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Nonviolenza. Femminile plurale. 217
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 217
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 30 Oct 2008 09:54:58 +0100
- Importance: Normal
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 217 del 30 ottobre 2008 In questo numero: 1. Tiziana Bartolini intervista Anna Pramstrahler 2. Marinella Correggia: Conservatori 3. Marinella Correggia: Frutteti 4. Marinella Correggia: Foreste 5. Marinella Correggia: Clima 6. Francesca Lazzarato presenta "La piazza del Diamante" di Merce' Rodoreda 7. Edoarda Masi presenta "Talkin' China" di Angela Pascucci 1. INCONTRI. TIZIANA BARTOLINI INTERVISTA ANNA PRAMSTRAHLER [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) col titolo "I Centri antiviolenza a rapporto... mondiale" e il sommario "Dall'8 all'11 settmbre 2008 in Canada si e' tenuto il primo Summit mondiale dei Centri antiviolenza. Un'esperienza importante per l'Italia, rappresentata da Anna Pramstrahler, della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna. La sua intervista"] Per l'Italia era presente Anna Pramstrahler, della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, che insieme alle circa 800 operatrici provenienti da 51 Paesi ha partecipato dall'8 all'11 settembre al Summit mondiale dei Centri Antiviolenza (Alberta, Canada) per "reclamare con un'unica voce, forte e chiara, una dura azione di contrasto che metta fine alla violenza domestica e all'abuso nella vita delle donne". Davvero un evento, visto che per la prima volta nella storia questa "epidemia globale" e' occasione di una cosi' vasta organizzazione che intende "chiedere giustizia per tutte le donne violate ed essere al loro fianco". Abbiamo raccolto le riflessioni di Anna, appena tornata dal Canada. * - Tiziana Bartolini: Essere stata inviata come portavoce della Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, ma anche essere in Canada a portare l'esperienza italiana dei Centri antiviolenza deve essere stata una grande responsabilita'. Quali le tue impressioni a caldo? - Anna Pramstrahler: Un bellissimo convegno. Tante donne e tante esperienze provenienti da tutto il mondo: dai paesi ricchi, con oltre 30 anni di esperienza, e donne arrivate dai cosiddetti "paesi in via di sviluppo". Le delegate presenti erano tutte responsabili di Centri antiviolenza, non tanto teoriche, ricercatrici o politiche, ma donne che hanno fondato e che lavorano nei Centri, quindi molto vicine alla vita quotidiana delle donne che subiscono violenza. Anche se eravamo molto diverse, dalle pakistane, alle sudafricane, dalle donne del Burundi, a quelle dell'Honduras, alle palestinesi e le israeliane, ci sentivamo unite in questa grande esperienza vissuta insieme: aver costruito progetti concreti per le donne e aver salvato tante, tante vite. Guai a chi, dopo un'esperienza come quella che ho vissuto in Canada, dice che la violenza non e' un problema globale, simile in tutti i paesi del mondo: ricchi e poveri, sviluppati, non sviluppati, cattolici, musulmani, laici, hindu etc. Purtroppo e' la legge del potere maschile che domina ovunque. * - Tiziana Bartolini: Queste donne del Canada come hanno avuto l'idea? A cosa si sono ispirate per organizzare questo grande convegno? - Anna Pramstrahler: Tutto e' nato due anni fa in Messico: il coordinamento nazionale dei Centri antiviolenza del Messico, organismo autonomo, femminista, ha organizzato un grande convegno invitando i Centri di tutti i paesi del Sudamerica e Centroamerica. Un convegno enorme e un'esperienza importantissima per tutti paesi latini. Le canadesi, invitate come ospiti, con forza e determinazione hanno deciso che il prossimo convegno doveva essere globale. Come ci ha raccontata Jan Reimer, che insieme ad altre 8-9 donne del Coordinamento delle Case delle donne dell'Alberta, ha lavorato al progetto per due anni. Tutto volontariato, ma ce l'hanno fatta. Questo convegno e' costato oltre 700.000 euro: una cifra enorme racimolata con una raccolta di fondi che ha permesso di invitare le donne da nazioni che non avrebbero avuto la possibilita' economica di arrivare in Canada. * - Tiziana Bartolini: Gli obiettivi dell'iniziativa (ricordiamolo, la prima della storia) erano tanti: lo scambio delle esperienze e delle buone pratiche, la creazione di alleanze internazionali. Quali risultati concreti sono da rilevare? - Anna Pramstrahler: Il risultato piu' evidente e' che un'esperienza nata nel 1970-1972, in singole citta' da singole donne, si e' espansa in tutto il mondo, condividendo approcci, metodologie e analisi molto simili. Un movimento che e' cresciuto enormemente, nei Paesi del primo, secondo e terzo mondo. Questo movimento, dopo 30 anni, ha avuto bisogno di un confronto e vuole costruire alleanze per costruire una politica globale. Migliaia di donne sono impegnate e vogliono far sentire la propria voce contro la violenza alle donne. Proprio per questa forte motivazione politica, la sera, dopo una lunga giornata di lavoro, le varie rappresentanti si sono incontrate proprio per discutere come costruire questo movimento internazionale di cui tutte sentiamo il bisogno. Volevamo cogliere quest'occasione unica per tornare ciascuna nella propria realta' e collegare quest'esperienza alle varie reti nazionali. * - Tiziana Bartolini: Il summit ha avuto un'attenzione alla dimensione globale del fenomeno della violenza: la tratta, il traffico internazionale e la realta' delle donne indigene. Anche su quel piano quali sono gli elementi conoscitivi che hai riportato? Di quale utilita' per le attivita' dei Centri in Italia? - Anna Pramstrahler: Ho seguito tanti seminari fatti dalle donne indigene americane, uno delle donne maori, di native dei paesi sudamericani. Il problema della violenza domestica e' uguale in tutto il mondo. Ma si parlava molto del rispetto delle diversita' culturali e delle tradizioni, che non sono tutte contro le donne ma recuperano forza e vitalita' da culture ormai sopraffatte da modelli predominanti. * - Tiziana Bartolini: Un focus interessante era quello dedicato agli uomini impegnati contro la violenza. Ci sono iniziative in vista? - Anna Pramstrahler: La prima giornata era dedicata agli uomini impegnati contro la violenza, "uomini alleati". Sono ricercatori, operatori che fanno educazione, fanno terapia ai maltrattatori e agli stupratori, politici sensibili, insegnanti, e quelli impegnati nella campagna del Fiocco Bianco. Interessantissima la relazione di Jackson Katz, educatore sopratutto nell'ambiente sportivo e militare, un militante che combatte anche a livello teorico la cultura del "macho" negli Stati Uniti. * - Tiziana Bartolini: Quali le differenze tra l'Italia e gli altri paesi? - Anna Pramstrahler: Nella mia relazione ho sottolineato il forte legame tra Centri antiviolenza e femminismo che in Italia esiste ancora. Non e' cosi' ovunque. Molti paesi esteri finanziano le Case rifugio ma la gestione e' variegata: fatta da donne di varie provenienza, da religiose o da enti caritatevoli. Possiamo essere orgogliose del fatto che il nostro movimento ha 20 anni e che abbiamo 100 Centri antiviolenza, ma siamo indietro: non possiamo pronunciare la parola "risorse pubbliche", non possiamo parlare di politiche di prevenzione, non possiamo parlare di leggi che sostengono i Centri antiviolenza (anche se ho citato alcune leggi regionali che garantiscono la loro sopravivenza), non possiamo parlare di interventi efficaci delle forze dell'ordine, dell'approccio integrato in caso di violenza domestica, delle reti locali contro la violenza. L'Italia in tutto cio' e' molto, molto indietro. Alcuni Paesi in via di sviluppo hanno progetti, iniziative e centri che fanno invidia. Mi sono sentita vicina al Portogallo, alla Grecia o a certi paesi dell'Est. Mi riconoscevo piu' in alcune relazioni fatte dalle donne del medio oriente anche per quanto riportavano della mentalita' dei politici, preoccupati della loro visibilita' e in realta' impegnati nell'obiettivo di rafforzare la famiglia e le politiche familiari e non i Centri antiviolenza. * - Tiziana Bartolini: In conclusione, quali sono le strategie particolari che possono contrastare efficacemente la violenza sulle donne? - Anna Pramstrahler: Non e' possibile fare politiche contro la violenza alle donne senza investir risorse. La buona volonta' da sola non basta, come non bastano le leggi penali e civili se non c'e' un concreto sostegno delle donne. Se non vengono creati luoghi degni di poter aiutare tutte le donne che hanno bisogno, come facciamo a dire che stiamo facendo politiche efficaci contro la violenza? Il Canada, con soli 30 milioni di abitanti, ha 430 Case rifugio. L'Italia con 60 milioni di abitanti ha 100 Centri antiviolenza e 40 Case rifugio. Non solo mancano risorse economiche per aprire altre strutture, quelle che esistono sono sempre sull'orlo della chiusura per carenza di fondi. Manca un Piano d'azione contro la violenza (domestica e sessuale), sono pochissime le strutture di pronto soccorso, le forze dell'ordine e i tribunali non sono preparati adeguatamente e non conoscono la gravita' della violenza domestica, non abbiamo programmi specifici nelle scuole, non si fanno campagne nazionali di sensibilizzazione. Potrei continuare... ma una cosa abbiamo in comune: tante donne uccise a causa della violenza domestica, oltre 100 all'anno, ma non esiste neppure una statistica di genere sul femminicidio in Italia. Il primo provvedimento del nuovo governo per finanziare il taglio dell'Ici ha tagliato 20 milioni di euro destinati a creare un osservatorio nazionale sulla violenza alle donne e un piano d'azione nazionale. Queste due azioni sarebbero state un buon inizio per creare politiche nazionali sulla violenza in Italia, politiche che finora mancano totalmente. * Per ulteriori informazioni si veda il sito ufficiale dell'incontro: www.womenshelter.ca 2. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: CONSERVATORI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 ottobre 2008 col titolo "Conservatori a Terra Madre"] Incontro fra "conservatori" a Terra Madre 2008, il raduno biennale delle comunita' del cibo organizzato da Slow Food e concluso ieri a Torino: Jose' Lama Figueroa, ingegnere e promotore del "Proyecto comunitario conservacion de alimentos" (www.alimentacioncomunitaria.org) a Cuba, discute appassionatamente di eco-conserve domestiche con Sandor Ellis Khatz, degli Stati Uniti - come definirlo? Esperto di deliziosi alimenti fermentati solo con il sale, metodo crauti, "nutrienti e saporiti"; il suo sito si chiama www.wildfermentation.com. Fra loro interviene entusiasta Wayne Atchinson, che in Gran Bretagna ha lavorato sui mercati degli agricoltori ("farmers' markets"): "Ma e' un'idea ottima per recuperare dai mercati gli ortaggi un po' avvizziti alla fine della mattinata; altrimenti si butterebbero". Conservatori, appunto. Da oltre dieci anni Jose' Lama e la chimica Vilda Figueroa, ora aiutati dal ventenne Yeikel Santos Perez promotore del "Proyecto comunitario vida sana - aire puro", organizzano corsi e mostre, scrivono articoli, tengono trasmissioni alla radio e alla tv di Cuba per insegnare alle famiglie la "conservazione semplice e naturale di ortaggi, frutti, erbe aromatiche e piante medicinali". Economicita', risparmio di energia fossile, sicurezza alimentare, diversificazione dei cibi, risparmio familiare e nazionale di risorse alimentari sono i principi guida dei loro metodi che utilizzano sole, aceto, sale e talvolta il bagnomaria. Il pluripremiato Proyecto orgogliosamente ha tenuto 14 laboratori all'estero, perfino in Gran Bretagna ma soprattutto in paesi latinoamericani come Venezuela, Ecuador, Colombia, Caraibi, Cile: un'altra forma di cooperazione Sud-Sud. Anche in diversi paesi africani si assiste a un recupero e valorizzazione dell'essiccazione solare. Conservare gli alimenti diventa cruciale per la sopravvivenza e la salute nei climi dove frutta e ortaggi e frutti freschi sono disponibili solo pochi mesi all'anno e magari in quantita' non consumabili. Lavora in diversi villaggi del Mali il progetto Akadi, cioe' "e' buono" in lingua berbara. La signora Urukiatu Samake', animatrice nel progetto sostenuto dal microcredito, mostra sacchetti con pomodori, manghi, foglie di cipolla, foglie di ortica, cavoli, fiori di ibisco, papaie perfettamente conservati e spiega che "milleduecento produttrici, formate in ventiquattro villaggi, danno cibo sano con tutte le vitamine del fresco a trentamila persone per tutto l'anno". L'essiccatore, prodotto da un maliano, e' un modello migliorato e piu' igienico rispetto alle tradizionali stuoie stese al sole. Gli essiccatori in dotazione in ogni villaggio sono usati dalle donne a rotazione. Una parte del prodotto serve per l'autoconsumo familiare, il resto viene acquistato da Akadi per la vendita anche in citta'. Maestri di essiccazione solare sono alcuni paesi a clima secco. Ne e' esempio il dolcetto ecoperfetto esposto a Terra madre da un presidio di Slow Food dell'Uzbekistan, quello delle mandorle di varieta' antiche di Bostanlyk: una mandorla infilata in un'albicocca morbidamente essiccata al sole. Le ecoconserve domestiche con sole, sale o aceto sono fra i metodi di conservazione del futuro anche nei climi piu' miti come l'Italia. La trasformazione domestica evita l'acquisto di fuori stagione per sfizio; sostituisce con la produzione diretta (e facile con alcune precauzioni) una lunga trafila di trasformazioni industriali, cosi' come l'energivora filiera del freddo; permette di riciclare i barattoli di vetro prevenendo il proliferare di scatolame usa e getta; rende disponibili a poco prezzo alimenti gustosi e senza chimica altrimenti costosi. 3. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: FRUTTETI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 ottobre 2008 col titolo "Frutteto afghano"] Guerra. Siccita'. Fame. Cambiamenti climatici. Una corona di tragedie cinge lo strategico Afghanistan: la guerra da decenni impedisce di migliorare i sistemi di irrigazione e distribuzione idrica, aggravando l'effetto della siccita', aumentata anche a causa del caos climatico mondiale che mettera' alla prova i ghiacciai da cui ha origine l'acqua in questo paese dalle scarse piogge, dove meno piove e piu' aumenta la penuria alimentare e il costo degli alimenti. In certi villaggi mangiano il fieno. Eppure non e' farneticante immaginare buona parte dell'Afghanistan rigogliosa di frutteti, una successione di alberi longevi e portatori di cibi fra i piu' nutrienti e adatti al futuro: la vitaminica frutta essiccata, la proteica frutta in guscio. C'era una volta e in buona parte c'e' ancora - ma fino a quando? - fra le province orientali di Herat e Baghdis e al confine con il Turkmenistan, una stupefacente foresta di pistacchi su terre statali. Ce la fa sognare Naser Jami, di Herat, partecipante a Terra madre: "Ben 90.000 ettari di soli alberi di pistacchi, e ce ne sono 300.000, di ettari, se si considera tutto il nostro paese. L'albero che lo produce e' adatto a climi secchi, non ha bisogno di nulla. Il pistacchio e' raccolto da oltre 500 anni, e' afghano di origine. Oltre a nutrire a livello locale, potrebbe dare un buon reddito anche con l'export a chi raccoglie ma... molte piante diventano legna da ardere vista la penuria energetica, e poi nella raccolta sono coinvolti caporali e ingiustizie. Ma di recente sono nate due cooperative di raccoglitori; dovrebbero essere sostenute". La foresta di pistacchi sopravvivera' alla guerra? Herat e' il paradisso dell'uvetta piu' buona del mondo. Fino alla fine degli anni '70 l'abjosh era il principale prodotto agricolo del paese e con le sue 120 varieta' copriva il 60% del mercato mondiale. Particolarissima la tecnica di coltivazione - in profonde trincee - adatta alle condizioni pedoclimatiche; cosi' come le bellissime "case" (kishmish) per essiccare il prodotto. Viene in mente l'Iraq, primo produttore mondiale di datteri fino al 1990. E adesso? "Adesso", dice Naser, figlio di un anziano produttore e referente del presidio Slow Food dell'abjosh "esportiamo ancora verso India (che poi trasforma, confeziona e secondo me rivende all'estero sotto altro nome), Russia, Iran. Ma temo che da qui a due anni, se non si sviluppano tecniche di trasformazione che rispondano alle richieste delle certificazioni internazionali, questo mercato si chiudera'". Il commercio equo potrebbe avere un ruolo, come ce l'ha il presidio di Slow Food che lavora con l'universita' di Herat e il Progetto internazionale per la frutticoltura Phdp di Kabul. Il clima delle regioni centrali del paese e' molto adatto all'albero di albicocco. Altra ex-eccellenza afghana le albicocche fresche ed essiccate al sole con varie tecniche. Importanti nell'autoconsumo interno e locale, ricche come sono di vitamine A e C, e ferro, fosforo e magnesio. Anche il mercato interno e' consolidato, e continuano le esportazioni verso India e Pakistan soprattutto. Hedayatullah, produttore e anch'egli collaboratore del progetto Phdp, spiega pero' che "si potrebbero coltivare piu' superfici e con migliori rese, ma la siccita' colpisce duramente, cosi' come l'assenza di sistemi di irrigazione". 4. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: FORESTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 marzo 2008 col titolo "Non devastate le foreste asiatiche"] Le solite triangolazioni mortali fra paesi che svendono la propria natura, altri che la acquistano per farne merci (piu' che beni, le chiameremmo mali) e altri ancora che queste merci/mali importano e consumano. Ad esempio il Vietnam sta acquistando enormi quantita' di legname illegalmente abbattuto in Laos, in cui rimane una delle maggiori foreste tropicali del Sud-est asiatico e che pure ha vietato l'esportazione di tronchi e legno segato. Che se ne fa il Vietnam? Mobili a basso costo per i consumatori statunitensi ed europei, ai quali vende dieci volte di piu' che nel 2000. Principali destinatari gli Usa. Sin dal 1990 il Vietnam protegge le proprie foreste; ma parallelamente ha anche incoraggiato la produzione di mobili per l'export. Il traffico e' documentato da un rapporto e un video dell'organizzazione inglese Environmental Investigation Agency (Eia) specializzata in inchieste contro i crimini ambientali, con l'indonesiana Telapak. Ogni anno oltre 17 milioni di piedi cubi - un piede e' pari a 0,02832 metri cubi - di tronchi sarebbero contrabbandati con falsi documenti e fior di mance. Il Laos non e' saccheggiato solo dal Vietnam ma anche dalla Tahilandia. Chi ci guadagna? Corrotti ad alto livello, in entrambi i paesi, e commercianti thailandesi e di Singapore. Le comunita' rurali povere laotiane sicuramente non ne traggono beneficio, anzi; per loro la foresta e' fonte di molte materie prime. L'Eia e' chiara nell'additare i responsabili finali: i mercati consumatori in prevalenza occidentali che importano prodotti fatti con legno rubato. L'impegno finora e' stato piu' sulla carta che reale: un investigatore di Eia fingendosi acquirente ha verificato che un buon numero di compagnie operanti in Gran Bretagna non avevano preso le misure necessarie per assicurare il blocco del legno illegale. L'Unione Europea nel 2003 ha sviluppato l'iniziativa chiamata Forest Law Enforcement, Governance and Trade (Flegt), destinata a creare con i paesi produttori di legname degli accordi di partenariato volontari (Vpa) per un sistema di certificazioni. Ma, spiega l'Eia, il sistema e' centrato sulle spedizioni dirette da un paese; gli sfugge il fatto che il legname non lavorato puo' passare attraverso diversi paesi. Inoltre i prodotti finali come i mobili non sono compresi nelle liste delle categorie da controllare. Secondo la "Far Eastern Economic Review" di marzo, i principali responsabili di un commercio illegale di legname che continua a devastare le foreste asiatiche malgrado dichiarazioni strappacuore sono Indonesia, Birmania, Cambogia e Russia, con Cina e Giappone come taciti fiancheggiatori perche' mercati di sbocco. Certo si tratta di un'attivita' vantaggiosa: evita di pagare le tasse. A causa del commercio illegale di legname le finanze dei paesi poveri perdono in mancate tasse almeno 15 miliardi di dollari all'anno: il 25% di quanto trasferito a titolo di aiuto allo sviluppo. In Indonesia e' illegale il 50% delle operazioni di taglio; la' scompaiono ogni anno due milioni di ettari di foresta e la biodiversita' in essi contenuta: 300 campi di calcio all'ora... Eia e Telapak hanno scoperto un business fiorente: tronchi di Papua Occidentale spediti nel porto cinese di Zhangjiagang vicino a Shangai, dove molti complici li "ripulivano" con documenti falsi della Malaysia. Meta' dei 173 milioni di metri cubi di legname lavorati in Cina sono importati; per l'Eia quel paese e' il principale compratore di legno illegale al mondo. Qualcosa si muove, a livello di governi e perfino di compagnie. Accordi bilaterali, impegni volontari. Ma il deterrente piu' efficace sarebbe un serio meccanismo di sanzioni pesanti, pecuniarie e carcerarie. In Gran Bretagna i manager di banche che prestano denaro a compagnie che conducono attivita' illegali rischiano lunghi soggiorni carcerari. E poi Usa e Giappone, i paesi piu' influenti in Asia, dovrebbero darsi da fare nei controlli. Ma non lo fanno. 5. MONDO. MARINELLA CORREGGIA: CLIMA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 marzo 2008, col titolo "Caos climatico, si adatteranno da soli?"] Nicaragua occidentale: molti villaggi usavano il fiume come mezzo di trasporto; adesso e' troppo basso per poterlo navigare, cosi' beni di primaria importanza non arrivano piu'. Essendosi ridotta e tal punto, l'acqua e' anche diventata un concentrato di inquinanti, il che aumenta il rischio di colera e altre malattie. Il Bangladesh invece annega. Il previsto innalzamento del livello del mare arrivera' a sommergere 22.000 chilometri quadrati di terra, facendo sloggiare almeno 17 milioni di persone, il 15% della popolazione. Per non dire degli abitanti di Tuvalu, le basse isole del Pacifico che nei prossimi decenni spariranno sott'acqua in gran parte; un fotografo giapponese sta facendo il ritratto di 10.000 tuvalesi per mostrare agli occhi del mondo chi maggiormente subira' le conseguenze senza averne le colpe. Dove andranno questi rifugiati del clima, calcolabili in decine di milioni anche se da oggi il mondo rinsavisse? Ad esempio l'Australia non ha accettato il reinsediamento di 12.000 tuvaliani e la Nuova Zelanda ne accetta a malapena 75 all'anno, nelle quote di immigrazione. Ma tante persone dovranno fuggire anche dal Sahel africano e da molti altri luoghi, sempre piu' inabitabili. La vera e propria crisi, secondo l'Institute for Environmental Studies dell'Universita' di Vrije (Amsterdam) arrivera' nel 2030-2040; ma se non ci si prepara fin d'ora, saranno tendopoli immense e violenze a quel punto incontrollabili. Alcuni paesi, particolarmente a rischio, chiedono un riconoscimento internazionale delle migrazioni provocate da fattori ambientali e dei senzapatria resi tali dal clima. Intanto l'organizzazione ecologista internazionale "International Union for the Conservation of Nature" (Iucn) ha pubblicato il rapporto "Indigenous and Traditional Peoples and Climate Change" (Popoli indigeni e tradizionali e cambiamenti climatici, nel sito http://cmsdata.iucn.org), il primo studio globale sugli effetti del caos climatico sulle popolazioni indigene. Quelle che da sempre vivono in genere sul filo del rasoio e adesso sono piu' vulnerabili di altre, dipendendo al massimo grado dagli ecosistemi naturali, occupando in genere terre marginali, e mancando spesso di rappresentanti politici nelle istituzioni. Il rapporto identifica le aree e le popolazioni maggiormente minacciate e pero' sottolinea che gli indigeni non sono solo vittime: sono stati capaci di adattarsi all'ambiente e a eventi naturali estremi per migliaia di anni in modo creativo, per cui chi elabora le politiche climatiche dovrebbe imparare dalla loro esperienza, incorporandola nelle strategie di adattamento. Il metodo agricolo tradizionale Quezungal, in America Centrale, ad esempio, prevede che si seminino le colture sotto gli alberi cosi' le radici ancorano il suolo e riducono la perdita di raccolti in caso di uragani. Durante gli anni di piogge particolarmente scarse, nell'Africa del nord si proibisce il pascolo itinerante. In molte civilta' agricole la raccolta e la circolazione dell''acqua avviene tramite canali sotterranei cosi' da impedire l'evaporazione. E via inventando. Ma si parla di un altro mondo. Come spiega un articolo dell'"International Herald Tribune", l'industria e i politici occidentali sembrano preferire soluzioni ad alto costo (oltre a credere molto in quel gioco di carte che e' spesso il commercio delle quote di emissione); ignorando chi, soprattutto nei paesi impoveriti, gia' subisce gli effetti del caos climatico. Insomma, l'adattamento da parte dei poveri non ottiene abbastanza attenzione; si punta alla mitigazione per via tecnologica e "commerciale". I poveri sono lasciati in un certo senso ad adattarsi da soli. Occorrerebbero, secondo lo Iucn, idee di tecnologie pulite ma a basso costo, e non milioni di dollari nella tecnologia di punta. Ci sarebbe un ritorno in termini di salvataggio delle vite umane e preservazione di specie e culture in pericolo, anziche' un buon ritorno finanziario in opzioni sul carbonio. 6. LIBRI. FRANCESCA LAZZARATO PRESENTA "LA PIAZZA DEL DIAMANTE" DI MERCE' RODOREDA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 ottobre 2008 col titolo "Eroine fragili e risolute nella cupa 'posguerra'" e il sommario "Anniversari. Il centenario della catalana Merce' Rodoreda"] I lettori italiani la conoscono poco, anzi pochissimo, perche' la maggior parte dei suoi libri, editi a suo tempo da Mondadori e Giunti, e soprattutto da La Tartaruga e Bollati Boringhieri, sono ormai introvabili e non hanno mai raggiunto un pubblico realmente vasto, restando nascosti tra le pieghe di una editoria di nicchia, nonostante (o forse a causa di) un altissimo livello letterario. Certo Merce' Rodoreda, nata a Barcellona nel 1908 e scomparsa nel 1983, non e' una scrittrice facilmente "consumabile", ma chiunque abbia letto Via delle camelie (La Tartaruga, 1991), La morte e la primavera (Sellerio, 2005) o Il giardino sul mare (La Tartaruga, 1990) non avra' dimenticato la sua straordinaria, quasi provocatoria modernita' e la scrittura avvolgente e sempre rinnovata che passa dal realismo "parlato" del suo romanzo piu' noto, La piazza del Diamante, che le diede la fama, alla molteplicita' di voci e alla raffinata rielaborazione degli ingredienti tipici del feuilleton, inseriti nell'audace struttura dello Specchio rotto (Bollati Boringhieri, 1992), forse la sua opera piu' ambiziosa e complessa. Una nuova occasione di avvicinarsi a un'autrice cosi' fuori del comune anche in un panorama ricco e vitale come quello della letteratura catalana contemporanea, ce la offre adesso il centenario della nascita che, celebrato in Spagna con mille iniziative (spettacoli teatrali, letture pubbliche, mostre, pellegrinaggi nei luoghi della sua vita), prevede anche la contemporanea pubblicazione in vari paesi della Piazza del Diamante, definito da Garcia Marquez "il piu' bel romanzo pubblicato in Spagna dopo la guerra civile". A riproporlo in Italia e' La Nuova Frontiera, che ha affidato a Giuseppe Tavani la traduzione (la terza nella nostra lingua, dopo quelle di Giuseppe Cintioli e di Anna Maria Saludes, che moltissimo ha fatto per diffondere l'opera della scrittrice catalana in Italia), corredandola di una nota di Sandra Cisneros, arrivata alla lettura della Rodoreda grazie alla duplice "raccomandazione" di Garcia Marquez e di un posteggiatore d'auto messicano dagli ottimi gusti letterari. Come molti altri, anche la Cisneros ha cercato di ritrovare nella Barcellona di oggi le tracce dell'autrice, cresciuta nel quartiere San Gervasi in una famiglia borghese che adorava il teatro e la musica e che la ritiro' assai presto dalla scuola perche' stesse vicina al nonno ammalato. E, come hanno fatto quest'anno i lettori barcellonesi nel corso di visite accompagnate da letture ad alta voce, anche la scrittrice messicana ha rintracciato uno dopo l'altro i luoghi narrati nei romanzi della Rodoreda, trovandoli inesorabilmente stravolti dal tempo. Il modo migliore di compiere un simile percorso resta percio' quello di seguire pagina dopo pagina i passi di Natalia, protagonista della Piazza del Diamante, che il fidanzato e poi marito Quimet chiama Colometa (ossia Colombetta). E' attraverso i suoi occhi e la sua voce che l'autrice ci presenta il barrio de Gracia e le strade della vecchia Barcellona tra la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '50: una citta' dapprima gioiosa in cui la Colombetta, tutta vestita di bianco con scarpe bianche "come un sorso di latte", danza nella piazza sotto le ghirlande di carta, ma che poi si fa ben piu' cupa, per arrivare al grigio della desolazione e della fame di un tragico dopoguerra. La piazza del Diamante, romanzo in cui la Rodoreda si cimenta in un abilissimo uso del flusso di coscienza, ruota dunque attorno a un grande ritratto al femminile, quello di una ragazza del popolo come tante, modesta commessa di pasticceria pronta ad accogliere e quasi a subire l'amore prepotente e un po' smargiasso del suo Quimet e a trasformarsi prima in una moglie sottomessa che lavora come domestica in casa di signori, e poi in una madre travolta dalla guerra civile che la priva di tutto, inghiottendo il suo uomo, gli amici, ogni piu' piccola speranza. Grazie a lei, la Colombetta, penetriamo in una citta' devastata e nel livido silenzio della Spagna postbellica, cui la Rodoreda scampo' rifugiandosi in Francia con altri intellettuali repubblicani (tra i quali Armand Obiols, cui si uni' dopo aver lasciato un marito-zio, fratello maggiore della madre), ma solo per vivere nella desolazione, cucendo instancabilmente per mantenere se stessa e il suo compagno, e incapace per lungo tempo di scrivere perche' il dolorosissimo esilio, il rapporto difficile con il pavido e amatissimo Obiols, la miseria, la lontananza dalla propria lingua ne avevano fatto "una superstite". Le lettere all'amica Anna Muria (raccolte in Un vestito nero con paillettes, Rosellina Archinto, 1992) testimoniano di una disperazione che molti anni dopo si trasformera' nel rifiuto del contatto con quanti le ricordano quella vita e quei tempi. Finche', a Ginevra, nascono nel 1958 i Vint-i-dos contes (Colpo di luna, Bollati Boringhieri, 1993), che preludono a La piazza del Diamante, scritto nel '62. Come la protagonista del suo romanzo, Merce' Rodoreda ce l'ha fatta. Se Colometa, pronta ad uccidersi insieme ai suoi bambini ridotti pelle e ossa, viene salvata infine da un incontro insperato, a salvare Merce' e' il rinnovato incontro con la scrittura. Quando rientra in Spagna, nei primi anni '70, e' ormai famosa e le sue opere piu' importanti sono state scritte. Si ritira in un paesetto sul mare, Romanya' de la Selva, dove scrivera' ancora, ma soprattutto si dedichera' alla cosa che piu' la appassiona, coltivare il suo giardino. La Colometa e' lontana eppure e' sempre li', come gli altri suoi personaggi femminili, le sue protagoniste fragili ma decise a sopravvivere, seduttive e tradite, lasciate perpetuamente sole da uomini deboli e ambigui che le intrappolano in relazioni senza uscita. Uomini del tutto innecessari e inutili, ma cosi' sfuggenti da diventare indispensabili. E dietro di loro, dietro l'infinito passo a due di coppie che sanno solo rendersi infelici, la Catalogna e Barcellona a far da sfondo, protagoniste quanto e piu' dei personaggi disegnati con tale penetrazione e acume da far definire la loro creatrice una Virginia Woolf mediterranea. Ma, a differenza di Virginia, Merce' poteva dire di se stessa: "Ho sempre vissuto pericolosamente", scommettendo senza esitazioni sulla realta', sulla politica e sull'amore. 7. LIBRI. EDOARDA MASI PRESENTA "TALKIN' CHINA" DI ANGELA PASCUCCI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 febbraio 2008 col titolo "Paradigmi in salsa cinese", il sommario "Cina. Che succede nell'immenso paese orientale? Una chiave di lettura. La Cina di oggi e i suoi mille conflitti. Una partita tutta aperta ed esplosiva. Talkin' China, l'ultimo libro di Angela Pascucci, tra 'l'Oriente rosso' che c'era e le contraddizioni del nuovo capitalismo" e la nota redazionale "I protagonisti. Contadini, intellettuali, migranti, artisti si raccontano. Talkin' China racconta la Cina di oggi dando la parola ai cinesi stessi. Ne esce una galleria di ritratti di vita dove le voci si intrecciano e si contrappongono in una varieta' di situazioni e aspettative verso il futuro assai diverse e pure coesistenti. In un paese che ormai da trenta anni vive una transizione cosi' rapida e radicale da non avere precedenti nella storia dell'umanita'. L'intento e' sfuggire alla tenaglia delle opposte vulgate, 'Cina minaccia, Cina meravigliosa opportunita'', che accecano e illuminano. Con il medesimo risultato di non vedere le dinamiche sconvolgenti e complesse in atto, che ormai tutti ci riguardano. In appendice, un'ampia cronologia dei tre decenni di denghismo che fa da sfondo e unisce queste vite tanto diverse"] Talkin' China di Angela Pascucci, prefazione di Wang Hui, Manifestolibri, Roma 2008, 14 euro. * "Chi cerca di vedere la Cina da dentro per leggere le dinamiche e le correnti piu' profonde che attraversano una parte cosi' grande di umanita' spinta a cambiare la percezione della propria individualita' come mai prima, vede spesso profilarsi l'immagine di un Proteo, le cui forme mutevoli e ambigue interrogano ormai le stesse categorie di lettura e interpretazione del 'nostro' presente: democrazia, liberta', capitalismo, socialismo, welfare, diritti umani, stato, societa'". Queste parole si leggono nella conclusione di Angela Pascucci alla sua bella inchiesta condotta in Cina tra il 2006 e il 2007 quando, muovendosi da Pechino a Shanghai allo Yunnan, intervista persone di strati sociali e orientamenti diversi: dai grandi intellettuali, indipendenti e non, alla piu' nota manager di successo, dai contadini che tentano di ricominciare a formare le cooperative alle donne in gravi difficolta' economiche, fino ai nuovi gruppi di opposizione e agli individui (avvocati, giornalisti) che cercano con coraggioso e gratuito impegno di aiutare a far valere i propri diritti quanti subiscono soprusi - soprattutto contadini e contadini immigrati in citta'. Il quadro che ne esce e' vivacissimo, ricco e contraddittorio, come sanno i lettori del "Manifesto", che ne hanno gia' letto qualcosa sul giornale. E piu' di certi studi accademici (come indirettamente suggerisce Wang Hui nella sua prefazione al libro di Angela) ci avvicinano alla realta'. Non solo alla realta' della Cina ma a quanto la Cina ha in comune oggi con i nostri paesi europei - dei quali pure sarebbe difficile tracciare linee di interessi e opinioni non solo omogenee ma almeno ben definite, e soprattutto la strada che si sta percorrendo. Le condizioni di vita qui rappresentate - quelle di una societa' schizofrenica, che da un perseguito e sia pur tendenziale ugualitarismo e' passata in pochi decenni al massimo di frattura fra i diversi livelli di reddito e di condizioni di vita - per un verso riproducono, nelle linee fondamentali, quanto gia' conosciamo a casa nostra (la Milano, per esempio, dei molti ricchi-consumisti e dei moltissimi miserabili). Dove chi non e' superficiale o accecato vede pure annullarsi il senso di quelle parole: democrazia, liberta', capitalismo, socialismo, welfare, diritti umani, stato, societa'. Non occorre allontanarsi dai nostri confini per sperimentare come la diffusione di democrazia e liberta' possa significare invasione economica e militare di territori altrui; le nozioni di capitalismo, socialismo, interessi di classe siano sostituite da concetti vacui come totalitarismo, "stati canaglia", "il nuovo"; la violazione dei "diritti umani", in un mondo in cui nessuno ne e' immune, sia un facile pretesto da parte dei piu' forti per trovare pubblico consenso all'aggressione; la "comunita' internazionale" sia la nuova designazione del club delle potenze maggiori; la resistenza dei popoli contro lo straniero venga confusa col terrorismo; le guerre coloniali vengano chiamate "missioni umanitarie"; l'occupazione dello stato da parte dei potentati economici passi per liberta' (degli individui) e sia contrabbandata per "meno stato". Dovunque il medesimo processo di distruzione e' in corso - delle nazioni, delle persone, delle cose e dell'intelligenza delle cose - senza che ancora appaia l'inizio di una nuova strada per liberarsi del mostro, che si presenta inafferrabile. Allora in Cina ha avuto la meglio la colonizzazione - da cui era stata colpita ma a cui pure aveva resistito per secoli, fino alla liberazione nel 1949 - e non sapra' dirci piu' niente di diverso da quanto gia' sappiamo? Fino a quando si e' guardato all'Asia dal presupposto della superiorita' europea e affetti dal vizio che Edward Said ha chiamato "orientalismo", qualsiasi strada alternativa allo sviluppo capitalistico percorsa da un paese asiatico veniva qualificata come mancanza o arretratezza. Anche Carlo Marx considero' la colonizzazione inglese dell'India, sotto questo profilo, un fattore di progresso, via alla penetrazione di contraddizioni piu' evolute - che quindi avrebbero consentito anche una lotta di classe piu' avanzata. Perfino in alcuni testi storiografici cinesi degli anni Cinquanta si interpretava la sofisticata economia mercantile e monetaria in alcune province cinesi nel tardo medioevo (grande manifattura, commercio internazionale, esteso sistema bancario, lettere di credito, cartamoneta...) come indice di "germi del capitalismo", (purtroppo) non sviluppatisi a causa del sistema politico dispotico, che avrebbe posto freni alla liberta' e al progresso. Si trattava di storici culturalmente colonizzati dal marxismo sovietico, che si ponevano anche contro l'ipotesi di Mao Zedong: non "superare" il capitalismo, ma evitarlo. Del resto, non potevano ignorare che in Cina il preminente potere politico dello stato, per quanto dispotico, nel porre freni alla crescita del potere economico privato aveva ripetutamente tutelato la classe lavoratrice fondamentale - i contadini. Della contraddizione fra liberta' economica privata e liberta' politica piu' benessere popolare i teorici e i grandi politici cinesi furono consapevoli fin dall'antichita' (vedi, per esempio, la Discussione sul sale e sul ferro (74-49 a.C.), resoconto di un dibattito dell'anno 81 a.C. pro o contro i monopoli di stato; per non parlare del grande conflitto intorno alla "nuova legge", cioe' al programma di riforme stataliste a favore degli strati popolari promosso nell'XI secolo dal grande statista Wang Anshi). L'evoluzione dell'economia non e' assente nella storia della Cina, a volte con profondi strappi, come quando il dominio mongolo porto' in primo piano il commercio e la classe dei mercanti, umiliando i letterati; e non sono assenti le imprese militari, anche di conquista. Tuttavia la linea dominante - durante le maggiori dinastie, quando la classe letterata ha detenuto il potere - e' stata la preminenza della politica, e dello stato gestore della politica, sulla sfera economica e su quella militare. Questo orientamento di fondo ha costituito nei secoli una difesa potente contro le spinte distruttive di ogni tipo, esterne e interne. Ha finito col coincidere con la difesa di una civilta'. Non si tratta di cosa del passato, continua nel nostro secolo e nella Repubblica popolare. Il partito-stato, o stato-partito, proprio del "socialismo reale" e' intollerabile per i piu' liberi fra gli intellettuali cinesi di oggi, interrogati da Angela Pascucci. Tuttavia per molti di essi (se si escludono i piu' occidentalizzati, quelli fiduciosi che in Europa o negli Usa oggi il pluripartitismo e il sistema parlamentare equivalgano alla democrazia) il modo stesso di concepire l'unita' del paese e il perseguimento del suo interesse, non disgiunto dalla necessaria difesa degli strati piu' deboli - la grande maggioranza della popolazione - presuppone una politica forte, che si incarni nelle istituzioni pubbliche e governi l'economia. La stessa concezione ritroviamo, implicita, nella gente del popolo, anche quando e' sfiduciata e non aspira piu' a niente, se non a trovare il modo di sopravvivere. "Oggi si pensa solo al denaro": e' affermato da tutti, ma come un dato negativo: salvo che dalla grande manager sino-americana. Ma la sfida di oggi non e' quella del passato. Il modo di vivere e di pensare del privato imprenditore (la grande manager ma anche il piccolo affarista) e del pubblico consumista ha conquistato le citta'; il capitale straniero agisce (legalmente e illegalmente) anche attraverso le istituzioni cinesi, specialmente quelle provinciali. Fino a oggi non solo la Cina, ma il mondo intero non ha conosciuto una cosi' potente capacita' distruttiva. Gli stessi gestori centrali della politica sembrano consentire alle nuove leggi che impongono di servire l'economia - cioe' i potentati economici e finanziari, il capitale globale. Lo stato non puo' essere piu' oggi, neppure in Cina, il libero gestore della politica e il garante degli interessi popolari. La contraddizione e' interna ed estrema. Da quanto ci dicono i cinesi di ogni condizione, anche nelle diverse risposte dirette e indirette fornite in questo volume, oltre che dalla ambiguita' dei suoi dirigenti e da tanti altri segnali, inclusi quelli che vengono dalla produzione letteraria in prosa e in versi, possiamo affermare che la consapevolezza critica e, d'altra parte, la forza della protesta popolare sono ben presenti. Non e' possibile fare previsioni, se non forse questa: la partita non e' chiusa e si gioca in Cina piu' che in ogni altro luogo. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 217 del 30 ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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