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Minime. 641
- Subject: Minime. 641
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 16 Nov 2008 01:56:05 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 641 del 16 novembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Annamaria Rivera: La regola del rogo 2. Roberto Carnero intervista Orhan Pamuk 3. Nuccio Ordine intervista Jean Starobinski 4. Paolo Perazzolo intervista Jose' Saramago 5. Marina Forti: La nuvola 6. Riedizioni: Denis Diderot, Scritti politici 7. Riedizioni: Soeren Kierkegaard, Aut-aut [estratto], Timore e tremore, La malattia mortale, Don Giovanni [altro estratto da Aut aut] 8. Riedizioni: Isaac Newton, Principi matematici della filosofia naturale 9. L'agenda "Giorni nonviolenti 2009" 10. L'Agenda dell'antimafia 2009 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: LA REGOLA DEL ROGO [Ringraziamo Annamaria Rivera (per contatti: annamariarivera at libero.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul quotidiano "Il manifesto" 14 novembre 2008 col titolo "Quel rogo e' nella regola"] Andrea, dicono, viene da Taranto. Citta' magnifica e infelice, ricca di tesori e di storia, bagnata da due mari e inquinata da mafie e diossina. Che ha pagato la corsa verso il progresso industriale con la decadenza, la poverta', le morti di lavoro e di cancro. Non si sa quando e perche' sia fuggito da Taranto per rifugiarsi in un'altra citta' di mare: piu' civile e prospera, avra' pensato. Forse quando e' partito aveva in mente la Rimini vacanziera e allegra, accogliente e ben amministrata. Clochard mite, inoffensivo, perfino benvoluto, dicono, Andrea non aveva considerato che i tempi cambiano e cosi' le citta'. Che il cancro dell'odio verso chi non corrisponde alla propria normale mediocrita' rancorosa si diffonde piu' veloce e pervasivo del cancro diffuso dai fumi dell'Ilva. Andrea dormiva il sonno dell'ingenuo: per quanto fosse un marginale, non sapeva di appartenere a quell'indistinta alterita' che rende esposti alla violenza razzista e al pogrom. E' stato cosparso di benzina e bruciato mentre mitemente dormiva su una panchina. Se riuscira' a sopravvivere, potra' stare tranquillo: e' vero, non potra' piu' avere l'iscrizione anagrafica a Rimini o altrove, ma sara' schedato dal ministro dell'interno in un apposito registro dei senza fissa dimora. Se gli capitera' ancora d'essere cosparso di benzina e bruciato, sara' riconosciuto subito. Sempre che prima non sia internato in un lager per senzatetto. Non e' da escludere, infatti, che il ministro dell'interno abbia in mente di diversificare le strutture d'internamento per i fuori-norma: centri d'identificazione ed espulsione per migranti, che potranno essere ospitati fino a diciotto mesi, ma anche centri di rieducazione per clochard, rom, prostitute, matti, drogati, mendicanti, writers, bevitori notturni di birra... Forse, se riuscira' a sopravvivere, Andrea avra' la fortuna di trovare un buon samaritano che gli offrira' un alloggio. Dovra' essere ricco, per predisporgli un appartamento decoroso: se no, niente idoneita' alloggiativa, niente iscrizione anagrafica, dunque l'alternativa fra la panchina e il centro di rieducazione. Ma la panchina diventera' ancor piu' rischiosa: ci saranno in giro non solo piromani sadici e razzisti ma anche ronde, piu' o meno padane, legalizzate dal ministro dell'interno. Dovra' stare attento Andrea: e' possibile che le ronde legalizzate pratichino anch'esse la piromania. E' vero, non e' la prima volta che si bruciano barboni, campi rom e tendopoli, anzi e' quasi una tradizione nazionale. Oggi la tradizione e' legittimata da un quadro legislativo, ma anche politico e sociale, idoneo: se i barboni e gli "zingari" sono schedati e i figli degli "altri" segregati a scuola in classi speciali, se i migranti irregolari non potranno sposarsi o riconoscere i propri figli, ne' ricevere e inviare denaro, se chi non e' benestante, integrato, parlante un italiano perfetto non avra' diritto a uno status legale, non e' forse perche' tutti questi fuori-norma sono in realta' dei sottouomini? 2. RIFLESSIONE. ROBERTO CARNERO INTERVISTA ORHAN PAMUK [Dal mensile "Letture", n. 631, novembre 2006, col titolo "Pamuk: Il mio Oriente, oltre i luoghi comuni" e il sommario "Poco prima di ricevere il Premio Nobel per la Letteratura, l'autore turco era giunto in Italia per la consegna del Premio Napoli 2006. E' stata l'occasione per questa intervista sul suo ultimo libro, dove racconta la sua citta', Istanbul"] Una volta tanto, il Nobel e' andato secondo pronostico. L'ha vinto il turco Orhan Pamuk, scrittore capace di incarnare l'anima melanconica della sua citta', grazie alla quale "ha scoperto nuovi simboli per il contrasto e l'intreccio delle culture", secondo la motivazione espressa dall'Accademia svedese. Nato a Istanbul nel 1952, Orhan Pamuk e' stato, negli anni Ottanta, l'autore rivelazione della nuova narrativa turca. Nella sua rilettura della storia ottomana e nella capacita' di legare la tradizione letteraria occidentale con quella orientale risiedono le ragioni che ne fanno il pii' alto rappresentante della letteratura postmoderna in Turchia. Autore di sette romanzi, con il suo ultimo libro, Istanbul (traduzione di Semsa Gezgin, Einaudi, 2006, pp. 392, euro 18,50), e' entrato nella terna di narrativa straniera dei vincitori del Premio Napoli 2006: il suo passaggio in Italia e' stato l'occasione per intervistarlo quando ancora non era giunta da Stoccolma la felice notizia. * - Roberto Carnero: Signor Pamuk, qual e' l'obiettivo che si era prefissato scrivendo questo libro? - Orhan Pamuk: Volevo innanzitutto scrivere un libro sulla mia citta', sulla sua storia, sulle sue stratificazioni. Istanbul e' una citta' metamorfica, che si trasforma continuamente, reinventando ogni volta la propria identita'. Ma, facendo questo, ho anche voluto raccontare un protagonista dai tratti fortemente autobiografici. * - Roberto Carnero: Scrivere un libro sulla propria citta' cambia il rapporto con essa? - Orhan Pamuk: Istanbul e', di per se', un luogo ideale per la nostalgia, ma questo non e' un libro nostalgico. Quando ho deciso di scrivere su Istanbul, mi e' tornata utile una distinzione di Walter Benjamin, per il quale i libri sulle citta' andavano suddivisi in due categorie: quelli scritti da coloro che vengono da fuori, che non appartengono a quel luogo, e che dunque coltivano uno sguardo "esotico", e quelli scritti dagli abitanti del posto. Questi ultimi tendono a diventare spesso libri di memorie. Io ho voluto mescolare questi due approcci. Percio' avrei potuto parlare un po' di tutto, percorrere la citta', dialogare con il maggior numero possibile di persone, e poi riferirne sulla carta. Ma cosi' non sarebbero bastate un milione di pagine. Ho invece preferito trovare un centro al mio discorso: i sentimenti che la citta' risvegliava in me. Dunque si tratta di un libro sulle emozioni che Istanbul e' in grado di suscitare, in me, ma probabilmente non solo in me. * - Roberto Carnero: Come mai ha deciso di inserire delle fotografie? - Orhan Pamuk: Volevo che ci fossero queste immagini, perche' il libro e' fatto di scene e di pensieri su cosa rende speciale un luogo, un paesaggio. Anche la scrittura e' molto visiva e le foto integrano in maniera fondamentale la narrazione. Non e' un caso che le fotografie non siano accompagnate da alcuna didascalia, perche' sono strettamente legate al testo stesso. Poi a ispirarmi c'era tutta la tradizione dei libri di memorie, nei quali e' tradizionale il ricorso alle fotografie. La parte piu' difficile del lavoro non e' stata tanto quella di amalgamare il testo con le foto, quanto il fatto di voler mettere insieme due punti di vista: quello dell'autore bambino all'eta' di 7-8 anni e quello dell'autore cinquantenne che oggi, di fatto, ha scritto il libro. Quest'ultimo, lo scrittore maturo, non puo' prescindere dalle sue conoscenze filosofiche, antropologiche, storiche, letterarie. Il che determina uno sguardo piu' complesso di quello, ingenuo, del ragazzo di un tempo. Il segreto della scrittura, dico di una scrittura riuscita, risolta, e' che tu autore sei come un direttore d'orchestra: hai tanti strumenti, tanti suoni, e devi armonizzarli, farne un tutt'uno gradevole all'udito. Cosi' questa volta, nella fattispecie, ho dovuto intrecciare in maniera efficace e delicata questi due punti di vista. * - Roberto Carnero: Ci sono, secondo lei, alcune citta' predestinate a diventare libro? - Orhan Pamuk: Quando ho deciso di scrivere questo libro su Istanbul, ho iniziato a documentarmi sui volumi scritti su varie citta' del mondo. Ne ho acquistati alcuni tramite internet, altri li ho visti nelle biblioteche, anche se poi a un certo punto ho deciso di interrompere questa ricerca, perche' mi sono reso conto che mi avrebbe portato troppo lontano. Tuttavia mi sono reso conto che a interessarmi sono soprattutto quelle citta' che presentano, per cosi' dire, le rovine della modernita'. In altre parole sono particolarmente affascinato dalle citt' segnate dall'impronta del moderno, ma ormai in decadenza. Potrei fare gli esempi di Calcutta o del Cairo. E anche Istanbul e' una di queste. Perche' e' stata la capitale di un impero e tutta la ricchezza del Medio Oriente e dei Balcani e' arrivata li', ma gia' quando io ero un ragazzino era praticamente in rovina. Quando Flaubert venne a Istanbul 150 anni fa, disse che, in capo a un secolo, essa sarebbe diventata la prima citta' del mondo. Flaubert si sbagliava, poiche' e' accaduto proprio il contrario. Istanbul ha avuto uno splendido passato, ma poi la storia se ne e' andata da un'altra parte. Quando ero ragazzo nessuno a Istanbul si curava di preservare le costruzioni, le architetture, i monumenti di questo passato di splendore. Non c'era neanche l'attenzione al turismo che c'e' oggi. Ecco, c'era questa citta', c'erano i miei ricordi, ma non esisteva un libro su una citta' come quello che ho cercato di scrivere. * - Roberto Carnero: Eppure lo stesso Walter Benjamin, che prima lei citava, ha fatto qualcosa di simile nei suoi celebri Passages... - Orhan Pamuk: Si', ci sono di certo delle analogie, ma il mio libro e' decisamente meno ambizioso di quello di Benjamin, che infatti e' incompiuto. Quello di Benjamin voleva essere un inventario di tutto l'inventariabile. A me, invece, interessava capire, in un modo che potremmo definire "lirico", quali sensazioni e quali echi puo' produrre una citta'. * - Roberto Carnero: C'erano dei luoghi comuni dell'immaginario occidentale su questa citta' che ha inteso smontare nel suo libro? - Orhan Pamuk: Noi turchi non amiamo molto quell'"orientalismo" di maniera sviluppato dagli occidentali a proposito dell'Oriente, quando una citta' come Istanbul era tappa obbligata dei "grand tour" che per giovani nobili e intellettuali era tradizione compiere. Ma poiche' la Turchia non e' mai stata colonia di una potenza occidentale, non ci sentiamo piu' di tanto vittima di questi stereotipi. Allo stesso tempo, specularmente, non abbiamo mai sviluppato i fantasmi e le visioni che l'Oriente ha avuto dell'Occidente. * - Roberto Carnero: Un suo romanzo di qualche anno fa, Il castello bianco, raccontava la storia, ambientata nel XVII secolo, del rapporto di amicizia tra un gentiluomo veneziano e un astronomo turco: quasi una metafora del rapporto tra Oriente e Occidente. Un confronto e un dialogo sereno sono possibili anche oggi? - Orhan Pamuk: Non c'e' altra strada da percorrere, continuare a dialogare e' doveroso. Per farlo dobbiamo far cadere certe ipoteche religiose che rischiano di creare contrapposizione. Parlo dell'integralismo islamico, ma anche di quello cristiano di Bush. O meglio: di fondamentalismi politici che si rivestono di motivazioni fideistiche. Del resto va sfatato un luogo comune: che l'Oriente si identifichi con l'islam e l'Occidente con il cristianesimo. 3. RIFLESSIONE. NUCCIO ORDINE INTERVISTA JEAN STAROBINSKI [Dal "Corriere della sera" del 15 novembre 2008 col titolo "Starobinski: Un testo e' una voce che ci parla; una critica troppo tecnica lo uccide" e il sommario "Incontri. Alla vigilia degli 88 anni, lo studioso ripercorre le tappe della sua carriera e dimostra come competenza e eclettismo non siano antitetici"] "Avevo sedici anni quando mio padre mi regalo' per il compleanno la Pleiade degli Essais di Montaigne con la prefazione di Albert Thibaudet. Fu un incontro che lascio' un segno profondo. Da allora la letteratura mi ha accompagnato per tutta la vita". Jean Starobinski, una delle voci piu' importanti e originali della critica letteraria contemporanea, festeggera' lunedi' il suo ottantottesimo compleanno. In sessant'anni di febbrile attivita', i suoi celebri saggi su Montaigne, Baudelaire, Rousseau, Montesquieu, Diderot gli hanno procurato prestigiosi premi (Institut de France, Balzan, Goethe) e numerose lauree honoris causa (l'ultima, il prossimo 19 dicembre, dall'Orientale di Napoli). L'appuntamento con il critico ginevrino e' nel suo nuovo appartamento di Avenue Champel, a Ginevra. "Ho vissuto - dice sorridendo - in un ambiente dominato dall'interesse per la medicina e per la letteratura. Mio padre, mia madre e mia zia erano medici. Ma in casa non arrivavano solo le riviste scientifiche. I miei genitori erano anche abbonati alla 'Nouvelle Revue Francaise' che mi ha fatto precocemente conoscere i lavori di Gide, Riviere, Thibaudet". E proprio lungo questo doppio binario scientifico e umanistico, Starobinski (affettuosamente chiamato Staro' dagli amici e dagli allievi) compie il suo percorso di formazione. Prima la laurea in Lettere classiche a Ginevra nel 1941 e poi quella in Medicina nel 1951. "Dopo la laurea in Lettere mi resi conto che non c'erano buone prospettive di lavoro. Cosi', incoraggiato anche dalla mia famiglia, decisi di iscrivermi a Medicina. E quando nel 1946 divenni assistente di Marcel Raymond continuai i miei studi di psichiatria, indirizzandomi pero' verso la storia delle scienze. Alla John Hopkins University, infatti, insegnavo letteratura francese e frequentavo i corsi di due maestri, Temkin e Edelstein, presso l'Istituto di Storia della medicina. Poi Georges Bataille e Eric Weil mi chiesero di collaborare a 'Critique' con una serie di saggi in cui mettevo a frutto le mie competenze scientifiche e letterarie". Non a caso Starobinski, nel corso della sua lunga carriera, ha attraversato in lungo e in largo le piu' diverse discipline, utilizzando strumenti della psicoanalisi e della linguistica, della filosofia e dello strutturalismo, della fenomenologia e della storia delle scienze. Ma si e' trattato di un dialogo che non ha mai generato la scelta esclusiva di un metodo. "Ho sempre cercato di piazzarmi nel movimento dei diversi orientamenti della ricerca. Il critico deve prestare molta attenzione alle trasformazioni delle conoscenze. Deve saper ascoltare il dibattito sui metodi e sulle idee, cercando di appropriarsi di cio' che puo' essere utile al suo lavoro di indagine". Ma l'attitudine all'ascolto e l'attenzione alle "variazioni" - coltivate, probabilmente, sin dalla giovinezza anche nella sua passione per la musica e per il pianoforte - hanno soprattutto guidato il rapporto che Starobinski, volta per volta, ha intrecciato con i classici di cui si e' occupato. "Per prima cosa bisogna accogliere il testo cosi' com'e' e, soprattutto, saperlo ascoltare, perche' un testo e' una voce che ci parla. In esso c'e' qualcosa di immediatamente ricevibile: il sistema delle immagini, dei ritmi, delle rime e la stessa materialita' del linguaggio. Il testo ci interroga, ci domanda di rendergli giustizia riconoscendo la sua direzione, la tensione di fondo che lo anima. Si crea una sorta di va e vieni tra una ricezione generosa, accogliente, interrogativa e, successivamente, un'iniziativa che bisogna prendere poiche' non possiamo accontentarci di essere passivamente l'eco del testo. Spetta al critico, insomma, avere un progetto e sapere dove vuole andare una volta che ha accolto il testo. E, in questa fase, l'individuazione di un tema, di un motivo, di un'immagine puo' essere determinante per interrogare un'opera o una serie di opere. Devo molto a Marcel Raymond e a Georges Poulet". Per Starobinski, insomma, l'analisi dello specifico testuale, della sua forma, deve essere sapientemente coniugata con l'analisi dei contenuti. La letteratura non puo' essere considerata come un universo chiuso in se', come autoreferenziale: essa ci parla sempre e comunque del mondo, raccontando i sentimenti e le contraddizioni che animano il genere umano. "Nessuno vuole negare che la letteratura ha sempre avuto relazioni con la letteratura precedente e che essa cerca di costituirsi come un corpo indipendente. Ma questo non significa che la letteratura designi solo se stessa. Essa e' sempre in rapporto con la realta' anche quando esprime un rifiuto del mondo. Non ci puo' essere letteratura senza lettori e senza una relazione tra lo scrittore e suoi lettori. Percio' non sono stato mai tentato dall'idea di autoreferenzialita' della letteratura, un modello che non mi pare abbia prodotto risultati significativi". Il critico ginevrino esprime anche preoccupazione per gli eccessi di specialismo. La sua doppia formazione lo ha sempre incoraggiato a superare i limiti dei ristretti perimetri disciplinari per abbracciare i saperi piu' diversi. "Un eccesso di specializzazione puo' rendere incomprensibile il nostro lavoro: un critico deve essere sufficientemente istruito nei singoli domini e, nello stesso tempo, pero' capace di filtrare e decantare ogni forma estrema di tecnicismo. Se la critica diventa fine a se stessa (il sapere per il sapere) si corre il pericolo di uccidere la letteratura. Ma la stessa preoccupazione riguarda altre discipline: i filosofi analitici non rischiano di uccidere la filosofia?". Le pagine esemplari che Starobinski ha dedicato alla malinconia testimoniano la ricerca di un equilibrio tra letteratura e medicina. Nel corso dei secoli la stessa parola ha significato cose opposte: il genio energico e fantasioso in preda all'ispirazione creatrice e il malato apatico in preda ai pensieri di morte. "Si tratta di un tema affascinante cui ho dedicato la mia tesi di Medicina quando diventai psichiatra. In quegli anni c'era molta attenzione per la depressione e per le cure chimiche che si andavano sperimentando. Partendo dagli studi di Panofsky, Saxl e Klibansky ho ripercorso la storia della malinconia nei testi letterari e nei trattati di medicina fino all'Ottocento". "L'insegnamento - conclude il critico - mi manca. Ma i progetti da portare a termine riempiono tutta la mia giornata. Sto risistemando una serie di saggi su Diderot e Rousseau. E poi vorrei realizzare un libro su un tema che mi attrae tantissimo: la descrizione nei testi letterari di una giornata tipo". 4. RIFLESSIONE. PAOLO PERAZZOLO INTERVISTA JOSE' SARAMAGO [Dal mensile "Letture", n. 626, aprile 2006, col titolo "Jose' Saramago: la morte e' parte della nostra vita" e il sommario "Nobel per la Letteratura nel 1998, nell'ultimo romanzo lo scrittore portoghese affronta, con la solita verve ironica, il tabu' della morte, approdo definitivo di ogni essere umano ma anche epilogo che da' senso al corso dell'esistenza"] C'e' qualcosa di invidiabile in Jose' Saramago, e non alludiamo al fatto che e' uno degli scrittori piu' amati del Portogallo e dell'Europa intera, e nemmeno al prestigioso Premio Nobel per la Letteratura che gli e' stato assegnato nel 1998, bensi' a quell'ammirevole lucidita' intellettuale, accompagnata da una buona salute fisica, che lo distingue ancora oggi, all'eta' di ottantatre' anni. Un'eccellente forma psicofisica che solo pochi mesi fa si e' tradotta nell'uscita, quasi contemporanea, di ben due nuovi libri: Le intermittenze della morte (Einaudi, 2005, pp. 205, euro 17) e, fatto ancora piu' sorprendente, la prima fiaba della sua pur lunghissima carriera di scrittore, Il piu' grande fiore del mondo (Fanucci, 2005, pp. 32, euro 12,50). Se l'autore de L'anno della morte di Ricardo Reis e di Cecita' - probabilmente il suo capolavoro - confessa di non essere capace di scrivere favole e di essersi lasciato convincere solo dopo molte insistenze, del suo ultimo romanzo parla invece come di un testamento spirituale e letterario: "Forse ha segnato l'avvento del giorno in cui non ho piu' nulla da dire". Ragione in piu' per riflettere, con lui, sul significato di un libro che pone al centro il tema della morte e sui motivi che hanno attraversato il suo intenso cammino letterario. Senza rinunciare alla sua proverbiale verve ironica, ovviamente. * - Paolo Perazzolo: Ha scritto un romanzo sulla morte, un argomento tabu' nella nostra societa', dominata dall'ossessione dell'eterna giovinezza... - Jose' Saramago: La paura della morte esiste da sempre e sempre esistera', ma e' un timore per lo meno curioso, visto che abbiamo la certezza che si tratta di una minaccia che sicuramente si avverera'. In realta', piu' della morte temiamo e fuggiamo la vecchiaia. Grazie alla chirurgia estetica si coltiva l'illusione di poter rinviare la fine della nostra vita: viviamo in un'epoca che fa di tutto per allontanare la morte dalla nostra esperienza, per esempio eliminando i vecchi dal nostro paesaggio visivo e confinandoli nelle "dimore del felice occaso", vale a dire gli ospizi. Per loro la morte comincia li', in quel regno di invisibilita'. * - Paolo Perazzolo: Che cosa ha significato per lei questo confronto letterario con un tema cosi' delicato? - Jose' Saramago: Della morte non so nulla piu' di quanto non sapessi prima di scrivere il libro. E d'altra parte, una volta morto, non potro' tornare indietro per svelarvi di che cosa si tratta... * - Paolo Perazzolo: Perche' ha identificato la morte con un personaggio femminile? - Jose' Saramago: In portoghese, come d'altra parte in italiano, la parola "morte" e' femminile. Lo sviluppo della trama, poi, esigeva l'introduzione di una figura femminile. E' vero che all'inizio la morte e' un meccanismo impersonale, poi invece si personifica: in questo modo volevo ricordare che la morte non e' un'entita' astratta, ma e' sempre personale, e' la mia, tua morte. Da quando nasciamo, ci portiamo sempre dentro la nostra personale morte. Attenzione, pero': Le intermittenze della morte e' un libro sulla vita... * - Paolo Perazzolo: In che senso? - Jose' Saramago: Noi ci ostiniamo a separare la vita dalla morte, ma non e' possibile. Viviamo per morire e non vivremmo se non ci fosse la morte: quest'ultima da' significato al nostro tempo. * - Paolo Perazzolo: Nei suoi ultimi libri i personaggi e i luoghi non hanno nome: perche'? - Jose' Saramago: Da Cecita' in poi ho rinunciato a nominare luoghi e persone, ma non per una pretesa di universalita', come si potrebbe credere, ma semplicemente perche' i nomi non hanno alcuna importanza, sono un dettaglio del tutto trascurabile. * - Paolo Perazzolo: Da Cecita' in poi lei sembra anche avere adottato uno schema narrativo fisso. - Jose' Saramago: E' cosi': parto da un'ipotesi assurda, paradossale, e la porto alle sue estreme conseguenze, chiedendo al lettore di seguirmi in questa "follia". In Cecita' avevo immaginato che tutti gli abitanti di una citta' perdessero la vista, mentre nelle Intermittenze della morte immagino che la morte smetta all'improvviso di uccidere... E' un buon metodo per studiare i comportamenti umani. Ad ogni modo, fra l'idea originaria, da cui scaturisce un libro, e il suo svolgimento, ci sono migliaia di possibili percorsi: il percorso che scelgo si manifesta gradualmente ed e' esattamente quello che diventera' il romanzo. Le parole si richiamano l'un l'altra, possiedono una loro logica interna. * - Paolo Perazzolo: La motivazione del Nobel che le e' stato assegnato nel 1998 recita: "Con parabole portatrici di immaginazione, compassione e ironia rende costantemente comprensibile una realta' sempre fuggitiva". Lei non ha mai nascosto il suo ateismo, in che cosa consiste allora questa "realta' sempre fuggitiva"? E' forse la musica, che nell'ultimo romanzo sembra avere un ruolo salvifico? - Jose' Saramago: Non credo che vi sia una possibilita' di salvezza metafisica per l'uomo, nemmeno la musica lo e'. Non a caso inizio e fine del romanzo coincidono - "Il giorno seguente non mori' nessuno" -, a indicare che tutto si ripete. Quanto alla musica, e' una mia grande passione, fin da bambino, quando riuscivo ad assistere alle opere liriche grazie al bigliettaio del teatro di Lisbona, che era amico di mio padre e mi faceva entrare gratuitamente. * - Paolo Perazzolo: Uno dei tratti fondamentali della sua opera e' la critica della societa' attuale, delle sue istituzioni, delle sue assurdita', delle profonde disuguaglianze che la percorrono... - Jose' Saramago: L'arroganza del potere e dei potenti e' stata un mio bersaglio costante. Nei miei libri ha assunto denominazioni diverse, fino a quello finale di maphia (questa la grafia usata nel testo originale portoghese, ndr): e' chiaro che non mi riferisco alla mafia siciliana o calabrese, ma alla criminalita' organizzata che esiste in ogni parte del mondo e che, attraverso la droga e la prostituzione, gestisce enormi flussi di denaro. E' il simbolo dei poteri perversi che governano il mondo. * - Paolo Perazzolo: Una volta ha detto: non sono io a essere pessimista, e' il mondo che e' pessimo. - Jose' Saramago: Come sa, vivo a Lanzarote, nelle Canarie: se penso che le miglia che separano casa mia dalla Mauritania sono il cimitero di migliaia di uomini, morti annegati mentre cercavano una vita migliore, che se anche fossero approdati da qualche parte avrebbero trovato rifiuto e ostilita', come posso essere ottimista? Per questo sono e resto geneticamente comunista. * - Paolo Perazzolo: Nel libro lei cita Montaigne, un pensatore che le risulta profondamente congeniale... - Jose' Saramago: Lo sento molto affine. Credo che non si considerasse un filosofo, come certo non lo sono io: era un uomo curioso, che amava occuparsi di tutto, ironico. Posso dire di essere affascinato dalla speculazione di Wittgenstein, ma non sono sicuro di comprenderlo fino in fondo. Montaigne, al contrario, parla e scrive chiaro, e' accessibile a tutti, anche ai bambini. 5. MONDO. MARINA FORTI: LA NUVOLA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 novembre 2008 col titolo "La subdola nuvola nera"] La nuvola nera e' tornata. O meglio, non era mai scomparsa: anzi, da quando e' stata per la prima volta osservata alla fine degli anni '90 si e' estesa, e ormai copre dalla Penisola arabica al Mar giallo. Stiamo parlando della spessa coltre di smog chiamata Asian Brown Cloud (Abc). Giovedi' a Pechino il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente (Unep) ha diffuso un nuovo rapporto scientifico su questo fenomeno, il secondo in pochi anni. In primo luogo descrive la "nuvola": uno strato di particelle tossiche, polveri sottilissime e gas prodotto dall'insieme dei veicoli a motore, industrie, agricoltura taglia-e-brucia su larga scala, milioni di focolai domestici che bruciano carbone o sterco secco - su una regione che va dall'Asia meridionale (il subcontinente indiano) al sud-est asiatico alla Cina, zone densamente popolate e con gigantesche aree urbane e insediamenti industriali in espansione. Questa massa di emissioni e' tossica: contiene tra l'altro ossidi di azoto, monossido di carbonio, anidride solforosa e centinaia di gas acidi e organici. Polveri e particelle gassose si accumulano nell'atmosfera; a secondo delle condizioni atmosferiche la nuvola ristagna piu' o meno, ma e' sempre presente, con uno spessore medio di tre chilometri. Il rapporto diffuso a Pechino (Atnospheric brown clouds: regional assessment repost with focus on Asia) e' il frutto del lavoro di un team internazionale di scienziati di universita' e istituti di diversi paesi (Cina, India, Giappone, Corea, Singapore e Thailandia oltre a diversi paesi europei e agli Usa) presieduto dal professor Veerabhadran Ramanathan, dell'Istituto di oceanografia di La Jolla, California. Questo studio conferma quanto aveva osservato una prima ricerca di Ramachandran. La combinazione di gas di serra (che riscaldano l'atmosfera terrestre e modificano il clima) e della nuvola inquinante ha un effetto subdolo, e questa e' forse l'osservazione piu' allarmante che si puo' trarre dal rapporto dell'Unep. La nuvola scura assorbe molta della luce del sole, e cos i' abbassa la temperatura sulla superfice terrestre: la Asian Brown Cloud di fatto "maschera" il riscaldamento globale dell'atmosfera, in quantita' stimata tra il 20 e l'80% secondo le zone. In altri termini, gli scienziati stimano che se quella nuvola scomparisse oggi, la temperatura terrestre salirebbe di circa 2 gradi centigradi in media - cioe' oltre la soglia di rischio per il pianeta. La nuvola pero' minaccia direttamente la salute di centinaia di milioni di persone: in citta' come Pechino e Shanghai, New Delhi in India o Karachi in Pakistan assorbe tra il 10 e il 25% della luce. Sono solo alcune delle 13 mega citta' "punti caldi" della nuvola (tra cui Tehran, Calcutta, Mumbai, Shenzen...). L'impatto sulla salute umana e' evidente: nel rapporto si stima che 340.000 morti all'anno nelle sole Cina e India siano attribuibili a malattie respiratorie e cardiovascolari dovute all'inquinamento atmosferico esterno. La nuvola inoltre modifica gli equilibri atmosferici in Asia meridionale, dove le piogge monsoniche sono diminuite negli ultimi decenni, in Cina meridionale dove aumenta la frequenza di alluvioni, o nel nord cinese dove aumenta la siccita'. Ha un impatto diretto sull'agricoltura (sia perche' meno radiazioni solari arrivano a terra, sia perche' aumenta la concentrazione di ozono): lo studio stima che i raccolti possano diminuire fino al 40%. Gli autori del rapporto sperano di suonare un allarme: siamo di fronte alla "minaccia combinata dei gas di serra e della nuvola scura, e dello sviluppo insostenibile che sta all'origine di entrambi". 6. RIEDIZIONI. DENIS DIDEROT: SCRITTI POLITICI Denis Diderot, Scritti politici, Utet, Torino 1967, 1980, Istituto Geografico De Agostini, Novara 2008, Mondadori, Milano 2008, pp. 780, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Furio Diaz, una ormai classica raccolta di scritti politici diderotiani. Diderot e' sempre stato il nostro illuminista preferito, ed il miglior maestro. 7. RIEDIZIONI. SOEREN KIERKEGAARD: AUT-AUT [ESTRATTO], TIMORE E TREMORE, LA MALATTIA MORTALE, DON GIOVANNI [ALTRO ESTRATTO DA AUT AUT] Soeren Kierkegaard, Aut-aut [estratto], Timore e tremore, La malattia mortale, Don Giovanni [altro estratto da Aut aut], Mondadori, Milano 2008, pp. VI + 662, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). Caviamoci subito questo dente: in questa raccolta si ripropongono anche due vasti estratti da Aut aut apparsi a suo tempo e piu' volte in volumi a se' stanti dando luogo a notissimi equivoci; il primo testo corrisponde alla sezione "L'equilibrio tra l'estetico e l'etico nell'elaborazione della personalita'" che nella traduzione integrale di Aut aut curata da Alessandro Cortese per Adelphi col titolo Enten-Eller (che e' quello originale) e' alle pp. 17-249 del tomo quinto (Adelphi, Milano 1989), l'ultimo (la celeberrima meditazione sul Don Giovanni di Mozart) corrisponde alla sezione "Gli stadi erotici immediati, ovvero il musicale-erotico" (alle pp. 105-213 del tomo primo di Enten-Eller, Adelphi, Milano 1976 - ma noi abbiamo sotto gli occhi la terza edizione riveduta del 1987). Accompagnano questi due ampi estratti e le traduzioni integrali di Timore e tremore e de La malattia mortale, alcuni scritti introduttivi di Remo Cantoni, Furio Jesi e Filippo Gentili. Amava dire il nostro vecchio amico Annibale Scarpone: "Kierkegaard non di rado e' pedante nella sua programmatica antipedanteria, e nel suo esibire maschere che nascondono altre maschere e' talvolta stucchevole. Ma quando affonda la lama ogni volta ferisce fino a raschiare l'osso, e ti legge l'anima come solo Dostoevskij sa fare. Ed io sono uno di quelli che quando ancora si discuteva sul marxismo-leninismo con o senza trattino (per non dir dell'aggiunta del 'pensiero di Mao-Tse-Tung') amava invece solitamente dirsi marxista e leopardiano, ma nei momenti di malumore 'marxiano-kierkegaardiano', affinche' il secondo termine rovesciasse il primo in una dialettica in cui l'astratto giammai prevalesse sul concreto, la falsa coscienza sulla persona in carne ed ossa, l'universale sul singolo, la visione potente e metuenda della totalita' sulla creaturale solitudine e straziata della nuda persona - e tu soccorrila. Lessi Kierkegaard attraverso Kafka cosi' come Marx attraverso Leopardi e tutti insieme attraverso Hannah Arendt e Simone Weil, e poi anche Virginia Woolf. E fu una buona scuola". Il nostro vecchio Annibale Scarpone, quante ne racconta, e chi lo capisce e' bravo. 8. RIEDIZIONI. ISAAC NEWTON: PRINCIPI MATEMATICI DELLA FILOSOFIA NATURALE Isaac Newton, Principi matematici della filosofia naturale, Utet, Torino 1965, 1989, Mondadori, Milano 2008, pp. 814, euro 12,90 (in supplemento a vari periodici Mondadori). A cura di Alberto Pala, il capolavoro di Newton, un classico del pensiero scientifico e non solo. D'accordo, molte pagine sono noiose, ma altre sono splendide (splendide anche di poesia, se ci e' consentito rivelare questo segreto che a molti sembrera' incredibile), e almeno quelle meritano la fatica della lettura di questo libro tanto citato quanto misconosciuto. Noi primieramente lo accostammo nella vecchia antologia curata da Federigo Enriques e Umberto Forti, ma come proprio Enriques li' consigliava, va letto nella sua integralita' - e sempre abbiamo nell'animo amato rivolgere il pensiero, ed il piacere pregustato, di un giorno leggercelo anche infine nell'originale latino (e sia pure di un latino tutt'altro che classico) lieti centellinandocelo ancora, quando saremo vecchi e saggi e sfaccendati (ma dubitiamo che possa mai avverarsi per noi non solo questa felice combinazione, ma finanche una sola di queste fauste tre condizioni, che dalla gioventu' subito precipitammo nella decrepitezza - e quanto a saggezza e tempo libero dalla nere ed egre cure, ebbene, lasciamo perdere). 9. STRUMENTI. L'AGENDA "GIORNI NONVIOLENTI 2009" Dal 1994, ogni anno le Edizioni Qualevita pubblicano l'agenda "Giorni nonviolenti" che nelle sue oltre 400 pagine, insieme allo spazio quotidiano per descrivere giorni sereni, per fissare appuntamenti ricchi di umanita', per raccontare momenti in cui la forza interiore ha avuto la meglio sulla forza dei muscoli o delle armi, offre spunti giornalieri di riflessione tratti dagli scritti o dai discorsi di persone che alla nonviolenza hanno dedicato una vita intera: ne risulta una sorta di antologia della nonviolenza che ogni anno viene aggiornata e completamente rinnovata. E' disponibile l'agenda "Giorni nonviolenti 2009". - 1 copia: euro 10 - 3 copie: euro 9,30 cad. - 5 copie: euro 8,60 cad. - 10 copie: euro 8,10 cad. - 25 copie: euro 7,50 cad. - 50 copie: euro 7 cad. - 100 copie: euro 5,75 cad. Richiedere a: Qualevita Edizioni, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. e fax: 0864460006, cell.: 3495843946, e-mail: info at qualevita.it, sito: www.qualevita.it 10. STRUMENTI. L'AGENDA DELL'ANTIMAFIA 2009 E' in libreria l'Agenda dell'antimafia 2009, quest'anno dedicata alle donne nella lotta contro le mafie e per la democrazia. E' curata dal Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo ed edita dall'editore Di Girolamo di Trapani. Si puo' acquistare in libreria o richiedere al Centro Impastato o all'editore. * Per richieste: - Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 0917301490, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it - Di Girolamo Editore, corso V. Emanuele 32/34, 91100 Trapani, tel. e fax: 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.digirolamoeditore.com e anche www.ilpozzodigiacobbe.com 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 641 del 16 novembre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
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