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Minime. 663
- Subject: Minime. 663
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 8 Dec 2008 05:18:29 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 663 dell'8 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" 2. Giuseppe Pontiggia: Scrivere. Decalogo per me stesso 3. Alberto Melloni ricorda Achille Ardigo' 4. Alessandra D'Andria intervista Moustapha Safouan 5. Roberto Carnero presenta "Gli anni Edison" di Ermanno Olmi 6. Bruno Gravagnuolo presenta "Umberto Terracini" di Lorenzo Gianotti 7. Stella Morra: Uno sguardo esterno 8. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 9. L'Agenda dell'antimafia 2009 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. STRUMENTI. PER ABBONARSI AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista del Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini nel 1964, mensile di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo. Per abbonarsi ad "Azione nonviolenta" inviare 29 euro sul ccp n. 10250363 intestato ad Azione nonviolenta, via Spagna 8, 37123 Verona. E' possibile chiedere una copia omaggio, inviando una e-mail all'indirizzo an at nonviolenti.org scrivendo nell'oggetto "copia di 'Azione nonviolenta'". Per in,formazioni e contatti/ redazione, direzione, amministrazione: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803 (da lunedi' a venerdi': ore 9-13 e 15-19), fax: 0458009212, e-mail: an at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org 2. RIFLESSIONE. GIUSEPPE PONTIGGIA: SCRIVERE. DECALOGO PER ME STESSO [Dal mensile "Letture", n. 543, gennaio 1998, col titolo "Scrivere. Decalogo per me stesso", il sommario "I consigli di uno scrittore per chi vuole misurarsi con l'arte del racconto: non stai risolvendo i mali del mondo. Non dimenticare il lettore, perche' stai scrivendo per quel se' che coincide idealmente con gli altri. Il narratore la Storia la fa" e la nota redazionale "Riportiamo l'intervento di Giuseppe Pontiggia al convegno di 'Letture': 'Per la narrativa tra Novecento e nuovo millennio', tenutosi nell'ottobre scorso. Benche' lo scrittore ci tenga a sottolineare, a partire dal titolo, che quanto afferma in questo elenco di regole e' rivolto soprattutto a se stesso, riteniamo oltremodo utile offrirlo alla riflessione di quanti, a loro volta, vogliono provare a scrivere un racconto"] 1) Ricordati che la parola e' il mezzo di comunicazione piu' antico, il primo dopo il gesto, e comprensibilmente il piu' logoro. Defraudata, degradata, decrepita, defunta, la parola puo' pero' rinascere. Scrivere e' trovare il punto di intersezione tra la paura di ripetere e l'avventura di scoprire. * 2) Alle soglie del terzo Millennio le tradizioni si moltiplicano, si attraversano, si dissolvono. L'Europa e' diventata Africa, Asia, America, Australia. Non ancora Antartide, ma perche' e' disabitata. Una volta la tradizione classica dominava l'Occidente, oggi convive con le altre. Non propone piu' modelli, ma esempi. E' finita l'idea di tradizione cara a Hegel e a Sainte-Beuve, a Croce e a Eliot e a Curtius e ai molteplici canoni, dal Medioevo a Steiner e a Bloom. E' scomparso un miraggio. Sono rimasti i classici. Il problema non e' se siano attuali, loro lo sono a priori (basta, a posteriori, leggerli), il problema e' se siamo attuali noi. Leggi Apuleio e il Satyricon. Vedrai che non siamo noi a visitarli, ma loro a visitare noi. * 3) Evadere dalla gabbia dei generi letterari. Non alla maniera di Croce, che ne aveva creati altri due, la poesia e la non poesia, ne' alla maniera della contaminatio latina e del bricolage contemporaneo, che li conservano mescolandoli. Semmai una prosa come intersezione di piani che hanno dimenticato di appartenere a un genere. * 4) Non si e' mai aspirato tanto al romanzo come nell'epoca in cui si e' tanto parlato del suo declino o del suo decesso. Lascialo a chi abbia un progetto che diventi struttura e linguaggio. Liberati dall'ossessione stupida sia di farlo sia di distruggerlo, non meno rovinosa della prima. * 5) La narrativa rischia di essere soffocata dall'ipertrofia della critica, che occupa - come una piovra mostruosa e inevitabile, temibile e utile - qualsiasi spazio. La colpa e' della narrativa, che la osserva ipnotizzata e nei casi peggiori, i piu' frequenti, la segue anziche' precederla. Spesso lo fa anche l'avanguardia, il reparto che dovrebbe precedere le truppe. * 6) Ricordati che quando scrivi non stai risolvendo i mali del mondo e neanche quelli del tuo Paese. Chi vuol essere ricordato per le buone intenzioni sara', nei casi migliori, ricordato per queste. Goffredo Mameli c'e' riuscito. I narratori di solito hanno ambizioni meno altruistiche e i posteri, come diceva Jules Renard, hanno un debole per lo stile. * 7) La critica di solito rimprovera a un artista di non essere un altro. Cosi' molti rimproverano alla narrativa di non essere giornalismo o sociologia o politica o esotismo o consolazione o Storia. Il romanzo nell'Ottocento ha creduto in questi equivoci e sappiamo quanto l'equivoco possa essere fecondo, se pensiamo ai matrimoni riusciti. Oggi il romanzo deve scoprire ogni volta la propria identita'. Lo si scrive anche per questo. * 8) Non dimenticare il lettore. Non il lettore massa da accudire nel suo legittimo bisogno di qualche ora di distrazione, ne' il lettore snob da accontentare nelle sue piccole voglie da gravidanza isterica. Non si scrive per se', come ti dice l'esordiente quando ti porge il manoscritto, ne' si scrive per gli altri, come dicono gli apologeti della letteratura commerciale o i missionari della letteratura sociale. Si scrive per quel se' che coincide idealmente con gli altri. * 9) Eversione linguistica e innovazione dissimulata non sono tanto distanti come si suppone. Sembrano opposti ma, visti piu' da vicino, vogliono la stessa cosa, l'una fingendo di distruggere, l'altra di conservare. * 10) Il Novecento ha visto il trionfo e insieme il naufragio della Storia. Tutto diventa Storia, ma questo riguarda il passato. Il narratore non racconta la Storia, il narratore la fa. 3. MEMORIA. ALBERTO MELLONI RICORDA ACHILLE ARDIGO' [Dal "Corriere della sera" dell'11 settembre 2008 col titolo "E' morto Achille Ardigo', un 'laico cattolico'" e il sommario "Addii. Aveva 87 anni. E' stato uno dei padri fondatori della sociologia italiana"] Se ne e' andato a 87 anni il professor Achille Ardigo', considerato - lo diranno tutti oggi - un padre della sociologia italiana. In realta' e' stato anche qualcosa di piu', quando insieme con Andreatta, Alberigo e Matteucci impianto' nella facolta' di Scienze politiche di Bologna un modello nel quale discipline che la pigrizia degli accademici tiene lontane si fondevano in una sinergia che, vista con gli occhi di oggi, appare un mito di creativita'. Nella pratica di quella scienza gli studi di Ardigo' sulla teoria del soggetto, sul concetto di empatia, sulla dimensione cognitiva dell'ambivalenza metodologica rimangono e rimarranno come dei riferimenti. Ma e' un'altra la dimensione alla quale la parabola esistenziale del professore rinvia: ed e' quella di una intelligentia cattolica formatasi nella convinzione di poter e dover produrre cultura politica. Salvatore Lupo, uno dei piu' acuti storici italiani, sostiene da tempo che la classe dirigente dell'Italia unitaria s'e' quasi sempre formata sulle estreme e ha visto emergere chi da quelle estreme si spostava verso il centro: tesi intrigante, che spiega come, con la fine delle ideologie, sia finita anche la classe dirigente in Italia. Unica eccezione - o estremismo sui generis se si vuole - e' quello rappresentato dal cattolicesimo democratico al quale Ardigo' viene iniziato da Dossetti in quella straordinaria fucina che e' la rivista "Cronache sociali", di cui oggi si presentera' la riedizione anastatica proprio nella sua Bologna. Da li' e' iniziata una parabola che ha visto questo illustre sezionatore dei mondi vitali impegnarsi per una idea aperta della societa', dei servizi, dei consorzi umani che formano le citta' e per quella forma di coabitazione - i quartieri - che descrisse nel Libro Bianco su Bologna del 1956 (edito da Edb) e che diventarono uno dei cavalli della buona amministrazione. Il suo libro piu' studiato e' Governabilita' e mondi vitali (Cappelli) ma fu autore di tanti studi, come Famiglia, solidarieta' e nuovo welfare (Franco Angeli) o Volontari e globalizzazione (Edb). Strenuo difensore dell'eredita' conciliare contestava, ancora di recente, le formule sull'"etsi Deus non daretur" e quelle opposte, perche' facevano torto alla realta' della rivelazione. Con quel piglio del credente che considera la fede e la competenza due parti di una sola persona. Come si usa dire oggi con un pizzico di nostalgia autocritica, un laico cattolico, o come ha detto ieri Romano Prodi un "appassionato partecipante ed anticipatore delle evoluzioni e dei problemi della societa' e della politica italiana". 4. RIFLESSIONE. ALESSANDRA D'ANDRIA INTERVISTA MOUSTAPHA SAFOUAN [Dal quotidiano "Il Riformista" del 5 dicembre 2008 col titolo "Safouan, il Corano e' tollerante, siamo noi a non essere liberi" e il sommario "L'intellettuale franco-egiziano, psicanalista e traduttore arabo di Freud, ci racconta i legami tra politica della scrittura (sacra) e terrorismo religioso"] "Non e' l'Islam ad essere incompatibile con la democrazia ma la strumentalizzazione di questa religione da parte delle elite al potere". Pronuncia ogni singola parola con lentezza Moustapha Safouan, come se volesse imprimerla nella mente di chi lo ascolta. Perche' la sua e' una convinzione profonda, che nasce da anni di studio sulla questione - sempre attuale - del rapporto tra Corano e liberta'. Tema a cui lo psichiatra franco-egiziano - famoso tra le altre cose per aver tradotto in arabo L'interpretazione dei sogni di Freud - ha dedicato il saggio Perche' il mondo arabo non e' libero, appena pubblicato da Spirali. Un titolo provocatorio. Del resto, Safouan - in Italia per un ciclo di presentazioni - non ha timore di turbare la sensibilita' degli "oltranzisti del politicamente corretto". L'anziano medico - abituato a indagare nei meandri dell'inconscio - ama demolire falsi miti e luoghi comuni. Safouan e' un intellettuale "senza mezze misure". Proprio come il suo nuovo libro, dal titolo controcorrente. * - Alessandra D'Andria: Safouan, perche' il mondo arabo non e' libero? - Moustapha Safouan: Devo fare una puntualizzazione. Il titolo originario - con cui l'opera e' stata pubblicata in Gran Bretagna - e' Perche' gli arabi non sono liberi. L'editore francese, temendo di ferire la sensibilita' dei Paesi islamici, ha trovato questa forma edulcorata. La nuova traduzione araba si chiamera' Perche' noi non siamo liberi - che mi sembra il titolo piu' adatto - dato che e' un arabo a parlare. Quanto alle motivazioni dell'assenza di liberta' nel mondo arabo queste derivano da ragioni storiche. Ben piu' antiche della colonizzazione. Spesso i nostri governanti puntano il dito contro gli stranieri - che di certo hanno sfruttato le colonie per i loro interessi - ma non si assumono le loro responsabilita'. * - Alessandra D'Andria: Quali sarebbero? - Moustapha Safouan: La religione islamica non delinea una forma di organizzazione politica. E', pero', vero che il Corano lascia irrisolta una questione fondamentale: quella della successione. Maometto e' l'ultimo Profeta, nessuno puo' sostituirlo. Tale affermazione si iscrive in un contesto politico in cui ancora non esiste la "forma stato" come la conosciamo ora. I popoli della regione, dunque, si sono dovuti ispirare all'unica forma di governo che conoscevano, ovvero il modello persiano dell'Imperatore-Dio. Una modalita' di organizzazione del potere importata da fuori e, dunque, estranea all'Islam come religione. Il punto e' che la divinizzazione del potere s'e' conservata nei secoli, ha plasmato la mentalita' dei popoli musulmani. Grazie alla manipolazione dei testi sacri operata dai vertici dei regimi. In Egitto, ad esempio, da Nasser in poi, il presidente nomina i rappresentanti del potere religiosi, i responsabili della fatwa, i rettori universitari. * - Alessandra D'Andria: In che modo e' stata realizzata questa mistificazione? - Moustapha Safouan: La lingua ha un ruolo fondamentale in questo. L'arabo e' una lingua "duale". Da una parte c'e' l'idioma dei testi sacri, quello letterario, fisso e immutabile, dall'altra c'e' la lingua parlata dal popolo. La prima resta, pero', inaccessibile per il popolo. D'altra parte, chi detiene il potere non ha interesse a diffonderne la conoscenza. "Il Corano dice questo", ripetono i governanti ma la gente ignora che cosa realmente affermino le scritture. Si realizza, cosi', quella che io definisco una "censura non dichiarata". Perche' il Corano e' molto piu' tollerante di come i regimi arabi ce lo fanno apparire. * - Alessandra D'Andria: Perche' allora, specie negli ultimi tempi, sembra prevalere l'estremismo? - Moustapha Safouan: Il fondamentalismo e' il prodotto della repressione operata dai governi islamici. L'opposizione non ha modo di esprimersi, l'unico canale che ha per affermarsi e' la violenza. Una violenza assoluta e brutale quanto - o spesse volte di piu' - quella dei sistemi politici che si trovano a combattere. Anche questi movimenti di resistenza "manipolano" il Corano per legittimarsi. Utilizzano gli stessi meccanismi dei governi al potere. Che vengono definiti "infedeli", mentre gli estremisti si autoproclamano i detentori "dell'ortodossia". Non a caso, l'integralismo colpisce non solo l'Occidente ma anche i regimi arabi. La religione, tuttavia, non c'entra. E' una lotta per il potere. 5. FILM. ROBERTO CARNERO PRESENTA "GLI ANNI EDISON" DI ERMANNO OLMI [Dal mensile "Letture" n. 651 del novembre 2008 col titolo "Gli esordi di Olmi nell'Italia di una volta"] Ermanno Olmi, Gli anni Edison, dvd + libro I volti e le mani a cura di Benedetta Tobagi (pp. 184), Feltrinelli, Milano 2008, euro 16,90. * Volti d'altri tempi e mani d'altri tempi: volti e mani di un'Italia che non c'e' piu', e che per questo e' suggestivo riscoprire attraverso un cofanetto pubblicato da Feltrinelli nella collana "Real Cinema". I volti e le mani presenta infatti un dvd contenente una selezione di cortometraggi, operata personalmente dal regista, tra quelli da lui diretti negli anni Cinquanta, quando lavorava presso la Edison. Chiunque conosca il percorso artistico di Ermanno Olmi - e chi non ricorda un film come L'albero degli zoccoli (Palma d'oro a Cannes nel 1978)? - sa bene come un po' tutto il suo cinema sia, prima di tutto, "narrazione del reale". Non stupisce dunque che all'origine della sua carriera di cineasta ci siano proprio dei documentari, in cui la sua "fame di realta'" aveva modo di esprimersi in maniera diretta e senza le barriere dovute alle convenzioni narrative del cinema maggiore. I cortometraggi qui raccolti sono innanzitutto documentari veri e propri, volti a illustrare l'attivita' della Edison, che era allora (cioe' prima della nazionalizzazione del settore dell'energia elettrica con l'Enel), soprattutto al Nord Italia, una delle principali aziende di produzione di energia elettrica (principalmente idroelettrica). La pattuglia del Passo San Giacomo (1954), La diga del ghiacciaio (1955), Manon finestra 2 (1955), Tre fili fino a Milano (1958), Il grigio (1958) raccontano la dura vita degli operai del settore idroelettrico, chiamati alcuni a riparare le linee elettriche quando sono interrotte, trasportando in alta quota, sulle proprie spalle o magari con il solo aiuto di una slitta, tralicci e pezzi di ricambio, altri a sviluppare le costruzioni di gallerie e bacini artificiali di dimensioni mastodontiche, un'attivita' in cui l'uomo ingaggia una dura sfida con la natura. Michelino prima B (1956) e' invece un filmato in cui l'autore illustra la vita di un ragazzino che, per meriti scolastici e dopo una serissima procedura di selezione, viene ammesso, dopo la licenza elementare, alle scuole professionali della Edison. La sua vuole essere una vicenda esemplare: abituato a vivere in un paesino di mare e di pescatori (il cui nome non viene specificato, forse per rendere piu' emblematica la sua storia), si trasferisce in citta' (Voghera o Pavia, i cui scolari sono ringraziati nei "crediti") per frequentare un istituto che gli dara' un mestiere per la vita. Scuole professionali con annesso convitto, in cui il livello della disciplina e dei programmi di studio, quanto a serieta' e a gradi di approfondimento, non sembrano avere nulla da invidiare a quelli degli attuali istituti superiori. Ma forse i due pezzi piu' belli, due autentici piccoli gioielli, sono quelli meno legati all'attivita' della Edison. Il primo, del 1954, si intitola Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggiere ed e' la trasposizione, in salsa contemporanea e milanese, dell'omonima operetta morale di Giacomo Leopardi. I dieci minuti del film cominciano con un breve viaggio dalle campagne al centro della citta', dove due tradizionali zampognari si trovano a confrontarsi, un po' in cagnesco, con un suonatore di organetto, che alla fine avra' la meglio su di loro. Questo e' un po' il prologo, e poi la scena si sposta in un grande magazzino del centro (la Rinascente?), dove il "passeggiere" (un bravo e impeccabile Enzo Tarascio) dialoga con il venditore di lunari e calendari (Paolo Pampurini), che con spiccato accento meneghino cerca di rispondere, imbarazzato, al fuoco di fila delle domande dell'acquirente, il quale prova a dimostrargli il carattere illusorio di ogni aspettativa di felicita' per il futuro. L'altro cortometraggio, Il pensionato (1958), mette in scena un ex operaio specializzato che, uscito per raggiunti limiti d'eta' dal mondo del lavoro, trascorre stancamente e nervosamente le proprie giornate, annoiato e insofferente. Finche' non si trova a prestare il suo aiuto e i suoi consigli ad alcuni giovani che hanno aperto una tipografia in uno stanzone collocato nel cortile del suo condominio. La morale e' scoperta: mettendo la propria esperienza al servizio degli altri, e' possibile dare un senso all'eta' della pensione, continuando a sentirsi utili. Ma l'aspetto piu' interessante e' la documentazione di modi di vivere e di parlare (in un dialetto, ricco di mimica e di interiezioni, oltre che di popolari espressioni idiomatiche, che ormai e' stato travolto dalla storia). In comune i diversi cortometraggi hanno l'attenzione dell'autore al mondo degli umili, a quegli "uomini comuni" che poi sono quelli che fanno la storia. Dice Olmi in un'intervista a Sergio Toffetti (compresa nel volume, dove sono raccolti contributi critici di diversa natura e provenienza sul cinema del regista lombardo, e soprattutto su questa prima fase della sua carriera in cui, dal 1953 al 1961, realizzo' ben diciotto cortometraggi e un mediometraggio): "Io appartengo sia al mondo contadino che al mondo operaio e ho sempre pensato fortemente che la storia si faccia con i 'grandi numeri', dunque che i veri protagonisti siano i contadini, gli operai, gli impiegati e oggi gli operatori dei computer, dei telefonini... la storia passa soprattutto li'". * Nella riunione di "Letture" i membri del comitato scientifico rilevano questo aspetto, evidenziando come le immagini parlino proprio di tale interesse del regista per volti anonimi, colti pero' nell'intensita' delle espressioni: viceversa, come nota Marina Verzoletto, il commento sonoro, spesso retorico e didascalico, non di Olmi, finisce oggi per risultare datato, se non un po' fastidioso. Don Antonio Rizzolo sottolinea il "mecenatismo" di un'azienda come la Edison, che certamente diede a Olmi mandato di realizzare filmati in qualche misura "pubblicitari", ma lo fece con un'attitudine generosamente illuminata che andava al di la' delle intenzioni propagandistiche. Aldo Giobbio ritiene che questo genere di opere fosse rivolto piu' "all'interno" (per motivare i dipendenti e far conoscere loro la complessa realta' aziendale, oltre che per costruire una "cultura aziendale") che "all'esterno" (per fare cioe', volgarmente, "pubblicita'" all'azienda). Tutti rilevano l'attenzione di Olmi alla realta' italiana di quegli anni, con un'acuta capacita' di osservazione di un Paese in rapida trasformazione da contadino a industriale. Lo nota anche Toffetti nello scritto introduttivo del volume: in questi film "c'e' sempre il momento in cui i contadini intenti ai mestieri tradizionali si fermano, per un attimo, a guardare gli operai, anzi a rispecchiarsi in loro stessi divenuti operai, come vedessero il loro futuro, e come se l'autore volesse farci vedere quello che fin da subito ha intuito: Olmi filma in un momento di eccezionale equilibrio tra sistemi, durante un passaggio epocale, quando l'industria mantiene ancora un sostanziale equilibrio con la natura". Quest'ultimo aspetto e' evidente ad esempio nelle riprese montane, con le dighe, le turbine, i pali dell'alta tensione, che sembrano armonizzarsi, dal punto di vista estetico, con la realta' paesaggistica. "Mentre oggi", nota don Rizzolo, "la tecnologia sembra estraniarci dal mondo, avendo perso la dimensione materiale dell'esistenza, quell'aspetto pratico che significava rapporto diretto con il mondo". 6. LIBRI. BRUNO GRAVAGNUOLO PRESENTA "UMBERTO TERRACINI" DI LORENZO GIANOTTI [Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 dicembre 2008 col titolo "Quel no di Terracini a Lenin" e il sommario "A 25 anni dalla morte, con 'l'Unita'' la biografia di Renzo Gianotti riapre un capitolo chiave della storia del Pci. Si chiama Umberto Terracini. La passione di un padre della repubblica, il libro in edicola domani a euro 7,50 piu' il prezzo del giornale. Lo ha scritto Lorenzo Gianotti, gia' segretario del Pci di Torino e poi senatore, autore di saggi storici sull'Ottobre ungherese e sugli operai Fiat"] Imbattersi in Umberto Terracini, per quelli che si avvicinavano alla politica a fine anni '60 era esperienza assai singolare. Conferenziere perfetto, dall'eloquio forbito e millimetricamente preciso, senza sbavature. E dotato di una consequenzialita' geometrica, che faceva scaturire le conclusioni del discorso da passaggi e approdi definiti. Mai appesantiti da citazioni retoriche, fatti salvi certi riferimenti indispensabili di storia o di dottrina giuridica. Sembrava un professore di diritto, sbarcato per caso in una di quelle affollate e fumose sezioni di partito. Ma ancor piu' straordinario era il silenzio, che avvolgeva quelle parole. E la vena giuridizzante ma chiara, che faceva apparire quegli interventi come usciti dalla sapienza di un costituzionalista, benche' del tutto congrui con l'urgenza del momento. Chi era quel "professore"? E come era capitato li', in mezzo a operai, artigiani, commercianti, impiegati, militanti spesso riottosi, di la' della devozione al Partito? E invece non era una bizzarria. Perche' le cose che Terracini diceva, erano parte integrante della linea di quel partito, erano in fondo la sua anima formale di fondo, il suo metodo. Tradotti in linguaggio alto ma comprensibile a tutti. Erano la stessa "via italiana al socialismo", intesa come gradualismo costituzionale, attraverso le leggi e l'ampliamento sociale e sostanziale di esse. E il tutto senza rinnegare l'antica filiazione rivoluzionaria che aveva visto nascere quel Pc tra le bufere del secolo e a partire dall'Ottobre 1917 e dal 1921, con la scissione di Livorno (di cui Terracini fu uno dei protagonisti). Certo tutto questo, allora per noi, non era affatto chiaro, e rimaneva l'effetto di "stranezza" dinanzi a quello stile. Lo stesso effetto di anomalia e anche di "eresia" un po' indecifrata, che fecero poi di Terracini, a lungo, un caso a se', e a volte un isolato nel Pci. Non troppo interessante alla fine, nemmeno per noi giovani. * Anomalia di liberta' Destino ingiusto, che e' venuto il momento di rovesciare per intero, per amore di verita' e di memoria che e' base di verita'. E l'occasione e' il venticinquennale della scomparsa del grande dirigente, Presidente comunista dell'Assemblea Costituente, nato a Genova nel 1895, e avvenuta il sei dicembre 1983 a Roma. In concomitanza con la quale uscira' domani il volume delle "Chiavi del tempo" de "l'Unita'" a lui dedicato: Lorenzo Gianotti, Umberto Teracini. La passione civile di un padre della Repubblica (pp. 280, euro 7,50 piu' il prezzo del quotidiano). E' un libro affascinante, un libro di storia del Pci, costruito sullo sfondo di un affresco piu' vasto: il passaggio sociale otto-novecentesco dell'Italia, il socialismo italiano, la nascita del Pci, il fascismo, l'antifascismo, le vicende tragiche dell'Internazionale comunista a Mosca. E poi l'antifascismo, il patto Molotov-Ribbentropp, la guerra, la Resistenza, e il radicarsi via via del Pci di Togliatti. Fino al compromesso storico e all'ascesa di Craxi. Un libro completo, che e' di per se' un romanzo d'epoca, costruito attraverso una biografia straordinaria, quella di Terracini. Impossibile riassumerlo tutto. E pero' possiamo darvene una chiave. Eccola: "l'eretico fedele". L'ostinato rivoluzionario sempre controcorrente, approdato con la sua testa e pagando di persona alla democrazia come rivoluzione. Senza l'ausilio di Gramsci e Togliatti, l'uno in carcere come lui (rispettivamente 20 e 22 anni di condanna dal Tribunale speciale), l'altro a Mosca o in Spagna. Dunque, ecco la parabola di Terracini. Giovane intellettuale medioceto, ebreo laico, socialista, ordinovista. Poi comunista, ostile alla pace nel "fronte unico" coi socialisti, e avverso su questo a Lenin e Zinoviev. Quindi, da bordighista si avvicina a Gramsci e trascina con se' anche Togliatti. E ancora: ostile alla svolta staliniana del 1928 e alla teoria del socialfascismo, nonche' favorevole alla fase intermedia democratica. Nemico nel 1939 del patto Molotov-Ribbentropp, e cacciato dal partito per questo nel 1941. Vi verra' riammesso nel 1945, a patto di non fare storie sul passato, e benche' dieci anni prima il VII Congresso dell'Ic gli avesse dato ragione in pieno. Riappproda al "suo" partito dopo l'isolamento in carcere dai compagni, e dopo essere stato segretario della Repubblica partigiana della Val d'Ossola. Togliatti lo riaccoglie a Roma, e gli fa poco a poco strada verso l'alto, fino a proiettarlo verso la Presidenza dell'Assemblea Costituente, contro i piu' settari Longo, Secchia e Scoccimarro che pure lo avevano espulso nel 1941. Ecco allora perche' Teracini fu un "eretico fedele", sempre gravato dall'ombra del sospetto, malgrado la tempra e il suo valore immensi. Malgrado il sentirsi, e sempre, un comunista figlio dell'Ottobre. E non finisce qui. Perche' Terracini non smise mai di "crearsi problemi". Dissente infatti sul piano Marshall Usa, che voleva accogliere. Dissente sulla fedelta' geopolitica a Mosca nel 1947 e sui richiami ortodossi della "casa madre". Dissentira' sulla guerra dei sei giorni nel 1967, affermando il diritto di Israele. E dissentira' sia sul "compromesso storico", sia sulla "guerra" di Berlinguer con Craxi. Insomma un terremoto costante, pur nella assoluta fedelta'. Un ossimoro vivente. Interamente coincidente con quella anomalia che fu il Pci. Anomalia di liberta', malgrado tutto. 7. LIBRI. STELLA MORRA: UNO SGUARDO ESTERNO [Da "Letture" n. 652 del dicembre 2008, col titolo "Uno sguardo esterno per capire meglio"] "Nella frattura delle epoche, degli spazi, delle interpretazioni, la verita' non si realizza principalmente nella sua affermazione imposta autoritariamente o nel consenso incondizionato, nella coincidenza di orizzonti, ma piuttosto come quel confermarsi nella giustizia che lascia spazio anche all'altro che io capisco poco o addirittura per niente e che mi fa comprendere che egli vede altre cose o le stesse realta' diversamente. La' dove non c'e' nulla da affermare e nemmeno da conciliare, ma solo l'approvazione dell'altro pur senza rinunciare a cio' che e' proprio. In questo caso puo' emergere dopo tutto anche cio' che e' comune, cioe' quel poco ma fondamentale che gli uomini hanno in comune in quanto uomini, quando piangono e ridono, quando sono bimbi e gia' prossimi alla morte, ispirati o spaventosamente limitati" (E. Salmann, Presenza di spirito) Siamo davvero convinti che sia cosi': ci troviamo in una frattura di epoca e di interpretazione, e mai come in un tempo come questo e' necessario assumere uno sguardo da fuori, uno sguardo dal confine, uno sguardo apparentemente vagante e svagato, che circolando intorno ci dica di noi attraverso l'altro. Come ci ha consigliato Calvino nelle Lezioni americane, serve uno sguardo lieve e indiretto, come quello di Perseo che guarda nello specchio dello scudo per sconfiggere la Medusa. Cosi' vorremmo questa volta offrire alcuni "libri della fede" che in fondo non lo sono propriamente, che circondano le questioni offrendo prospettive trasversali, divagazioni lievi, che ci dicono della fede dal di fuori, dalla ricchezza dei mondi, della simbolica, delle dimensioni della vita. * La vita, fino alla morte Cominciamo con due testi di e su un filosofo cristiano ormai noto, Paul Ricoeur, piccoli e poco costosi (Paul Ricoeur, Vivo fino alla morte, seguito da Frammenti, traduzione di Daniela Iannotta, Effata', 2008, pp. 112, euro 10; Paul Ricoeur in dialogo. Etica, giustizia, convinzione, a cura di Daniela Iannotta, Effata', 2008, pp. 256, euro 13); ma ne' la loro mole, ne' il loro costo corrispondono alla densita', pacata e pensosa, che ci offrono. Nel primo ci viene offerta una bellissima meditazione, quasi un dialogo tra se' e se', quanto alla speranza di sopravvivere, meditazione di un uomo anziano e prossimo alla chiusura del suo tempo, ma che non per questo smette di chiedersi (e chiederci) ragione con rigore. Nessuna visione ingenua, ne' spiritualismo a buon mercato, piuttosto un serrato interrogare da una parte la Scrittura nella interpretazione di un buon esegeta, Xavier Leon-Dufour, e dall'altra la nostra Storia attraverso testi di sopravvissuti ai campi di sterminio. Quasi come una "applicazione" di questa riflessione filosofica, troviamo nella seconda parte del libro i Frammenti, pensieri sparsi su se' scritti da Ricoeur negli ultimi tempi della propria vita (l'ultimo testo e' del 2005, un mese prima della morte). Nel secondo volume, invece, a partire ogni volta da un testo di Ricoeur, inedito fino a ora in italiano, vari studiosi intessono una specie di colloquio ideale con quello che considerano il loro maestro sull'etica, sulla memoria, sulla riconoscenza e la convinzione, intorno cioe' a nodi decisivi dello spessore dell'esistenza. Il saggio finale (La gaiezza del pensare) ci conduce alla logica di fondo di questo abitare la vita fino alla morte: la logica della sovrabbondanza e del suo eccesso. * Due sguardi frontali Paolo Legrenzi, docente di psicologia, ci guida invece a una ricognizione dei meccanismi del credere (Credere, Il Mulino, 2008, pp. 144, euro 8,80): dagli scettici, ai creduloni e ai fanatici, ma anche nelle descrizioni di meccanismi ben piu' equilibrati, siamo condotti a scoprire come non si potrebbe vivere senza esercitare una qualche forma del credere, sia individuale che collettivo. E insieme ci viene illustrato come opinioni, credenze e aspettative si amalgamano alle emozioni, fino a generare paure e speranze. Un piccolo testo dissacrante? Ma non bisogna aver paura di sentirci descritti da altri, da coloro che non condividono i nostri presupposti, piuttosto interrogarci sul modo di funzionare della mente umana e su come questo interpella la fede in Gesu' Cristo. All'opposto, quasi, della descrizione di Legrenzi che si sforza di essere distaccata e non partecipata, il testo di Ernesto Olivero (Sogno che fra cent'anni, Effata', 2008, pp. 212, euro 9,50) una specie di Regola del Sermig, il movimento e una fraternita' che non hanno bisogno di presentazioni. Lo spirito di questa Regola, ci viene detto, e' che possa ispirare uomini e donne di buona volonta', credenti di ogni religione e non credenti che, al di la' di ogni diversita', scelgono di sognare e poi realizzare l'utopia del diverso capito, dell'altro come persona da amare. E' un testo che nasce da una storia viva, totalmente schierato, e che chiede partecipazione a chi lo legge, che nasce dal collocarsi al cuore stesso dell'esperienza di una fede vivente; ma proprio per questo finisce per essere per noi uno sguardo "altro" anch'esso, dal confine di una radicalita' che saremmo tentati di ammirare, ma pensandola fuori portata, estranea. * Le icone ci guardano Sempre a partire da un centro e da una collocazione credente che si fa sguardo lieve e trasversale troviamo il libro di Enzo Bianchi sulle icone (Immagini del Dio vivente, Morcelliana, 2008, pp. 83, euro 10). Anche la sua origine (si tratta della trascrizione di alcune puntate della serie radiofonica "Uomini e profeti" di Radio 3) lo colloca in un territorio che non e' quello proprio della fede, ma ci offre uno sguardo denso e interrogante: immagini antiche per invitarci a riflettere sull'invisibile e sul rapporto che ha con noi, sulla sua rappresentabilita', sulla nostra modalita' di metterci in relazione con cio' che alcuni chiamano Dio e per altri e' l'insondabile segreto della vita umana. Ed Enzo Bianchi, oltre che studioso, e' uno che percorre questi solchi, che li tocca, li scruta, li attraversa; da monaco sa che la vita trova la sua ragione e il suo respiro in una bellezza che non sia puro estetismo, ma piuttosto una bellezza che sopporta anche le ferite, le lacerazioni, le disperazioni. Cosi' ci conduce in un sentiero che attraverso gli occhi chiama a nuova percezione il cuore, la ragione e la volonta'. * Ridare corpo a Lutero Per ultimo, un libro dichiaratamente teologico (Henry Mottu, Il gesto e la parola, traduzione di Laura Marino, Qiqajon, 2008, pp. 408, euro 24), per tornare a un libro della fede che si fa esplicitamente attraversare dal sapere e dal capire degli altri. L'autore, pastore e professore alla facolta' teologica protestante di Ginevra, parte esplicitamente dalla convinzione che il protestantesimo (grande servitore della Parola e delle parole) debba riprendere contatto con la comunicazione gestuale, simbolica, con l'ambito del corpo, del gesto, della mano, e si domanda: "Quando si potra' finalmente festeggiare la riconciliazione dei protestanti con la corporeita', la sensibilita', la carne dei segni?". Ma la sfida che egli prova ad affrontare si arricchisce immediatamente: non vuole semplicemente ritrovare il corpo e i gesti come una generica manifestazione di sacralita' rituale, piuttosto come il luogo proprio della carne profetica del cristianesimo: dunque deve tenere insieme l'insistere sul corpo con la ragione, la gestualita' senza separarla dalla Parola che la fonda, la carne del messaggio senza perdere la trascendenza. Sfida ardita che gli fa attraversare i gesti simbolici dei profeti e quelli di Gesu', e poi una fenomenologia del rito per poter trovare alla fine i gesti dell'esistenza cristiana. Dal confine dunque, per tornare a noi stessi diversi. 8. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 9. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 663 dell'8 dicembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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