Voci e volti della nonviolenza. 268



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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 268 del 2 dicembre 2008

In questo numero:
1. Mao Valpiana: Il cambiamento
2. Nadia Urbinati: Il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti
3. Antonello Catacchio intervista David Hilliard
4. Alessandro Portelli: I am a man

1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: IL CAMBIAMENTO
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: azionenonviolenta at sis.it)
riceviamo e diffondiamo l'editoriale dal titolo "Il cambiamento alla Casa
Bianca e il cambiamento di ognuno di noi" che apre il fascicolo di "Azione
nonviolenta" di dicembre 2008]

Il 4 novembre del 2008 e' una data simbolo. In Italia la politica guardava
all'indietro: i nostri governanti erano impegnati nelle celebrazioni della
"vittoria" di una guerra di novant'anni fa. Esaltavano l'unita' d'Italia del
1918, onoravano gli "eroi" combattenti contro l'impero austro-ungarico,
festeggiavano le Forze Armate mistificando la storia. Quello stesso giorno
l'America guardava avanti, al futuro, voltava pagina, eleggeva un Presidente
nero che ai 240.000 sostenitori che affollavano il Grant Park di Chicago per
festeggiarlo, si e' presentato dicendo "Il cambiamento e' arrivato". Due
istantanee che ben rappresentano la realta' di due paesi mai cosi' diversi e
lontani.
Barack Hussein Obama e' il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti
d'America, figlio di una bianca (del Kansas) e di un nero (del Kenia),
cresciuto lontano dai centri di poteri. Di se stesso ha detto: "Ho
rinunciato al prestigio di grandi studi legali per fare l'organizzatore di
una comunita' di chiese, per ottenere giustizia in nome dei piu' deboli; ho
lasciato Wall Street per dedicarmi alla formazione di chi non aveva un
lavoro e per aiutare i ragazzi di strada di Chicago. Mi sono candidato non
per soddisfare un'ambizione personale, ma per quella che Martin Luther King
chiamava 'la feroce urgenza dell'adesso'". Al di la' di quello che potra' e
sapra' fare realmente nei prossimi quattro anni, cio' che ora ci interessa
di Barack Obama e' come sia riuscito a mettere in campo tante speranze e
mobilitare tante energie positive. Nella sua campagna elettorale Obama ha
attivato milioni di persone che non si erano mai interessate alla politica.
Otto milioni di volontari, organizzati in 35.000 gruppi locali, 30.000
eventi, raduni negli stadi con 20.000 persone, che donavano ciascuno pochi
dollari. Giovani e giovanissimi si sono fatti parte attiva: "Bush ci ha
rubato l'america, questa campagna elettorale e' l'occasione per
riprendercela". L'elemento piu' interessante e' stato certamente l'utilizzo
di internet: il sito ufficiale della campagna di Obama invitava i visitatori
a diventare qualcosa di piu' che osservatori esterni, finanziatori,
elettori, o semplici tifosi: proponeva di partecipare ad un evento nella
propria citta'; organizzare in casa propria una piccola raccolta di fondi;
aprire un blog in cui condividere pensieri e riflessioni; raggiungere via
mail i comitati volontari sparsi in tutta America; offriva strumenti pratici
per agevolare l'attivita' dei volontari, la possibilita' di telefonare agli
indecisi e di mettersi in contatto con altri volontari. Internet e' stata
utilizzata non per sostituirsi ai rapporti umani, ma per favorirli,
rafforzali, facilitarli, annullando le immense distanze americane.
Ora che Obama e' stato eletto non e' pensabile che questo gigantesco
movimento si sciolga. E' piu' probabile che si costituiscano tanti gruppi
indipendenti sempre pronti a ricordare al presidente le promesse fatte. In
questi mesi i milioni di sostenitori hanno discusso molto fra di loro, di
sanita', di scuola, di energie alternative, di occupazione, di pace, di
diritti umani e civili. "Il nostro obiettivo - e' scritto su un loro blog -
non e' mai stato solo quello di far eleggere Obama, ma soprattutto di creare
una nuova generazione di americani che riscoprano il valore dell'impegno
civile".
Sono molte le aspettative e le sfide che attendono la nuova amministrazione
americana. Per quanto riguarda la politica estera ci auguriamo che una
svolta avvenga davvero nel rispetto reale dei diritti umani, che il ritiro
dall'Iraq sia veloce e indolore e che sia posta fine anche alla sanguinosa
guerra in Afghanistan. Ma il banco di prova del profondo cambiamento di cui
il mondo intero ha bisogno, e' quello dell'economia. Il nuovo presidente
degli Stati Uniti dovra' incoraggiare i suoi consiglieri ad immaginare una
rivoluzione teorica dell'economia. E' urgente un cambiamento radicale
dell'economia, altrimenti nel 2050 le risorse fondamentali, a partire
dall'acqua, scarseggeranno per tutti. L'obiettivo non dovra' piu' essere la
crescita infinita, ma la salvaguardia dell'ambiente e la giustizia sociale.
Bisogna salvare il mondo dalle tragiche conseguenze dello sfruttamento che
ha distrutto piu' ricchezze di quante ne ha create.
La sera dell'elezione di Barack Obama abbiamo visto ragazzi e ragazze
bianchi e neri, commossi e felici. In mezzo a loro c'era anche il reverendo
Jesse Jackson, leader afroamericano collaboratore di Martin Luther King. Era
presente a Memphis quando King fu assassinato e pianse di disperazione.
C'era anche a Chicago la sera dell'elezione di Obama e l'abbiamo visto
piangere di gioia. Quelle lacrime siano l'auspicio di un buon 2009, per
tutti.

2. RIFLESSIONE. NADIA URBINATI: IL QUARANTAQUATTRESIMO PRESIDENTE DEGLI
STATI UNITI
[Da "Lo straniero", numero 102/103, dicembre 2008 - gennaio 2009
(www.lostraniero.net)]

La vittoria di Barack Hussein Obama e' stata una sorpresa per coloro che non
hanno seguito con attenzione e mente libera le trasformazioni della societa'
americana. Per coloro, soprattutto, che non sanno leggere la democrazia se
non come un sistema di regole e procedure di decisione politica, che non
sanno cioe' vedere che un lungo e abituale uso di queste procedure e regole
comporta anche una trasformazione dei comportamenti pubblici di tutti i
cittadini. La democrazia e' un ordine politico che si regge
sull'apprendimento, nel quale cioe' e' possibile avere una accumulazione di
esperienza che si deposita nella psicologia collettiva e che agisce sulla
volonta' e il giudizio politico e morale dei singoli cittadini come abito
mentale o seconda natura. Su questa possibilita' di apprendimento
individuale e collettivo riposa la possibilita' che la democrazia duri nel
tempo. Come straordinario esempio di apprendimento individuale e collettivo,
la democrazia e' opposta al populismo, il quale comporta il seppellimento
del giudizio individuale in quello collettivo. Il fondamento individuale
della democrazia e' pertanto alla base dell'originalita' di questo sistema
che e' collettivo senza essere l'espressione di una massa indistinta e
anonima. Questa visione della democrazia e' essenziale per comprendere la
vittoria di Obama.
*
Obama e' il primo presidente di colore in un paese che e' stato segnato
indelebilmente dalla Guerra Civile, voluta dagli Stati del sud (i
Confederati) con l'intenzione espressa di proteggere il loro sistema
economico e sociale fondato sulla schiavitu'. Due mondi si sono scontrati
nella Guerra Civile del 1861-'65: quello gerarchico e nostalgico
dell'aristocrazia del vecchio continente, e quello industriale, capitalista
ed egualitario, certamente nei costumi e nelle leggi. La lotta e' stata tra
una democrazia aristocratica dove eguali potevano essere solo gli eguali e
una democrazia individualistica dove eguali sarebbero stati tutti coloro che
accettavano il patto costituzionale. Non e' stata per nulla una lotta
semplice, ne' soprattutto una lotta che si e' conclusa con la vittoria
definitiva di Abraham Lincoln e dell'Unione. Perche' il XIV emendamento
(inteso ad assicurare i diritti civili a quelli che erano stati schiavi fino
ad allora) e il XV emendamento (che proibisce a tutti gli stati dell'Unione
di conculcare il diritto di voto per ragioni di razza) non hanno trovato
attuazione piena e coerente fino al famoso Voting Act del 1965. Il Voting
Act, poi esteso e perfezionato nel 1970, 1975 e 1982, e' considerato a
ragione come il vero successo della stagione delle lotte per i diritti
civili perche' codifica e quindi attua il XV emendamento imponendo a tutti
gli Stati alcuni specifici obblighi per rendere il diritto di voto
effettivo.
*
Le regole elettorali, che dipendono dalle decisioni dei singoli Stati, hanno
per un secolo ostacolato l'applicazione di quei due emendamenti conquistati
con la Guerra Civile. La lotta dei neri contro la segregazione razziale
negli Stati del sud ha segnato l'inizio della liberazione dei neri da un
dominio gerarchico dei bianchi che nemmeno una guerra civile era riuscita a
cancellare. La marcia della eguaglianza democratica e' stata dunque (ed e')
lunga, accidentata e mai conclusa. Obama e' il segno di questa complessita'.
Egli rappresenta davvero al meglio la storia difficile della democrazia
americana: perche' fino all'ultimo gli osservatori politici pensavano che il
razzismo non sarebbe stato facilmente sconfitto e che probabilmente nemmeno
i sondaggi erano veritieri. L'ombra del razzismo si e' quindi allungata su
queste elezioni - il segno del passato era dietro quei timori. Ma il
razzismo non ha avuto la maggioranza ed e' stato scalzato da passioni o
interessi piu' pressanti. Primo fra tutti l'orgoglio dell'eccezionalita'
americana: Obama e' stato il piu' americano tra i due candidati, perche' il
segno tangibile che l'America e' davvero capace di alimentare il sogno che
milioni coltivano nel mondo di poter essere riscattati dalla miseria e dalla
discriminazione, di essere semplicemente se stessi e liberi. Questo e' stato
il messaggio di Obama: non un messaggio da "politica della differenza" ma un
messaggio nazionale di eguaglianza delle opportunita'. Egli e' quindi il
piu' esemplare segno dell'eccezionalita' americana. Inoltre, e' un segno
della grandezza della democrazia, perche' ha dimostrato che con le regole
democratiche si puo' conquistare un traguardo che in altri regimi
richiederebbe senz'altro una rivoluzione. La democrazia riesce a correggere
se stessa sovvertendo pacificamente l'ordine esistente. La sua natura e'
davvero rivoluzionaria quindi, proprio perche' senza necessita' di una
rivoluzione. E poi la tolleranza: uno dei piu' bei comizi di Obama - un
testo che insegno nel mio corso sulla democrazia - ha fatto
dell'accettazione e del rispetto dell'altro il tema cruciale
dell'eguaglianza democratica. Tolleranza e' anzi una parola non giusta
perche' il diverso non deve essere tollerato affinche' sia trattato come un
eguale, ma invece riconosciuto e rispettato come un se' unico. Infine, la
grande e in America consueta condivisione del patto costituzionale.
Contrariamente a quanto succede nel nostro paese, dove la costituzione non
e' stata sottoscritta da una parte del corpo politico (certamente dai padri
di un partito che e' oggi al governo), negli Stati Uniti la Dichiarazione di
Indipendenza, la Costituzione, il Bill of Rights sono un patrimonio di
tutti, e di tutte le generazioni che si sono succedute dal 1787 e che si
aggiungono giorno per giorno, con la naturalizzazione di sempre nuovi
cittadini. Nessuno pensa che siccome e' cosi' vecchia, la legge fondamentale
sia destituita di valore o abbia necessita' di revisione e addirittura di
manomissione. La lunga durata della legge fondamentale e' prova della sua
giovinezza, non della sua vecchiaia, perche' sono i cittadini che vivono
"qui e ora" che la convalidano e la legittimano rispettandola. E a quella
legge fondamentale tutti indistintamente, conservatori e democratici, si
appellano come a un patrimonio comune, il Dna del paese.
*
Eppure una costituzione significa e anzi naturalmente implica che ci sono
diverse interpretazioni, poiche' le regole si fanno proprio perche' si
presumono disaccordi e dissensi. E dietro queste diverse interpretazioni si
cela l'aspirazione politica o (insisto a usare questa parola) ideologica:
pro o contro l'eguaglianza, pro o contro il privilegio. Obama ha ottenuto
una larga maggioranza, non pero' l'unanimita'. E' il presidente di tutti gli
americani, ma non tutti condividono il suo messaggio di eguaglianza.
L'eguaglianza delle opportunita' che a ogni comizio ha messo alla base della
sua straordinaria e ragionata retorica e' il segno che e' proprio su questa
frontiera che oggi si combatte la battaglia politica della cittadinanza
democratica. Forse per la consapevolezza che le risorse sono davvero scarse,
forse perche' godere dei privilegi piace comunque, il fatto e' che
l'ottimismo con il quale la democrazia si e' consolidata negli anni della
ricostruzione del secondo dopoguerra ha lasciato il posto a un saggio
pessimismo sulle grandi difficolta' che essa ha di mantener fede alle
proprie promesse.
*
Obama rappresenta al meglio il pessimismo della ragione perche' egli sa
molto bene, e lo ha detto anche nel discorso di Chicago la sera della
vittoria, che ci vorranno anni (forse piu' di un mandato, come gia' a
volersi ricandidare) per poter cercare di raddrizzare una condizione di
disagio e disuguaglianza che e' diventata preoccupante perche' si sta
allargando a macchia d'olio. La forza della volonta' gli viene dalla storia
sua e del suo paese. Perche' e' vero che l'America e' nata con questo
ragionato obiettivo fin da quando i primi europei cenciosi si stabilirono
sulle coste del New England: l'obiettivo di non essere asserviti, di vivere
con umana dignita' e non subire dominio e oltraggio da nessuno. Obama e' il
segno di questa etica, di questa idea di eguaglianza e rispetto
dell'individuo che ha vinto proprio in quella parte della societa' americana
che piu' ha subito violenza, ingiustizia e oltraggio. La schiavitu' e'
l'opposto estremo dell'eguaglianza democratica. Non si puo' non sottolineare
il fatto che Obama ha conquistato la Virginia, dove ha preso il via la
Guerra Civile e dove si e' annidata la contraddizione piu' stridente nella
quale si e' dibattuta la societa' americana: perche' la Virginia e' lo stato
di Thomas Jefferson, il padre spirituale dell'eguaglianza e della ragione
illuministica e pero' anche il proprietario di schiavi che sinceramente non
pensava ai neri come eguali. La democrazia americana si e' sviluppata negli
interstizi di questa contraddizione, e ora Obama ha, primo democratico,
conquistato la Virginia, lui che viene dall'Illinois, lo stato di Abraham
Lincoln. La liberazione degli schiavi ha celebrato il sogno americano con la
vittoria di Obama. Un secolo e mezzo di lotte cruente e durissima sofferenza
che ha forgiato l'ethos della cultura "liberal" - quella dei diritti e delle
eguali opportunita'. I suoi nemici sono facilmente individuabili e sono
tutt'altro che in ritirata, qui negli Stati Uniti (dove la vittoria di Obama
e' l'inizio, non la fine di un percorso difficile) e nei nostri paesi cosi'
poco rispettosi dell'eguaglianza democratica, cosi' manipolati da venditori
di fumo che devono alle facili e per nulla pari opportunita' molta della
loro fortuna e della nostra sfortuna.

3. TESTIMONIANZE. ANTONELLO CATACCHIO INTERVISTA DAVID HILLIARD
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2008, col titolo "Black
Panther. Non dimenticate la nostra eredita'", e il sommario "Incontro con
David Hilliard, fondatore del Black Panther Party. Non dobbiamo essere
abbacinati da Obama in quanto individuo, perche' e' un politico e
rappresenta il partito democratico, e' il movimento che si sta costruendo
intorno a lui che deve entusiasmarci"]

- Antonello Catacchio: Hilliard, qual e' l'eredita' del Black Panther Party
oggi per gli afroamericani e in generale?
- David Hilliard: L'eredita' e' ben rappresentata dal programma in dieci
punti del Bpp che e' stato lasciato alle spalle. E' stata la fondazione del
nostro movimento, la nostra costituzione e riguarda lo sviluppo economico e
la piattaforma politica e consiste nella piena occupazione, nella
possibilita' di avere una casa e un'educazione, questa e' una battaglia
continua e non riguarda solo gli afroamericani, ma tutti i lavoratori,
potrebbe valere anche in Italia perche' tutti hanno bisogno di queste cose,
compresa l'assistenza sanitaria. Per questo penso che l'eredita' del Bpp sia
importante oggi quanto lo era quaranta anni fa, perche' investe
l'uguaglianza economica.
*
- Antonello Catacchio: Cosa sanno oggi i giovani americani dei Black
Panthers?
- David Hilliard: Per alcuni e' una marca di biscotti, altri credono si
tratti di rockstar - sara' per l'affinita' dei nomi -, altri ancora pensano
che la X di Malcolm X sia solo il numero 10. Molti non sanno proprio cosa
sia stato il movimento per i diritti civili e cosa successe con il Black
Panther Party. La maggior parte dei riferimenti riguarda solo le immagini di
persone armate, molti giovani non hanno la minima idea del lavoro che veniva
fatto allora nelle comunita'. Perche' i media offrono solo l'iconografia
suggestiva della militanza ma non le idee. Che e' un modo per screditare il
nostro movimento. Credo pero' che i giovani debbano informarsi, studiare,
documentarsi, perche' ci sono molte cose interessanti che non conoscono a
proposito del nostro movimento. Si e' parlato di Mumia, e questo va
benissimo, ma purtroppo ci sono persone che sono in carcere da piu' tempo
ancora, di loro non si sa niente. Ci sono ancora quaranta membri del Bpp in
prigione: Eddie Conway e' in carcere a Baltimora da piu' di 37 anni e come
lui molti altri, del resto quando combatti il sistema sai che puoi finire in
prigione. Dobbiamo continuare a lottare per portarli fuori dalle galere. In
fondo e' stato questo che ha portato alla piccola vittoria a proposito di
Mumia che ora non puo' piu' finire nella camera a gas. Ma e' una vittoria
incompleta, bisogna continuare la battaglia e farlo uscire di prigione, solo
un movimento puo' riuscirci.
*
- Antonello Catacchio: Le notizie che riguardano Huey P. Newton sono molto
contraddittorie, lei invece ha creato una fondazione in suo nome insieme
alla sua vedova.
- David Hilliard: Newton era un uomo molto complesso, era il nostro leader.
Anche Martin Luther King era un leader, e molta gente nel mondo identifica
il movimento degli afroamericani esclusivamente con lui, perche' si e'
enfatizzato l'aspetto nonviolento che alla fine e' diventato unico. Questo
pero' non corrisponde al vero. Newton era leader di un movimento molto
potente, eravamo presenti in 47 stati e in un'infinita' di contee che ci
sostenevano. Quindi era un uomo decisamente importante. Certo ci sono state
critiche nei suoi confronti perche' e' morto mentre era devastato dalla
droga, ma questo e' avvenuto nel 1989, il Black Panther Party e' nato nel
1966, negli anni Ottanta Newton non faceva piu' parte del nostro movimento,
anche perche' era stato distrutto dall'Fbi e dalle polizie dei vari stati.
Quindi quando viene criticato perche' era tossico si fa una forzatura, si
offre un punto di vista scorretto. E' stata la pressione ossessiva del
governo che lo ha spinto a usare droghe, un altro uomo, di fronte al tipo di
pressione che ha dovuto fronteggiare Newton, si sarebbe fatto saltare il
cervello nel 1967. Penso che le persone debbano essere perdonate, e' quel
che faccio per quel che gli e' successo nel 1989, ma a me importa quel che
ha costruito nel 1966 e negli anni a seguire quando mise la sua stessa vita
al servizio di persone che non aveva mai neanche visto. E' morto in modo
disgraziato, non fingiamo che sia andata diversamente, ma e' stato anche un
rivoluzionario. E' stato partorito da una donna, non era un monumento di
pietra, ha avuto i suoi problemi e forse era contrario al concetto di
rivoluzionario di lunga vita. Alcuni sono stati fortunati ad arrivare a 30
anni. Forse Huey ha vissuto troppo a lungo, ma dietro di se' ha seminato
qualcosa di importante. Per questo vorrei che la gente guardasse
attentamente a quel che ci ha lasciato, se esistono dei valori ancora
attuali per un nuovo movimento. Io credo di si'. Perche' il lavoro, il
razzismo, il sessismo e tutte le forme di sciovinismo sono questioni
comprese nell'agenda del movimento che Newton aveva fondato.
*
- Antonello Catacchio: Oggi c'e' qualche aspettativa nei confronti di Obama
o di Hillary Clinton?
- David Hilliard: Credo che Obama sia certamente qualcuno di diverso perche'
e' un afroamericano e credo che capisca personalmente l'oppressione e la
disuguaglianza politica meglio di Hillary. Lei rappresenta piuttosto lo
status quo, un voto per lei non e' necessariamente un voto per cambiare. Un
voto di cambiamento deve essere quantitativo e qualitativo, Obama sarebbe un
messaggio mandato dagli Usa, perche' lui fa parte di una minoranza, e'
membro di una razza oppressa, e le sue idee sono in contrasto diretto, in
qualche modo, con quelle di Hillary. Intanto si e' sempre opposto alla
guerra in Iraq, poi ha mobilitato un movimento di massa negli Stati Uniti,
qualcosa di molto simile a quel che accadeva negli anni '60 e '70, quando
avevamo movimenti di studenti e pacifisti e la gente nel mondo si impegnava
a sostenerli. Dovremmo essere soprattutto stimolati da questa nuova onda,
che dimostra come ci sia gente piena di speranza che ha ancora voglia di
lottare. E' un movimento composto da lavoratori, bianchi, asiatici, ispanici
e che tende a ridurre il gap tra le classi e le razze. Credo che Obama possa
essere un buon rappresentante per l'America e spero migliori la nostra
politica nei confronti del mondo. Hillary invece rappresenta le solite
vecchie cose.
*
- Antonello Catacchio: Ma se Obama dovesse vincere potrebbe davvero cambiare
qualcosa?
- David Hilliard: Non dobbiamo farci troppe illusioni nei confronti di un
singolo individuo. Puo' una persona sola cambiare tutto? Ma e' questo
movimento dal basso che trovo necessario, mi da' la speranza che qualche
cambiamento possa avvenire, Obama deve tenerne conto. Non dobbiamo essere
abbacinati da Obama in quanto individuo, perche' lui e' un politico che
rappresenta il Partito democratico, e non c'e' alcunche' di progressista nel
Partito democratico; il movimento che si sta costruendo intorno a Obama, e'
quello che deve entusiasmarci. Per questo io sono eccitato, perche' questa
gente lo puo' davvero spingere, gli puo' ricordare le promesse fatte e gli
puo' dire che se non le mantiene il movimento scendera' per le strade e
togliera' il sostegno al suo governo. Per questo voglio far parte di questo
movimento. E' la prima volta che mi sento cosi' dagli anni '60, non a causa
di Obama come individuo, ma per quello che si e' creato intorno a lui. Credo
possano essere intrapresi passi positivi per superare tutti quei paletti che
oggi tendono a separarci dal resto del mondo.
*
- Antonello Catacchio: Tra le altre cose hai citato l'Iraq. Credi si possa
cambiare qualcosa a proposito di questa guerra nata dalle menzogne?
- David Hilliard: Dobbiamo essere del tutto onesti in proposito, quando Bush
ha fatto quel che ha fatto ha messo insieme una coalizione: Italia, Gran
Bretagna e altri paesi lo hanno seguito. Quindi non si tratta solo degli
Stati Uniti. Con Obama effettivamente abbiamo la possibilita' di correggere
questo errore, perche' lui vuole porre fine alla guerra. Dobbiamo ricevere
il perdono degli iracheni. Ora possiamo cominciare a comprendere i problemi
determinati dall'oppressione voluta da Bush e che ha coinvolto molti altri
nel suo progetto.
*
- Antonello Catacchio: Qualcuno vede elementi di analogia tra la guerra del
Vietnam e quella in Iraq, ma in realta' sembra non ci sia lo stesso
movimento che si oppone.
- David Hilliard: Per questo sono eccitato all'idea di Obama, perche'
intorno a lui si sta creando un movimento di massa, in tutti gli Stati
Uniti, che vuole porre fine alla guerra. Dobbiamo essere contenti e
consapevoli che c'e' qualcosa di positivo in queste elezioni. Non siamo
stupidi. Non crediamo che il Partito democratico cambiera' il mondo, questo
non e' vero, sono soltanto l'altra faccia dei repubblicani, ma il movimento,
questa gente che sostiene Obama perche' vuole cambiare, perche' vuole
cambiare in Iraq, vuole un'economia che crei posti di lavoro, che si occupi
di ambiente, di inquinamento, vuole che ci si dimentichi del debito delle
nazioni povere. Obama rappresenta in qualche modo tutte queste voci. I
problemi del mondo sono correlati e spesso sono gli stessi per tutti i
paesi. La tecnologia ha reso il mondo piu' piccolo. Le forze della reazione
hanno sempre bisogno di sfruttare. Che si tratti di droga, petrolio, non
importa, l'obiettivo e' controllare le comunita' sparse nel mondo per
mantenere il proprio impero. L'America e' un impero, ma ci sono altre
potenze che seguono la stessa agenda, per questo bisogna organizzarsi a
livello mondiale per contrastarle.
*
- Antonello Catacchio: Un'ultima curiosita', cosa e' la salsa Burn Baby Burn
che ho visto pubblicizzata con lo slogan Pepper to the People?
- David Hilliard: Mi piace questo slogan. Si tratta di una salsa piccante
che abbiamo chiamato cosi', e' naturale e vegetale, senza additivi chimici,
l'abbiamo fatta per sostenere alcuni dei programmi della comunita' di cui ci
stiamo occupando. Non abbiamo finanziamenti dal governo per la fondazione
Huey P. Newton, quindi dobbiamo darci da fare per aiutare noi stessi. La
salsa e' venduta in molti negozi, del resto molte delle persone impegnate
negli anni '60 ora si occupano di the, caffe', anche i nativi americani
hanno realizzato loro prodotti. Abbiamo sempre utilizzato la nostra immagine
per finanziare il movimento. Quindi non bisogna stupirsi per una salsa
piccante. E' un modo come un altro per finanziare le nostre idee, come le
magliette e altre cose del genere.
*
Postilla. L'autorita' intellettuale del Bpp
David Hilliard, membro fondatore ed ex Capo di Stato Maggiore del Black
Panther Party, e' un'incomparabile autorita' intellettuale sulla storia del
Black Panther Party. E' autore di numerosissimi libri sul Bpp e sulle
dinamiche sociali della comunita' afroamericana dagli anni '60 ad oggi,
ultimo tra tutti, appena uscito ed in presentazione esclusiva durante il suo
tour italiano, quello sui programmi di autogestione sociale organizzati
negli anni '60 e '70 all'interno dei ghetti urbani dal Bpp. Dalla fine degli
anni '60 le Pantere Nere sono state, a livello nazionale, l'unica
organizzazione che offriva gratuitamente cibo, medicine e servizi legali
all'interno delle periferie; solo per citare alcune delle loro attivita'.
Proprio per il loro radicamento sociale tra gli ultimi, la loro dinamica di
contropotere e la loro reale attrattivita', le Pantere Nere sono state
classificate dal direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover "la piu' grande minaccia
per la sicurezza interna degli Usa". Dal 1993 David Hilliard dirige le
attivita' della "Dr. Huey P. Newton Foundation", un'organizzazione no-profit
impegnata a preservare e promuovere l'eredita' intellettuale, sociale e
storica dell'esperienza del Bpp. Il lavoro svolto dalla fondazione ha anche
attirato l'attenzione del "New York Times", il "Chicago Tribune" e il "Los
Angeles Times", come pure della National Public Radio e della Pacific Radio
Network. David Hilliard insegna al Merritt College, al Laney College ed al
New College, partecipando, inoltre, a conferenze in tutti gli Stati Uniti ed
in Europa. E' stato inoltre un consulente per il lungometraggio "Panther" di
Mario Van Peebles e per la produzione teatrale adattata per il grande
schermo di Spike Lee, "A Huey P. Newton Story"...

4. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: I AM A MAN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 maggio 2008 col titolo "Tre quinti di
essere umano" e il sommario "Dal 1956 a Obama, la lunga lotta degli
afroamericani per riscrivere la parola 'umano' spezzando i confini della
loro esclusione. E dimostrando che e' nella parzialita' che stanno le radici
dell'universale"]

Se questo e' un uomo... Frederick Douglass, uno dei grandi americani
dell'800, nato schiavo, diceva: "della mia eta' ne so quanto ne sanno i
cavalli della loro...". Nato al livello degli animali, era catalogato come
uno di essi: "Fummo messi tutti in fila insieme per l'inventario. Uomini e
donne, vecchi e giovani, sposati e celibi, in fila insieme coi cavalli, le
pecore e i maiali. C'erano cavalli e uomini, buoi e donne, porci e bambini,
tutti messi sullo stesso piano nella scala dell'essere, e tutti sottoposti
la stessa accurata ispezione...". Nella Costituzione americana, gli
afroamericani non sono mai nominati esplicitamente, ma la loro presenza
aleggia ad ogni riga: dopo tutto, il genio del compromesso dei cosiddetti
Padri fondatori consisteva in gran parte proprio nel mediare fra liberta' e
schiavitu', tenendo in piedi la "peculiare istituzione" senza nominarla mai.
Cosi', il calcolo della popolazione dei singoli stati ai fini della
rappresentanza nel Congresso prevedeva che al numero dei cittadini liberi si
aggiungessero "tre quinti di tutte le altre persone". Come dire che
nell'atto di nascita degli Stati Uniti gli afroamericani equivalgono a tre
quinti di essere umano. E appena prima della Guerra civile, Frederick
Douglass doveva ancora dibattere contro gli "antropologi" che sostenevano
che gli afroamericani non erano pienamente umani, ma solo una via di mezzo
fra l'umano e la scimmia.
I cartelli che i picchetti alzano in questa foto, percio', fanno parte di
una lunga protesta afroamericana per ottenere che la propria umanita' sia
riconosciuta e rispettata. L'immagine viene da Memphis ed e' del '68, pochi
giorni prima dell'assassinio di Martin Luther King. Ma potrebbe anche essere
precedente, del '58 o del '63. Perche' se e' vero che il '68 studentesco
americano comincia almeno nel '64 a Berkeley, e' anche vero che la grande
stagione delle lotte sociali emerge con gli afroamericani a Birmingham,
Alabama, nel 1956. E magari sta continuando, a modo suo, anche con Barak
Obama: il suo tentativo di definirsi come "postrazziale" puo' essere ingenuo
e in parte ambiguo, ma rinvia anche alla celebre risposta di Alfred
Einstein: "Razza? Umana".
Io ero cresciuto senza mai avere un'idea politica in testa. Ma sul finire
degli anni '50, le immagini in bianco e nero delle ragazzine afroamericane
che entravano a scuola a Little Rock, impassibili e dignitose sotto la
pioggia di insulti, sassi, bastoni dalla folla inferocita di bianchi che gli
facevano ala, mi lascio' un segno incancellabile. Non solo per se' gli
afroamericani hanno indicato una strada di liberazione, di impegno, di
passione, una politica in cui metterci anche l'anima.
In questa foto invece dei razzisti urlanti a fargli ala ci sono le
inquietanti baionette venute non si sa bene se per proteggerli o per
intimidirli, o per intimidirli proteggendoli (e la stessa su quel blindato
sembra Praga!). Ma ci voleva comunque coraggio a sfilare sotto quegli
sguardi non amici senza perdere la calma, non solo senza fuggire, ma anche
senza lasciarsi andare a reagire. Perche' oltre al coraggio ci voleva un
senso alto della propria dignita' e della propria umanita'.
Perche' una volta affermato "I a man", bisogna anche definirlo: che signfica
essere uomo, agire da uomini? Sul finire del '68, a New York, intervistai
Matt Jones, uno dei Freedom Singers originali, il gruppo di militanti del
movimento dei diritti civili che oltre ai loro corpi portavano nelle
manifestazioni, nei picchetti, nelle chiese, nelle carceri (ma anche nei
teatri e nei concerti) anche le loro voci. Matt Jones mi fece capire che la
loro resistenza nonviolenta era stata possibile proprio perche' era una
prova della loro intatta umanita'. Guardateli, nella foto, come stanno
eretti, come guardano avanti senza voltarsi. Sanno dove stanno andando.
A differenza di Martin Luther King e dei filoni piu' religiosi del
movimento, Matt Jones non attribuiva un particolare significato morale alla
nonviolenza: per lui, si era trattato semplicemente di una scelta
pragmatica, l'unica alternativa praticabile data la sproporzione di armi fra
la repressione e il movimento. Eppure, in un certo senso, ci voleva ancor
piu' autocontrollo, per lasciarsi trascinare di peso, picchiare e
maltrattare senza reagire, e senza nemmeno essere sostenuti da un senso di
superiorita' morale. La grande teorica femminista nera bell hooks ha scritto
una volta che nella cultura nera esiste un modello di uomo che non esercita
potere, che non pretende di sovrastare e che - come i personaggi di
Amatissima di Toni Morrison - esprime la sua "virilita'" nel piangere con le
donne e nella non aggressione. Ecco, questa forse e' la figura che sostiene
l'indistruttibile passivita' ricettiva del movimento dei diritti civili.
Ho detto uomo, e ho detto "virilita'": perche' dire "sono un uomo", "I am a
man", contiene un'ambivalenza, puo' essere tanto un'affermazione della
propria umanita' quanto una proclamazione della propria identita' di genere
(non mi pare di vedere donne, in questa fotografia - eppure, quante ce
n'erano, e quanto contavano, nel movimento! D'altronde, non ci sono donne
neanche dietro quelle baionette). E allora il discorso della resistenza
nonviolenta, della indistruttibile passivita' ricettiva, si capovolge e si
complica.
C'e' un racconto di Richard Wright, scritto intorno al 1940, che si chiama
L'uomo che era quasi un uomo. Il protagonista e' un ragazzo nero che rischia
di interiorizzare l'immagine subumana di se' (tre quinti di uomo?) che gli
proietta il mondo circostante. Crede di trovare il proprio riscatto nel
possesso di un'arma, e finisce tragicamente. Piu' o meno negli stessi giorni
in cui conobbi Matt Jones, incontrai anche Habib Tiwoni, un ragazzo
afroamericano del Sud degli Stati Uniti che si era dato un nuovo nome
africano per sottolineare la sua identificazione coi nuovi movimenti
rivoluzionari e nazionalisti neri. Habib mi fece conoscere la sua Harlem e
quando ci salutammo mi regalo' una sua fotografia, in posa, su uno sfondo
esotico, con il berretto nero dei ribelli in testa e un fucile in mano. La
posizione somiglia a una famosa foto di Malcolm X, col fucile in mano, di
guardia dietro le finestre della sua casa dopo che un attentato razzista per
poco non gli distruggeva la famiglia. Ma mentre l'immagine di Malcolm rinvia
all'autodifesa "con ogni mezzo necessario", quella di Habib Tiwoni
sottolinea il simbolismo dell'arma come completamento di un'umanita' che si
definisce nel recupero di un'Africa mitologica e di una maschilita' molto
tradizionale. Non credo che Habib (come Malcolm X) abbia mai sparato un
colpo; finche' ho avuto sue notizie, non gli era successo niente di tragico.
Ma non si conta il numero di militanti delle Pantere Nere, con tutta la loro
messa in scena militare, ammazzati dal piombo tutt'altro che simbolico della
repressione. In un long playing pubblicato dal Black Panther Party, c'e' una
canzone che dice "we'll just have to get guns, and be men" - dobbiamo
prendere le armi, ed essere uomini. E' con le armi che si diventa uomini. Il
paradosso e' che e' scritta e magistralmente cantata da una donna, Elaine
Brown - che fu anche presidente del Bpp negli anni '70, e nel 1992 scrisse
poi un libro assai critico sull'ideologia e i ruoli di genere nel partito
rivoluzionario nero.
Ricordavo all'inizio Primo Levi perche', come Frederick Douglass, ci aiuta a
capire che coloro la cui umanita' e' aggredita e messa in discussione sono
costretti per necessita' a sforzarsi di ridefinire che cos'e' un essere
umano - non fosse altro che spezzando i confini di una definizione di
umanita' che si era fondata sulla loro esclusione. E piu' specificamente, le
donne nere, da Fannie Lou Hamer a bell hooks a Toni Morrison si fanno carico
di proporre anche una definizione alternativa di che cosa vuol dire essere
"uomo" in termini di genere. In un caso e nell'altro, nel farlo per se',
inevitabilmente lo fanno per tutti: non credo di essere il solo, bianco e
maschio europeo, che deve a quelle bambine nere di Little Rock, Arkansas, la
scoperta che un altro modo di essere umani e' possibile. Ancora una volta,
come con Primo Levi ad Auschwitz, e' nella minoranza, nella parzialita', nel
margine che affondano le radici dell'universale.

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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 268 del 2 dicembre 2008

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