Minime. 655



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 655 del 30 novembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. La guerra e il terrore
2. Giambattista Misantri: Domande sulla scuola
3. Enrico Comba: Claude Levi-Strauss
4. Marino Niola: Claude Levi-Strauss
5. Francesco Remotti: Claude Levi-Strauss
6. Bernardo Valli: Claude Levi-Strauss
7. Riletture: Ruth Benedict, Modelli di cultura
8. Riletture: Ida Magli, Introduzione all'antropologia culturale
9. Riletture: Lucy Mair, Introduzione all'atropologia sociale
10. Riletture: Margaret Mead, Sesso e temperamento in tre societa' primitive
11. Riedizioni: Galileo Galilei, Opere
12. Riedizioni: Friedrich Nietzsche, Cosi' parlo' Zarathustra. Umano, troppo
umano
13. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009"
14. L'Agenda dell'antimafia 2009
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. LA GUERRA E IL TERRORE

Cio' che e' accaduto in India e cio' che accade in Afghanistan hanno due
evidenti legami.
Il primo: il terrorismo e' sempre assassino. Sia quando e' opera di singoli
o di gruppi, sia quando e' opera di eserciti e di stati.
Il secondo: l'umanita' e' una, e il suo mondo e' interconnesso.
Ne consegue che ovunque si agisce per il disarmo, li' si aiuta l'umanita'
intera. Ovunque si agisce per la giustizia, li' si aiuta l'umanita' intera.
Ovunque si sceglie la nonviolenza, li' si aiuta l'umanita' intera.
Opporsi occorre a tutte le guerre, opporsi occorre a tutte le uccisioni,
opporsi occorre a tutti gli armamenti.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'.

2. RIFLESSIONE. GIAMBATTISTA MISANTRI: DOMANDE SULLA SCUOLA

Quanti genitori costruiscono giocattoli per i loro figli?
Quanti genitori non delegano alla televisione di educarli?
Quanti genitori ne hanno la fiducia?
*
Deve essere la scuola un parcheggio?
Deve essere la scuola una caserma?
Deve essere la scuola un'osteria?
*
Non si potrebbe insegnare la vita sobria, il saper aver cura di se',
coltivare nell'orto cio' che mangi?
Non si potrebbe insegnare a non delegare ai tecnici la tua vita?
Non si potrebbe insegnare che le istituzioni non garantiscono l'autonomia
della persona?
*
Non dovrebbe servire la scuola a contrastare le ingiustizie?
Non dovrebbe servire la scuola a contrastare le menzogne?
Non dovrebbe servire la scuola a contrastare quella pigrizia che lascia
ignoranti e rende servi?
*
La scuola buona si fa con l'amore.
La scuola buona ti chiede fatica.
La scuola buona combatte il fascismo.

3. PROFILI. ENRICO COMBA: CLAUDE LEVI-STRAUSS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2008 col titolo "Giorno per
giorno ascoltando la musica dei miti"]

I cento anni compiuti da Claude Levi-Strauss rappresentano lo straordinario
traguardo di una delle figure piu' rappresentative della cultura europea del
Novecento, ma costituiscono anche un singolare paradosso: il paradosso di
uno studioso che rischia di sopravvivere alla sua stessa fama. Oggi e'
considerato un autore difficile, intricato, ma soprattutto superato dalle
mode culturali, che hanno decretato l'oblio dello strutturalismo, visto
ormai da molti come eredita' di un'epoca tramontata. Eppure Levi-Strauss e'
l'autore di un'opera come Tristi Tropici, un libro di riflessioni sulla
ricerca etnografica e sull'incontro fra culture diverse, che ha emozionato
intere generazioni di lettori e ha contribuito a forgiare numerose carriere
di giovani antropologi. La motivazione di questa scarsa presa sul pubblico
contemporaneo va probabilmente cercata nel fatto che l'antropologia e'
cambiata profondamente nell'arco di tempo che va dalla meta' del Novecento
ad oggi. L'antropologia al momento attuale vanta migliaia di professionisti,
distribuiti in ogni nazione del mondo, la maggior parte dei quali ha
spostato i propri interessi di studio e di ricerca dalle popolazioni
indigene dei continenti extra-europei, che costituirono il principale polo
di attrazione delle ricerche nella prima meta' del Novecento, a temi piu'
legati alle societa' contemporanee: le migrazioni, la globalizzazione, le
trasformazioni socio-economiche, i conflitti e le negoziazioni del potere,
le politiche identitarie. Problemi, certo, di rilevante interesse, che
aiutano a comprendere il mondo in cui viviamo e le sue dinamiche, ma che
hanno anche avuto l'effetto di creare un gergo a volte poco comprensibile
per i non specialisti, e soprattutto di confinare ai margini del discorso
antropologico la realta' dei popoli indigeni.
Questi piccoli gruppi umani, che ancora sopravvivono in alcune regioni del
mondo, tentando disperatamente di difendere il proprio diritto a essere
diversi e a non farsi inglobare e travolgere dai processi di
modernizzazione, sono stati relegati ai margini dagli stessi antropologi
contemporanei, un po' come i Guarani' nel bellissimo film La terra degli
uomini rossi di Marco Bechis, accampati sul bordo di una strada.
E tuttavia proprio queste sono le culture di cui Levi-Strauss ha sempre
rivendicato il ruolo cruciale per lo sviluppo di un sapere antropologico e
all'analisi delle quali ha dedicato i suoi principali sforzi di studioso e
di teorico.
*
Una umanita' sconosciuta
La sua monumentale opera sulle mitologie dei popoli indigeni americani, i
quattro volumi delle Mitologiche, piu' altre opere uscite successivamente,
puo' scoraggiare il lettore non specialista per la quantita' di pagine e per
il percorso intricato che l'autore compie, analizzando centinaia di racconti
mitici diversi. Da questi lavori, pero', emergono due aspetti rilevanti.
Innanzitutto, la dignita' intellettuale delle creazioni mitiche dei popoli
americani, che viene cosi' posta sullo stesso piano delle grandi produzioni
intellettuali del mondo antico o delle civilta' orientali. In secondo luogo,
la passione dell'autore per questo mondo apparentemente lontano e
inconsueto, a cui egli ha dedicato i suoi ultimi cinquant'anni di lavoro,
immergendosi giorno per giorno in un universo di storie e di avventure
fantastiche, assaporando "la musica che e' nei miti".
Nei suoi primi lavori sulla mitologia, Levi-Strauss ha posto l'accento
soprattutto sul metodo strutturale: le sue analisi, egli afferma, ci fanno
scorgere come dietro all'apparente varieta' e confusione dei racconti piu'
disparati si celano meccanismi rigorosi di trasformazione, che ci permettono
di vedere nei miti un processo grazie al quale e' possibile passare da una
versione all'altra, applicando un certo numero di operazioni logiche.
Diversi critici hanno appuntato le proprie osservazioni sull'aspetto
eccessivamente astratto dell'opera, che non si preoccupa tanto dei miti e
del loro contenuto, quanto di mettere in luce una serie di meccanismi
generali del pensiero umano. E' un'accusa in parte fondata, ma che trascura
il fatto che se si leggono i volumi mitologici dell'autore, e non solo
l'introduzione metodologica, ci si trova immersi e affascinati dalle storie
sul giaguaro signore del fuoco, o sull'origine dei maiali selvatici e del
tabacco, dal ruolo del fuoco come intermediario tra uomo e animale cosi'
come tra cielo e terra, tra il sole e la luna.
Si scopre allora che i miti ci dicono in realta' molte cose, ci fanno
scoprire un'umanita' sconosciuta che e' al tempo stesso molto lontana e
molto vicina a noi, un'umanita' che non avremmo mai conosciuto se autori
come Levi-Strauss non ci avessero accompagnato alla sua scoperta, suscitando
la nostra ammirazione.
Non si puo' non restare impressionati nel leggere il testo della prima
lezione tenuta dall'antropologo francese al College de France, nel 1960,
davanti a un pubblico composto dal fior fiore dell'intellettualita' parigina
(opportunamente riproposto in questi giorni da Einaudi, con il titolo Elogio
dell'antropologia). Dopo avere presentato il contenuto essenziale degli
studi antropologici, Levi-Strauss richiama l'attenzione degli ascoltatori
sui lontani popoli indigeni che, a migliaia di chilometri, conducono la loro
vita lottando quotidianamente per la propria sopravvivenza, fisica e
culturale.
Questi piccoli popoli, sparsi per il mondo e minacciati continuamente dalle
forze devastanti della modernizzazione, sono i detentori di un "povero
sapere" che costituisce tuttavia l'essenza dell'antropologia. Nel momento
stesso in cui Levi-Strauss consacra la propria carriera entrando a far parte
di una delle piu' prestigiose istituzioni accademiche del suo paese, si
presenta al pubblico non tanto come un interprete delle culture umane o un
esploratore dei processi mentali, quanto piuttosto come l'"allievo e il
testimone" di lontani popoli sperduti, nei confronti dei quali dichiara
apertamente di aver contratto un debito di riconoscenza inestinguibile.
Celebrando il "secolo di Levi-Strauss" dovremmo quindi accogliere il monito
del grande studioso a non farsi trascinare dalle trappole della
modernizzazione, a guardare con occhio critico e disincantato al lato oscuro
della globalizzazione, che cancella le forme piu' deboli e piu' radicali di
diversita' culturale, e a prestare ascolto a quegli sparuti popoli indigeni,
che hanno attirato l'interesse e l'ammirazione del grande antropologo
francese e dai quali possiamo ancora apprendere il significato piu' profondo
dell'espressione "essere umano".

4. PROFILI. MARINO NIOLA: CLAUDE LEVI-STRAUSS
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 novembre 2008 col titolo
"Levi-Strauss, una rivoluzionaria idea di uomo" e il sommario "Il grande
antropologo compie cent'anni il 28 novembre. Il padre dello strutturalismo
non e' diventato famoso per aver descritto popoli primitivi, ma per le
implicazioni generali del suo pensiero che incidono profondamente sul
rapporto natura-cultura aprendo strade del tutto nuove. Il suo e' un attacco
frontale alla concezione antropocentrica dell'universo. Ad essere scardinata
e' la storia della metafisica e dei suoi concetti"]

Il 28 novembre si festeggia il centesimo compleanno di Claude Levi-Strauss.
L'ultimo dei maitres a' penser. L'uomo che ha fatto dell'antropologia quel
che Freud fece della psicoanalisi, cioe' uno dei grandi saperi del
Novecento. Non solo una disciplina specialistica, per pochi esploratori di
mondi esotici, ma un nuovo modo di vedere l'uomo.
Nessun antropologo ha esercitato un'influenza altrettanto vasta al di fuori
del proprio campo. Con questo moralista classico in presa diretta sullo
stato d'urgenza planetaria l'antropologia va fuori di se' per diventare
scommessa filosofica in grado di revocare in questione l'opposizione tra
natura e cultura, e la definizione stessa dell'umano. A differenza di altri
grandi antropologi come Franz Boas, Bronislaw Malinowski, Margaret Mead e
Gregory Bateson, il padre dello strutturalismo non e' divenuto celebre per
aver descritto popoli primitivi ma piuttosto per le implicazioni generali
del suo pensiero. E proprio in questo ampio respiro stanno il fascino e la
sfida dell'impresa teorica levistraussiana.
L'antropologo francese non e' stato il primo ne' il solo a sottolineare il
carattere strutturale dei fenomeni sociali, ma la sua originalita' sta nel
prendere questo carattere sul serio e trarne imperturbabilmente le
conseguenze. E' naturale che una ricerca di questo tipo abbia suscitato
discussioni e polemiche non fosse altro che per il fatto di condurre ad una
messa in discussione di certe categorie tipiche dell'umanesimo occidentale,
non ultimi i concetti di "uomo" e di "umanita'". E d'altra parte in un
celebre passo del Pensiero selvaggio Levi-Strauss ha affermato che "il fine
ultimo delle scienze umane non consiste nel costituire l'uomo ma nel
dissolverlo".
La conoscenza dell'alterita', che rappresenta il compito dell'etnologia, e'
solo la prima tappa di un itinerario di ricerca delle invarianti che
consentono di riassorbire "talune umanita' particolari in una umanita'
generale". E dunque di "reintegrare la cultura nella natura e, in sostanza,
la vita nell'insieme delle sue condizioni fisico-chimiche". Il vero oggetto
della polemica levistraussiana e' con tutta evidenza quell'umanismo che
fonda i diritti dell'uomo sul carattere unico e privilegiato di una specie
vivente, quella umana, anziche' vedere in tale carattere un caso particolare
dei diritti di tutte le specie. Piu' che di una professione di antiumanesimo
si tratta di un attacco frontale portato alla sua declinazione
antropocentrica, alla metafisica umanistica del soggetto. A questo
insopportabile enfant gate' delle scienze umane, il grande antropologo
oppone una concezione dell'uomo "che pone l'altro prima dell'io, e una
concezione dell'umanita' che, prima degli uomini, pone la vita". In questo
senso e' stato osservato che Levi-Strauss ha contribuito a decostruire "la
convinzione giudaico-cristiana e cartesiana secondo la quale la creatura
umana e' la sola ad essere stata creata ad immagine e somiglianza di Dio".
*
Se si chiede ad un indiano americano cosa sia un mito, ci sono molte
probabilita' che risponda: "una storia dei tempi in cui gli uomini e gli
animali non erano ancora distinti". Questa definizione appare a Levi-Strauss
di grande profondita' perche' "malgrado le nuvole d'inchiostro sollevate
dalla tradizione ebraico-cristiana per mascherarla, nessuna situazione pare
piu' tragica, piu' offensiva per il cuore e per l'intelligenza, di quella di
una umanita' che coesiste con altre specie viventi su una terra di cui
queste ultime condividono l'usufrutto e con le quali non puo' comunicare".
Affiora qui il pessimismo dell'autore di Tristi tropici che all'idea
prometeica dell'uomo che assoggetta la natura, sostituisce una visione
tragica del soggetto e di una natura entrambi mutilati, perche' separati
dall'altra parte di se'.
Un decentramento del soggetto che riflette l'idea di un rapporto non
strumentale con la natura in cui, per dirla con Adorno, questa non e' mero
oggetto, Gegenstand, ma piuttosto partner, Gegenspieler. Gia' nei primi anni
Cinquanta, con una sensibilita' ecologista in largo anticipo sui movimenti
ambientalisti attuali, l'antropologo francese denunciava il pericolo di un
umanesimo narcisisticamente antropocentrico, e per cio' stesso etnocentrico,
che dimentica i diritti del vivente in nome di un'idea astratta della vita,
che fa dell'uomo il signore unico del pianeta e della sua riproduzione il
fine ultimo della natura. In questo senso Michel Maffessoli ha ritenuto di
poter accostare la denuncia levistraussiana del saccheggio del mondo alla
critica heideggeriana della devastazione della terra da parte della
metafisica.
Per Derrida la nascita stessa dell'antropologia e' stata possibile a
condizione di questo decentramento del soggetto che ha inizio "nel momento
in cui la cultura europea - e di conseguenza la storia della metafisica e
dei suoi concetti - e' stata scardinata, scacciata dal suo posto, costretta
quindi a non considerarsi piu' come cultura di riferimento". La critica
dell'etnocentrismo, che e' stata, e resta, la condizione stessa dei saperi
antropologici e', per l'autore de La scrittura e la differenza,
contemporanea, addirittura simultanea alla distruzione della storia della
metafisica.
In un celebre testo dedicato a Jean-Jacques Rousseau, Levi-Strauss
istituisce una relazione tra l'identificazione agli altri, e addirittura "al
piu' 'altro' fra tutti gli altri, l'animale", e il rifiuto di tutto cio' che
puo' rendere accettabile l'io. Il rifiuto insomma di quella trascendenza di
ripiego che resta, a suo avviso, profondamente insediata nell'umanesimo. In
molte occasioni il padre dello strutturalismo rimprovera infatti ai
filosofi, in particolare agli esistenzialisti, di aver operato un
rovesciamento prospettico, dando prova di un'autentica perversione
epistemologica, pur di costruire un rifugio per l'io "nel quale quel misero
tesoro che e' l'identita' personale tenda a essere protetto e dato che le
due cose insieme sono impossibili essi preferiscono un soggetto senza
razionalita' a una razionalita' senza soggetto". In questa idea di una
razionalita' senza soggetto affiora proprio quel "kantismo senza soggetto
trascendentale" attribuito a Levi-Strauss da Paul Ricoeur a proposito
dell'analisi dei miti con la quale il grande antropologo ha offerto la
formulazione piu' radicale delle sue tesi sull'accordo esistente tra cultura
e natura, fra spirito e mondo.
E a quei filosofi che lo accusano di avere abolito il significato dei miti e
di averne ridotto lo studio a sintassi di un discorso che non dice niente,
Levi-Strauss, nelle ultime pagine de L'uomo nudo, riserva una risposta a dir
poco tranchante. Le mitologie, egli afferma, non nascondono nessuna verita'
metafisica ne' ideologica ma in compenso ci insegnano, per un verso, molte
cose sulle societa' che le tramandano, e per l'altro verso ci offrono
l'accesso a certe modalita' operative dello spirito cosi' stabili nel tempo
e ricorrenti nello spazio da poterle considerare basilari. E conclude con
una suprema sprezzatura: "lungi dall'averne abolito il senso, la mia analisi
dei miti di un pugno di tribu' americane ne ha tratto piu' significato di
quanto se ne trovi nelle banalita' e nei luoghi comuni a cui si riducono, da
circa duemilacinquecento anni, le riflessioni dei filosofi sulla mitologia,
a eccezione di quelle di Plutarco".
*
Molti hanno rimproverato allo strutturalismo un atteggiamento antistorico,
ma in realta' Levi-Strauss ha sempre tenuto a distinguere nettamente la
storia, alla quale attribuisce un'importanza straordinaria, dalla filosofia
della storia a' la Sartre, una pseudo-storia che, in ogni sua versione,
laica o confessionale, evoluzionista o storicista, costituisce un tentativo
di sopprimere i problemi posti dalla diversita' delle culture pur fingendo
di riconoscerli in pieno. Tale filosofia della storia - che appare a
Levi-Strauss della medesima natura del mito - deriva dalla fede biblica in
un compimento futuro e finisce con la secolarizzazione del suo modello
escatologico che si muta in teoria del progresso. Il vizio costitutivo di
tale filosofia, che rivolge verso il futuro il concetto classico di istorein
e trasforma il racconto del passato in previsione del futuro, un futuro
oggetto di un'attesa fideistica. In questo senso Levi-Strauss non si limita
a respingere l'accusa di antistoricismo ma, quel che piu' conta, rivendica
all'antropologia un modo tutto proprio di interrogare i materiali storici,
con quell'attenzione ai fatti minuti della vita quotidiana che fa degli
etnologi gli "straccivendoli" della storia, quelli che rimestano nelle sue
pattumiere.
E' una vera e propria eterologia quella messa in opera da Claude
Levi-Strauss, in grado di farci cogliere quanto di noi stessi c'e'
nell'altro e quanto di altro si trova in fondo a noi stessi. Quel fondo che
ci fa tutti parenti perche' tutti differenti e che qualcuno continua a
chiamare umanita'.

5. PROFILI. FRANCESCO REMOTTI: CLAUDE LEVI-STRAUSS
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 novembre 2008 col titolo "Il secolo di
Levi-Strauss. Il suo strutturalismo salva l'antropologia" e il sommario
"Oggi compie cent'anni il piu' grande antropologo vivente, 'allievo e
testimone' di lontani popoli sperduti. Si e' battuto perche' l'antropologia
ottenesse uno spazio epistemologico non riducibile a quello della storia"]

Che lo si voglia o no, le celebrazioni di Levi-Strauss che in questi giorni
fioriscono sui mezzi di comunicazione, finiscono con l'essere un tentativo
di valutazione di un'eredita': al di la' della sua "inattualita'" e della
sua solitudine, che cosa e' vivo del lavoro di Levi-Strauss, che cosa e'
recuperabile, e che cosa invece si puo' o si deve tralasciare? A sentire per
radio le dichiarazioni di alcuni antropologi (come per esempio Marc Auge') o
leggerne i commenti sui quotidiani (come quello di Enrico Comba, qui
riportato), si ha l'impressione che cio' che non e' piu' proponibile sia
proprio il nucleo metodologico della sua antropologia, cioe' il suo
strutturalismo.
In effetti, sono talmente tanti, ricchi e profondi gli aspetti del pensiero
di Levi-Strauss da recuperare e riproporre, che si sarebbe indotti ad
abbandonare al suo destino storico, come una sorta di relitto, proprio cio'
su cui Levi-Strauss ha giocato la credibilita' scientifica della sua
antropologia. Ebbene, nello spazio che mi e' concesso, intendo compiere
un'operazione di recupero dello strutturalismo di Levi-Strauss (la parte
piu' "inattuale" del suo lavoro).
Per giungere a cio', occorre ricordare in primo luogo la critica di
Levi-Strauss alle varie forme di storicismo, che vincola le potenzialita'
dell'antropologia alla considerazione esclusiva dei rapporti storici e al
privilegiamento di societa' influenti o di civilta' storicamente dominanti.
Contro lo storicismo, Levi-Strauss ha sostenuto per l'antropologia la
possibilita' di stabilire connessioni di intelligibilita' tra fenomeni e
forme culturali anche lontani nel tempo e nello spazio e comunque a
prescindere dall'esistenza di relazioni storiche. Fin dall'inizio del suo
strutturalismo, Levi-Strauss ha rivendicato la legittimita' di un'analisi
che ponga in connessione, per esempio, l'arte dei Kwakiutl della costa
americana di nord-ovest con quella dei Maori della Nuova Zelanda. Cio' non
significa negare l'importanza delle relazioni storiche la' dove si sono
verificate; significa invece ottenere per l'antropologia uno spazio
epistemologico non riducibile a quello della storia.
Vale la pena a questo punto ricordare che e' tipico dello strutturalismo di
Levi-Strauss rifiutare di far coincidere il concetto di struttura con quello
di sistema locale, storicamente condizionato: la struttura viene invece
intesa come l'insieme delle possibilita' di connessione che collegano un
sistema locale con una molteplicita' di altri sistemi. Questo fascio di
connettibilita' e' cio' che Levi-Strauss ha piu' volte chiamato "gruppo di
trasformazioni". La struttura, la fonte di intelligibilita' antropologica,
non e' dunque in un sistema particolare, ma e' fuori dai sistemi: ovvero per
capire un sistema (un fenomeno, una forma) occorre uscirne, conoscere altri
sistemi altrettanto particolari e porli in connessione tra loro, farli
dialogare. La struttura percio' non e' una realta' storicamente data: e'
invece il fascio di possibilita' di cui i sistemi concreti e storici non
sono altro che realizzazioni particolari.
L'antropologia ha il compito di ricostruire questo quadro piu' ampio, non
lasciandosi intrappolare dalla logica dei sistemi particolari. Per
raggiungere questo obiettivo e per garantirsi una connettibilita'
strutturale piu' sicura e veloce, lo strutturalismo di Levi-Strauss ha
compiuto due passi: un lavoro di forte astrazione dei fenomeni e la chiusura
del numero delle possibilita', passi che oggi gli antropologi non si sentono
di compiere, o perlomeno non sempre e non del tutto. E allora il problema si
pone in questi termini: con il suo strutturalismo Levi-Strauss ha indicato
una via di salvezza per l'antropologia, un modo per sfuggire alla morsa
della profezia di Frederic William Maitland (1899): "ben presto
l'antropologia dovra' scegliere di essere storia o di non essere niente". La
soluzione di Levi-Strauss e' di praticare un'antropologia come sapere
trasversale, un sapere che pone in comunicazione forme diverse di intendere
famiglie, matrimoni, politica, arte, umanita'.
*
Il compito di risalire la corrente
Oggi, queste forme ci appaiono assai meno nitide: si presentano ai nostri
occhi come tentativi, abbozzi, brandelli di umanita', modelli appannati,
sporchi, frantumati e che si situano in un orizzonte di possibilita' piu'
vago e indeterminato. In queste condizioni, e' comunque proponibile la
connettibilita' transculturale? E' lecito pensare ancora a un'antropologia
come sapere trasversale, anche se si tratta di una trasversalita' faticosa,
rallentata da ostacoli e dal peso dell'esperienza vissuta dei soggetti che
vi partecipano? Per chi scrive, la risposta e' si', se si vuole che
l'antropologia sopravviva come sapere accademico e nel contempo come una
sorta di paradigma per le nostre societa' interconnesse, per le quali la
convivenza si gioca appunto sulla capacita' e sulla disponibilita' non solo
a capire gli altri, ma a capire noi stessi attraverso e grazie agli altri,
anche gli altri piu' lontani e miserevoli, i rifiuti della storia, come
appunto direbbe Levi-Strauss, quelle "periferie dell'umanita'" (Marshall
Sahlins), pattumiere e fogne "ai margini del mondo capitalistico e
industriale" (Eric Wolf) frequentate dagli antropologi.
Qui non si tratta semplicemente di possibilita' "altre", da capire nella
loro pura diversita'. Si tratta invece di quelle forme di umanita' che la
nostra civilta' ha calpestato: la loro miseria e la loro marginalita', il
loro stesso scomparire parlano non soltanto di loro; parlano di noi, si
connettono a noi, facendoci vedere - secondo una celebre frase di Tristi
Tropici - "la nostra sozzura gettata sul volto dell'umanita'".
Ma, oltre la denuncia di queste nefandezze, l'insegnamento di Levi-Strauss
si traduce in un atteggiamento che qualifica ulteriormente la ricerca
antropologica: e' un andare a' rebours, un ricercare forme di umanita' prima
dello scempio e dello sfacelo, perche' sara' pur vero che da sempre le
societa' si sono ibridate e trasformate (Jean-Loup Amselle), ma cio' non
deve farci dimenticare che il cataclisma antropologico contemporaneo non ha
analoghi nella storia e che l'antropologia - se vuole salvaguardare la sua
missione - ha il compito di risalire la corrente e, con il suo sapere
etnologico, di conservare la memoria delle forme di umanita' che abbiamo
distrutto per sempre.

6. PROFILI. BERNARDO VALLI: CLAUDE LEVI-STRAUSS
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 21 novembre 2008 col titolo "Un
pomeriggio col professore" e il sottotitolo "Cosa vuol dire ragionare in
termini di millenni"]

Prima di raggiungere l'appartamento del sedicesimo Arrondissement, a due
passi dalla Senna e dalla Maison de la Radio, sfogliai Tristi Tropici, e ne
rilessi alcuni passaggi. Non avevo detto a Claude Levi-Strauss il motivo
dell'incontro. Ne' lui si era dimostrato curioso. Era un puntuale
collaboratore di "Repubblica" (era stato Pietro Citati a convincere lui e il
medievalista Georges Duby a scrivere per le nostre pagine culturali), e con
la redazione parigina, che faceva da tramite, aveva ormai un rapporto se non
assiduo garbato. E' dunque approfittando di questo modesto legame che quel
giorno di dicembre andai a casa di Levi-Strauss armato di numerose e
ambiziose intenzioni.
Avrei voluto anzitutto che mi parlasse del romanzo che aveva cominciato a
scrivere a Parigi, di ritorno dal Brasile nei mesi precedenti alla guerra
del '39. Romanzo che avrebbe probabilmente avuto come titolo Tristi Tropici,
lo stesso adottato quindici anni dopo per il saggio, in cui la magia della
scrittura fa dimenticare facilmente che non si tratta di una fiction. Nelle
prime pagine del romanzo abbandonato figurava la descrizione del tramonto
("... ces cataclysmes surnaturels...") osservato dal ponte della nave
diretta nell'America del Sud, descrizione poi recuperata, insieme al titolo,
nel saggio pubblicato nel '55. Levi-Strauss trovo' che le prime pagine del
romanzo erano "un pessimo Conrad" e abbandono' per sempre l'idea di
lanciarsi nella narrativa pura. La trama immaginata e gettata nel cestino
era la vicenda di un viaggiatore che in Oceania usa un grammofono per
ingannare gli indigeni e farsi passare per un dio.
Mi sarebbe piaciuto descrivere il "mancato Conrad" diventato uno dei grandi
intellettuali del secolo. La prima domanda che mi proponevo di rivolgergli
era dunque gia' pronta: "A trent'anni lei voleva usare i suoi viaggi tra gli
indiani kaingang, caduveo e boroboro, come Conrad uso' i suoi viaggi di mare
nei romanzi? In questo caso, se avesse avuto successo come romanziere, il
suo destino sarebbe radicalmente cambiato?". Mi affascinava appunto l'idea
del mancato romanziere che per ripiego si dedica interamente all'etnologia,
sia pur scrivendo, per nostra fortuna, anche di musica, di pittura, oltre
che di letteratura. Qualche volta di poesia. Un Levi-Strauss che ha
rinunciato a inventare trame esotiche, ritenendo di non avere un talento
adeguato, e che ha invece raccontato scientificamente civilta' "selvagge",
traendone una morale irrinunciabile. Morale secondo la quale una societa'
educata non puo' essere scusata per il solo crimine veramente inespiabile
dell'uomo: peccato che consiste "nel credersi durevolmente o temporaneamente
superiore e nel trattare degli uomini come oggetti: in nome della razza,
della cultura, della conquista, della missione o semplicemente
dell'espediente".
La mia ambizione si e' sgonfiata in pochi secondi quando mi sono trovato
davanti Levi-Strauss, piu' che novantenne, ironico, forse divertito, del mio
iniziale, prolungato silenzio, durante il quale valutavo l'opportunita' di
affrontare un tema tanto remoto e intimo. In definitiva gonfiato dalla mia
immaginazione. Lasciai dunque cadere, saggiamente, il tema del mancato
Conrad, e scivolai nel contrario: cioe' nella stretta, banale attualita'.
Gli chiesi cosa pensasse della moneta unica europea che in quei giorni
entrava o stava entrando in servizio. Rise. "Cosa c'entra un antropologo?
Non sarebbe stato meglio rivolgersi a uno storico? Io mi occupo di
selvaggi", si schermi'. Per difendermi ricordai un vecchio testo di
Merleau-Ponty, il filosofo amico di Levi-Strauss, scritto in occasione della
nomina di quest'ultimo al College de France. In quel testo si parlava di
un'opera fondamentale per l'antropologia sociale: Saggio sul dono. Forma e
motivo dello scambio nelle societa' arcaiche, di Marcel Mauss. Il tema
ricorre ovviamente nelle opere di Levi-Strauss. Perche' non recuperare
l'argomento e allacciarlo alla vita d'oggi?
Alla mia candida, ingenua reazione il padrone di casa venne in mio soccorso.
Mi disse: "Allo scoppio della guerra, nel '14, avevo sei anni e andai in
banca a offrire le monetine che possedevo per la difesa della patria. I
franchi erano allora d'oro". Per lui la svolta nel rapporto col denaro e'
avvenuta quando si e' passati dalle monete metalliche a quelle di carta.
Quella e' stata la vera rottura. Quanto a una moneta indipendente dai
governi nazionali, era a suo avviso una fortuna. Puo' darsi che tutto
finisca in un disastro, ma non sara' un disastro peggiore di quello
provocato puntualmente dai politici sul piano monetario.
"Vede - aggiunse - il mestiere di etnologo mi ha insegnato progressivamente
a pensare non in termini di decenni, e neppure di secoli, ma di millenni,
anzi di decine di millenni, dunque quando parlo di questo secolo penso che
tra due o tremila anni non se ne sapra' piu' nulla. Immagini tra venti o
trentamila. Pensiamo a tante cose come importanti ma se le collochiamo nel
tempo scompaiono. Cio' non toglie che mi interessino".
Gli chiesi allora cosa era stato fatto, ad esempio, di tanto importante
decine di migliaia di anni fa da esserlo ancora oggi. Disse: "Certamente
l'invenzione del vasellame, della ciotola per prima, e del tessuto che
usiamo ancora. Sono cose piu' importanti di quelle che si scoprono adesso e
di cui non sappiamo se resteranno tali, cioe' importanti, nei millenni a
venire". Neppure la bomba atomica con la quale l'uomo ha costruito qualcosa
che puo' distruggere l'umanita'? "Non sono sicuro che sia vero. Anche se si
fanno esplodere tante atomiche insieme non sono certo che si distruggerebbe
l'umanita' intera". Non resteranno neppure le scoperte nella genetica? "Si',
penso che resteranno. Ma via via che si faranno delle scoperte ci si
accorgera' che e' molto piu' complicato di quel che si immaginava. Il mondo,
la vita sono assai piu' misteriosi oggi di quanto lo fossero uno o due
secoli fa. Perche' allora si pensava che fossero semplici".
E la cosiddetta globalizzazione, che rimpicciolisce il mondo, sul piano
economico e su quello dell'informazione, diventata simultanea sull'intero
pianeta? "Non e' una cosa che mi rallegra - mi disse Levi-Strauss -. Penso
che le differenze siano piu' interessanti. Quando era tutto molto diverso,
il cinese poteva aspettarsi molte cose da noi, e noi da lui. Adesso che
siamo quasi uguali possiamo aspettarci molto poco uno dall'altro. Immagino
che tante differenze riaffioreranno. Presto". Il mondo rimpicciolito dalla
velocita' delle comunicazioni, dei trasporti, ha ucciso, per lui, anche il
viaggio esotico, come esisteva un tempo. Era gia' minacciato al tempo di
Tristi Tropici.

7. RILETTURE. RUTH BENEDICT: MODELLI DI CULTURA
Ruth Benedict, Modelli di cultura, Feltrinelli, Milano 1960, 1979, pp. 280,
lire 3.500. Un classico.

8. RILETTURE. IDA MAGLI: INTRODUZIONE ALL'ANTROPOLOGIA CULTURALE
Ida Magli, Introduzione all'antropologia culturale. Storia, aspetti e
problemi della teoria della cultura, Laterza, Roma-Bari 1980, 1983, pp. VIII
+ 216, lire 9.000. Un'agile, essenziale introduzione.

9. RILETTURE. LUCY MAIR: INTRODUZIONE ALL'ANTROPOLOGIA SOCIALE
Lucy Mair, Introduzione all'antropologia sociale, Feltrinelli, Milano 1970,
1980, pp. 312, lire 4.000. E' ancora un utile manuale.

10. RILETTURE. MARGARET MEAD: SESSO E TEMPERAMENTO IN TRE SOCIETA' PRIMITIVE
Margaret Mead, Sesso e temperamento in tre societa' primitive, Il
Saggiatore, Milno 1967, Garzanti, Milano 1979, pp. 352, lire 3.500. Un libro
di rara felicita'.

11. RIEDIZIONI. GALILEO GALILEI: OPERE
Galileo Galilei, Opere, Utet, Torino 1964, 1999, Mondadori, Milano 2008, 2
voll. (vol. I: pp. 982; vol. II: pp. VI + 854), euro 12,90 + 12,90 (in
supplemento a vari periodici Mondadori). In questa bella, classica raccolta
vi sono La bilancetta, il Trattato di fortificazione, Le mecaniche, Le
operazioni del compasso geometrico e militare, il Sidereus nuncius,
l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, il
Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua o che in quella si
muovono, Il Saggiatore, la Scrittura attenente all'idraulica, il Dialogo
sopra i due massimi sistemi del mondo, i Discorsi  intorno a due nuove
scienze, e pagine scelte dall'epistolario. Al piacere di mettersi alla
scuola di Galileo, seguendone le ricerche, la meditazione, la discussione,
si somma il piacere di leggere la bella prosa di Galileo.

12. RIEDIZIONI. FRIEDRICH NIETZSCHE: COSI' PARLO' ZARATHUSTRA. UMANO, TROPPO
UMANO
Friedrich Nietzsche, Cosi' parlo' Zarathustra. Umano, troppo umano,
Mondadori, Milano 2008, pp. VI + 1080, euro 12,90 (in supplemento a vari
periodici Mondadori). Cosi' diceva Annibale Scarpante iersera all'osteria
della sora Nocenza: Nietzsche va letto in tedesco, ma una buona traduzione
italiana e' meglio che niente. L'Also sprach Zarathustra non e' la sua opera
migliore, ma certo e' la piu' celebre - e lo e' per la callida elezione del
modulo ieratico, scelta espressiva onusta e opima che poi tante volte ancora
sara' riciclata, e fino alla nausea. Eppure anche qui vi sono pagine di
letteratura e di favola belle, e talvolta di pensiero acuminate. Ma altrove
ci sembra sia il Nietsche piu' fecondo, dove il danzante e l'esultante
profeta, e il sofferente martellatore degli idoli dell'irrealta', non erompe
ancora in fragore e delirio, e non divora quindi l'acuto critico delle
ideologie e dei poteri dominanti. Umano, troppo umano e' tra le opere piu'
interessanti (e a nostro giudizio ancor piu' la Gaia scienza), ma Nietzsche
va davvero letto tutto, e tutto criticato e interpretato, e liberato
dall'emazie che vi depositarono letture irrazionaliste e criminali.

13. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009"

Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni
nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano
per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita',
per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla
forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione
tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno
dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della
nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata.
E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009".
- 1 copia: euro 10
- 3 copie: euro 9,30 cad.
- 5 copie: euro 8,60 cad.
- 10 copie: euro 8,10 cad.
- 25 copie: euro 7,50 cad.
- 50 copie: euro 7 cad.
- 100 copie: euro 5,75 cad.
Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi
(Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946,  e-mail: info at qualevita.it,
sito: www.qualevita.it

14. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009

E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne
nella lotta contro le mafie e per la democrazia.
E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani.
Si puo' acquistare (euro 10 a copia) in libreria o richiedere al Centro
Impastato o all'editore.
*
Per richieste:
- Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa
Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail:
csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it
- Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax:
923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito:
www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 655 del 30 novembre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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