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Voci e volti della nonviolenza. 268
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 268
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 2 Dec 2008 08:47:06 +0100
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 268 del 2 dicembre 2008 In questo numero: 1. Mao Valpiana: Il cambiamento 2. Nadia Urbinati: Il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti 3. Antonello Catacchio intervista David Hilliard 4. Alessandro Portelli: I am a man 1. EDITORIALE. MAO VALPIANA: IL CAMBIAMENTO [Dal Movimento Nonviolento (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) riceviamo e diffondiamo l'editoriale dal titolo "Il cambiamento alla Casa Bianca e il cambiamento di ognuno di noi" che apre il fascicolo di "Azione nonviolenta" di dicembre 2008] Il 4 novembre del 2008 e' una data simbolo. In Italia la politica guardava all'indietro: i nostri governanti erano impegnati nelle celebrazioni della "vittoria" di una guerra di novant'anni fa. Esaltavano l'unita' d'Italia del 1918, onoravano gli "eroi" combattenti contro l'impero austro-ungarico, festeggiavano le Forze Armate mistificando la storia. Quello stesso giorno l'America guardava avanti, al futuro, voltava pagina, eleggeva un Presidente nero che ai 240.000 sostenitori che affollavano il Grant Park di Chicago per festeggiarlo, si e' presentato dicendo "Il cambiamento e' arrivato". Due istantanee che ben rappresentano la realta' di due paesi mai cosi' diversi e lontani. Barack Hussein Obama e' il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d'America, figlio di una bianca (del Kansas) e di un nero (del Kenia), cresciuto lontano dai centri di poteri. Di se stesso ha detto: "Ho rinunciato al prestigio di grandi studi legali per fare l'organizzatore di una comunita' di chiese, per ottenere giustizia in nome dei piu' deboli; ho lasciato Wall Street per dedicarmi alla formazione di chi non aveva un lavoro e per aiutare i ragazzi di strada di Chicago. Mi sono candidato non per soddisfare un'ambizione personale, ma per quella che Martin Luther King chiamava 'la feroce urgenza dell'adesso'". Al di la' di quello che potra' e sapra' fare realmente nei prossimi quattro anni, cio' che ora ci interessa di Barack Obama e' come sia riuscito a mettere in campo tante speranze e mobilitare tante energie positive. Nella sua campagna elettorale Obama ha attivato milioni di persone che non si erano mai interessate alla politica. Otto milioni di volontari, organizzati in 35.000 gruppi locali, 30.000 eventi, raduni negli stadi con 20.000 persone, che donavano ciascuno pochi dollari. Giovani e giovanissimi si sono fatti parte attiva: "Bush ci ha rubato l'america, questa campagna elettorale e' l'occasione per riprendercela". L'elemento piu' interessante e' stato certamente l'utilizzo di internet: il sito ufficiale della campagna di Obama invitava i visitatori a diventare qualcosa di piu' che osservatori esterni, finanziatori, elettori, o semplici tifosi: proponeva di partecipare ad un evento nella propria citta'; organizzare in casa propria una piccola raccolta di fondi; aprire un blog in cui condividere pensieri e riflessioni; raggiungere via mail i comitati volontari sparsi in tutta America; offriva strumenti pratici per agevolare l'attivita' dei volontari, la possibilita' di telefonare agli indecisi e di mettersi in contatto con altri volontari. Internet e' stata utilizzata non per sostituirsi ai rapporti umani, ma per favorirli, rafforzali, facilitarli, annullando le immense distanze americane. Ora che Obama e' stato eletto non e' pensabile che questo gigantesco movimento si sciolga. E' piu' probabile che si costituiscano tanti gruppi indipendenti sempre pronti a ricordare al presidente le promesse fatte. In questi mesi i milioni di sostenitori hanno discusso molto fra di loro, di sanita', di scuola, di energie alternative, di occupazione, di pace, di diritti umani e civili. "Il nostro obiettivo - e' scritto su un loro blog - non e' mai stato solo quello di far eleggere Obama, ma soprattutto di creare una nuova generazione di americani che riscoprano il valore dell'impegno civile". Sono molte le aspettative e le sfide che attendono la nuova amministrazione americana. Per quanto riguarda la politica estera ci auguriamo che una svolta avvenga davvero nel rispetto reale dei diritti umani, che il ritiro dall'Iraq sia veloce e indolore e che sia posta fine anche alla sanguinosa guerra in Afghanistan. Ma il banco di prova del profondo cambiamento di cui il mondo intero ha bisogno, e' quello dell'economia. Il nuovo presidente degli Stati Uniti dovra' incoraggiare i suoi consiglieri ad immaginare una rivoluzione teorica dell'economia. E' urgente un cambiamento radicale dell'economia, altrimenti nel 2050 le risorse fondamentali, a partire dall'acqua, scarseggeranno per tutti. L'obiettivo non dovra' piu' essere la crescita infinita, ma la salvaguardia dell'ambiente e la giustizia sociale. Bisogna salvare il mondo dalle tragiche conseguenze dello sfruttamento che ha distrutto piu' ricchezze di quante ne ha create. La sera dell'elezione di Barack Obama abbiamo visto ragazzi e ragazze bianchi e neri, commossi e felici. In mezzo a loro c'era anche il reverendo Jesse Jackson, leader afroamericano collaboratore di Martin Luther King. Era presente a Memphis quando King fu assassinato e pianse di disperazione. C'era anche a Chicago la sera dell'elezione di Obama e l'abbiamo visto piangere di gioia. Quelle lacrime siano l'auspicio di un buon 2009, per tutti. 2. RIFLESSIONE. NADIA URBINATI: IL QUARANTAQUATTRESIMO PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI [Da "Lo straniero", numero 102/103, dicembre 2008 - gennaio 2009 (www.lostraniero.net)] La vittoria di Barack Hussein Obama e' stata una sorpresa per coloro che non hanno seguito con attenzione e mente libera le trasformazioni della societa' americana. Per coloro, soprattutto, che non sanno leggere la democrazia se non come un sistema di regole e procedure di decisione politica, che non sanno cioe' vedere che un lungo e abituale uso di queste procedure e regole comporta anche una trasformazione dei comportamenti pubblici di tutti i cittadini. La democrazia e' un ordine politico che si regge sull'apprendimento, nel quale cioe' e' possibile avere una accumulazione di esperienza che si deposita nella psicologia collettiva e che agisce sulla volonta' e il giudizio politico e morale dei singoli cittadini come abito mentale o seconda natura. Su questa possibilita' di apprendimento individuale e collettivo riposa la possibilita' che la democrazia duri nel tempo. Come straordinario esempio di apprendimento individuale e collettivo, la democrazia e' opposta al populismo, il quale comporta il seppellimento del giudizio individuale in quello collettivo. Il fondamento individuale della democrazia e' pertanto alla base dell'originalita' di questo sistema che e' collettivo senza essere l'espressione di una massa indistinta e anonima. Questa visione della democrazia e' essenziale per comprendere la vittoria di Obama. * Obama e' il primo presidente di colore in un paese che e' stato segnato indelebilmente dalla Guerra Civile, voluta dagli Stati del sud (i Confederati) con l'intenzione espressa di proteggere il loro sistema economico e sociale fondato sulla schiavitu'. Due mondi si sono scontrati nella Guerra Civile del 1861-'65: quello gerarchico e nostalgico dell'aristocrazia del vecchio continente, e quello industriale, capitalista ed egualitario, certamente nei costumi e nelle leggi. La lotta e' stata tra una democrazia aristocratica dove eguali potevano essere solo gli eguali e una democrazia individualistica dove eguali sarebbero stati tutti coloro che accettavano il patto costituzionale. Non e' stata per nulla una lotta semplice, ne' soprattutto una lotta che si e' conclusa con la vittoria definitiva di Abraham Lincoln e dell'Unione. Perche' il XIV emendamento (inteso ad assicurare i diritti civili a quelli che erano stati schiavi fino ad allora) e il XV emendamento (che proibisce a tutti gli stati dell'Unione di conculcare il diritto di voto per ragioni di razza) non hanno trovato attuazione piena e coerente fino al famoso Voting Act del 1965. Il Voting Act, poi esteso e perfezionato nel 1970, 1975 e 1982, e' considerato a ragione come il vero successo della stagione delle lotte per i diritti civili perche' codifica e quindi attua il XV emendamento imponendo a tutti gli Stati alcuni specifici obblighi per rendere il diritto di voto effettivo. * Le regole elettorali, che dipendono dalle decisioni dei singoli Stati, hanno per un secolo ostacolato l'applicazione di quei due emendamenti conquistati con la Guerra Civile. La lotta dei neri contro la segregazione razziale negli Stati del sud ha segnato l'inizio della liberazione dei neri da un dominio gerarchico dei bianchi che nemmeno una guerra civile era riuscita a cancellare. La marcia della eguaglianza democratica e' stata dunque (ed e') lunga, accidentata e mai conclusa. Obama e' il segno di questa complessita'. Egli rappresenta davvero al meglio la storia difficile della democrazia americana: perche' fino all'ultimo gli osservatori politici pensavano che il razzismo non sarebbe stato facilmente sconfitto e che probabilmente nemmeno i sondaggi erano veritieri. L'ombra del razzismo si e' quindi allungata su queste elezioni - il segno del passato era dietro quei timori. Ma il razzismo non ha avuto la maggioranza ed e' stato scalzato da passioni o interessi piu' pressanti. Primo fra tutti l'orgoglio dell'eccezionalita' americana: Obama e' stato il piu' americano tra i due candidati, perche' il segno tangibile che l'America e' davvero capace di alimentare il sogno che milioni coltivano nel mondo di poter essere riscattati dalla miseria e dalla discriminazione, di essere semplicemente se stessi e liberi. Questo e' stato il messaggio di Obama: non un messaggio da "politica della differenza" ma un messaggio nazionale di eguaglianza delle opportunita'. Egli e' quindi il piu' esemplare segno dell'eccezionalita' americana. Inoltre, e' un segno della grandezza della democrazia, perche' ha dimostrato che con le regole democratiche si puo' conquistare un traguardo che in altri regimi richiederebbe senz'altro una rivoluzione. La democrazia riesce a correggere se stessa sovvertendo pacificamente l'ordine esistente. La sua natura e' davvero rivoluzionaria quindi, proprio perche' senza necessita' di una rivoluzione. E poi la tolleranza: uno dei piu' bei comizi di Obama - un testo che insegno nel mio corso sulla democrazia - ha fatto dell'accettazione e del rispetto dell'altro il tema cruciale dell'eguaglianza democratica. Tolleranza e' anzi una parola non giusta perche' il diverso non deve essere tollerato affinche' sia trattato come un eguale, ma invece riconosciuto e rispettato come un se' unico. Infine, la grande e in America consueta condivisione del patto costituzionale. Contrariamente a quanto succede nel nostro paese, dove la costituzione non e' stata sottoscritta da una parte del corpo politico (certamente dai padri di un partito che e' oggi al governo), negli Stati Uniti la Dichiarazione di Indipendenza, la Costituzione, il Bill of Rights sono un patrimonio di tutti, e di tutte le generazioni che si sono succedute dal 1787 e che si aggiungono giorno per giorno, con la naturalizzazione di sempre nuovi cittadini. Nessuno pensa che siccome e' cosi' vecchia, la legge fondamentale sia destituita di valore o abbia necessita' di revisione e addirittura di manomissione. La lunga durata della legge fondamentale e' prova della sua giovinezza, non della sua vecchiaia, perche' sono i cittadini che vivono "qui e ora" che la convalidano e la legittimano rispettandola. E a quella legge fondamentale tutti indistintamente, conservatori e democratici, si appellano come a un patrimonio comune, il Dna del paese. * Eppure una costituzione significa e anzi naturalmente implica che ci sono diverse interpretazioni, poiche' le regole si fanno proprio perche' si presumono disaccordi e dissensi. E dietro queste diverse interpretazioni si cela l'aspirazione politica o (insisto a usare questa parola) ideologica: pro o contro l'eguaglianza, pro o contro il privilegio. Obama ha ottenuto una larga maggioranza, non pero' l'unanimita'. E' il presidente di tutti gli americani, ma non tutti condividono il suo messaggio di eguaglianza. L'eguaglianza delle opportunita' che a ogni comizio ha messo alla base della sua straordinaria e ragionata retorica e' il segno che e' proprio su questa frontiera che oggi si combatte la battaglia politica della cittadinanza democratica. Forse per la consapevolezza che le risorse sono davvero scarse, forse perche' godere dei privilegi piace comunque, il fatto e' che l'ottimismo con il quale la democrazia si e' consolidata negli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra ha lasciato il posto a un saggio pessimismo sulle grandi difficolta' che essa ha di mantener fede alle proprie promesse. * Obama rappresenta al meglio il pessimismo della ragione perche' egli sa molto bene, e lo ha detto anche nel discorso di Chicago la sera della vittoria, che ci vorranno anni (forse piu' di un mandato, come gia' a volersi ricandidare) per poter cercare di raddrizzare una condizione di disagio e disuguaglianza che e' diventata preoccupante perche' si sta allargando a macchia d'olio. La forza della volonta' gli viene dalla storia sua e del suo paese. Perche' e' vero che l'America e' nata con questo ragionato obiettivo fin da quando i primi europei cenciosi si stabilirono sulle coste del New England: l'obiettivo di non essere asserviti, di vivere con umana dignita' e non subire dominio e oltraggio da nessuno. Obama e' il segno di questa etica, di questa idea di eguaglianza e rispetto dell'individuo che ha vinto proprio in quella parte della societa' americana che piu' ha subito violenza, ingiustizia e oltraggio. La schiavitu' e' l'opposto estremo dell'eguaglianza democratica. Non si puo' non sottolineare il fatto che Obama ha conquistato la Virginia, dove ha preso il via la Guerra Civile e dove si e' annidata la contraddizione piu' stridente nella quale si e' dibattuta la societa' americana: perche' la Virginia e' lo stato di Thomas Jefferson, il padre spirituale dell'eguaglianza e della ragione illuministica e pero' anche il proprietario di schiavi che sinceramente non pensava ai neri come eguali. La democrazia americana si e' sviluppata negli interstizi di questa contraddizione, e ora Obama ha, primo democratico, conquistato la Virginia, lui che viene dall'Illinois, lo stato di Abraham Lincoln. La liberazione degli schiavi ha celebrato il sogno americano con la vittoria di Obama. Un secolo e mezzo di lotte cruente e durissima sofferenza che ha forgiato l'ethos della cultura "liberal" - quella dei diritti e delle eguali opportunita'. I suoi nemici sono facilmente individuabili e sono tutt'altro che in ritirata, qui negli Stati Uniti (dove la vittoria di Obama e' l'inizio, non la fine di un percorso difficile) e nei nostri paesi cosi' poco rispettosi dell'eguaglianza democratica, cosi' manipolati da venditori di fumo che devono alle facili e per nulla pari opportunita' molta della loro fortuna e della nostra sfortuna. 3. TESTIMONIANZE. ANTONELLO CATACCHIO INTERVISTA DAVID HILLIARD [Dal quotidiano "Il manifesto" del 10 aprile 2008, col titolo "Black Panther. Non dimenticate la nostra eredita'", e il sommario "Incontro con David Hilliard, fondatore del Black Panther Party. Non dobbiamo essere abbacinati da Obama in quanto individuo, perche' e' un politico e rappresenta il partito democratico, e' il movimento che si sta costruendo intorno a lui che deve entusiasmarci"] - Antonello Catacchio: Hilliard, qual e' l'eredita' del Black Panther Party oggi per gli afroamericani e in generale? - David Hilliard: L'eredita' e' ben rappresentata dal programma in dieci punti del Bpp che e' stato lasciato alle spalle. E' stata la fondazione del nostro movimento, la nostra costituzione e riguarda lo sviluppo economico e la piattaforma politica e consiste nella piena occupazione, nella possibilita' di avere una casa e un'educazione, questa e' una battaglia continua e non riguarda solo gli afroamericani, ma tutti i lavoratori, potrebbe valere anche in Italia perche' tutti hanno bisogno di queste cose, compresa l'assistenza sanitaria. Per questo penso che l'eredita' del Bpp sia importante oggi quanto lo era quaranta anni fa, perche' investe l'uguaglianza economica. * - Antonello Catacchio: Cosa sanno oggi i giovani americani dei Black Panthers? - David Hilliard: Per alcuni e' una marca di biscotti, altri credono si tratti di rockstar - sara' per l'affinita' dei nomi -, altri ancora pensano che la X di Malcolm X sia solo il numero 10. Molti non sanno proprio cosa sia stato il movimento per i diritti civili e cosa successe con il Black Panther Party. La maggior parte dei riferimenti riguarda solo le immagini di persone armate, molti giovani non hanno la minima idea del lavoro che veniva fatto allora nelle comunita'. Perche' i media offrono solo l'iconografia suggestiva della militanza ma non le idee. Che e' un modo per screditare il nostro movimento. Credo pero' che i giovani debbano informarsi, studiare, documentarsi, perche' ci sono molte cose interessanti che non conoscono a proposito del nostro movimento. Si e' parlato di Mumia, e questo va benissimo, ma purtroppo ci sono persone che sono in carcere da piu' tempo ancora, di loro non si sa niente. Ci sono ancora quaranta membri del Bpp in prigione: Eddie Conway e' in carcere a Baltimora da piu' di 37 anni e come lui molti altri, del resto quando combatti il sistema sai che puoi finire in prigione. Dobbiamo continuare a lottare per portarli fuori dalle galere. In fondo e' stato questo che ha portato alla piccola vittoria a proposito di Mumia che ora non puo' piu' finire nella camera a gas. Ma e' una vittoria incompleta, bisogna continuare la battaglia e farlo uscire di prigione, solo un movimento puo' riuscirci. * - Antonello Catacchio: Le notizie che riguardano Huey P. Newton sono molto contraddittorie, lei invece ha creato una fondazione in suo nome insieme alla sua vedova. - David Hilliard: Newton era un uomo molto complesso, era il nostro leader. Anche Martin Luther King era un leader, e molta gente nel mondo identifica il movimento degli afroamericani esclusivamente con lui, perche' si e' enfatizzato l'aspetto nonviolento che alla fine e' diventato unico. Questo pero' non corrisponde al vero. Newton era leader di un movimento molto potente, eravamo presenti in 47 stati e in un'infinita' di contee che ci sostenevano. Quindi era un uomo decisamente importante. Certo ci sono state critiche nei suoi confronti perche' e' morto mentre era devastato dalla droga, ma questo e' avvenuto nel 1989, il Black Panther Party e' nato nel 1966, negli anni Ottanta Newton non faceva piu' parte del nostro movimento, anche perche' era stato distrutto dall'Fbi e dalle polizie dei vari stati. Quindi quando viene criticato perche' era tossico si fa una forzatura, si offre un punto di vista scorretto. E' stata la pressione ossessiva del governo che lo ha spinto a usare droghe, un altro uomo, di fronte al tipo di pressione che ha dovuto fronteggiare Newton, si sarebbe fatto saltare il cervello nel 1967. Penso che le persone debbano essere perdonate, e' quel che faccio per quel che gli e' successo nel 1989, ma a me importa quel che ha costruito nel 1966 e negli anni a seguire quando mise la sua stessa vita al servizio di persone che non aveva mai neanche visto. E' morto in modo disgraziato, non fingiamo che sia andata diversamente, ma e' stato anche un rivoluzionario. E' stato partorito da una donna, non era un monumento di pietra, ha avuto i suoi problemi e forse era contrario al concetto di rivoluzionario di lunga vita. Alcuni sono stati fortunati ad arrivare a 30 anni. Forse Huey ha vissuto troppo a lungo, ma dietro di se' ha seminato qualcosa di importante. Per questo vorrei che la gente guardasse attentamente a quel che ci ha lasciato, se esistono dei valori ancora attuali per un nuovo movimento. Io credo di si'. Perche' il lavoro, il razzismo, il sessismo e tutte le forme di sciovinismo sono questioni comprese nell'agenda del movimento che Newton aveva fondato. * - Antonello Catacchio: Oggi c'e' qualche aspettativa nei confronti di Obama o di Hillary Clinton? - David Hilliard: Credo che Obama sia certamente qualcuno di diverso perche' e' un afroamericano e credo che capisca personalmente l'oppressione e la disuguaglianza politica meglio di Hillary. Lei rappresenta piuttosto lo status quo, un voto per lei non e' necessariamente un voto per cambiare. Un voto di cambiamento deve essere quantitativo e qualitativo, Obama sarebbe un messaggio mandato dagli Usa, perche' lui fa parte di una minoranza, e' membro di una razza oppressa, e le sue idee sono in contrasto diretto, in qualche modo, con quelle di Hillary. Intanto si e' sempre opposto alla guerra in Iraq, poi ha mobilitato un movimento di massa negli Stati Uniti, qualcosa di molto simile a quel che accadeva negli anni '60 e '70, quando avevamo movimenti di studenti e pacifisti e la gente nel mondo si impegnava a sostenerli. Dovremmo essere soprattutto stimolati da questa nuova onda, che dimostra come ci sia gente piena di speranza che ha ancora voglia di lottare. E' un movimento composto da lavoratori, bianchi, asiatici, ispanici e che tende a ridurre il gap tra le classi e le razze. Credo che Obama possa essere un buon rappresentante per l'America e spero migliori la nostra politica nei confronti del mondo. Hillary invece rappresenta le solite vecchie cose. * - Antonello Catacchio: Ma se Obama dovesse vincere potrebbe davvero cambiare qualcosa? - David Hilliard: Non dobbiamo farci troppe illusioni nei confronti di un singolo individuo. Puo' una persona sola cambiare tutto? Ma e' questo movimento dal basso che trovo necessario, mi da' la speranza che qualche cambiamento possa avvenire, Obama deve tenerne conto. Non dobbiamo essere abbacinati da Obama in quanto individuo, perche' lui e' un politico che rappresenta il Partito democratico, e non c'e' alcunche' di progressista nel Partito democratico; il movimento che si sta costruendo intorno a Obama, e' quello che deve entusiasmarci. Per questo io sono eccitato, perche' questa gente lo puo' davvero spingere, gli puo' ricordare le promesse fatte e gli puo' dire che se non le mantiene il movimento scendera' per le strade e togliera' il sostegno al suo governo. Per questo voglio far parte di questo movimento. E' la prima volta che mi sento cosi' dagli anni '60, non a causa di Obama come individuo, ma per quello che si e' creato intorno a lui. Credo possano essere intrapresi passi positivi per superare tutti quei paletti che oggi tendono a separarci dal resto del mondo. * - Antonello Catacchio: Tra le altre cose hai citato l'Iraq. Credi si possa cambiare qualcosa a proposito di questa guerra nata dalle menzogne? - David Hilliard: Dobbiamo essere del tutto onesti in proposito, quando Bush ha fatto quel che ha fatto ha messo insieme una coalizione: Italia, Gran Bretagna e altri paesi lo hanno seguito. Quindi non si tratta solo degli Stati Uniti. Con Obama effettivamente abbiamo la possibilita' di correggere questo errore, perche' lui vuole porre fine alla guerra. Dobbiamo ricevere il perdono degli iracheni. Ora possiamo cominciare a comprendere i problemi determinati dall'oppressione voluta da Bush e che ha coinvolto molti altri nel suo progetto. * - Antonello Catacchio: Qualcuno vede elementi di analogia tra la guerra del Vietnam e quella in Iraq, ma in realta' sembra non ci sia lo stesso movimento che si oppone. - David Hilliard: Per questo sono eccitato all'idea di Obama, perche' intorno a lui si sta creando un movimento di massa, in tutti gli Stati Uniti, che vuole porre fine alla guerra. Dobbiamo essere contenti e consapevoli che c'e' qualcosa di positivo in queste elezioni. Non siamo stupidi. Non crediamo che il Partito democratico cambiera' il mondo, questo non e' vero, sono soltanto l'altra faccia dei repubblicani, ma il movimento, questa gente che sostiene Obama perche' vuole cambiare, perche' vuole cambiare in Iraq, vuole un'economia che crei posti di lavoro, che si occupi di ambiente, di inquinamento, vuole che ci si dimentichi del debito delle nazioni povere. Obama rappresenta in qualche modo tutte queste voci. I problemi del mondo sono correlati e spesso sono gli stessi per tutti i paesi. La tecnologia ha reso il mondo piu' piccolo. Le forze della reazione hanno sempre bisogno di sfruttare. Che si tratti di droga, petrolio, non importa, l'obiettivo e' controllare le comunita' sparse nel mondo per mantenere il proprio impero. L'America e' un impero, ma ci sono altre potenze che seguono la stessa agenda, per questo bisogna organizzarsi a livello mondiale per contrastarle. * - Antonello Catacchio: Un'ultima curiosita', cosa e' la salsa Burn Baby Burn che ho visto pubblicizzata con lo slogan Pepper to the People? - David Hilliard: Mi piace questo slogan. Si tratta di una salsa piccante che abbiamo chiamato cosi', e' naturale e vegetale, senza additivi chimici, l'abbiamo fatta per sostenere alcuni dei programmi della comunita' di cui ci stiamo occupando. Non abbiamo finanziamenti dal governo per la fondazione Huey P. Newton, quindi dobbiamo darci da fare per aiutare noi stessi. La salsa e' venduta in molti negozi, del resto molte delle persone impegnate negli anni '60 ora si occupano di the, caffe', anche i nativi americani hanno realizzato loro prodotti. Abbiamo sempre utilizzato la nostra immagine per finanziare il movimento. Quindi non bisogna stupirsi per una salsa piccante. E' un modo come un altro per finanziare le nostre idee, come le magliette e altre cose del genere. * Postilla. L'autorita' intellettuale del Bpp David Hilliard, membro fondatore ed ex Capo di Stato Maggiore del Black Panther Party, e' un'incomparabile autorita' intellettuale sulla storia del Black Panther Party. E' autore di numerosissimi libri sul Bpp e sulle dinamiche sociali della comunita' afroamericana dagli anni '60 ad oggi, ultimo tra tutti, appena uscito ed in presentazione esclusiva durante il suo tour italiano, quello sui programmi di autogestione sociale organizzati negli anni '60 e '70 all'interno dei ghetti urbani dal Bpp. Dalla fine degli anni '60 le Pantere Nere sono state, a livello nazionale, l'unica organizzazione che offriva gratuitamente cibo, medicine e servizi legali all'interno delle periferie; solo per citare alcune delle loro attivita'. Proprio per il loro radicamento sociale tra gli ultimi, la loro dinamica di contropotere e la loro reale attrattivita', le Pantere Nere sono state classificate dal direttore dell'Fbi J. Edgar Hoover "la piu' grande minaccia per la sicurezza interna degli Usa". Dal 1993 David Hilliard dirige le attivita' della "Dr. Huey P. Newton Foundation", un'organizzazione no-profit impegnata a preservare e promuovere l'eredita' intellettuale, sociale e storica dell'esperienza del Bpp. Il lavoro svolto dalla fondazione ha anche attirato l'attenzione del "New York Times", il "Chicago Tribune" e il "Los Angeles Times", come pure della National Public Radio e della Pacific Radio Network. David Hilliard insegna al Merritt College, al Laney College ed al New College, partecipando, inoltre, a conferenze in tutti gli Stati Uniti ed in Europa. E' stato inoltre un consulente per il lungometraggio "Panther" di Mario Van Peebles e per la produzione teatrale adattata per il grande schermo di Spike Lee, "A Huey P. Newton Story"... 4. RIFLESSIONE. ALESSANDRO PORTELLI: I AM A MAN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 24 maggio 2008 col titolo "Tre quinti di essere umano" e il sommario "Dal 1956 a Obama, la lunga lotta degli afroamericani per riscrivere la parola 'umano' spezzando i confini della loro esclusione. E dimostrando che e' nella parzialita' che stanno le radici dell'universale"] Se questo e' un uomo... Frederick Douglass, uno dei grandi americani dell'800, nato schiavo, diceva: "della mia eta' ne so quanto ne sanno i cavalli della loro...". Nato al livello degli animali, era catalogato come uno di essi: "Fummo messi tutti in fila insieme per l'inventario. Uomini e donne, vecchi e giovani, sposati e celibi, in fila insieme coi cavalli, le pecore e i maiali. C'erano cavalli e uomini, buoi e donne, porci e bambini, tutti messi sullo stesso piano nella scala dell'essere, e tutti sottoposti la stessa accurata ispezione...". Nella Costituzione americana, gli afroamericani non sono mai nominati esplicitamente, ma la loro presenza aleggia ad ogni riga: dopo tutto, il genio del compromesso dei cosiddetti Padri fondatori consisteva in gran parte proprio nel mediare fra liberta' e schiavitu', tenendo in piedi la "peculiare istituzione" senza nominarla mai. Cosi', il calcolo della popolazione dei singoli stati ai fini della rappresentanza nel Congresso prevedeva che al numero dei cittadini liberi si aggiungessero "tre quinti di tutte le altre persone". Come dire che nell'atto di nascita degli Stati Uniti gli afroamericani equivalgono a tre quinti di essere umano. E appena prima della Guerra civile, Frederick Douglass doveva ancora dibattere contro gli "antropologi" che sostenevano che gli afroamericani non erano pienamente umani, ma solo una via di mezzo fra l'umano e la scimmia. I cartelli che i picchetti alzano in questa foto, percio', fanno parte di una lunga protesta afroamericana per ottenere che la propria umanita' sia riconosciuta e rispettata. L'immagine viene da Memphis ed e' del '68, pochi giorni prima dell'assassinio di Martin Luther King. Ma potrebbe anche essere precedente, del '58 o del '63. Perche' se e' vero che il '68 studentesco americano comincia almeno nel '64 a Berkeley, e' anche vero che la grande stagione delle lotte sociali emerge con gli afroamericani a Birmingham, Alabama, nel 1956. E magari sta continuando, a modo suo, anche con Barak Obama: il suo tentativo di definirsi come "postrazziale" puo' essere ingenuo e in parte ambiguo, ma rinvia anche alla celebre risposta di Alfred Einstein: "Razza? Umana". Io ero cresciuto senza mai avere un'idea politica in testa. Ma sul finire degli anni '50, le immagini in bianco e nero delle ragazzine afroamericane che entravano a scuola a Little Rock, impassibili e dignitose sotto la pioggia di insulti, sassi, bastoni dalla folla inferocita di bianchi che gli facevano ala, mi lascio' un segno incancellabile. Non solo per se' gli afroamericani hanno indicato una strada di liberazione, di impegno, di passione, una politica in cui metterci anche l'anima. In questa foto invece dei razzisti urlanti a fargli ala ci sono le inquietanti baionette venute non si sa bene se per proteggerli o per intimidirli, o per intimidirli proteggendoli (e la stessa su quel blindato sembra Praga!). Ma ci voleva comunque coraggio a sfilare sotto quegli sguardi non amici senza perdere la calma, non solo senza fuggire, ma anche senza lasciarsi andare a reagire. Perche' oltre al coraggio ci voleva un senso alto della propria dignita' e della propria umanita'. Perche' una volta affermato "I a man", bisogna anche definirlo: che signfica essere uomo, agire da uomini? Sul finire del '68, a New York, intervistai Matt Jones, uno dei Freedom Singers originali, il gruppo di militanti del movimento dei diritti civili che oltre ai loro corpi portavano nelle manifestazioni, nei picchetti, nelle chiese, nelle carceri (ma anche nei teatri e nei concerti) anche le loro voci. Matt Jones mi fece capire che la loro resistenza nonviolenta era stata possibile proprio perche' era una prova della loro intatta umanita'. Guardateli, nella foto, come stanno eretti, come guardano avanti senza voltarsi. Sanno dove stanno andando. A differenza di Martin Luther King e dei filoni piu' religiosi del movimento, Matt Jones non attribuiva un particolare significato morale alla nonviolenza: per lui, si era trattato semplicemente di una scelta pragmatica, l'unica alternativa praticabile data la sproporzione di armi fra la repressione e il movimento. Eppure, in un certo senso, ci voleva ancor piu' autocontrollo, per lasciarsi trascinare di peso, picchiare e maltrattare senza reagire, e senza nemmeno essere sostenuti da un senso di superiorita' morale. La grande teorica femminista nera bell hooks ha scritto una volta che nella cultura nera esiste un modello di uomo che non esercita potere, che non pretende di sovrastare e che - come i personaggi di Amatissima di Toni Morrison - esprime la sua "virilita'" nel piangere con le donne e nella non aggressione. Ecco, questa forse e' la figura che sostiene l'indistruttibile passivita' ricettiva del movimento dei diritti civili. Ho detto uomo, e ho detto "virilita'": perche' dire "sono un uomo", "I am a man", contiene un'ambivalenza, puo' essere tanto un'affermazione della propria umanita' quanto una proclamazione della propria identita' di genere (non mi pare di vedere donne, in questa fotografia - eppure, quante ce n'erano, e quanto contavano, nel movimento! D'altronde, non ci sono donne neanche dietro quelle baionette). E allora il discorso della resistenza nonviolenta, della indistruttibile passivita' ricettiva, si capovolge e si complica. C'e' un racconto di Richard Wright, scritto intorno al 1940, che si chiama L'uomo che era quasi un uomo. Il protagonista e' un ragazzo nero che rischia di interiorizzare l'immagine subumana di se' (tre quinti di uomo?) che gli proietta il mondo circostante. Crede di trovare il proprio riscatto nel possesso di un'arma, e finisce tragicamente. Piu' o meno negli stessi giorni in cui conobbi Matt Jones, incontrai anche Habib Tiwoni, un ragazzo afroamericano del Sud degli Stati Uniti che si era dato un nuovo nome africano per sottolineare la sua identificazione coi nuovi movimenti rivoluzionari e nazionalisti neri. Habib mi fece conoscere la sua Harlem e quando ci salutammo mi regalo' una sua fotografia, in posa, su uno sfondo esotico, con il berretto nero dei ribelli in testa e un fucile in mano. La posizione somiglia a una famosa foto di Malcolm X, col fucile in mano, di guardia dietro le finestre della sua casa dopo che un attentato razzista per poco non gli distruggeva la famiglia. Ma mentre l'immagine di Malcolm rinvia all'autodifesa "con ogni mezzo necessario", quella di Habib Tiwoni sottolinea il simbolismo dell'arma come completamento di un'umanita' che si definisce nel recupero di un'Africa mitologica e di una maschilita' molto tradizionale. Non credo che Habib (come Malcolm X) abbia mai sparato un colpo; finche' ho avuto sue notizie, non gli era successo niente di tragico. Ma non si conta il numero di militanti delle Pantere Nere, con tutta la loro messa in scena militare, ammazzati dal piombo tutt'altro che simbolico della repressione. In un long playing pubblicato dal Black Panther Party, c'e' una canzone che dice "we'll just have to get guns, and be men" - dobbiamo prendere le armi, ed essere uomini. E' con le armi che si diventa uomini. Il paradosso e' che e' scritta e magistralmente cantata da una donna, Elaine Brown - che fu anche presidente del Bpp negli anni '70, e nel 1992 scrisse poi un libro assai critico sull'ideologia e i ruoli di genere nel partito rivoluzionario nero. Ricordavo all'inizio Primo Levi perche', come Frederick Douglass, ci aiuta a capire che coloro la cui umanita' e' aggredita e messa in discussione sono costretti per necessita' a sforzarsi di ridefinire che cos'e' un essere umano - non fosse altro che spezzando i confini di una definizione di umanita' che si era fondata sulla loro esclusione. E piu' specificamente, le donne nere, da Fannie Lou Hamer a bell hooks a Toni Morrison si fanno carico di proporre anche una definizione alternativa di che cosa vuol dire essere "uomo" in termini di genere. In un caso e nell'altro, nel farlo per se', inevitabilmente lo fanno per tutti: non credo di essere il solo, bianco e maschio europeo, che deve a quelle bambine nere di Little Rock, Arkansas, la scoperta che un altro modo di essere umani e' possibile. Ancora una volta, come con Primo Levi ad Auschwitz, e' nella minoranza, nella parzialita', nel margine che affondano le radici dell'universale. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 268 del 2 dicembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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