Minime. 623



NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 623 del 29 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Sommario di questo numero:
1. Cola'. Costi'
2. Oggi a Palermo
3. Mao Valpiana: 4 novembre 2008
4. Giulio Vittorangeli: Brevi notizie dalla Palestina
5. Marina Forti: Foreste
6. Marina Forti: Salute
7. Marina Forti: Mangrovie
8. Marina Forti: CO2
9. Marina Forti: Dighe e risaie
10. Marina Forti: Croce rossa
11. Ancora arricchito di materiali il sito www.coipiediperterra.org
12. Letture: Beppe Lopez, La casta dei giornali
13. Riedizioni: Roberto Bizzocchi, In famiglia
14. Riedizioni: Peter Burke, Scene di vita quotidiana nell'Italia moderna
15. Riedizioni: Terry Coleman, Nelson
16. Riedizioni: Serge Cosseron, Napoleone. Il grande bugiardo
17. Riedizioni: Ernst Hinrichs, Alle origini dell'eta' moderna
18. Riedizioni: Herbert Marcuse, L'autorita' e la famiglia. Eros e civilta'.
L'uomo a una dimensione. Saggio sulla liberazione
19. Riedizioni: Charles Sanders Peirce, Scritti scelti
20. La "Carta" del Movimento Nonviolento
21. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. COLA'. COSTI'

Prosegue la guerra in Afghanistan. La guerra terrorista e stragista.
La guerra cui l'Italia partecipa in violazione del diritto internazionale e
della legalita' costituzionale.
Prosegue cola' la guerra, e le stragi. E prosegue costi' l'omerta' sulla
guerra, la complicita' con le stragi.

2. INCONTRI. OGGI A PALERMO
[Da Rosalba Cavadi (per contatti: rosalba.cavadi at virgilio.it) riceviamo e
diffondiamo]

Oggi, mercoledi' 29 ottobre 2008, alle ore 18,15 nella sala della Chiesa
Evangelica Valdese di via dello Spezio 43 (dietro il teatro Politeama), a
Palermo, si terra' la presentazione del libro di Umberto Santino, presidente
del Centro siciliano di documentazione "G. Impastato" di
Palermo, Breve storia della mafia e dell'antimafia (Di Girolamo Editore,
Trapani 2008, euro 9,90).
Il libro e' una sintesi chiara ed efficace di un'attivita' di ricerca volta
a dare un'immagine adeguata del fenomeno mafioso e delle lotte contro di
esso, al di la' degli stereotipi correnti.

3. INIZIATIVE. MAO VALPIANA: 4 NOVEMBRE 2008
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: mao at sis.it) per questo intervento]

La "festa" militarista del 4 novembre e' stata voluta ed istituita dal
fascismo. Ed ora che gli eredi culturali del ventennio sono arrivati al
potere, quella festa vogliono rilanciare. Non solo caserme aperte,
esposizione pubblica di carri armati, parate in divisa, ma anche militari
nelle scuole a raccontare ai giovani l'epopea della "grande guerra". Alla
festa per la vittoria si e' aggiunta quella per l'unita' nazionale ed anche
la Giornata della Forze Armate. Ogni anno, in ogni citta', le autorita'
civili, militari, religiose, si ritrovano tutte unite per legittimare
eserciti e guerre. Stiamo assistendo ad un arretramento culturale. Le parole
perdono il loro significato. Non si dice piu' "carneficina di esseri umani",
ma "intervento militare per portare la pace". La guerra ormai e' entrata
nelle coscienze di molti, per annullarle. Ed ora si vuole persino riscrivere
la storia!
Alle iniziative militariste del Ministro della Difesa, dobbiamo rispondere
con una campagna culturale che ristabilisca la verita' storica, che
valorizzi il dettato costituzionale che recita: "l'Italia ripudia la
guerra".
Il Movimento Nonviolento, i Beati i costruttori di pace e Peacelink
propongono quest'anno di trasformare il 4 novembre in una giornata di studio
e di memoria, in una giornata di ripudio della guerra.
Nei prossimi giorni diffonderemo un volantino telematico, invitando ogni
persona di buona volonta' e di buon senso (soprattutto gli insegnanti
onesti) a dire pubblicamente la verita' storica. Invitiamo i cittadini ad
esporre dai loro balconi le bandiere della pace e della nonviolenza, ad
esprimere pubblicamente lutto per le vittime ed opposizione alla guerra (la
Costituzione italiana garantisce a tutti i cittadini il diritto di esprimere
liberamente il proprio pensiero: facciamolo correttamente, con educazione e
civilta', ma facciamolo).
E soprattutto nelle scuole, ad esempio, gli insegnanti:
- leggano agli studenti le strazianti poesie di Giuseppe Ungaretti scritte
in trincea;
- facciano leggere il Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio
Gadda in cui emerge l'ottusita' di ufficiali arroganti e l'insipienza
criminale degli alti comandi;
- facciano leggere Addio alle armi di Ernest Hemingway e Un anno
sull'altopiano di Emilio Lussu, grandi testimonianze del fanatismo di quella
guerra;
- diffondano le lettere dei soldati che mandavano al diavolo la guerra e il
re. Furono censurate. Perche' censurarle oggi nelle cerimonie ufficiali e
non farne mai la minima menzione?
- facciano vedere ai ragazzi i capolavori cinematografici La grande guerra
di Mario Monicelli del 1959, Uomini contro di Francesco Rosi del 1970, e il
film Tu ne tueras pas di Autant-Lara ("Non uccidere" nella versione
italiana) che fu denunciato per vilipendio e proiettato pubblicamente nel
1961 dal sindaco di Firenze Giorgio La Pira, con un coraggioso gesto di
disobbedienza civile.
Bisogna diffondere la voce di chi ha maledetto la guerra.
La realta' storica ci dice che i costi umani di quella guerra furono
tragici: per l'Italia, 680.071 morti; 1.050.000 feriti di cui 675.000
mutilati; per l'Austria-Ungheria, 1.200.000 morti; 3.620.000 feriti (i morti
di tutti i paesi coinvolti furono quasi 10 milioni), per conquistare
all'Italia terre che si potevano ottenere per via diplomatica, come voleva
Giolitti.
Queste le conseguenze di una folle decisione voluta dal re e dal governo
contro la volonta' del Parlamento (450 su 508 deputati erano contrari).
Bisogna ricordare che chi non combatteva veniva fucilato dai carabinieri
italiani. Il sentimento di pace degli italiani venne violentato da un
militarismo spietato, che avrebbe poi aperto le porte al fascismo.
Noi ricordiamo con rispetto e con pena profonda le vittime civili e militari
di tutte le guerre. Piangiamo tutti i morti della prima e della seconda
guerra mondiale, ed oggi delle guerre in Iraq, in Afghanistan, in Libano, in
Israele, in Palestina, in Cecenia, in Africa, in Asia, siano essi civili o
militari, uomini o donne, italiani o di qualsiasi altra nazionalita'. Rende
vero onore alle vittime soltanto chi lavora tenacemente per far cessare ogni
guerra ed escluderla dai mezzi della politica, per sciogliere gli eserciti
ed istituire i corpi civili di pace per una polizia internazionale sotto
egida dell'Onu.
Il 4 novembre deve diventare giornata di memoria e di impegno per la pace.

4. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: BREVI NOTIZIE DALLA PALESTINA
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento]

Notizie brevi dalla Palestina, che puntualmente cadono nell'indifferenza
generale.
La prima riguarda i tunnel "illegali" tra Gaza e l'Egitto dove, causa
l'embargo imposto da Israele per strangolare il movimento islamico di Hamas,
passa tutto quello che e' indispensabile per la sopravvivenza della stessa
Gaza: sfamare le famiglie e allo stesso tempo allentare le tensioni sociali.
Se ne contano decine, ed hanno avuto un ulteriore incremento dopo che gli
egiziani hanno di nuovo chiuso il valico di Rafah.
La novita' e' che gli egiziani hanno deciso di dare la caccia ai tunnel,
sotto la pressione di Israele e degli Stati Uniti, e di farli saltare
immediatamente una volta individuati.
Nell'ultimo mese hanno distrutto almeno 42 gallerie sotterranee. Per le
esplosioni, cedimenti strutturali e altri incidenti, almeno 39 palestinesi
sono morti nei tunnel dall'inizio dell'anno.
*
La seconda notizia, riguarda gli attacchi di coloni israeliani ai danni
degli agricoltori palestinesi impegnati nella raccolta delle olive, fonte di
reddito e sopravvivenza per migliaia di famiglie palestinesi.
Secondo un ufficiale delle forze di sicurezza israeliane, citato dal
quotidiano "Jerusalem Post", la raccolta del 2008 e' stata la piu' violenta
degli ultimi anni, "con oltre una ventina di episodi di aggressione da parte
dei coloni". E la situazione ha raggiunto picchi di violenza tali da portare
il presidente palestinese, Mahmoud Abbas, ad accusare Israele di non fare
abbastanza per proteggere i palestinesi della Cisgiordania, definendo la
situazione "intollerabile". In un rapporto diffuso in occasione della
raccolta, le Nazioni Unite hanno evidenziato che "in qualita' di potenza
occupante, l'esercito israeliano e' obbligato ad assicurare l'ordine
pubblico e l'accesso dei palestinesi alle loro terre".
In Cisgiordania ci sono circa dieci milioni di ulivi e ogni anno
puntualmente, in autunno, si verificano attacchi ai danni di coltivatori
palestinesi ai quali i coloni cercano di impedire l'accesso alle terre.
*
L'altra notizia, direttamente collegata alla precedente, e' relativa a due
imprenditori palestinesi, impegnati nella produzione di olio di oliva e
nell'allevamento, premiati dall'Unione Europa per la migliore impresa
palestinese. Entrambi hanno avviato le loro aziende con il microcredito ed
ora sono realta' economiche solide.
Ramon Hanouneh ha avviato la sua impresa a Betlemme nel 1981 e oggi impiega
19 persone ed esporta all'estero con un fatturato di oltre 150.000 euro
l'anno.
Fatmeh Brejieh, grazie a un prestito avuto nel 2000 da un'organizzazione non
governativa, ha creato un'azienda di mangimi per animali che oggi ha un
fatturato di 50.000 dollari e 22 dipendenti.
*
L'ultima notizia e' relativa alla giornata di mobilitazione per la fine
dell'embargo a Gaza, del 27 ottobre, in concomitanza con la conferenza
internazionale organizzata (sempre a Gaza) dalla Ong Gaza Community Mental
Health Programme (Gcmhp) in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale
della Sanita' sull'impatto dell'assedio sulla salute mentale.
Secondo i dato forniti dalla ong Wafa, negli ultimi 15 mesi 252 palestinesi
sono deceduti per non aver potuto accedere a trattamenti medici, a causa
delle chiusure imposte dall'assedio.
*
Non sappiamo come si e' svolta questa giornata di solidarieta' con il popolo
palestinese, ma almeno per quello che riguarda l'Italia temiamo che brilli
per la sua latitanza. Certo la comunita' internazionale, con la sua politica
unilateralmente filoisraeliana dei due pesi e delle due misure, ha fatto di
peggio; si pensi al cosiddetto "Quartetto", il gruppo creato nel 2002 di cui
fanno parte Russia, Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite, non solo ha
fallito nel tentativo di portare avanti il processo di pace, ma ha
indebolito la credibilita' politica e l'influenza di due dei suoi
componenti, l'Unione europea e l'Onu. Oggi non si vede chi possa portare il
governo israeliano a rispettare il diritto internazionale e le risoluzioni
delle Nazioni Unite.
*
Occorrerebbe anche fare una seria analisi degli otto anni della seconda
intifada, iniziata nel settembre del 2000; di come questa ha assunto i
tratti di una lotta tutta maschile su chi e' piu' potente, in cui alle donne
e' stato permesso di partecipare al macabro gioco con l'arma piu' primitiva
di tutte, la bomba umana - secondo quanto sostiene Amira Hass, giornalista
del quotidiano israeliano "Ha'aretz"...

5. MONDO. MARINA FORTI: FORESTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 ottobre 2008, col titolo "Guerra nella
foresta Mau"]

Un piano d'emergenza per salvare la piu' grande area forestale del Kenya
rischia di innescare un conflitto sociale con implicazioni etniche. Si
tratta del Mau Forest Complex, 400.000 ettari di foreste nella parte
occidentale del Kenya: e' il piu' grande bacino di captazione d'acqua del
paese, da cui almeno dodici fiumi scorrono verso il lago Victoria - la vita
e sopravvivenza di milioni di persone ne dipende. E' pero' una regione
pesantemente colpita dal misto di taglio commerciale del legname,
colonizzazione agricola, produzione di carbone di legna: cosi' che un quarto
della foresta e' ormai scomparsa. Ed e' successo tutto nell'ultimo decennio:
nel corso del secolo scorso la foresta Mau e' stata suddivisa in 22
"blocchi" per insediamenti umani, ma il vero e proprio assalto e' cominciato
nel 1997, quando l'allora presidente Daniel Arap Moi ha fatto assegnare
grandi appezzamenti in cambio di voti. Altri appezzamenti sono stati aperti
in seguito, sempre in annate elettorali: secondo la stima dell'Unep (il
Programma Onu per l'ambiente, che ha sede proprio in Kenya), oggi nella
foresta Mau vivono 25.000 "squatters", abitanti abusivi, cioe' persone che
coltivano, portano il bestiame al pascolo, tagliano alberi, fanno bruciare
legna sotto il fango per farne carbone vegetale...
E' qui che sorge il problema. In luglio l'attuale governo di coalizione
kenyota ha istituito una task-force per fermare la distruzione della foresta
Mau. L'urgenza era ormai innegabile. si pensi che il governo ha dovuto
rinunciare alla solenne inaugurazione di un progetto idroelettrico, la diga
di Sondu Miriu, finanziata dal Giappone con 260 milioni di dollari: doveva
produrre 60 megawatt di energia elettrica e contribuire ad alleviare la
penuria d'energia del paese. Ma il flusso d'acqua nel fiume che lo alimenta
e' cosi' scarso che le turbine non possono girare. E' un effetto della
deforestazione: le fonti si disseccano, fiumi che davano da bere e da
coltivare a intere popolazioni sono diventati rigagnoli o fiumi stagionali.
Le acque del lago Nakuru, al centro di una riserva naturale nella Rift
valley, recedono. Il fiume Mara, che traversa la famosa riserva del Masai
Mara, langue. Interi villaggi di agricoltori o di pastori Masai faticano a
sopravvivere. Anche le zone di produzione del te' sono in crisi. Un disastro
per il turismo, la produzione energetica, l'agricoltura,
l'approvvigionamento d'acqua nei centro urbani. Il presidente Muai Kibaki e
il premier Raila Odinga, i rivali che ora condividono il potere (dopo una
crisi politica sanguinosa) hanno dunque affidato a una speciale task force
il compito di formulare un piano di crisi. Le raccomandazioni formulate
finora vanno da promuovere la pianificazione familiare per diminuire la
pressione demografica alla formazione di speciali "tribunali ambientali" per
punire chi lucra sulla deforestazione illegale. Ma la misura essenziale
annunciata in luglio e' stato un ultimatum di tre mesi agli "abusivi": entro
il 30 ottobre devono andarsene.
Non sara' facile. Alcune popolazioni - gli Ogiek (che una volta vivevano
come cacciatori-raccoglitori, ora per lo piu' coltivano), i Masai
(pastori) - affermano che non se ne andranno. Molti coloni dicono di avere
titoli per le terre che occupano; le autorita' dicono che molti titoli sono
falsi. La task force dira' chi avra' diritto a risarcimenti e chi a essere
risistemato altrove. 250 tra guardie forestali e agenti di polizia sono
stati inviati a recintare la foresta. Il conflitto e' pronto a scoppiare -
rinfocolando anche guerre etniche.

6. MONDO. MARINA FORTI: SALUTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 15 ottobre 2008 col titolo "Lo stato
della salute"]

Vivra' sano e piu' a lungo un cittadino medioborghese europeo o l'abitante
di uno slum di Nairobi? La risposta e' ovvia, e' vero. Per essere piu'
precisi pero' diciamo che la differenza si aggira sui 40 anni: il
medioborghese europeo vivra' in media quarant'anni piu' dell'abitante dello
slum africano. Cosi' spiega l'Organizzazione mondiale della sanita' nel suo
ultimo rapporto. Spiega anche che la diseguaglianza si riproduce all'interno
di una medesima regione o perfino citta': sempre a Nairobi, per esempio, la
probabilita' di morire prima di compiere i 5 anni d'eta' su aggira su 15 per
mille nati in una zona ricca e su 254 per mille nati in uno slum.
Puo' sembrare una banalita': essere piu' o meno benestanti (e vivere in
nazioni piu' o meno ricche) si traduce in maggiore o minore accesso a cure e
servizi sanitari e in generale qualita' della vita. Il fatto e' che siamo
abituati a un generale progresso dell'umanita', e invece l'Oms avverte che
le differenze nell'accesso alla salute sono piu' acute oggi che trent'anni
fa - in barba a decenni di "lotta alla poverta'".
Le considerazioni sulla mortalita' e le diseguaglianze sono contenute
nell'ultimo rapporto mondiale sulla salute presentato dall'Oms proprio ieri
(World Health Report 2008): un'analisi critica di come i sistemi sanitari di
base sono organizzati e finanziati. La collezione di dati basterebbe a dare
il senso di quanto siano ampie le diseguaglianze. Ad esempio: dei 136
milioni di donne che quest'anno mettono al mondo un figlio, circa 58 milioni
non ricevera' alcuna assistenza durante e subito dopo il parto, cosa che
aumenta il rischio di vita per la madre stessa e per il neonato. Le
diseguaglianze sono ovvie se si guarda alla spesa sanitaria dei singoli
stati, che oscilla tra i 20 dollari procapite di nazioni piu' povere ai
6.000 dollari procapite (o piu'). Ma la spesa sanitaria degli stati va
incrociata con un altro dato, quello sul tipo di accesso dei cittadini al
sistema sanitario: l'Oms avverte che 5,6 miliardi di abitanti di paesi a
reddito medio e basso devono pagare di tasca propria oltre meta' delle cure
mediche: cosa che ovviamente esclude chi non se lo puo' permettere.
Insomma, i dati elencati dall'Oms mettono in risalto una cosa precisa: che
"molti sistemi sanitari hanno smesso di puntare su un accesso equo alle
cure, hanno perso capacita' di investire in modo saggio le proprie risorse e
di rispondere ai bisogni e alle aspettative delle persone, soprattutto dei
gruppi piu' poveri e marginalizzati", leggiamo nelle sintesi diffuse
dall'Oms. Ma questa situazione di "accesso non equo, costi proibitivi, ed
erosione nella affidabilita' dei servizi sanitari costituiscono una minaccia
alla stabilita' sociale", leggiamo ancora.
L'Oms fa dunque appello a tornare a investire in sanita' di base. Si
richiama "all'approccio olistico alla sanita' lanciato formalmente 30 anni
fa" (la conferenza di Alma Ata del 1978, che aveva per la prima volta
imposto all'ordine del giorno l'accesso universale alla salute come un
diritto fondamentale e una priorita' degli stati). Perche' non si tratta
solo di quanto uno stato puo' e vuole investire in spesa sanitaria: quando
si paragonano paesi allo stesso livello di sviluppo economico, dove i
sistemi sanitari organizzati in modo da dare priorita' all'accesso alle cure
di base l'investimento fatto da' risultati migliori - e sara' migliore lo
stato generale di salute della popolazione. Una popolazione e' piu'' sana e
ha piu' chances di vivere bene se ha accesso a una buona sanita' di base
accessibile a tutti. Il problema e' che sembra un'ovvieta', ma non lo e'
piu'.

7. MONDO. MARINA FORTI: MANGROVIE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 ottobre 2008 col titolo "Mangrovie a
Karachi"]

Sono bastate poche settimane: in luglio i boschi di mangrovie tra i villaggi
di Ibrahim Hyderi e Rehri Goath sono scomparsi. I due villaggi si trovano ai
bordi della "grande Karachi", la metropoli pakistana affacciata sul mare
Arabico, spiega una preoccupata lettera a "The Friday Times", autorevole
settimanale indipendente pakistano. Un'area metropolitana gigantesca,
abitata da qualcosa come 13 milioni di persone, che si espande ormai a
lambire il delta del fiume Indo. Un delta importante, che copre circa
600.000 ettari (e' il sesto al mondo per grandezza), con 17 canali maggiori
e un groviglio innumerevole di canali minori coperti da una fitta
vegetazione di mangrovie, gli alberi dalle radici aggrovigliate che
"pescano" in acqua, creando un ricco habitat naturale e una solida
protezione dalle onde dell'oceano. E' un caso forse unico: la piu' grande
estensione di mangrovie al mondo in un clima arido quale e' il Pakistan
meridionale.
Il punto e' che quelle mangrovie stanno scomparendo in modo inesorabile. E
la prima causa e' proprio che dipendono dall'acqua portata dall'Indo, visto
che nella regione piove ben poco: ma di acqua, il grande fiume che nasce
dall'Himalaya ne porta sempre meno. Infatti negli ultimi 60 anni una serie
di dighe e chiuse e' stata costruita nella parte alta del suo corso e sui
suoi affluenti.
L'acqua e' deviata per alimentare progetti agricoli o industriali. Oggi
circa il 60% dell'acqua del bacino dell'Indo finisce nella rete di
irrigazione, importante perche' bagna oltre 15 milioni di ettari, circa
l'80% delle terre coltivate di un paese essenzialmente agricolo. Questo
pero' ha un costo pesante sull'equilibrio ambientale - per tutto il
Pakistan, tagliato da nord a sud dal grande fiume. Tanto piu' che le singole
province non hanno una politica coordinata, ciascuna pompa secondo
necessita' e progetti, sempre di piu'. Per le mangrovie e' un attentato
mortale: gli alberi stanno letteralmente morendo di sete. E questo e' un
attentato anche alla sopravvivenza del milione e passa di persone che vive
attorno alle mangrovie. Il documento della Iucn (Unione mondiale per la
conservazione della natura) da cui traggo questi dati stima che oltre
135.000 persone dipendano direttamente dalle mangrovie per la propria
sopravvivenza, in particolare pescatori, contadini. Tre quarti del delta
vivono di pesca: ma con il declino delle mangrovie scompaiono anche pesci e
crostacei.
La lettera pubblicata dal "Friday Times" indica altre minacce alle
mangrovie: il taglio illegale (ma ampiamente tollerato) del legno, e la
"mafia della terra", soprattutto nelle zone ormai lambite dalla metropoli in
espansione. Spiega ad esempio che il governo municipale di Karachi smaltisce
i rifiuti solidi urbani buttandoli in mare - ad esempio nei villaggi gia'
citati - e interrandoli, e cosi' "reclama" al mare sempre nuove zone dove le
mangrovie sono state tagliate o sono lasciate a morire di sete. La lettera
parla delle proteste, vane, del Pakistan People's Forum; racconta di
pescatori in fallimento che tagliano i poveri alberi rimasti per venderli
alle piccole aziende che li trasformano in carbone vegetale. Infine nota che
la gran parte delle aree costiere cade sotto la giurisdizione di tre
istituzioni: la Defence Housing Authority, il Karachi Port Trust (entrambe
di proprieta' dell'esercito pakistano) e il Land Revenue Department (dello
stato), e conclude: "Sfortunatamente, queste tre agenzie hanno come
priorita' lo sviluppo economico, non l'ambiente e le mangrovie".

8. CLIMA. MARINA FORTI: CO2
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 22 ottobre 2008 col titolo "Aria calda.
Tokyo lancia il suo 'mercato del clima'. Lo scambio di emissioni di CO2"]

Il Giappone ha deciso di entrare con tutto il suo peso in uno dei piu'
promettenti mercati mondiali, quello del commercio di emissioni di anidride
carbonica (CO2). L'ha annunciato ieri il ministro dell'ambiente Tetsuo
Saito: il governo di Tokyo lancia un meccanismo volontario di "scambio di
emissioni" nella speranza di spingere le aziende private a tagliare le
proprie emissioni, e quindi accelerare l'adozione di innovazioni
tecnologiche per consumare meno energia e ridurre la CO2 emessa.
Il termine "mercato delle emissioni" puo' suonare molto astratto, ma si
tratta di qualcosa di molto concreto: tonnellate e tonnellate di anidride
carbonica, uno dei principali gas "di serra" responsabili del cambiamento
del clima. Risulta in particolare dalla combustione di fossili (petrolio,
carbone), quindi da industrie, centrali elettriche, veicoli a motore.
Per spiegarsi bisogna partire dal Protocollo di Kyoto, unico trattato
internazionale sul clima attualmente in vigore: impone a 37 paesi
industrializzati di tagliare le emissioni di CO2 e altri gas di serra, nel
periodo 2008-2012, del 5,2% in media rispetto al 1990 (l'unico paese
industrializzato fuori da Kyoto oggi sono gli Stati Uniti, per decisione
unilaterale dell'amministrazione Bush). Gli obiettivi sono in realta'
differenziati per regione e per paese: l'Unione Europea nel suo insieme deve
tagliare le emissioni di CO2 dell'8%. Il Giappone, quinto emettitore
mondiale di gas di serra, deve tagliare le proprie emissioni del 6%. Il
punto e' che invece sta emettendo circa il 6% piu' del 1990 (1.340 milioni
di tonnellate di anidride carbonica nell'anno fiscale finito nel marzo
2007). Anche l'Ue del resto e' parecchio in ritardo sugli impegni presi.
Il protocollo di Kyoto concede dei "meccanismi flessibili" per facilitare
l'obiettivo. Uno va sotto la sigla "Clean development mechanism", Cdm, cioe'
la possibilita' di finanziare progetti di sviluppo "pulito" in paesi terzi,
ad esempio in via di sviluppo, e mettere nel proprio conto le emissioni di
CO2 "evitate" o tagliate. L'altro e' appunto il commercio di emissioni,
rigorosamente tra i 37 paesi vincolati dai tagli obbligatori. Il principio
e' che si quantificano la quota di emissioni "assegnate" a ciascun paese (e
a ciascuna azienda); chi sfora la propria quota puo' cercare di recuperare
comprando quote altrui.
Di questo tratta il piano annunciato ieri a Tokyo. Il piano e' "volontario",
perche' il governo giapponese finora ha rifiutato di imporre tagli
obbligatori alle sue aziende (come invece ha fatto l'Unione Europea, che
gia' nel 2004 ha cominciato a definire i "piani nazionali di allocazione"
delle emissioni, in cui la quota del paese e' suddivisa tra i vari soggetti
economici nazionali: quindi ogni fabbrica, raffineria, centrale elettrica
etc. sa quanta CO2 e' autorizzata a emettere). In Giappone ogni settore
industriale stabilisce volontariamente i propri obiettivi. Bisogna
riconoscere che e' tra i paesi a piu' alta efficenza energetica al mondo: ma
per rispettare Kyoto deve tagliare ancora.
"Speriamo che migliaia o addirittura decine di migliaia di aziende, dalle
piu' grandi a quelle medie e piccole, si iscriveranno al nostro programma di
scambio di emissioni", ha dichiarato ieri il ministro Saito. Da ieri e fino
a fine dicembre il governo raccogliera' le richieste delle singole aziende,
che dovranno indicare quanta CO2 intendono tagliare, quindi quanta prevedono
di emetterne; il programma di scambio diventera' operativo nel 2009 e il
governo spera di farne il maggior mercato ambientale del paese.
Il ministro Saito dice che in prospettiva questo piano volontario diventera'
un vero sistema cap and trade, cioe' scambio sulla base di limiti
obbligatori. Certo e' che il commercio di emissioni e' potenzialmente
gigantesco, fa notare l'economista Matteo Leonardi, consulente del
Wwf-Italia: per restare all'Unione Europea, i 27 emettono oggi 5,3 miliardi
di tonnellate di CO2, di cui 2,4 miliardi nei settori industriali soggetti a
"commercio di emissioni": a 20 euro per ciascuna quota di una tonnellata
fanno 50 miliardi l'anno di potenziali scambi.

9. MONDO. MARINA FORTI: DIGHE E RISAIE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 23 ottobre 2008 col titolo "Le risaie di
Nelumwewa"]

Strana catena di eventi. Centinaia di famiglie sono costrette a lasciare i
propri villaggi in un distretto settentrionale dello Sri Lanka, causa la
costruzione di una diga che serve ad alimentare un progetto di irrigazione.
La famiglie evacuate sono risistemate non molto lontano, ma scoprono che le
terre sono piu' aride e saline di quelle lasciate. Per diverse stagioni
perdono i raccolti. Cosi' ora un programma di assistenza delle Nazioni Unite
si dedica a "mitigare" l'impatto del progetto di irrigazione aiutando i
contadini sfollati a trovare varieta' di riso coltivabili in quelle terre.
Il fiume in questione e' il Deduru Oya, uno dei piu' importanti corsi
d'acqua che scende dalle montagne centrali dello Sri Lanka per gettarsi
nell'oceano Indiano. Siamo in una zona intermedia semiarida, nella stagione
secca il bacino che alimenta il fiume non raccoglie molta acqua. Fin dagli
anni '60 si accumulano i progetti per "sviluppare" il Deduru Oya, ma non
sono mai andati in porto, soprattutto a causa delle resistenze degli
agricoltori locali. Infine nel 2006 le autorita' srilankesi, con il sostegno
di organizzazioni internazionali, decidono di costruire una diga per creare
un reservoir (lago artificiale) e convogliare l'acqua in un sistema di
irrigazione, lasciandone parte per un impianto idroelettrico (1,5 megawatt).
Il progetto avanza nonostante qualche protesta locale. I villaggi destinati
alla sommersione sono evacuati, centinaia di famiglie vedono scomparire le
risaie e le macchie di palme da cocco e sono costrette fanno i bagagli. Il
governo del resto ha assegnato nuove terre agli sfollati. Le opposizioni
restano forti pero', nell'estate del 2007 i giornali di Colombo riferiscono
di proteste. Poi piu' nulla.
Finche' ritroviamo il bacino del Deduru Oya nel notiziario on-line "Irin",
pubblicato dal Coordinamento Onu per gli affari umanitari. Apprendiamo che
il Programma dell'Onu per lo sviluppo (Undp) sta aiutando alcune centinaia
di famiglie risistemate a valle del reservoir, nella zona chiamata
Nelumwewa. "E' una zona dove gli effetti del cambiamento del clima sono
chiaramente visibili", spiega a "Irin News" Ramitha Wijethunga, responsabile
dell'Undp per il "disaster management", la gestione dei disastri. Il
disastro, in questo caso, e' che le temperature globali in aumento fanno si'
che l'evaporazione dai suoli accelera, lasciando depositi salini: e' un
fenomeno che coinvolge zone sempre piu' estese di terre agricole sia
costiere che interne dello Sri Lanka. La regione di Nelumwewa, dicono gli
esperti dell'Undp, e' un esempio della necessita' di studiare misure per
"mitigare" gli effetti negativi del cambiamento del clima e il rischio
siccita'. Su scala nazionale, il governo dello Sri Lanka ha lanciato un
programma per "riabilitare" circa 40.000 ettari di risaie abbandonate per
varie ragioni, e rilanciare cosi' la produzione alimentare.
Torniamo agli sfollati, che hanno ormai perso tre raccolti, uno dopo
l'altro. Ora l'Undp ha avviato un programma di sostegno tecnico con il Rice
Research Development Institute, istituzione nazionale per la ricerca sul
riso. Hanno trovato che le varieta' di riso tradizionali del luogo - quelle
abbandonate in passato a favore di ibridi ad alto rendimento - danno
raccolti piu' modesti, ma resistono a malattie e parassiti e soprattutto si
adattano ai terreni piu' salini. Cosi' gli agricoltori sono tornati alle
vecchie sementi. Si va per tentativi, si tratta di rivedere il modo di
coltivare, quando trapiantare, quando allagare le risaie. Quest'anno il
raccolto sembrava buono, spiega Irin. C'e' stato un solo imprevisto: la
notte prima del raccolto sono arrivati gli elefanti...

10. ITALIA. MARINA FORTI: CROCE ROSSA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 ottobre 2008 col titolo "Croce rotta"
e il sommario "Una Croce rossa sotto controllo di stato. L'istituzione
umanitaria si fonda sui principi di indipendenza e neutralita'. Ma in Italia
e' un ente pubblico subordinato alle autorita'. Le proteste di Ginevra. Una
bozza di revisione dello statuto della Cri accende la rivolta degli
operatori e le proteste internazionali"]

Una sorta di rivolta e' in corso tra gli operatori e i volontari della Croce
rossa italiana. Lo si capisce leggendo gli interventi di un forum interno,
pubblicato sul sito web della Cri per raccogliere commenti a una bozza di
riforma dello statuto.
In gioco e' la natura stessa della Cri e la sua indipendenza. Oggi il suo
statuto giuridico e' quello di un ente pubblico, dunque sotto il controllo
dello stato. Ma questo contravviene ai principi di indipendenza e di
neutralita', due dei fondamenti del Movimento internazionale della Croce
rossa e Mezzaluna rossa (istituzione umanitaria articolata in Societa'
nazionali, raccolte dal 1919 in una Federazione internazionale con sede a
Ginevra).
"La Croce rossa di stato e' un'invenzione italiana, assolutamente
irregolare", scrive "Lupo" il 20 settembre sul forum interno alla Cri (che
garantisce l'anonimato). In effetti la Croce rossa italiana e' l'unico caso,
almeno in Europa, di una societa' nazionale di Croce rossa sotto il
controllo dello stato. Su questo punto i dirigenti del Movimento
internazionale, a Ginevra, hanno piu' volte "richiamato" Roma.
Hanno suscitato malumore i ripetuti commissariamenti: la Croce rossa
italiana e' stata affidata a un Commissario speciale nominato dal governo
dal 1980 al '98. Nel 2003 il governo Berlusconi ha nominato un nuovo
Commissario speciale, Maurizio Scelli. E' sotto la sua gestione che la Cri
e' intervenuta in Iraq al seguito dell'esercito italiano, con buona pace
della "neutralita'": l'emblema della Croce rossa accanto alle divise
militari ha suscitato dure proteste del Movimento internazionale a Ginevra.
Anche il malumore degli operatori e volontari della Croce rossa italiana e'
esploso allora. E' cosi' che nel 2005, scaduto il mandato del Commissario
Scelli, il consiglio dei ministri ha emanato un nuovo statuto e la Cri ha
eletto un presidente nazionale, Massimo Barra, tutt'ora in carica.
Indipendenza restaurata? No, perche' accanto al presidente c'e' un direttore
generale (funzionario pubblico, di nomina governativa), nella persona di
Andrea Desdorides: ha il controllo di fatto dell'ente pubblico. Cosi' ancora
nel 2007 i presidenti della Federazione internazionale e del Comitato
internazionale della Croce rossa hanno scritto a Romano Prodi, allora
presidente del Consiglio, chiedendo di garantire l'indipendenza della Croce
rossa italiana.
Le pressioni di Ginevra hanno avuto un effetto: lo Statuto della Cri e' di
nuovo in discussione. L'aspettativa era alta, tra gli operatori italiani e a
Ginevra. "Questo processo di revisione va condotto a buon fine, poiche' lo
statuto attuale della Croce rossa italiana non corrisponde alle esigenze
minime del movimento", scriveva lo scorso febbraio Stephen Devey, presidente
della commissione congiunta Cicr-Federazione internazionale, al presidente
della Cri, Barra.
La "bozza di riforma" pubblicata infine sul sito della Cri ha deluso le
aspettative, perche' resta sottoposta al controllo di dirigenti e revisori
pubblici. Tanto piu' che corre voce di un nuovo commissariamento.
La "rivolta" interna dunque si e' riaccesa. Ecco ancora "Lupo": "il
principio di indipendenza, riportato nella prima pagina, e' stato modificato
per farlo combaciare a un modello di Croce rossa di stato", scrive citando i
testi originali della Federazione internazionale. In effetti l'originale
dice che "le societa' nazionali, benche' ausiliarie dei servizi umanitari
dei rispettivi governi e soggette alle leggi del paese, devono sempre
mantenere la loro autonomia", ma il testo italiano e' edulcorato.
E' su quel Forum che circola una proposta estrema. Da un lato, leggiamo,
c'e' l'attuale Cri, un ente pubblico con trecentomila volontari e 5.000
dipendenti (il 90% del contributo statale alla Cri serve a coprire i loro
stipendi): "Bisogna cambiargli nome, rimuovere l'emblema della Croce rossa,
ribattezzarla ad esempio ente di stato per l'aiuto umanitario", sostiene
"Lupo". "Potra' cosi' essere fondata in Italia una vera societa' della Croce
rossa, indipendente, adatta a rispondere a tutti i sette principi
fondamentali". E' solo una proposta, il lavoro della commissione della Cri
sullo statuto e' ancora in corso. Ma si capisce che la legittimita' della
Croce rossa italiana e' in gioco.

11. MATERIALI. ANCORA ARRICCHITO DI MATERIALI IL SITO
www.coipiediperterra.org

E' stato ulteriormente arricchito di materiali il sito del comitato che si
oppone all'aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto
aereo, in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti
di tutti: www.coipiediperterra.org
Il sito contiene sezioni in italiano e in inglese, e tutti i fascicoli
usciti (oltre centotrenta) del notiziario omonimo: notiziario su cui sono
apparsi anche numerosissimi interventi di illustri personalita' del
dibattito scientifico e culturale e approfonditi materiali di
documentazione.
Sono inoltre presenti nel sito sezioni specifiche che presentano comunicati,
relazioni, interviste, bibliografie e sitografie.
E ancora: link utili e siti amici, un'ampia cronologia del comitato.
In evidenza nella home page le recenti comunicazioni intercorse con varie
autorita' istituzionali.
Il sito ospita anche uno spazio dell'Isde di Viterbo (l'Isde e' la
prestigiosa Associazione italiana medici per l'ambiente - International
Society of Doctors for the Environment Italia) che reca anche vari materiali
in ricordo dell'illustre scienziato Lorenzo Tomatis.
Di particolare interesse un'ampia sezione di testi di studio, che presenta
anche opere integrali di Gunther Anders, Piero Calamandrei, Aldo Capitini,
Susan George, Martin Luther King, Alexander Langer, Primo Levi, Giulio A.
Maccacaro, Jean-Marie Muller, Vandana Shiva, ed ancora altre autrici ed
altri autori.
Il sito www.coipiediperterra.org vuole essere uno strumento di informazione
e documentazione a disposizione di tutte le persone interessate all'impegno
in difesa della salute, dell'ambiente, della democrazia, dei diritti di
tutti.

12. LETTURE. BEPPE LOPEZ: LA CASTA DEI GIORNALI
Beppe Lopez, La casta dei giornali, Stampa Alternativa - Rai-Eri,
Viterbo-Roma 2007, pp. 208, euro 10. Recita il sottotitolo "Cosi' l'editoria
italiana e' stata sovvenzionata e assimilata alla casta dei politici". Un
libro di taglio pubblicistico (e sull'argomento piacerebbe avere un testo di
impianto piu' rigoroso, con tabelle e bibliografia, e con una metodologia
ermeneutica che richiederebbe pero' forse molte centinaia di pagine e
qualche anno di ricerche), da leggere e ragionare.

13. RIEDIZIONI. ROBERTO BIZZOCCHI: IN FAMIGLIA
Roberto Bizzocchi, In famiglia. Storie di interessi e affetti nell'Italia
moderna, Laterza, Roma-Bari 2001, "Il giornale", Milano s.d. ma 2008, pp.
XII + 220, euro 6,90 (in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Fondata
su ricerche d'archivio la ricostruzione delle vicende di una famiglia
toscana tra Seicento e Ottocento, che e' anche una specola sulla vita
materiale, le relazioni sociali, il divenire storico dell'Italia dell'eta'
moderna, con adeguata strumentazione critica.

14. RIEDIZIONI. PETER BURKE: SCENE DI VITA QUOTIDIANA NELL'ITALIA MODERNA
Peter Burke, Scene di vita quotidiana nell'Italia moderna, Laterza,
Roma-Bari 1988, "Il giornale", Milano s.d. ma 2008, pp. XIV + 364, euro 6,90
(in supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una raccolta di saggi che
esaminano vari aspetti della vita, della cultura, delle istituzioni italiane
nell'eta' moderna. Molte le pagine acute e appassionanti.

15. RIEDIZIONI. TERRY COLEMAN: NELSON
Terry Coleman, Nelson. L'uomo che sconfisse Napoleone, Mondadori, Milano
2003, "Il giornale", Milano s.d. ma 2008, pp. XIV + 426, euro 6,90 (in
supplemento al quotidiano "Il giornale"). Una biografia di taglio
giornalistico (peraltro con solida base documentaria).

16. RIEDIZIONI. SERGE COSSERON: NAPOLEONE. IL GRANDE BUGIARDO
Serge Cosseron, Napoleone. Il grande bugiardo, Piemme, Casale Monferrato
2005, "Il giornale", Milano s.d. ma 2008, pp. 298, euro 6,90 (in supplemento
al quotidiano "Il giornale"). Uno di quei libri che una volta si leggevano
in treno, naturalmente con quanto di buono e di lieve cio' implica.

17. RIEDIZIONI. ERNST HINRICHS: ALLE ORIGINI DELL'ETA' MODERNA
Ernst Hinrichs, Alle origini dell'eta' moderna, Laterza, Roma-Bari 2005, "Il
giornale", Milano s.d. ma 2008, pp. XVI + 266, euro 6,90 (in supplemento al
quotidiano "Il giornale"). A quasi trent'anni dalla sua pubblicazione, ci
sembra ancora utile anche a fini didattici questo libro di storia
dell'Europa moderna.

18. RIEDIZIONI. HERBERT MARCUSE: L'AUTORITA' E LA FAMIGLIA. EROS E CIVILTA'.
L'UOMO A UNA DIMENSIONE. SAGGIO SULLA LIBERAZIONE
Herbert Marcuse, L'autorita' e la famiglia. Eros e civilta'. L'uomo a una
dimensione. Saggio sulla liberazione, varie edizioni Einaudi, Torino,
Mondadori, Milano 2008, pp. XII + 788, euro 12,90 (in supplemento a vari
periodici Mondadori). Questi libri sono stati il pane e la gioia della
nostra gioventu'. E vivamente li raccomandiamo ancora.

19. RIEDIZIONI. CHARLES SANDERS PEIRCE: SCRITTI SCELTI
Charles Sanders Peirce, Scritti scelti, Utet, Torino 2005, 2008, pp. 736,
euro 13,90. A cura di Giovanni Maddalena, una vasta raccolta di scritti
peirceani (tra cui non pochi classici tante volte citati e quasi mai letti).
Mi diceva iersera all'osteria di Iaiotto il mio buon amico Annibale
Scarpone: "Un duplice sentimento sempre mi prende leggendo Peirce: da un
lato la difficolta' a scindere la sua personale sfortunata vicenda
esistenziale da un'opera cosi' rigorosa, e forse cosi' rigorosa proprio per
uscire dalla diruta concretezza di quella vicenda in un mondo di pensiero
non piu' creaturale; dall'altro la fondamentale incertezza che sempre mi
coglie leggendo tanti scritti di gran parte degli autori che per
semplificare si etichettano come pragmatisti (per non dire poi della
cosiddetta 'filosofia analitica', massime intesa come altro lato dello
specchio della 'continentale'): fatta eccezione per Dewey, mi chiedo sovente
se dicono davvero o se stanno scherzando; scilicet: se mi trovo di fronte
all'orgia delle banalita' o a questioni cruciali ma che non riescono ad
appassionarmi, forse perche' da giovane lessi Aristotele e la scolastica, e
sovente ho l'impressione che si tratti di ripigliate stracche di cose che il
pensiero greco e quello dell'occidente medioevale avevano indagato con assai
maggior profondita' - e sgomento. Mah". Sentendo questo, irruppe biascicando
il vecchio Checco de Furbotto: "Pensavo che avessimo tutti letto solo Marx e
Lenin, che sono adesso queste novita'?". "Americanate", tagliava corto
Annibale, "Americanate...". E invece: ancora ci appassiona, e ci interroga,
Peirce.

20. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

21. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it,
sudest at iol.it, paolocand at libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 623 del 29 ottobre 2008

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

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