Nonviolenza. Femminile plurale. 218



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 218 del 6 novembre 2008

In questo numero:
1. Contro la schiavitu' una proposta ai sindaci (1998)
2. Luce Irigaray: Prostituzione
3. Nora Racugno: Elizabeth von Arnim
4. Liliana Moro presenta "L'America in pugno" di Susan George
5. Laura Montanari presenta "Corrispondenza negata. Epistolario della nave
dei folli 1889-1974"
6. Alda Merini: Ricordi e riflessioni a partire da "Corrispondenza negata.
Epistolario della nave dei folli 1889-1974"
7. Alcune letture utili. Parole di donne sulla violenza manicomiale

1. DOCUMENTAZIONE. CONTRO LA SCHIAVITU' UNA PROPOSTA AI SINDACI (1998)
[Riproponiamo ancora una volta la seguente proposta]

Lettera aperta ai Sindaci dei Comuni italiani con allegata bozza di
deliberazione
La schiavitu' sessuale in Italia puo' essere sconfitta da un forte impegno
degli enti locali che liberi le vittime e combatta il racket schiavista
Egregio Sindaco,
le scriviamo in merito alla strategia degli enti locali rispetto al fenomeno
della prostituzione.
Come certamente sapra', il dato statistico e sociologico di gran lunga piu'
rilevante e' il seguente: che la grandissima maggioranza delle persone che
si prostituiscono lungo le strade e' costituita da giovani e giovanissime
donne, perlopiu' immigrate, tenute in condizioni di schiavitu' da efferati
poteri criminali; queste giovani donne sono vittima di schiavitu' e di
inenarrabili violenze: il racket che le asservisce e sfrutta le sottopone a
brutalita', le priva di documenti, le riduce all'illegalita' e le priva di
speranza di trovare assistenza e liberazione.
Stando cosi' le cose, il primo compito delle istituzioni democratiche tutte
e' di combattere la schiavitu', punire gli schiavisti, liberare le vittime.
Orbene, tale compito richiede un impegno prolungato, tenace e rigoroso.
Finche' non si interviene su questo punto nevralgico, altri interventi
rischiano di essere nella migliore delle ipotesi dei meri palliativi, nella
peggiore degli atti demagogici che reduplicano la violenza sulle vittime di
schiavitu'.
C'e' un intervento che puo' essere decisivo, e che a nostro giudizio
costituisce il vero banco di prova per le amministrazioni comunali
interessate dal fenomeno della prostituzione schiavista: attuare programmi
di liberazione delle vittime, intervenendo affinche' cessino di subire
violenza, ricevano aiuto e siano difese da parte dei pubblici poteri, siano
sottratte al dominio dei poteri criminali.
Questo implica che gli enti locali intervengano non per scacciare le schiave
da una ad altra strada, da un quartiere all'altro, dal centro alla
periferia, da una ad altra citta', lasciando che restino schiave: no; questo
implica che gli enti locali intervengano per liberare davvero le vittime di
schiavitu': ed a tal fine occorre che ad esse sia riconosciuto, anche a
titolo di risarcimento per le violenze da esse subite in Italia, il diritto
di una permanenza legale nel nostro paese, difesa ed assistenza da parte
delle istituzioni pubbliche, sostegno e rispetto, aiuto concreto e
prolungato in termini di assistenza sociale ed economica, di alloggio
sicuro, di tutela dalle violenze, di aiuto a trovare un lavoro legale e
degno.
Pertanto con la presente lettera proponiamo a lei e alla sua amministrazione
comunale un impegno in tal senso, con tre forme di intervento:
a) istituire "unita' di strada" che offrano assistenza, ascolto e
possibilita' di una via d'uscita, di una alternativa degna e sicura, alle
persone che si prostituiscono;
b) realizzare programmi di intervento che offrano difesa, diritti civili,
assistenza sociale ed economica, alloggio ed aiuto alle persone da liberare
dalla schiavitu';
c) chiedere al governo ed al Parlamento di procedere lungo la direzione
indicata dalla Costituzione, dagli articoli 600-602 del Codice Penale
(contro il delitto di riduzione in schiavitu'), e dall'articolo 16 della
recente legge 40/98, assumendo impegni precisi (non solo normativi ma anche
in termini di disponibilita' di spesa) per combattere la schiavitu' e
liberare le vittime: decisivo e' che si garantisca alle persone che si
riesce a liberare dalla schiavitu' una permanenza in Italia (se desiderata)
in condizioni di legalita', sicurezza ed assistenza.
Ribadiamo ancora una volta che garantire diritti civili, sicurezza ed
assistenza alle persone che in Italia hanno subito schiavitu', costituisce
da parte delle istituzioni un dovere, anche come risarcimento per le
violenze da queste persone subite nel nostro paese.
Confidiamo nella sua sensibilita' democratica e nel suo impegno per la
promozione dei diritti umani e della legalita'; ritenendo che tutti i
pubblici ufficiale devono essere uniti nella promozione del diritto e nella
lotta contro il crimine; ritenendo che la schiavitu' in Italia, e
particolarmente quella sessuale, possa essere sconfitta solo se vi sara' un
impegno convinto e concreto delle istituzioni e dei cittadini di volonta'
buona.
Si allega una bozza di proposta di deliberazione.
*
Allegato: bozza di proposta di deliberazione
Il Consiglio Comunale di...
rilevato che decine di migliaia di giovani donne sono vittima in Italia di
schiavitu' sessuale, costrette a prostituirsi con la violenza da parte di
racket criminali;
considerato che e' inammissibile che in Italia si tolleri che delle persone
siano ridotte in schiavitu' (reato ovviamente previsto e punito dal Codice
Penale); e' inammissibile che in Italia delle persone subiscano abominevoli
violenze che configurano reati gravissimi;
considerato altresi' che e' dovere delle istituzioni democratiche applicare
i principi sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana; e' dovere
delle istituzioni democratiche promuovere la dignita' umana;
delibera
1. di promuovere un programma di politica sociale per la liberazione delle
persone in condizioni di schiavitu' ed a tal fine di istituire presso il
proprio assessorato ai servizi sociali uno specifico servizio;
2. di promuovere un intervento centrato sui seguenti punti:
a) intervento con unita' mobile di riduzione del danno: con autovettura
attrezzata, vigile urbano, assistente sociale ed operatori, che rechino
assistenza, ascolto ed ogni forma di aiuto possibile alle persone che si
trovano lungo le strade in condizioni di schiavitu':
b) intervento di assistenza sociale e di orientamento ai servizi pubblici;
c) intervento di sostegno alla fuoriuscita dalla condizione di schiavitu', a
tal fine mettendo a disposizione: casa-alloggio, difesa da ulteriori
violenze (in collaborazione con le autorita' di Pubblica sicurezza),
assistenza sociale, assistenza economica adeguatamente protratta, diritto
allo studio e alla formazione professionale, corsie preferenziali di
avviamento al lavoro;
d) il programma di intervento ovviamente deve prevedere che il Comune
garantisca alla persona assistita la residenza legale in Italia e la
certezza dei diritti che ad ogni persona devono essere assicurati (come
peraltro gia' indica l'art. 16 della legge 40/98).
3. di promuovere la costituizione di strumenti informativi adeguati ed una
adeguata formazione degli operatori, anche in collaborazione con il
volontariato e la consulenza di operatori di comunita' e di movimenti per i
diritti civili gia' attivi e qualificati;
4. di finanziare adeguatamente tale intervento e di richiedere altresi'
l'intervento della Provincia e della Regione;
5. di chiedere a governo e Parlamento un impegno per la definizione di un
coerente ed univoco quadro normativo di lotta contro la schiavitu' e per la
liberazione delle vittime.
[Viterbo, 30 novembre 1998]

2. RIFLESSIONE. LUCE IRIGARAY: PROSTITUZIONE
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 16 settembre 2008 col titolo "Le
ipocrisie sull'amore"]

Cercando nel dizionario Robert l'etimologia della parola "prostituire" o
"prostituirsi", ho scoperto che il suo primo senso e': esporre in pubblico
cose che richiedono un po' di riservatezza, un po' di discrezione. Il
significato della parola anzitutto conosciuto da noi oggi e', infatti, piu'
tardo, cioe' il suo riferimento alla prostituzione del corpo per rapporti
sessuali con una, o generalmente parecchie persone, in cambio di denaro.
Stranamente, il primo senso della parola dovrebbe svanire quando si tratta
di sessualita'. Anche se e' per natura pubblica, la prostituzione dovrebbe
allora rimanere invisibile. Ma come una cosa pubblica puo' esercitarsi in
modo nascosto? Questo e' il paradosso legato alla prostituzione: esiste a
condizione che non si sappia e che non si veda che esiste. Di conseguenza,
e' cacciata da tutti i luoghi pubblici in cui si potrebbe sapere o vedere
che si esercita: le case di tolleranza, le strade, eccetera. Non c'e' nulla
di strano in tale contraddizione.
La prostituzione partecipa della sorte riservata alla sessualita' nella
nostra cultura: esiste a patto che non si sappia, che non si manifesti in
quanto tale. Nulla nei programmi scolastici tiene conto della necessaria
educazione sessuale dei bambini, dei ragazzi e adolescenti. I programmi
scolastici si fermano a insegnamenti relativi agli organi di riproduzione
senza abbordare la questione dell'attrazione sessuale e delle vie per
condividere il desiderio a un livello corporeo. L'istruzione si limita a
descrizioni naturaliste degli organi sessuali da una parte, e dall'altra
all'esposizione delle sventure amorose vissute dai personaggi della nostra
letteratura. Si puo' capire che i ragazzi cerchino presso le prostitute
un'educazione un po' piu' adeguata a cio' che provano. Sfortunatamente,
visto il disprezzo della sessualita' nella nostra tradizione, e pure l'etica
della stessa prostituzione, questi maschi in cerca di educazione sessuale
ricadono in rapporti sessuali piuttosto naturalisti, senza desiderio ne'
amore, che si svolgono in luoghi spesso sordidi e in cambio di denaro.
Una simile iniziazione alla sessualita' non favorisce gli abbracci amorosi
futuri fra amanti; e' piuttosto incitamento a mostrare le proprie capacita'
in un rapporto venale fondato su una certa schiavitu'. Questo non
contribuisce allo sviluppo della personalita' del ragazzo, in particolare
nella sua dimensione affettiva e relazionale, per la quale ha tanto bisogno
di un'istruzione appropriata. La ragazza, da parte sua, non ha quasi mai
l'opportunita' di un'iniziazione sessuale scelta da lei. Diviene il piu'
delle volte una sorta di prostituta involontaria, anche nello stesso
matrimonio, e l'attrazione sessuale che prova si fa sogno sentimentale in
attesa di qualche principe o signore, forse estraneo alla nostra vita
terrena. Si possono immaginare i problemi e le delusioni dei primi abbracci
amorosi.
Ora l'attrazione sessuale e' cio' che ci puo' facilitare il passaggio dai
bisogni individuali legati alla sopravvivenza a una condivisione con
l'altro. E' cio' che ci puo' aiutare a trascendere il nostro corpo come
materia attraverso il desiderio, un desiderio che fa da ponte e mediazione
tra corpo e anima, e anche fra l'altro e noi stessi. Questa
spiritualizzazione del corpo e dell'amore carnale e' resa impossibile per
mancanza di una cultura della sessualita', per la sua repressione e
riduzione a un bisogno, sessuale e perfino procreativo, che non ha piu'
nulla di propriamente umano.

3. LIBRI. NORA RACUGNO: ELIZABETH VON ARNIM
[Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)
col titolo "Vi presento Elisabeth"]

Vi presento Sally e' un romanzo di Elizabeth von Arnim, pubblicato nel 1926
e giunto sullo scaffale del mio libraio in lingua italiana all'inizio delle
vacanze estive di quest'anno. Forse il titolo, insieme alla ripetuta
conferma che moltissime persone di mia conoscenza la ignorano, mi ha spinto
a... presentarvi Elizabeth.
Io l'ho incontrata per la prima volta a Cagliari, in uno di quei periodici
ed esaltanti pomeriggi che dedico ad acquisti non programmati in libreria,
quando mi soffermo su titoli e nomi sconosciuti (ma non sulle trame!) e
torno verso casa con scorte rassicuranti di letture, soprattutto notturne.
Di Elizabeth mi interesso' intanto il suo genere di appartenenza: e' bello
ascoltare donne che hanno scritto e raccontato di se', che firmano e
rischiano senza paura.
In un periodo della storia sicuramente poco favorevole all'indipendenza
femminile, lei e' stata coraggiosa, ha saputo fare del suo straordinario
talento una professione: nacque nel 1866 in Australia e mori' nel 1941 negli
Stati Uniti, ma visse per diciotto anni in Pomerania dove sposo' il conte
von Arnim e poi, da vedova, in Inghilterra, in Svizzera, in Francia.
Io non so che cosa mi colpi' in special modo di queste informazioni, tutte
peraltro raccolte nel risvolto di copertina di ognuno dei suoi romanzi.
Forse le origini cosi' lontane da me, o il suo lungo soggiorno in un luogo
della mia amatissima mitteleuropa, o invece quel migrare da un paese
all'altro come se non avesse radici, eppure radicandosi ovunque.
So con certezza che quel pomeriggio di tre anni fa mi fermai davanti a
Lettere di una donna indipendente, per poi scoprire che ogni romanzo di
Elizabeth porta un titolo che sa provocare un sorriso e un moto di genuina
curiosita'.
"Se avessi una figlia la crescerei con l'obiettivo di instradarla a un
futuro privo di mariti. Vorrei che le si insegnasse una professione con la
stessa cura riservata ai ragazzi. La sua testa dovrebbe essere riempita con
una quantita' di istruzione non inferiore al suo interesse per nastri e
fiocchi. Io trascorrerei i miei giorni inculcandole l'importanza di essere
indipendenti, di essere padroni del proprio tempo, di avere una vita pura e
libera e un mondo aperto davanti a se', aperto nello stesso modo in cui lo
fu per Adamo e Eva quando voltarono le spalle per sempre alla dolcezza
stucchevole del paradiso"(1).
Mi stupii che di Elizabeth non avessi trovato mai alcuna traccia nei miei
solitari percorsi di lettura, e neppure tra i suggerimenti letterari che
ricevo da amiche anche simboliche.
La sua scrittura e' asciutta, elegante, ricca di dettagli mai superflui.
L'ironia accompagna i personaggi e, mostrandone la complessita', fa sfumare
le opposizioni tra vero e falso, buono e cattivo, positivo e negativo: i
punti di vista non sono classificabili attraverso criteri gia' dati perche'
ciascuno ha la sua ragion d'essere, ciascuno e' un luogo anche misterioso
nel quale i poli della tragedia e della commedia, in apparenza antitetici,
confluiscono e quasi riposano.
Elizabeth sa suscitare una fresca e incontenibile risata insieme alla
tensione emotiva piu' dolorosa, sa scavare nell'animo senza mai offendere,
chaplinianamente sa guardare con distacco per comprendere l'altro/a da se',
non per giudicare.
"Il futuro mi appare piacevole, del tutto luminoso e soleggiato. E' soltanto
privo di cio' che la gente chiama prospettive, una parola che credo stia per
mariti, ma io lo riempiro' con dei maiali. Ho grandi progetti. L'esempio del
mio vicino mi ha rivelato quel che si puo' fare anche con un solo maiale: ha
creato una sorta di terrazzamento, adibendolo a recinto per maiali, una cosa
da non credere. Pensate dunque cosa non si potrebbe fare con due. Ho tutte
le intenzioni di diventare una zitella molto felice" (2).
Alcuni mesi dopo la scoperta di quel libro, nel contesto di un convegno
organizzato dall'Associazione delle letterate a Prato, la sentii nominare.
Il testo citato era Il giardino di Elizabeth che, insieme a alcuni altri
(3), e' autobiografico.
"Rende molto umili vedersi circondati da una tale profusione di bellezza e
perfezione che ci e' elargita 'anonimamente', e pensare all'infinita
piccineria delle nostre carita' forzate e a come siamo malcontenti se non
vengono prontamente e adeguatamente apprezzate. Io confido in tutta
sincerita' che la benedizione che mi attende sempre nel mio giardino possa
un po' per volta essere piu' meritata, e di poter crescere in grazia, e
pazienza, e allegria, proprio come i fiori felici che amo tanto" (4).
Il giardino e' presente in numerosi testi; i fiori, le piante, i frutti, gli
alberi, i paesaggi della campagna non servono da sfondo o da occasione di
storie e di incontri, ma rappresentano aspetti fondamentali della
personalita' o dello stato d'animo di chi li guarda. E mentre si legge, i
profumi vengono percepiti e i colori inondano la pagina.
Costruire un giardino richiede forse un manuale. I cataloghi e le istruzioni
sono necessarie, ma insieme alla relazione con un giardiniere appassionato
al suo lavoro, e se l'artefice ama e rispetta la natura tutta.
"Sembra che alle viole del pensiero piaccia questo posto e anche ai piselli
odorosi; ai garofani no, e dopo una quantita' di incoraggiamenti e
allettamenti l'estate scorsa hanno dato a malapena qualche fiore. Quasi
tutte le rose sono state un successo, nonostante il terreno sabbioso, tranne
le rose tea Adam, che erano coperte di boccioli pronti a aprirsi, quando
all'improvviso sono ingiallite e sono morte, (...). Be', essere messi alla
prova e' nel destino dell'umanita', e ai giardinieri spetta la loro parte, e
in ogni caso e' meglio essere messi alla prova dalle piante che non dalle
persone, dal momento che con le piante uno sa che e' lui che ha sbagliato, e
con le persone e' sempre all'opposto... e chi tra noi non ha patito le pene
dell'innocenza offesa, e non sa quanto siano acute?" (5).
Un angolo del giardino puo' diventare una stanza tutta per se', momento
sacro di ogni giornata, luogo di lettura, di scrittura, di dialogo
interiore, di liberta' dal chiasso e dai doveri preconfezionati.
"Sedeva cosi' tranquilla che subito le lucertole le guizzarono sui piedi e
alcuni minuscoli uccellini, simili a fringuelli, prima volarono via
impauriti, poi tornarono a svolazzare tra i cespugli intorno a lei come se
non ci fosse stata. Com'era bello! Ma a cosa serviva se non c'era nessuno,
nessuno che amasse stare con te e che ti apparteneva, nessuno a cui poter
dire: 'Guarda'" (6).
Eppure, a un certo punto della propria esistenza diventa necessario
fermarsi, e prendere distanza anche dalle persone piu' amate: un'estate da
sola puo' essere la formula magica per rispondere a un non piu' rimandabile
desiderio di se'.
"C'e' una fossa nei campi di segale a circa mezzo miglio dal cancello del
mio giardino, una piccola depressione tonda, con acqua e canne sul fondo, e
qualche albero amante dell'acqua e cespugli sul declivio circostante. Da
qualche giorno, vengo qui quasi tutte le mattine, il luogo ben si adatta
all'umore in cui mi trovo: mi piace lo stretto sentiero che li' conduce
attraverso la segale, mi piace la sua solitaria umidita' quando tutto
intorno e' riarso, mi piace sdraiarmi sull'erba e vedere in basso il verde
delle canne scintillare sull'acqua, e in alto le frange di segale spazzolare
il cielo. Bestiole di ogni tipo mi si avvicinano e mi osservano, le allodole
cantano sopra di me, strane creature mi strisciano addosso e altre
scorrazzano nell'erba alta li' accanto; qui porto un libro e leggo e sogno
per tutte le ore dorate del mattino, accompagnata dal gracidio amoroso di
innumerevoli rane" (7).
Mi colpisce quell'"a circa mezzo miglio dal cancello del mio giardino": e'
sufficiente varcare la soglia perche' l'orizzonte si estenda e lo sguardo
colga l'imprevisto.
Questo accade in tutte le opere di Elizabeth: serve il coraggio di un passo
oltre, serve la forza di seguire il desiderio di un altrove, sconosciuto e
innominabile eppure urgente. Come quando un'idea si presenta d'incanto, o
gli occhi misteriosamente si posano su un dettaglio, o un movimento
inconsueto sembra spostare il corpo in una posizione nuova.
L'occasione della liberta' puo' presentarsi per caso, ma non per caso viene
guardata e coltivata. Varcare il cancello del proprio giardino e' la
risposta, senza garanzia, a un segnale: chi ha stabilito quel limite? Chi e
perche' ha costruito il cancello? Quanto sono disposta a rischiare,
oltrepassandolo?
"Dimentico' il lavoro che andava accumulandosi. Dimentico' che ogni suo
movimento doveva prima essere autorizzato. Fu come travolta da un vortice,
da un impetuoso desiderio di liberta' e avventura che la sospinse a entrare
in un locale pieno di cartine, orari ferroviari e impiegati servizievoli
incorniciati da sportelli in mogano" (8).
Compiuto quel passo oltre il cancello, oppure intraprendendo un viaggio non
autorizzato, la mente respira e gli occhi diventano piu' limpidi. Un'idea,
all'apparenza ovvia eppure sconvolgente nella sua semplicita', si impone con
forza: "Vergognoso, che le cose stessero in quei termini, ma cosi' era la
vita: gli uomini si prendevano tutto, anche se erano dei bietoloni, mentre
per le donne l'unica possibilita' di adeguato riconoscimento e potere si
sostanziava attraverso e in relazione a essi" (9).
Elizabeth racconta forse la sua liberta' attraverso la storia di donne
bellissime e indimenticabili, ciascuna calata in un ruolo che la incatena e
la rende uguale a tutte le altre nella schiavitu', ma singolare e unica per
i suoi pensieri e la sensibilita'.
Le catene, se pure sembrano venire dall'esterno, si alimentano
nell'abitudine, nella scontatezza, nell'altrui bisogno, nell'intoccabilita'
dei doveri, e perfino nel privilegio del benessere sociale. Donne giovani o
anziane, povere o ricche, istruite oppure del tutto sprovvedute: ognuna ha
da confrontarsi con tradizioni e gratitudine, ognuna coltiva un sogno mai
condiviso se non inconsapevole. La liberta' chiede parole nuove e nuovi
incontri, alcuni dei quali sorprendenti.
"Era come essere per proprio conto, se non che, in modo molto piacevole, non
lo si era. Era come se li', seduto sotto il melo accanto a lei, non ci fosse
nessuno, se non che, in modo molto piacevole, invece c'era. Perfetto, si
disse Jennifer; perfetto. L'uomo giusto con il quale sedere al buio sotto un
albero" (10).
Ma il "padrone", dal quale si e' fuggite e che sembra ormai lontano, puo'
presentarsi sotto mentite spoglie, dietro un sorriso che seduce o una
carezza di comprensione.
"Puoi parlare di qualunque cosa al tuo Everard - le assicurava. -
Confidargli i tuoi piu' reconditi pensieri, di qualunque cosa si tratti. Non
devi avere piu' vergogna di dirgli cio' che pensi di quanta tu ne abbia a
pensarlo dentro di te. Lui e' te. Tu e lui siete una sola mente e una sola
anima e, diventando marito e moglie, siete, tu e lui, un essere perfetto,
perche' siete anche un corpo solo. Everard-Lucy. Lucy-Everard. Non potremo
sapere dove finisce l'uno e inizia l'altro. Questo, cuoricino, e' il vero
matrimonio" (11).
Gia', le catene stanno nel profondo...
"Cos'altro e' necessario per essere davvero libera di pensare, di dire i
propri pensieri, di agire in armonia con se'? Come muoversi nel mondo, senza
continuamente correre il rischio di scivolare in una trappola? Come
difendersi dalla propria ingenuita', o dall'amore per una persona?" (12).
Elizabeth risponde in modi diversi ogni volta, e ogni volta il dialogo con
lei e' appagante perche' non si chiude, resta aperto e pone ulteriori
domande.
Quelle di chi sta leggendo, mentre passeggia con lei dentro e oltre il suo
giardino.
*
Note
1. Lettere di una donna indipendente, p. 170.
2. Ibidem, p. 155.
3. Il giardino di Elizabeth, Un'estate da sola, Elizabeth a Rugen, I cani
della mia vita: fra i testi tradotti in italiano, in questi la von Arnim
racconta di se' e della sua storia. I cani della mia vita, inoltre, e' ricco
di un corredo fotografico.
4. Il giardino di Elizabeth, p. 149.
5. Ibidem, pp. 78-80.
6. Un incantevole aprile, p. 140.
7. Un'estate da sola, pp. 20-21.
8. La moglie del pastore, p. 18.
9. Il padre, p. 133.
10. Ibidem, p. 92.
11. Vera, p. 110.
12. L'ingenuita' e' la protagonista di molte storie. In particolare
consiglio: Vera, Cristoforo e Colombo, Vi presento Sally.
Tutte le opere di Elizabeth von Arnim sono pubblicate da Bollati
Boringhieri.

4. LIBRI. LILIANA MORO PRESENTA "L'AMERICA IN PUGNO" DI SUSAN GEORGE
[Dal sito della Libera universita' delle donne di Milano
(www.universitadelledonne.it) riprendiamo la seguente recensione]

Susan George, L'America in pugno. Come la destra si e' impadronita di
istituzioni, cultura, economia, Feltrinelli,Milano 2008, pp. 218, euro 16.
*
L'economista Susan George e' un'osservatrice d'eccezione: quando decide di
occuparsi di questioni di politica lo fa con il rigore e la sensibilita'
proprie della sua disciplina di competenza.
In questo denso saggio ha preso in esame il forte intreccio tra politica,
economia e cultura che si e' andato costruendo negli Stati Uniti negli
ultimi decenni. George analizza quella che definisce una vera e propria
"lunga marcia" che ha portato la destra americana, sostenuta da mirati e
ingenti finanziamenti, all'egemonia culturale e politica. Una conquista che
non ha nulla di casuale ma e' stata fortemente voluta e pianificata da
"elite spregiudicate, molto ricche e molto efficienti", che si sono dotate
di tutti gli strumenti atti allo scopo. Attraverso la creazione di
fondazioni, lobbies presso il parlamento (perfettamente legali negli Usa),
reti televisive, catene editoriali, studi legali, alcuni esponenti della
destra - di cui viene fatto nome, cognome e storia economica - hanno
costruito una macchina di pressione e di condizionamento ideologico ed
economico che ha pervaso in profondita' la societa' americana.
Una societa' in cui i gruppi religiosi cristiani fondamentalisti (e
l'autrice ci spiega dove e come e' stato coniato il termine) hanno un
vastissimo seguito e il 61% dei cittadini crede che il racconto della
creazione contenuto nella Bibbia sia "letteralmente veritiero, cioe' che
tutto sia accaduto come descritto, parola per parola" - secondo la domanda
del sondaggio citato - e naturalmente crede alla realta' storica del diluvio
universale, dell'arca di Noe', della separazione delle acque del Mar Rosso
ad opera di Mose'; il tutto in percentuali simili, che aumentano se il
campione viene ristretto ai soli protestanti. In questo clima culturale
l'evoluzionismo incontra molte resistenze ed e' accaduto che un insegnante
sia stato chiamato in giudizio per averlo insegnato (un clamoroso caso
giudiziario di cui viene dato ampio resoconto).
"Naturalmente" aborto e liberta' di scelte sessuali sono considerati come la
peste dai predicatori di queste religioni, in molti casi anche la liberta'
d'azione delle donne viene fortemente contrastata.
Potremmo considerarli fenomeni marginali, quasi folkloristici - George ne
fornisce esempi quanto meno inquietanti: dalle Hell House ai Jesus Camp - ma
il problema e' consistente poiche' "il sodalizio tra destra laica e destra
religiosa e' molto forte" e, secondo le stesse parole dell'autrice:
"L'estrema destra religiosa non e' soltanto folle, ma anche intenzionalmente
distruttiva, e costituisce un pericolo reale tanto per una sana politica
estera quanto per l'ecologia".
Come viene ampiamente dimostrato, infatti, il concentrarsi della politica
estera statunitense nella zona del Medio Oriente e' frutto delle convergenti
spinte di interessi economici e di fondamentalismi cristiani ed ebraici.
Un intreccio analogo ha portato al rifiuto di iniziative volte ad arginare
il degrado ambientale, infatti "milioni di credenti sono convinti che le
catastrofi naturali siano un segnale positivo perche' annunciano il ritorno
di Cristo" e cosi' - fra l'altro - vengono smussati e alterati i risultati
delle ricerche scientifiche sui cambiamenti climatici e sull'inquinamento
globale.
Tutto cio' rappresenta un tradimento della natura stessa degli Stati Uniti
per Susan George, che ora vive in Francia ma e' nata in America ed e'
discendente dei padri pellegrini. Molto interessante la ricostruzione delle
vicende dei suoi antenati. Un tradimento della vocazione illuminista e
laica, di separazione tra stato e chiesa, che era propria dei fondatori del
"nuovo mondo" e che sta alla base della stessa Costituzione.
Per contrastare questa deriva George ritiene che probabilmente non sara'
sufficiente il pur auspicato cambio al vertice dello stato americano poiche'
il candidato democratico poco potra' fare sull'insieme della vasta e salda
rete, diffusa a livello nazionale, che l'economista ha descritto in questo
libro. Cio' che piu' la preoccupa e' la sottovalutazione che di questo
fenomeno viene fatta in ambito progressista. "L'affermazione di nuovi valori
e di un nuovo orientamento culturale [...] richiede denaro, capacita'
organizzative, pubbliche relazioni, visibilita' mediatica" poiche' le buone
idee da sole non bastano, ma le idee generano conseguenze.
*
Per approfondire:
- Transnational Institute (sito: www.tni.org), la fondazione di cui fa parte
Susan George.
- Susan George, Fermiamo il Wto, Feltrinelli, Milano 2002.

5. LIBRI. LAURA MONTANARI PRESENTA "CORRISPONDENZA NEGATA. EPISTOLARIO DELLA
NAVE DEI FOLLI 1889-1974"
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 2 novembre 2008 col titolo "I sani, i
matti e le parole negate. Manicomi, la memoria" e il sommario "Un libro
raccoglie le lettere 1889-1974 trovate nell'archivio dell'ospedale
psichiatrico di Volterra: la corrispondenza censurata tra i pazienti e le
loro famiglie, il ricordo struggente di tante vite spezzate"]

Saluti e baci non consegnati, lettere scritte e censurate, mai spedite,
sepolte, rimaste a ingiallire nell'archivio del San Girolamo, tra le vecchie
cartelle cliniche dei pazienti dell'ospedale psichiatrico di Volterra, in
provincia di Pisa, negli anni in cui bisognava far dimenticare al mondo che
c'erano i matti. Calligrafie antiche: "Carissimo padre, io di salute sto
bene e spero voi pure facciate lo stesso. Nella mia assenza da voi vi ho
scritto tre volte e mai ebbi risposta. Com'e' che mi tenete questo silenzio?
Vi mandai a chiedere la stoffa per farmi un abito, nella eventuale mia
uscita da qui". Struggenti: "Cara famiglia, vi giuro di non disobbedirvi mai
piu', vi faccio sapere che in tutto questo tempo non ho ricevuto nulla, vi
prego di venirmi a trovare". Di prigionie e solitudini senza tempo:
"Carissima sorella, non vedendo ne' vostre lettere ne' la vostra presenza
qua, non so piu' cosa pensare".
Affetti consegnati alla deriva di un italiano incerto e messi per la prima
volta venticinque anni fa in un libro ormai introvabile e adesso
ripubblicato dalla Asl di Pisa con un contributo della Cassa di Risparmio di
Volterra e con un nuovo editore, Del Cerro: Corrispondenza negata.
Epistolario della nave dei folli 1889-1974 (400 pagine, 38 euro). Il volume
curato dall'ex direttore del San Girolamo Carmelo Pellicano' (scomparso
l'anno scorso) e da quattro collaboratori - Remigio Raimondi, Giuseppe
Agrimi, Volfango Lusetti, Mauro Gallevi - da' voce a chi per quasi un secolo
ne e' stato privato, e' un risarcimento postumo, le nostre scuse per aver
lasciato anche dopo il 1948 zone franche, terre in cui l'articolo 15 della
Costituzione italiana sulla segretezza della corrispondenza non veniva
applicato.
"Il malato in manicomio era tenuto in una condizione sub-umana, isolato,
nascosto al resto della societa' - spiega Remigio Raimondi, oggi direttore
del dipartimento di salute mentale di Massa Carrara -. Le lettere erano un
contatto con l'esterno, qualcosa che poteva alimentare nel paziente delle
speranze o ingenerare illusioni, delusioni, comunque turbamenti. Per questo,
per anni e in tanti manicomi, non soltanto a Volterra, la corrispondenza per
le famiglie o dalle famiglie agli internati non veniva recapitata. Al San
Girolamo abbiamo trovato lettere allegate alle storie cliniche, usate come
prova della malattia".
Qualche anno fa era stato Simone Cristicchi ad andarle a cercare e a trarne
una canzone che vinse a Sanremo; adesso ritorna il libro, una raccolta di
centocinquanta missive mai consegnate, una campionatura di quello che e'
rimasto negli archivi del manicomio toscano. Il San Girolamo era quasi una
citta', ha avuto fino a quattromilaottocento pazienti divisi in padiglioni,
batteva una sua moneta, aveva laboratori di sartoria, orti, un'officina, un
panificio, allevamenti di galline e di maiali. Una comunita'
autosufficiente, con intorno muri difficili da scavalcare.
Per capire cos'erano quelle solitudini, il ritrovarsi legato a un letto, non
prendere aria per settimane, non avere piu' niente che ti appartiene,
nemmeno un abito, una fotografia, un orologio, bisogna sfogliare certe
pagine dalle calligrafie faticose, aprire porte private in cui si entra con
disagio. Perche' sono nostalgie di casa: "Il bimbo poche volte e' venuto a
trovarmi, un po' il freddo intenso o la neve, un po' la mancanza di
quattrini"; sono paure, punizioni: "Se qualcuno si azzarda a pronunciare
mezza parola, detta con tutta la ragione, guai a quel disgraziato, ci sono
subito le fasce, e se continuasse a parlare c'e' pure altri rimedi piu'
feroci"; grida di aiuto: "Sono peggio che in una galera, ti prego di venire
presto a prendermi"; improvvise fragilita': "Mi pare mille anni che non vedo
qualcuno di casa"; amori di clausura: "All'ospedale ho avuto relazioni
intime con una signorina che adesso mi chiede indennita' di un milione di
lire egiziane e un pacco di dolciumi".
C'e' il cantante lirico che vorrebbe ancora un palcoscenico, il ferroviere
pentito di aver denunciato una truffa, l'anarchico che racconta il suo
arresto, l'alcolista che scrive alla moglie. C'e' quello che si rivolge allo
zar di tutte le Russie o al re: "Maesta', l'essere mio tutto e' gracile,
indebolito, causa il vivere da bestie. Un po' d'aria l'ho avuta dopo ben
ventisei mesi passati fra ogni sorta di puzze e infezioni! Sono evaso due
volte per sottrarmi a questi inumani abusi, a queste occulte ingiustizie; ma
tutti i miei sforzi furono inutili. Dicono che io sono pericoloso e posso
attestarlo poiche' cosi' mi trattano. Forse mi tengono qui perche' sono
orfano di padre e madre? O perche' quei pochi parenti che ho non se ne
occupano?... In sessanta mesi non ho avuto una sola riga di scritto, nessuno
si e' degnato confortarmi, consolare il mio tanto dolore".
Il volume sara' presentato a Volterra al Festival dei coralmente abili, il 7
e 8 novembre e sara' dedicato al diritto all'inclusione e alla pari
dignita', testimonial Roberto Vecchioni. La corrispondenza negata verra'
"consegnata" sabato 8 novembre, a trent'anni dalla legge 180, nel ridotto
del teatro Persio Flacco.

6. TESTIMONIANZE. ALDA MERINI: RICORDI E RIFLESSIONI A PARTIRE DA
"CORRISPONDENZA NEGATA. EPISTOLARIO DELLA NAVE DEI FOLLI 1889-1974"
[Dal quotidiano "La Repubblica" del 2 novembre 2008 riprendiamo il seguente
intervento di Alda Merini raccolto da Maurizio Bono col titolo "Il poeta
sulla nave dei folli"]

"Cari genitori, io sto bene", "vi ringrazio tutti", "parti subito, vienimi a
trovare", "cara famiglia, giuro di non disubbidirvi piu'". Leggo qualche
frase dalle lettere ritrovate a Volterra, e la cosa piu' commovente e' la
fiducia: quella dei pazienti che scrivono ai loro cari e quella dei parenti
che scrivono ai pazienti. Gabbati tutti e due, con quelle lettere mai
consegnate. Io sono stata una paziente e ricordo le volte che vedevo passare
un uomo vicino all'inferriata e gli affidavo un biglietto. Figuriamoci se lo
consegnava, ma non importa. Contava di piu' la speranza che un giorno
potesse venire li' un amico. Erano balle, ma importanti. Per questo e' una
sconcezza che le lettere siano finite in un cassetto, e questo e' un libro
che e' giusto pubblicare.
*
Amavamo talmente i nostri cari che non dicevamo mai niente del dolore, degli
elettroshock. Inventavamo la vita dentro il manicomio e a loro dicevamo che
la vita e' bella, come nel film di Benigni. Per non scandalizzare i figli, e
neppure gli adulti. Per risparmiargli le preoccupazioni e i dolori: puo'
sembrare strano ma sei tu, rinchiuso, che hai pieta' per loro. Lo stesso con
le visite: aspettavo mio marito per giorni e quando lo vedevo dimenticavo
tutto quello che avevo patito nella giornata, e allora qual era la verita',
la mia gioia di vederlo o il mio terrore dell'attimo prima? C'e' un aspetto
trionfale, in quell'amore che ci teneva in vita, la speranza che "prima o
poi lui mi rispondera', prima o poi mi verra' a prendere".
*
Mio marito e' l'uomo che mi ha fatto rinchiudere, per gelosia. Ma credo che
non sapesse di mandarmi alla tortura, aveva creduto ai medici. Quando anni
dopo e' morto di cancro, non avevamo i soldi per curarlo e allora ho messo
mano al mio libro Terra Santa. Lui, poveretto, mi correggeva le bozze e ogni
tanto alzava gli occhi dai fogli per dire: "Davvero ti ho fatto passare
tutto questo?". Del resto l'autore del nostro disastro e' sempre il padre,
il marito, il fratello. Subirlo e' la forma piu' grande di amore, percio' si
perdona. Non voglio descriverlo come un essere abietto, era anche una
persona positiva, con una materialita' che mi ha aiutato, perche' il poeta,
se non lo tiri giu', vola via. Gli do una colpa, grande: mandarmi in
manicomio e' stato un tentato omicidio, pero' colposo.
*
Ai medici e' piu' difficile perdonare. Uno non diventa matto di colpo, posto
che il poeta e' naturalmente un malinconico, ma e' anche un meditativo e uno
scrupoloso osservatore delle cose, un cronista come Dante, o come gli
apostoli, che erano poeti di strada e raccoglievano storie. L'ho fatto
anch'io. In quei momenti non puoi scrivere poesia, non hai niente da dire.
Ma ho imparato a guardare nella mia anima e in quella degli altri. Il
manicomio e' un posto pieno di attori mancati, che recitano con grande
naturalezza. Il malato sa sempre di chi e' la colpa, ma non lo dice perche'
al colpevole vuole bene. Allora si crea una favola e va ad abitarci per
salvarsi la vita. E ci resta finche' non lo tiri fuori con una sberla.
*
Sberla metaforica, dico, non elettroshock. Quelle sono cento sberle insieme,
ti si spaccano i denti, ti svegli coi capelli ricci e non ricordi nulla.
Siccome il manicomio e' un'hilarotragoedia, avrebbe detto Manganelli, e i
matti sono anche divertenti, a volte dicevamo ai dottori: "Perche' il numero
sette non ha fatto la terapia?". Il numero sette non ricordava niente, gli
infermieri non ci facevano tanto caso e cosi' ne faceva due. Guarire e'
un'altra cosa, come ho scritto del mestiere di poeta, "e' un improbo
recupero di forze per avvertire un po' di eternita'". Certo, da certe
esperienze puoi anche tirare fuori una grande forza. Pero' sconsiglio di
passare di li'.
*
Piu' avanti ho conosciuto un altro aspetto del manicomio, quando un dottore,
il mio Dottor G. a cui ho scritto tante lettere che ho poi pubblicato in un
libro, mi difendeva dalle torture e mi metteva davanti una macchina da
scrivere perche' mettessi sulla carta i miei pensieri. Regolarmente
succedeva un miracolo, quando tornavo in manicomio sparivano tutti i
sintomi. Ritrovavo tutti e quando si spalancavano le porte erano le porte
dell'Eden. Mi accoglievano a braccia aperte, in un certo senso era gia'
cominciato il mio successo.
*
Ci sono molti equivoci su poesia e follia, e sul poeta e il dolore. C'e'
gente fuori di testa che pensa che la poesia sia una terapia, invece e' una
vocazione. Il poeta nasce felice. Sono gli altri che gli procurano il
dolore. Non parlo solo del manicomio, ma di dolori come la passione quando
diventa un abisso. Come per Teresa Raquin, come per Madame Bovary, una
schiera di donne di cui credo di far parte, che vogliono essere amate senza
essere strumentalizzate. Io sono stata strumentalizzata tanto. Ma tutto alla
fine diventa ricordo. E noi sulla beatitudine dei nostri ricordi ci
addormentiamo.

7. ALCUNE LETTURE UTILI. PAROLE DI DONNE SULLA VIOLENZA MANICOMIALE
- Franco Basaglia, Franca Basaglia Ongaro, La maggioranza deviante.
L'ideologia del controllo sociale totale, Einaudi, Torino 1971, 1978.
- Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro (a cura di), Crimini di pace.
Ricerche sugli intellettuali e i tecnici come addetti all'oppressione,
Einaudi, Torino 1975.
- Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro (a cura di), Morire di classe. La
condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin,
Einaudi, Torino 1969, 1978.
- Laura Forti (a cura di), L'altra pazzia. Mappa antologica della
psichiatria alternativa, Feltrinelli, Milano 1975, 1979.
- Maria Grazia Giannichedda e Franca Ongaro Basaglia (a cura di),
Psichiatria tossicodipendenze perizia. Ricerche su forme di tutela, diritti,
modelli di servizio, Franco Angeli, Milano 1987.
- Maria Luisa Marsigli, La marchesa e i demoni. Diario da un manicomio,
Feltrinelli, Milano 1973.
- Giuliana Morandini, ... E allora mi hanno rinchiusa, Bompiani, Milano
1977, 1985.
- Franca Ongaro Basaglia, Manicomio perche'?, Emme Edizioni, Milano 1982.
- Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia. Le parole della medicina,
Einaudi, Torino 1982.
- Franca Ongaro Basaglia, Una voce. Riflessioni sulla donna, Il Saggiatore,
Milano 1982.
- Luigi Onnis e Giuditta Lo Russo (a cura di), La ragione degli altri. La
psichiatria alternativa in Italia e nel mondo, Savelli, Roma 1979.
- Marina Valcarenghi, I manicomi criminali, Mazzotta, Milano 1975.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 218 del 6 novembre 2008

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