto di un artista come personaggio. * Libri essenziali Opere La zampogna verde, 1911. Antologia d'antichi scrittori senesi, Siena, 1913. La citta' della Vergine, 1913. Mascherate e strambotti della Congrega dei Rozzi di Siena, 1915. Bestie, 1917. Le cose piu' belle di Santa Caterina da Siena, 1918. Con gli occhi chiusi, 1919. Tre croci, 1920. Ricordi di un impiegato, in "Rivista Letteraria", 1920. Giovani, (novelle), 1920. L'amore, (novelle), 1920. Il podere, in "Noi e il mondo", 1920. Gli egoisti, 1923. L'incalco, (teatro), 1923. Novale, (epistolario e taccuino) 1925. Realta' di ieri e di oggi, 1928. * Bibliografia critica Data l'ingente mole delle possibili segnalazioni di studi, note, articoli e recensioni sull'opera di Federigo Tozzi, indichiamo solo alcuni essenziali saggi monografici. Ferruccio Ulivi, Federigo Tozzi, Mursia, 1962. Giacomo Debenedetti, in Il romanzo italiano del Novecento, Garzanti, 1971. Claudio Carabba, Tozzi, La Nuova Italia, 1972. Gino Tellini, La tela di fumo. Saggio su Tozzi novelliere, Nistri-Lischi, 1972. Aldo Rossi, Modelli e scrittura di un romanzo tozziano. Il podere, Liviana, 1972. Luigi Reina, Invito alla lettura di Tozzi, Mursia, 1975. Giuseppe Savoca, Introduzione ai romanzi di Federigo Tozzi, Bonaccorso, 1977. Geno Pampaloni, Federigo Tozzi, De Agostini, 1982. Franco Petroni, Ideologia del mistero e logica dell'inconscio nei romanzi di Federigo Tozzi, Manzuoli, 1984. Luigi Baldacci, Tozzi moderno, Einaudi, 1993. Marco Marchi, Federigo Tozzi. Ipotesi e documenti, Marietti, 1993. Romano Luperini, Federigo Tozzi. Le immagini, le idee, le opere, Laterza, 1995. Marco Marchi, Vita scritta di Federigo Tozzi, Le Lettere, 1997. 3. LE PENULTIME COSE. GIAMBATTISTA MISANTRI: DOMANDE SULL'UNIVERSITA' [Il nostro buon amico Giambattista Misantri sapete com'e' fatto. I gentilissimi lettori vorranno compatire le sue intemperanze] Non sarebbe meglio abolirla per dieci anni? Non sarebbe meglio che anche i privilegiati andassero per dieci anni a lavorare nelle campagne a produrre quel che mangiano? Perche', se i contadini per una vita intera si spezzano la schiena per far mangiare manicaretti ai ricchi sempre restando poveri e affamati nessuno obietta alcunche', e se a un ricco si chiedesse di lavorare la terra per dieci soli anni allora si compie un'orribile violazione dei diritti umani? * Abolita l'universita', le cosiddette scuole medie e superiori dovrebbero tornare a insegnare qualcosa. Chissa' che non ci riuscirebbero. 4. LE PENULTIME COSE. GIAMBATTISTA MISANTRI: DOMANDE SUI MASS-MEDIA Perche' dobbiamo pagare col pubblico denaro giornali e tv il cui scopo e' ingannarci? Le disponibilita' del bilancio dello stato non sarebbe meglio utilizzarle per garantire "case, scuole ed ospedali" a tutte le persone che in questo paese vivono? Liberta' di opinione significa che i privilegiati che ci assordiscono debbono essere foraggati coi soldi dei disgraziati che restano comunque senza parola e senza potere? 5. LIBRI. DANIELA MONTI PRESENTA "MALAMORE. ESERCIZI DI RESISTENZA AL DOLORE" DI CONCITA DE GREGORIO [Dal "Corriere della sera" dell'11 ottobre 2008 col titolo "Nel segno del dolore: le donne che sperano di cambiare gli uomini" e il sommario "Concita De Gregorio indaga sulle ragioni di una violenza che non passa nonostante l'emancipazione"] Ribaltare tutto, cambiare prospettiva. Mettere in discussione quello che abbiamo imparato finora: che e' la subordinazione economica, culturale e sociale a fare delle donne le vittime predestinate della violenza maschile. E' la mancanza di scelta e di alternativa a consegnarle, mani e piedi legati, al proprio aguzzino. Chi un'alternativa ce l'ha, chi ha uno stipendio, chi non e' costretta a vivere all'ombra di nessuno e' salva. Sospiro di sollievo. Eppure questi argomenti non bastano piu'. Ci sono nuove emergenze e nuove domande, come quelle attorno a cui ruota l'ultimo libro di Concita De Gregorio, Malamore. Esercizi di resistenza al dolore, edito da Mondadori nella collana Strade Blu: si puo' decidere consapevolmente di essere vittime? Come mai tante donne disinvolte, intelligenti, autonome, emancipate accettano di subire maltrattamenti gravi, a volte gravissimi? Perche' potendo scegliere, scelgono il dolore? "Violenza borghese", la chiama la De Gregorio, quattro figli (maschi), per anni inviata de "La Repubblica" e ora fresca direttrice de "l'Unita'". Il libro e' un mosaico di storie di donne diverse - da Louise Bourgeois a Dora Maar, dalla Eva Kant dei fumetti a Lee Miller, dalla prostituta d'alto bordo Cristina, alla piccola Dalia, venduta a 12 anni dalla nonna - e anche se il sottotitolo recita "Le donne, i loro uomini e la violenza", gli uomini non sono che figurine sullo sfondo, si muovono con gesti meccanici, scontati. Meschini anche quando portano nomi importanti (impietoso il ritratto di Picasso), sono la parte debole della storia. Non c'e' interesse a raccontarli. Li conosciamo, in fondo. Giocando sul titolo di un altro libro della De Gregorio: una donna lo sa. Chi sono, come sono. Sa riconoscerli. Eppure li sceglie. E allora? Non e' neppure la violenza degli uomini il tema del libro. Sono le donne che accettano quella violenza, donne che sembrano tutto fuorche' indifese. Potrebbero spaccare il mondo e invece si lasciano annientare nel privato. La De Gregorio cerca di renderlo pubblico, questo privato, come fosse l'unica mossa per mettere k.o. l'avversario: perche' come insegna la fiaba di Barbablu' (e le fiabe, dice la De Gregorio, lo sanno) - l'assassino seriale che sposa giovinette per poi ucciderle e nasconderle in cantina - alla fine, a vincere sara' quella che ordisce un piano per ingannare il mostro, quella che "resta ferma e guarda meglio, poi richiude la porta della cantina e torna su per le scale. Vince chi va all'inferno e ritorna. Vince chi vuol sapere e poi sa cosa farsene, anche, del suo sapere. Chi soffre e trova un rimedio". Le bambine di Elena Gianini Belotti sono diventate grandi. Mettersi dalla loro parte, ora, vuol dire cercare di portare a galla meccanismi di autodistruzione che alimentano vite all'apparenza perfette: la donna ministro che si lascia umiliare in privato dall'amante subalterno, a cui ha spianato la strada per la carriera; la bella e misteriosa Marie Trintignant, che si fa uccidere dall'amante rockstar di una "bellezza cupa e maledetta, dei duri in fondo fragili, quelli che fanno svenire le adolescenti pronte a guarirli dai loro mali"; la signora alto-borghese presa a botte dal marito e insultata dai figli che sulle pareti del soggiorno le dedicano una scritta con lo spray: "Mamma vattene, i deboli soccombono, i forti vincono". E alla fine del suo viaggio fra le mille storie, sono due le risposte che l'autrice da' a quell'ossessivo perche': da una parte una specie di contrappasso, un prezzo da pagare in privato per i riconoscimenti che si sono ottenuti in pubblico. E' la giustificazione lucida che la donna ministro offre a se stessa: "Credo di capire cosa mi succede quando mi faccio maltrattare cosi' tanto da lui. E' come se io stessa ne avessi bisogno, da qualche parte: e' come se fosse necessario per sostenere l'altro ruolo, quello pubblico". L'altra risposta e' piu' sconcertante. E, di nuovo, viene cercata nella parte piu' profonda, "dentro" le donne: e' il programma segreto, l'agenda occulta, la presunzione che fa pensare alle donne di poterli cambiare, gli uomini violenti, l'idea grandiosa di se' che fa credere alla topina protagonista della favola La rateta - che apre e chiude il volume - di poter sposare il gatto e di essere capace di domarlo, convincendolo ad amarla invece di mangiarla. Che illusione. Il gatto fara' della moglie presuntuosa e dei suoi supposti "superpoteri" un sol boccone. "I gatti mangiano i topi ed e' inutile provare a cucinare loro carciofi - e' la morale del volume -. La piu' grande prova di forza e' affrancarsene, liberarsi di loro, imparare a evitarli, lasciarli soli. Questo si' e' uno straordinario successo: non dover dimostrare piu' niente, non mettersi alla prova". 6. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per informazioni e contatti: redazione, direzione, amministrazione, via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 7. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 8. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 9. RIEDIZIONI. OMERO: ILIADE Omero, Iliade, Rizzoli-Rcs, Milano 1996, Rcs, Milano 2008, pp. 1336, euro 3,90 (in supplemento al "Corriere della sera"). Con un saggio di Wolfgang Schadewaldt, la traduzione e un'ampia introduzione di Giovanni Cerri, le note di commento di Antonietta Gostoli, il testo greco a fronte, l'occasione per rileggere ancora un'opera costitutiva della nostra cultura, della nostra identita'. Ogni volta che ho riletto l'Iliade, quest'opera che tutti presumono conoscere e che invece resta per sempre un enigma e un vulcano, essa di nuovo mi ha incantato, come il cielo dagli infiniti lucenti muti occhi ed il vasto respiro del mare. Questo orribile fiume di sangue che rivela una volta per sempre quale orrore la guerra sia, e quanto futili le motivazioni che ad essa carneficina recano. Questo monumento al dolore umano. Questa voce di un cieco cantore che chiama nella notte, e tu rispondi. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 675 del 20 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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