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Coi piedi per terra. 139
- Subject: Coi piedi per terra. 139
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 29 Nov 2008 08:45:52 +0100
- Importance: Normal
=================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 139 del 29 novembre 2008 In questo numero: 1. Oggi a Marino 2. Comitato per un'alternativa energetica: No al nucleare 3. Marinella Correggia: Investimenti neocoloniali 4. Paolo Rumiz: Acqua 5. Guido Viale: Automobili 6. Per contattare il comitato che si oppone all'aeroporto di Viterbo 1. INCONTRI. OGGI A MARINO Una tavola rotonda sul tema "L'aeroporto di Ciampino e la salute dei cittadini" si svolge oggi, sabato 29 novembre 2008, dalle ore 16 alle ore 19, presso il salone parrocchiale della parrocchia "Nativita' della beata vergine Maria" in via Gramsci 1, a Santa Maria delle Mole, frazione di Marino (il comune dei castelli romani confinante con l'aeroporto di Ciampino che dell'attivita' aeroportuale subisce anch'esso le conseguente devastanti per la salute, la sicurezza, la qualita' della vita). All'incontro sara' relatrice la dottoressa Antonella Litta, portavoce del Comitato che si oppone al mega-aeroporto a Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo. * Antonella Litta e' la portavoce del Comitato che si oppone alla realizzazione dell'aeroporto a Viterbo; svolge l'attivita' di medico di medicina generale a Nepi (in provincia di Viterbo). E' specialista in Reumatologia ed ha condotto una intensa attivita' di ricerca scientifica presso l'Universita' di Roma "la Sapienza" e contribuito alla realizzazione di uno tra i primi e piu' importanti studi scientifici italiani sull'interazione tra campi elettromagnetici e sistemi viventi, pubblicato sulla prestigiosa rivista "Clinical and Esperimental Rheumatology", n. 11, pp. 41-47, 1993. E' referente locale dell'Associazione italiana medici per l'ambiente (International Society of Doctors for the Environment - Italia). Gia' responsabile dell'associazione Aires-onlus (Associazione internazionale ricerca e salute) e' stata organizzatrice di numerosi convegni medico-scientifici. Presta attivita' di medico volontario nei paesi africani. E' stata consigliera comunale. E' partecipe e sostenitrice di programmi di solidarieta' locali ed internazionali. Presidente del Comitato "Nepi per la pace", e' impegnata in progetti di educazione alla pace, alla legalita', alla nonviolenza e al rispetto dell'ambiente. 2. DOCUMENTI. COMITATO PER UN'ALTERNATIVA ENERGETICA: NO AL NUCLEARE [Dal sito www.oltreilnucleare.it riprendiamo il testo dell'appello dell'11 novembre 2008] Il 24 novembre 2008, a Roma, si costituira' il Comitato per un'alternativa energetica, basata sulle fonti rinnovabili e il risparmio, anziche' su un ingiustificato aumento dei consumi e sull'uso delle fonti fossili e di quella nucleare, come propone il Governo. Berlusconi e il suo esecutivo, nel quadro del progettato rilancio del nucleare, promettono di individuare entro sei mesi i territori destinati ad ospitare le centrali, violando cosi' una precisa volonta' popolare espressa con un referendum che a grande maggioranza aveva deciso di chiudere con il nucleare. Non aspetteremo che siano individuati i siti nucleari per opporci a questa scelta e non lasceremo sole le localita' che rischiano di subire una decisione antidemocratica, calata dall'alto e per di piu' militarizzata nell'attuazione. Sosterremo il diritto delle popolazioni locali a fare valere la loro opinione anche, se necessario, con referendum territoriali, tanto piu' che costruire nuove centrali nucleari contrasterebbe con l'impostazione dei piani energetico-ambientali regionali gia' approvati. Porteremo in ogni luogo una battaglia delle idee, la controinformazione e per questo sollecitiamo la preziosa collaborazione del mondo scientifico e di quello intellettuale e di quanti possono contribuire in tutte le forme democratiche a sensibilizzare l'opinione pubblica: il nucleare e' una scelta che va contrastata e sconfitta nel paese. A questo scopo diamo vita ad un Comitato attraverso il quale organizzare, insieme a tutti gli altri soggetti associativi che si mobiliteranno sul territorio, il rifiuto popolare di questa tecnologia intrinsecamente insicura e incapace di smaltire i rifiuti radioattivi che produce. L'obiettivo che ci poniamo e' di fare avanzare un'altra proposta di politica energetica basata sulle fonti rinnovabili e sul risparmio energetico, la sola scelta che permette di dare energia pulita al paese e contemporaneamente di ridurre le emissioni climalteranti. In linea quindi con gli obiettivi che l'Unione Europea rendera' vincolanti nei prossimi mesi: ridurre, entro il 2020, del 20%, forse del 30%, i gas serra attraverso un aumento del 20% sia dell'efficienza energetica che delle fonti rinnovabili, mentre il Governo Berlusconi sta apertamente boicottando gli orientamenti europei rispetto al raggiungimento dell'autonomia energetica e del sostegno agli obiettivi di Kyoto. Sono questi parametri i punti di riferimento di un nostro piano energetico nazionale, la cornice entro la quale iscrivere le singole azioni, le scelte tecnologiche, la riconversione ecologica delle industrie piu' energivore, la riduzione dei rifiuti, il cambiamento del peso del trasporto individuale e su gomma. Ci proponiamo di elaborarlo con il concorso piu' ampio delle popolazioni, sottoponendolo al giudizio dei cittadini, anche attraverso la presentazione di un progetto di legge di iniziativa popolare. La nostra non sara' la sola iniziativa contro questa scelta sciagurata del Governo e quindi e' nostra volonta' coordinarci con tutte le altre strutture di mobilitazione, con le associazioni ambientaliste, con le persone del mondo della cultura e della scienza, con i sindacati, con le Regioni, con i Comuni disponibili. Gli argomenti possono essere diversi ma cio' che conta e' unire le forze sull'obiettivo comune di una nuova politica energetica e del no al nucleare. Berlusconi e i suoi ministri cercano di convincere che compiono questa scelta in nome della lotta ai cambiamenti climatici e per garantire energia abbondante e poco costosa al paese rafforzando anche la sua autonomia energetica. Queste affermazioni sono entrambe false: il nucleare non serve ne' a combattere i cambiamenti climatici ne' a ridurre la bolletta energetica del paese e per di piu' e' un enorme consumatore di acqua, bene sempre piu' scarso. Va quindi rifiutato per le seguenti ragioni: 1. l'uranio non e' una risorsa ne' rinnovabile ne' sostenibile, limitata nelle quantita' e nel tempo, che per di piu' ha visto i suoi costi aumentare in modo vertiginoso. 2. non e' affatto senza emissione di CO2 perche' ne produce per l'estrazione del combustibile, durante la costruzione della centrale e nella fase del suo smantellamento. 3. nessuno dei problemi segnalati dalla tragedia di Cernobyl e' stato risolto e quindi il nucleare civile continua ad avere problemi di sicurezza per le popolazioni non risolti anche durante il funzionamento ed un enorme impatto ambientale legato alla produzione di scorie radioattive che inevitabilmente si accumulano nell'ecosistema e graveranno sulle future generazioni per migliaia di anni. Va ricordato che in presenza di impianti nucleari e' obbligatorio un piano di evacuazione delle popolazioni in caso di incidente grave, con l'abbandono di ogni attivita', con pesanti restrizioni per le persone come vivere sigillati in casa. 4. espone il mondo a rischi di proliferazione delle armi nucleari e al terrorismo, del resto questo e' l'argomento che viene portato contro l'Iran poiche' la tecnologia in uso e' stata pensata per produrre plutonio e la generazione di energia elettrica ne e' un sottoprodotto. 5. non e' in grado di risolvere ne' il problema energetico ne' quello del cambiamento climatico, infatti le risorse di uranio, gia' oggi scarse, non sarebbero sufficienti di fronte ad un aumento ulteriore della domanda ed e' quindi inutile sperare di aumentare la capacita' installata in maniera tale da coprire una quota significativa della nuova domanda di energia, ne' di sostituire la quota fossile. 6. ha dei costi economici e finanziari diretti ed indiretti troppo elevati che in realta' gravano sulla societa' e sulle finanze pubbliche e inoltre e' una tecnologia che usa e spreca enormi quantita' d'acqua. 7. comporta un modello di generazione di energia centralizzato, basato su centrali di elevata potenza, che non garantiscono sicurezza e tanto meno assicurano il diritto all'energia diffusa nel territorio. Infatti il nucleare e' un modello che richiede sistemi di gestione autoritari, centralizzati ed antidemocratici. Non a caso le centrali nucleari civili vengono considerate come gli altri siti energetici alla stregua di siti militari. E' quindi irrealistico pensare di uscire dai fossili rilanciando il nucleare, anzi in Francia una massiccia presenza del nucleare (78%) si accompagna ad un consumo pro capite di petrolio maggiore che in Italia. Uscire dal petrolio e dalle energie fossili e non rinnovabili senza il nucleare si puo'. E' matura, tecnologicamente ed economicamente, una scelta energetica a favore del risparmio energetico e delle energie rinnovabili che un programma di incentivi pubblici e l'utilizzo della leva fiscale possono e devono promuovere. Il paese puo' e deve essere piu' efficiente e non sprecare energia. Questo e' il primo obiettivo che ci proponiamo. Si calcola che meta' dei consumi energetici italiani sono in realta' sprechi derivanti da usi poco razionali ed inefficienti dell'energia. Si puo' puntare molto in alto con il risparmio energetico, fino a risparmiare il 50% dell'energia oggi usata per garantire i servizi di illuminazione, riscaldamento, rinfrescamento, mobilita', usi industriali. Sono necessari interventi per aumentare l'efficienza dell'uso dell'energia e per correggere gli sprechi, sviluppando politiche di sufficienza diffusa nel territorio puo' portare a ridurre i consumi di energia, pur mantenendo standard elevati di vita, e per questo occorre puntare a risparmi significativi sia per il sistema economico che per il rispetto degli impegni di Kyoto, peraltro gia' oggi insufficienti di fronte ai cambiamenti climatici. E' possibile e realistico puntare all'obiettivo di procurare al paese gran parte dell'energia che gli e' veramente necessaria attraverso le fonti rinnovabili. Lo si puo' fare, come dimostrano le esperienze di molti paesi, Germania e Spagna in particolare, incentivandone l'installazione diffusa con lo strumento del "conto energia" che ha dimostrato nei paesi che l'hanno adottato di funzionare e aumentare notevolmente la capacita' rinnovabile installata. Sono due strade alternative: - quella del Governo non garantisce autonomia energetica al paese, e' antidemocratica, costosa, pericolosa per la salute delle persone e l'ambiente, oltre che poco utile per ridurre le emissioni climalteranti, e ci isola dall'Europa; - la politica energetica da noi indicata invece riduce la nostra dipendenza energetica, sviluppa la ricerca e l'innovazione nelle attivita' produttive, fornisce i servizi energetici usando fonti rinnovabili (un barile di petrolio corrisponde ad un metro quadrato di pannello solare) che non alterano il clima e che sono diffuse sul territorio e quindi facilmente controllabili dalle popolazioni, oltre a promuovere un diverso sviluppo, creando nuova occupazione di qualita'. Questa e' l'alternativa che proponiamo. Sono queste le ragioni per cui decidiamo di promuovere un Comitato per il no al nucleare e per il si' ad una politica energetica alternativa di risparmio e sviluppo delle fonti rinnovabili, e per questo convochiamo un'assemblea aperta a Roma lunedi' 24 novembre, alle ore 14 presso il centro Congressi di via Frentani 4, aperta a tutti i contributi. 3. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: INVESTIMENTI NEOCOLONIALI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 novembre 2008 col titolo "Il nuovo colonialismo"] Non si sa mai cosa puo' succedere. Meglio investire nella zolla, che produce cibo (il denaro non si mangia). I governi piu' abbienti e le imprese multinazionali di paesi ricchi di denaro e poveri di suolo stanno acquistando il diritto a coltivare milioni di ettari di terre agricole nei paesi impoveriti, per assicurarsi la sicurezza alimentare a lungo termine. E' lo stesso Jacques Diouf, direttore della Fao, a denunciare rischi di "neocolonialismo", con gli stati poveri che producono per i ricchi a detrimento dei propri cittadini poveri. "I vertici economici e politici si stanno arricchendo con la crisi alimentare, le speculazioni finanziarie sono una tra le cause dirette dell'incremento dei prezzi delle derrate alimentari e di conseguenza alimentano esponenzialmente la crisi alimentare" denunciavano i movimenti sociali e contadini riuniti in Terra Preta lo scorso giugno al vertice Fao. Il nuovo arrembaggio alle terre, scatenato dall'aumento dei prezzi delle derrate alimentari e dai timori per il futuro, guarda soprattutto all'Africa. Pochi giorni fa l'impresa sudcoreana Daewoo Logistics ha annunciato l'intenzione di prendere in affitto per 99 anni un milione di ettari in Madagascar, per ricavarne 5 milioni di tonnellate di mais all'anno e produrre olio di palma su 120.000 ettari, impiegando soprattutto lavoratori specializzati sudafricani. Secondo un esperto della Bidwell Agribusiness, un'impresa di Cambridge che fa consulenze nel campo dei grossi contratti terrieri internazionali, questo puo' essere un investimento puramente commerciale ma alla fine risponde a un imperativo di sicurezza alimentare sostenuto dal governo: gli alimenti prodotti saranno "rimpatriati" e cosi' il paese dipendera' meno dagli acquisti alimentari da venditori esteri. Il governo del Madagascar da parte sua ha detto che condurra' una valutazione di impatto ambientale prima di approvare il contratto con la Daewoo, ma certo ha apprezzato l'operazione; quei soldi gli servono, ha detto il Ministro della riforma agraria, per costruire infrastrutture e ricostruire aree devastate dalle inondazioni. L'accordo coreano-malgascio sara' uno dei piu' grossi, fra i numerosi contratti agrari siglati da quando i prezzi dei generi alimentari hanno cominciato ad aumentare l'anno scorso. La taglia media e' di 100.000 ettari. I piu' attivi sono paesi e imprese mediorientali. Il Saudi Binladin Group sta programmando investimenti in Indonesia per approvvigionarsi in riso basmati; investitori di Abu Dhabi hanno comprato decine di migliaia di ettari in Pakistan. Investitori arabi, fra i quali l'Abu Dhabi Fund for Development, hanno anche acquistato azioni nell'agricoltura sudanese (il paese cerca di attrarre investitori su almeno 900.000 ettari coltivabili). Gli Emirati Arabi Uniti invece si stanno rivolgendo al Kazakhstan. La Libia si e' assicurata 250.000 ettari di terra in Ucraina. Kuwait e Qatar mirano ai campi di riso della Cambogia. La stessa affamata Etiopia - che comunque di terra ne ha - e' corteggiata da investitori sauditi. Perfino la Cina, che di suolo agricolo ne ha ugualmente parecchio ma e' ormai a corto di risorse idriche con la sua industrializzazione spinta al massimo, e' della partita. Il Laos le ha gia' assegnato fra i 2 e i 3 milioni di ettari del proprio suolo. In questa corsa speculativa internazionale, perderanno i piccoli coltivatori. Quelli che non hanno solidi titoli di proprieta' sulla terra saranno piu' di prima cacciati. Ma non e' detto che per gli investitori il giochetto sara' facilissimo. La terra e' una questione molto sensibile. Le lotte non mancheranno. 4. ITALIA. PAOLO RUMIZ: ACQUA [Dal quotidiano "La Repubblica" del 14 novembre 2008 col titolo "I nuovi padroni dell'acqua"] Giu' le mani dall'acqua del sindaco. Dal Piemonte alla Sicilia, nell'Italia bastonata dalla crisi e' nata una nuova resistenza, contro la privatizzazione dei servizi idrici. Una resistenza che parte dal basso e contesta non solo il Governo, ma il Parlamento, che il 6 agosto, mentre il Paese era in vacanza, ha approvato una norma-bomba (unica in Europa) con il "si'" dell'opposizione. Non se n'e' accorto quasi nessuno: quel pezzo di carta obbliga i Comuni a mettere le loro reti sul mercato entro il 2010, e cio' anche quando i servizi funzionano perfettamente e i conti tornano. Articolo 23 bis, legge 133, firmata Tremonti. La stessa che privatizza mezza Italia e ha provocato la rivolta della scuola. Leggere per credere. Ora i sindaci hanno letto. Quelli di destra e quelli di sinistra. E subito hanno mangiato la foglia. "Ci avete gia' tolto l'Ici. Se ci togliete anche questo - dicono - che ci rimane?". La partita e' chiara: non e' solo una guerra per l'acqua, ma per la democrazia. Col 23 bis essi perdono contemporaneamente una fonte di entrate e la sorveglianza sul territorio. Il federalismo si svuota di senso. Il rapporto con gli elettori diventa una burla. Lo scenario e' inquietante: bollette fuori controllo, e i cittadini con solo un distante "call center" cui segnalare soprusi o disservizi. Insomma, l'acqua come i telefonini: quando il credito si esaurisce, il collegamento cade. La storia parte da lontano, nel 2002, con una legge che obbliga i carrozzoni delle municipalizzate a snellirsi, diventare S.p.a. e lavorare con rigore. L'Italia viene divisa in bacini idrici, i Comuni sono obbligati a consorziarsi e le bollette a includere tutti i costi, che non possono piu' scaricarsi sul resto delle tasse. Anche se i Comuni hanno mantenuto la maggioranza azionaria, nelle ex municipalizzate son potute entrare banche, industrie e societa' multinazionali. Ma quella che doveva essere una rivoluzione verso il meglio si e' rivelata una delusione. Nessuno rifa' gli acquedotti, le reti restano un colabrodo. Il privato funziona peggio del pubblico, parola di Mediobanca, che in un'indagine recente dimostra che le due aziende pubbliche milanesi, Cap ed Mm hanno le reti migliori d'Italia e tariffe tra le piu' basse d'Europa. Col voto del 6 agosto si rompe l'ultima diga. L'acqua cessa di essere diritto collettivo e diventa bisogno individuale, merce che ciascuno deve pagarsi. Questo spalanca scenari tutti italiani: per esempio i contatori regalati ai privati (banca, industria o chicchessia che incassano le bollette), e le reti idriche che restano in mano pubblica, con i costi del rifacimento a carico dei contribuenti. Insomma, la polpa ai primi e l'osso ai secondi. Il peggio del peggio. E' contro questo che si stanno muovendo i sindaci d'Italia; a partire da quelli della Lombardia, che la guerra l'hanno cominciata prima degli altri. E' successo che centoquarantaquattro Comuni attorno a Milano han fatto muro contro la giunta Formigoni, la quale gia' nel 2006 aveva anticipato il 23 bis con una legge che separava erogazione e gestione del servizio. Quasi sempre all'unanimita' - destra, sinistra e Lega unite - i consigli comunali hanno chiesto un referendum per cancellare l'aberrazione; e proprio ieri, dopo una lotta infinita e incommensurabili malumori del Palazzo, davanti al muro di gomma della giunta che apponeva alla legge solo ritocchi di facciata, hanno dichiarato di non recedere in alcun modo dalla richiesta di una consultazione popolare lombarda. "Si va allo scontro, non abbiamo scelta", spiega Giovanni Cocciro, iperattivo assessore del Comune-capofila di Cologno Monzese, e delinea il futuro della rete in mano privata. "Metti che i contatori passino a una banca, e questa stacchi l'acqua a un condominio che non paga. Il sindaco, per questioni sanitarie, deve garantire il servizio minimo ma, non potendo piu' ordinare la riapertura del rubinetto, puo' solo intervenire con autobotti, con acqua che costa tremila volte di piu'? Per non parlare dei problemi di ordine pubblico che ricadono sul Comune se la gente perde la pazienza". Nei bar di Cologno, per ripicca, hanno messo l'etichetta all'acqua di rubinetto e ti dicono che le analisi l'hanno dichiarata all'altezza delle piu' blasonate minerali. Al banco la gente chiede "acqua del sindaco" rivendicandola come diritto, non come merce. E un po' dappertutto, attorno a Milano, crescono le "case dell'acqua", dove il bene piu' universale viene distribuito gratis, rinfrescato e con bollicine, in confortevoli spazi alberati dove la gente puo' sedersi e chiacchierare. Un "water pride" in salsa lombarda, che ora sta contagiando anche il Piemonte. Premane in Valsassina, in provincia di Lecco, e' un comune di montagna a maggioranza leghista gia' assediato da privati in cerca di nuove centraline idroelettriche, e sul tema dell'acqua ha i nervi scoperti. "Nel servizio idrico solo la gestione pubblica puo' garantire equita' all'utente", sottolinea con forza Pietro Caverio, che ha firmato la protesta dei 144 Comuni. Segnali di insofferenza arrivano da tutto il Paese; situazioni paradossali si moltiplicano. Sentite cos'e' accaduto a Firenze. Il Comune ha accettato di fare una campagna per il risparmio idrico e un anno dopo, di fronte a una diminuzione dei consumi, ecco che la "Publiacqua" manda agli utenti una lettera dove spiega che, a causa della diminuita erogazione, si vede costretta ad alzare le tariffe per far quadrare i conti. Ovvio: il privato premia lo spreco, non il risparmio. L'unica cosa certa sono i rincari: ad Aprilia nel Lazio sono scattati aumenti del trecento per cento e un conseguente sciopero delle bollette che dura tuttora contro la societa' "Acqualatina". Stessa cosa a Leonforte, provincia di Enna, paese di pensionati in bolletta. A Nola e Portici, nel retroterra napoletano, la societa' "Gori" ha quasi azzerato la pressione in alcuni condomini insolventi, senza avvertire il sindaco; e lavoratori della ditta hanno impedito ai partigiani dell'acqua pubblica di tenere la loro assemblea. A Frosinone gli aumenti sono stati tali che il Comitato di vigilanza e' dovuto intervenire e alzare la voce per ottenere la documentazione nei tempi previsti. Piu' o meno lo stesso a La Spezia, che ha le bollette piu' care d'Italia. Per non parlare di Arezzo, dove la privatizzazione si sta rivelando un fallimento. L'Acquedotto pugliese, dopo la privatizzazione, si e' indebitato con banche estere finite nelle tempeste finanziarie globali. A Pescara, da quando e' scattato il regime di S.p.a., s'e' scoperto un grave inquinamento industriale della falda e la magistratura ha fatto chiudere l'impianto. A Ferrara il regime di privatizzazione e' coinciso col trasferimento a Bologna del laboratorio di analisi, con conseguente allentamento dei controlli in una delle zone piu' a rischio d'Italia, causa la falda avvelenata del Po. Ma se gia' ora la situazione e' cosi' grave, ci si chiede, cosa accadra' col "23 bis"? Sessantaquattro ambiti idrici territoriali - sui 90 in cui e' compartimentata l'Italia - tengono duro, rimangono pubblici, e organizzano laddove possibile la difesa contro i compratori dell'acqua italiana. Ma e' battaglia tosta: l'acqua e' il business del futuro. Consumi in aumento e disponibilita' in calo, quindi prezzi destinati infallibilmente a salire. Conseguenza: nelle rimanenti 26 S.p.a. miste le pressioni sulla politica sono enormi, tanto piu' che nei consigli di amministrazione il pubblico e' rappresentato da malleabili politici in pensione, e il privato da vecchie volpi capaci di far prevalere il profitto sulla bonta' del servizio. Dai 26 ambiti che hanno accettato la privatizzazione sono cresciuti intanto quattro colossi: l'Acea di Roma che ha comprato l'acqua toscana; l'Amga di Genova che s'e' alleata con la Smat di Torino e ha dato vita all'Iride; la Hera di Bologna che cresce in tutta la Padania; la A2A nata dalla fusione dell'Aem milanese e dell'Asm bresciana. In tutte, una forte presenza di multinazionali come Veolia e Suez, banche, imprenditori italiani d'assalto, e una gran voglia di crescere sul mercato. "Ormai il sistema idrico non segue piu' la geografia delle montagne ma quella dei pacchetti azionari", dice Emilio Molinari, leader nazionale dei comitati per il contratto mondiale per l'acqua. Il che porta sorprese a non finire. Del tipo: il Fondo pensioni delle Giubbe Rosse canadesi che entra nella Hera e quello delle vedove scozzesi che trova spazio all'interno dell'Iride. E colpi di scena politici: l'Acea guidata a suo tempo dal sindaco Veltroni mette le mani sull'acqua toscana, costruendo nel Centro Italia un potentissimo polo dell'acqua "rossa", ma poi ti arriva Alemanno a sparigliare i giochi, e l'acqua di una regione di sinistra oggi e' in mano alla destra. Anni fa a Firenze sarebbe successo il putiferio. Oggi tutto tace. Motivo? Lo spiega la Commissione Antitrust, che gia' nel 2007 ha individuato nei quattro attori forti i pilastri di una situazione di oligopolio. C'e' un cartello, che ora e' pronto a comprarsi tutto il mercato proprio grazie al "23 bis". Dietro alle Quattro Sorelle esiste lo stesso intreccio finanziario e lo stesso collegamento - rigorosamente bipartisan - con i partiti. I quali, difatti, il 6 agosto hanno votato in perfetta unanimita'. Per questo i sindaci si sentono truffati. "L'acqua e' il nuovo luogo dell'inciucio" ti dicono al bar di Cologno Monzese. Quando i comitati per l'acqua pubblica, sparsi in tutt'Italia, hanno raccolto 400.000 firme e depositato in parlamento nel luglio 2007 una proposta di legge di iniziativa popolare, sia sotto il governo Prodi che sotto quello di Berlusconi non s'e' trovato uno straccio di relatore, nemmeno d'opposizione, capace di esaminare e illustrare la volonta' dei cittadini cosi' massicciamente espressa. La melina del palazzo sul tema dell'acqua e' trasparente, cristallina. Con l'acqua che diventa un pacchetto azionario, c'e' anche il rischio che un bene primario della nazione passi in mani altrui, nel gioco di scatole cinesi della finanza. In Inghilterra e' accaduto: le bollette si pagano a una societa' australiana, che ha triplicato le tariffe. Vuoi protestare per un guasto? Rivolgiti a un operatore agli antipodi. Puo' capitare anche qui. Ormai niente isola piu' l'acqua dai fiumi avvelenati delle finanze che affondano l'economia mondiale, e in molti Paesi si sta correndo ai ripari. Persino in Francia, che pure e' la sede delle multinazionali Suez e Veolia che comprano l'acqua italiana. "Torniamo all'acqua pubblica", proclama il sindaco di Parigi Delanoe, che impernia su questo la campagna elettorale per la riconferma. Anche li' si rivuole l'acqua del sindaco. E che dire della Svizzera e degli Stati Uniti, i Paesi della Nestle' e della Coca-Cola che imbottigliano fonti italiane. Non sono mica scemi: l'acqua e' protetta come fattore strategico e tenuta ben fuori dal mercato. Ormai si stanno muovendo tutti, anche la Chiesa. I vescovi di Brescia e Milano sono intervenuti proclamando il concetto del pubblico bene. La conferenza episcopale abruzzese ha messo per iscritto che l'accesso all'acqua "e' un diritto fondamentale e inalienabile". In Campania e' battaglia dura e la difesa dell'acqua si intreccia nel modo piu' perverso con gli interessi della camorra e l'affare della monnezza. Al Nord, in piena zona leghista, sindaci come Domenico Sella (Mezzane, nella pedemontana veronese) deliberano che l'acqua e' cosa loro, ed e' il perno del rapporto con i cittadini. "Se xe una perdita, la gente me ciama, e mi fasso subito riparar". Piu' chiaro di cosi'. Sul territorio sinistra e destra parlano ormai la stessa lingua. Nelle Marche il presidente della Provincia di Ascoli Massimo Rossi (Rifondazione) spiega che "non si puo' imporre la privatizzazione". E sempre ad Ascoli Paolo Nigrotti, An, presidente della societa' di gestione (tutta pubblica), una delle migliori del Paese, osserva che "la privatizzazione non e' stata gran che in Italia" e va applicata solo la' dove serve. La qualita' costa, ma la puo' garantire anche un pubblico responsabile. Nel Friuli Venezia Giulia, l'ex presidente della Provincia di Gorizia Giorgio Brandolin - uno che ha resistito alle pressioni privatrizzatrici della Regione e ha messo insieme una S.p.a pubblica tutta goriziana che da due anni e mezzo gestisce la rete in modo impeccabile - ora si ritrova capofila dei movimenti anti "23 bis". In Puglia, 38 Comuni e due Province (Bari e Lecce) hanno formato un robusto pacchetto di mischia per la ripubblicizzazione e chiedono a Nichi Vendola una legge regionale che definisca l'acqua "bene privo di rilevanza economica". Ragusa e Messina battono la stessa strada. A Parma e' scesa in piazza pure la gioventu' italiana della Destra di Storace. Succede che di fronte alla bolletta, la gente - toccata nel portafoglio - sta ripescando un concetto passato di moda, quello di bene comune. Nell'acqua il cattolico vede la vita e il battesimo; il nazionalista un bene non alienabile agli stranieri; il leghista l'autogoverno del territorio. Altri vi trovano il benessere, il dono ospitale, la pulizia e la sanita'. "Tutti sentono l'acqua come l'ultima trincea" ammette Rosario Lembo, segretario del Contratto per l'acqua. Tutti vi scoprono un simbolo potente, e quel simbolo e' capace di rompere i giochi del Palazzo con nuove alleanze. Giuseppe Altamore - autore di bei libri-inchiesta sul tema, come "Acqua S.p.a." - osserva che "il vero dramma e' la mancanza di un'authority capace di affrontare l'emergenza di un Paese dove un abitante su tre non ha accesso all'acqua potabile. Quattro ministri se ne occupano, ma intanto nessuno pone rimedio a perdite spaventose e nessuno mette in sicurezza le falde avvelenate. Per esempio l'arsenico oltre il limite a Grosseto e Velletri. E poi il fluoro, i cloriti, i trialometani? Servono formidabili investimenti, o la rete va al collasso". 5. RIFLESSIONE. GUIDO VIALE: AUTOMOBILI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 novembre 2008 col titolo "Sovvenzionare l'auto? No, grazie"] L'automobile ha dominato l'evoluzione economica, sociale, ambientale e culturale del secolo scorso: paesaggi ormai tutti segnati da viadotti, svincoli, nastri di asfalto, stazioni di servizio; vita urbana che trascorre in mezzo a ingorghi e tempi morti e solitudine imposti dal traffico; aria infestata dai miasmi degli scappamenti e dal rombo dei motori e il frastuono dei clacson; salute minata dall'inquinamento e dagli incidenti stradali; bilanci comunali prosciugati dalla gestione di circolazione e servizi di trasporto pubblico imprigionati da auto in sosta e in movimento; bilanci familiari divorati dalla spesa per mantenere una, due, o tre auto. L'auto e' penetrata fin dentro l'immaginario individuale e collettivo e continua a essere l'oggetto dei desideri di chi gia' ce l'ha, di chi non l'ha ancora e di chi non la potra' mai avere; dal primo al quarto mondo. Perche' realizza un sogno antico come il mondo: non essere piu' fante ma cavaliere. Ma l'automobile ha improntato anche l'organizzazione del lavoro del secolo scorso (non a caso e' stata chiamata fordismo) e tutte le strutture sociali e politiche che il fordismo ha prodotto direttamente o reso possibili indirettamente: dequalificazione e parcellizzazione del lavoro; separazione tra esecuzione, direzione e controllo; piena occupazione e alti salari (o quasi) e consumi di massa; welfare state e dilatazione della spesa pubblica. E poi, ipertrofia dei settori a monte della sua produzione: siderurgia, meccanica, elettronica, gomma, ecc.; di quelli impegnati a farla circolare: costruzioni, riparazioni, marketing; e dell'industria del petrolio: prospezioni, estrazione, navigazione e cantieri navali, raffinazione, ecc.. Per tutte queste connessioni l'automobile rischia di essere la palla al piede della irrinunciabile transizione a un mondo che dovra' fare a meno dei combustibili fossili. Palla al piede perche' dal lato del consumo, l'automobile ha da tempo cessato di essere un fattore di sviluppo della mobilita'; da soluzione ne e' diventata il problema principale. Da promessa di liberta' (partire e arrivare quando e con chi si vuole: cioe', dicono le statistiche, per lo piu' da soli) e' diventata ostacolo: ingorghi, inquinamento, costi insostenibili: un rebus di cui trasportisti e assessori non riescono a venire a capo, perche' non hanno coraggio, cultura, o capacita' di "prendere il toro per le corna". Perche' il "toro" non e' il traffico, o la qualita' dell'aria, o la mancanza di parcheggi, sottopassi o semafori "intelligenti", o la larghezza delle strade, ma la proliferazione dei veicoli, che rubano spazio alla vita e alla socialita' e che, anche nell'orizzonte temporale di una politica lungimirante, continueranno ad andare a petrolio, o con derivati dei combustibili fossili. Per mandare avanti una flotta di auto come quella attuale con idrogeno o elettricita' prodotta da centrali nucleari, ce ne vorrebbero altre 5.000; oggi nel mondo ce ne sono meno di 450! E continueranno a emettere gas di serra e particolato: non solo dagli scappamenti, a cui guardano tutti, ma soprattutto per l'attrito di miliardi di ruote contro il fondo stradale, di ganasce sui dischi dei freni e dal continuo sollevamento del pulviscolo prodotto. Dal lato della produzione, l'automobile, nonostante continui a fagocitare tutte o quasi le innovazioni che elettronica, telematica, chimica, fisica, metallurgia, robotica e design le mettono a disposizione, ha cessato da tempo di essere motore di innovazione. Ma e' rimasta con un carico sovrabbondante di lavoratori in produzione e nell'indotto che la corsa alla delocalizzazione e' riuscita solo in parte a ridurre; e con un pugno di "case automobilistiche" che non riescono piu' a far quadrare i bilanci e che oggi, nonostante la contrapposizione tra la "materialita'" delle loro produzioni e la volatilita' dell'alta finanza, rappresentano una minaccia per la stabilita' del sistema anche maggiore di quella provocata dal default di borse, banche, assicurazioni e fondi vari. Cosi' oggi in tutto il mondo, e con tanta piu' arroganza quanto piu' e' stata coccolata e foraggiata nei decenni trascorsi, l'industria dell'auto esige dai bilanci degli stati e, attraverso questi, dai cittadini-contribuenti, un tributo che estragga forzosamente dalle loro tasche una integrazione del fatturato che il cittadino-consumatore non e' piu' in grado di garantire con i suoi acquisti. E' sensato assecondare queste pretese? No. L'automobile e' ormai un pozzo senza fondo e gettarvi sempre nuove risorse non contribuisce ne' a salvaguardare l'occupazione, ne' a promuovere l'innovazione, ne' a migliorare la vita urbana. Perche' le automobili sono ormai troppe: la superficie terrestre e lo spazio urbano non sono piu' sufficienti a ospitarle e a rifornirle di strade e carburante; i redditi privati e i bilanci pubblici sono sempre meno in grado di sostenerne i costi. Ma soprattutto le spese di famiglie, amministrazioni e stati convogliate a sostenere l'industria dell'auto non fanno che sottrarre risorse agli usi alternativi che dovrebbero garantire la transizione all'era post-fossile: innanzitutto all'industria energetica basata su fonti rinnovabili ed efficienza; impianti solari, termici e fotovoltaici, turbine eoliche e marine, pompe geotermiche, cogenerazione diffusa, coibentazione degli edifici: tutte alternative occupazionali e tecnologiche alle attivita' oggi congelate nell'industria automobilistica. Il riassetto del territorio - contenimento del dissesto geologico, riqualificazione di edifici e tessuto urbano, ricostruzione di una rete idrica che dissipa la risorsa piu' preziosa - e' un'alternativa altrettanto valida, per il settore delle costruzioni, alla moltiplicazione di strade e parcheggi per far posto a un traffico che li satura prima ancora che siano completati. Ma il mondo continuera' comunque ad aver bisogno di viaggiare e spostarsi - il diritto alla mobilita' e' da tempo una componente della cittadinanza - e quindi di veicoli: nel trasporto terrestre c'e' bisogno di treni e tram lungo le linee di forza degli spostamenti; e di trasporto flessibile, cioe' di veicoli da condividere (car-pooling, car-sharing, trasporto a domanda, taxi collettivo) negli spostamenti erratici, nelle ore di "morbida", nelle aree a bassa densita' abitativa, nelle attivita' saltuarie che lo richiedono. Anche questo e' un settore che assorbe investimenti e occupazione sia nella produzione di veicoli che nella gestione dei servizi. Pensare che una transizione del genere possa essere affidata alla "mano invisibile" del mercato, scongiurando un intervento diretto dei poteri pubblici senza destinare ai settori chiave della transizione all'era postfossile le risorse da mobilitare per far fronte alla crisi e' pura utopia, o grave irresponsabilita'. Eppure gli stati maggiori del liberismo, a partire dall'"Economist", tetragoni nelle loro statuizioni persino di fronte al fragoroso collasso dei mercati, ci ripetono che gli incentivi destinati alle energie rinnovabili "distorcono il mercato". Ma di fronte al disastro che incombe, per non affondare insieme all'auto, non c'e' forse bisogno proprio di una "distorsione" del genere? 6. RIFERIMENTI. PER CONTATTARE IL COMITATO CHE SI OPPONE ALL'AEROPORTO DI VITERBO Per informazioni e contatti: Comitato contro l'aeroporto di Viterbo e per la riduzione del trasporto aereo: e-mail: info at coipiediperterra.org , sito: www.coipiediperterra.org Per contattare direttamente la portavoce del comitato, la dottoressa Antonella Litta: tel. 3383810091, e-mail: antonella.litta at libero.it Per ricevere questo notiziario: nbawac at tin.it =================== COI PIEDI PER TERRA =================== Supplemento de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 139 del 29 novembre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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