[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
Minime. 622
- Subject: Minime. 622
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 28 Oct 2008 01:13:07 +0100
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 622 del 28 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. 4 novembre giorno di lutto, in memoria delle vittime della guerra, contro la guerra, i suoi strumenti e i suoi apparati 2. "Peacereporter": Una strage di lavoratori in Afghanistan 3. "Peacereporter": Una strage a un funerale in Pakistan 4. Nicola Sessa: Una strage di bambini in Siria 5. Stefano Rodota': Per comprendere quello che accade in Italia... 6. Felice Cimatti presenta "Neuroetica. La morale prima della morale" di Laura Boella 7. Marina Montesano presenta "La doppia vita di Leone l'Africano" di Natalie Zemon Davis 8. Rossana Rossanda: Hannah, Elfride e Martin 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. 4 NOVEMBRE GIORNO DI LUTTO, IN MEMORIA DELLE VITTIME DELLA GUERRA, CONTRO LA GUERRA, I SUOI STRUMENTI E I SUOI APPARATI Il 4 novembre, anniversario della fine dell'"inutile strage" della prima guerra mondiale, sia giorno di lutto: in memoria delle vittime della guerra, contro la guerra, i suoi strumenti e i suoi apparati. Sia giorno di presa di coscienza: la guerra e' nemica dell'umanita', le armi e gli eserciti servono a uccidere esseri umani. Sia giorno di impegno civile: per far cessare le guerre e le stragi, per costruire la pace con mezzi di pace. Sia giorno di iniziativa per la legalita': "L'Italia ripudia la guerra" e' scritto nella nostra legge fondamentale; si applichi finalmente questo principio sancito dalla Costituzione della Repubblica Italiana. * Cessi immediatamente la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan. Si avvii la Difesa popolare nonviolenta, si avvii il disarmo, si avvii la smilitarizzazione dei conflitti, del territorio, delle istituzioni, della societa', delle relazioni. Vi e' una sola umanita'. Ogni essere umano ha diritto a non essere ucciso. 2. GUERRA. "PEACEREPORTER": UNA STRAGE DI LAVORATORI IN AFGHANISTAN [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 27 ottobre 2008 col titolo "Raid aereo contro talebani, uccisi otto civili"] Otto impiegati in un'impresa di costruzioni afghana sono rimasti uccisi sabato in un raid aereo nell'Afghanistan centrale, compiuto dalla coalizione a guida statunitense presente in Afghanistan. Lo riferisce oggi un ufficiale di polizia locale, mentre la coalizione ha ammesso di aver aperto un'inchiesta per far luce sull'accaduto. "Alcuni dipendenti afghani di un'impresa di costruzioni sono stati attaccati da talebani nel distretto di Qara Bagha, nella provincia di Ghazni", ha riferito il capo della polizia della provincia, Mohammad Zaman, aggiungendo che "le forze internazionali hanno bombardato gli insorti ma nel raid sono rimasti uccisi otto tra i dipendenti dell'impresa di costruzione". 3. GUERRA. "PEACEREPORTER": UNA STRAGE A UN FUNERALE IN PAKISTAN [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 27 ottobre 2008 col titolo "Pakistan, drone Usa spara due missili al confine afghano: 20 morti"] Due missili, che si sospettano essere stati lanciati da un aereo statunitense senza pilota, hanno colpito oggi un'area nel Waziristan del sud, al confine tra Pakistan e Afghanistan, uccidendo fino a venti militanti inclusi alcuni stranieri. Lo hanno riferito ufficiali pachistani dell'intelligence. L'area e' una roccaforte del leader talebano pachistano Baitullah Mehsud. "Due missili sono stati sparati, colpendo due case a Shakai e uccidendo fino a 20 militanti", ha detto uno degli ufficiali. Il dipartimento della Difesa statunitense ha affermato di non avere informazioni in merito a un attacco via drone. Secondo un altro ufficiale pachistano, alcuni dei militanti stranieri uccisi stavano partecipando al funerale di uno dei fratelli minori di Baitullah Mehsud, Yahya, ucciso da un gruppo di uomini armati non identificati. In passato, aerei senza pilota Usa hanno gia' effettuato una decina di raid in territorio pachistano, nelle aree di confine che costituiscono le retrovie per i militanti talebani che combattono i militari stranieri in Afghanistan. 4. GUERRA. NICOLA SESSA: UNA STRAGE DI BAMBINI IN SIRIA [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 27 ottobre 2008 col titolo "Uno 'strano' raid Usa in territorio siriano" e il sommario "Otto persone, tra cui quattro bambini sono rimasti uccisi in un raid Usa in Siria. Damasco annuncia reazione"] Akram Hameed ha quarant'anni e tutte le domeniche si ferma lungo le rive del fiume Eufrate per pescare. Anche ieri Akram era seduto sull'argine del grande fiume con lo sguardo rivolto a est, verso il confine con il vicinissimo Iraq. * Di corsa verso il motorino. Di corsa verso i bambini. Ha visto arrivare, all'improvviso, quattro elicotteri neri, americani. Uno e' atterrato in un campo coltivato a non piu' di venti metri da lui. Cinque, sei, sette uomini sono uscito dalla pancia del grande elicottero nero e hanno cominciato a sparare contro un edificio ancora in costruzione. Akram ha capito che la situazione non era delle migliori per pescare. Ha lasciato la sua canna e i suoi cesti e ha cominciato a correre verso il motorino con il quale aveva raggiunto la sponda del fiume. E' stato un attimo, si e' girato ed e' stato colpito al braccio destro. Tutto sommato, gli e' andata bene. Nell'edificio, quello in costruzione, c'erano delle persone, civili, come ha riferito il governo di Damasco. Tra queste, la moglie del guardiano dell'edificio che adesso si trova in ospedale, intubata. "Due elicotteri sono atterrati e gli altri due sono rimasti a mezz'aria". Lei li ha visti bene, ha avuto piu' tempo di Akram. E i soldati, venuti fuori dagli elicotteri, erano otto. "Ho cominciato a correre per raggiungere i miei bambini, per metterli in salvo", ha detto la donna all'inviato dell'Ap. Perche' c'erano anche dei bambini all'interno dell'edificio e alla fine, quando si e' fatta la conta delle vittime, tra gli otto corpi rimasti a terra c'erano quelli di quattro bambini. * Il raid oltre confine Da Damasco la reazione e' stata durissima. Reem Haddad, portavoce del ministero dell'Informazione, ha riferito all'emittente panaraba Al-Jazeera che senz'altro ci sara' una reazione da parte della Siria, che non manchera' una risposta alla "grave aggressione" portata sul loro suolo da parte statunitense. Secondo quanto riferito dalla tv di stato, ieri pomeriggio, alle 4,45 locali, quattro elicotteri Usa, provenienti dall'Iraq, hanno invaso lo spazio aereo siriano e attaccato un edificio in costruzione nel villaggio di Sukariya, non lontano dalla cittadina di Abukamal, a soli otto chilometri dal confine iracheno e dalla cittadina di Qaim. Solo la settimana scorsa i vertici americani in Iraq avevano accusato Damasco di disinteressarsi del controllo del confine diventato un vero e proprio incrocio per passaggio di armi e di terroristi legati ad Al-Qaeda. * Covo di terroristi? Sebbene dal comando Usa non sia arrivata nessuna comunicazione ufficiale in merito al raid compiuto ieri, una fonte militare, rimasta anonima per ovvi motivi, ha confermato la notizia affermando che l'attacco era mirato a spezzare la rete di al-Qaeda che opera oltre confine. "Abbiamo preso noi la situazione in mano", ha detto l'ufficiale. Il colonnello Chris Hughes, portavoce delle forze Usa dispiegate nell'Iraq occidentale, ha detto che "le unita' impegnate in quella zona non sono responsabili dei fatti di domenica pomeriggio". Il governo ha convocato gli inviati statunitensi e iracheni a Damasco per avere spiegazioni. Soprattutto, si chiede a Baghdad di prendere una posizione e di opporsi a che il suo territorio diventi base di attacco per la Siria. Oltre che di una grave violazione del diritto internazionale, si tratta di una violazione anche dei principi che ispirano il Patto di Sicurezza (Sofa) in corso di approvazione tra Baghdad e Washington dato che uno dei punti prevede il divieto di attaccare i paesi confinanti. Se e' vero che la Siria rappresenta ancora il principale crocevia per l'afflusso della guerriglia dal nord Africa all'Iraq, restano difficili da capire le motivazioni di un attacco lampo a un edificio, che sembrerebbe un edificio qualunque, lontano dal poter essere considerato covo di contrabbandieri o affiliati di al-Qaeda. 5. RIFLESSIONE. STEFANO RODOTA': PER COMPRENDERE QUELLO CHE ACCADE IN ITALIA... [Dal quotidiano "La Repubblica" del 27 ottobre 2008 col titolo "Le regole da abbattere"] Per comprendere quello che accade, conviene fare qualche piccolo esercizio di memoria, che sta diventando sempre piu' corta, limitata ormai a meno di ventiquattro ore, come dimostra il gioco delle opposte dichiarazioni coltivato dal presidente del Consiglio. Torniamo, allora, agli interventi con i quali il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale hanno ancora una volta disegnato il perimetro delle istituzioni democratiche, e lo hanno ricordato ai cittadini. Di fronte ad una aggressiva dichiarazione del presidente del Consiglio, che affermava di voler "imporre" al Parlamento l'approvazione dei decreti legge, Giorgio Napolitano ha ricordato che "in Italia si governa - come in tutte le democrazie parlamentari - con leggi discusse e approvate dalle Camere nei modi e nei tempi previsti dai rispettivi regolamenti, e solo in casi straordinari di necessita' e urgenza con decreti". Di fronte al conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento contro la Corte di cassazione per la sua sentenza sul caso Englaro, sostenendo che erano state invase le competenze del potere legislativo, la Corte costituzionale lo ha dichiarato inammissibile, sottolineando come la Cassazione abbia correttamente esercitato le proprie competenze e respingendo la pretesa delle Camere di sindacare un atto giudiziario e di ritenersi le uniche legittimate ad affrontare la questione. Tutto e' bene quel che finisce bene? Niente affatto. Queste due vicende mostrano con chiarezza che la consapevolezza istituzionale si ritira sempre piu' dal governo e dal Parlamento e si rifugia in aree circoscritte, anche se altamente significative, del sistema democratico. Si accentua cosi' una pericolosa asimmetria istituzionale, dove la divisione dei ruoli e il rispetto delle regole sono costantemente visti come un ostacolo illegittimo, da abbattere. L'unica norma fondativa del sistema e' riconosciuta nell'investitura elettorale, che cancella ogni altra regola e legittima qualsiasi decisione. Si materializza cosi' una italianissima versione dell'estinzione dello Stato costituzionale di diritto. E' una forzatura interpretativa? Consideriamo, allora, dichiarazioni e comportamenti concreti. * 1) Ancora sul lodo Alfano e dintorni. Nell'apprendere la notizia del rinvio del lodo alla Corte costituzionale da parte dei magistrati milanesi, il presidente del Consiglio ha quasi dato in escandescenze minacciando la Corte di chissa' quali ritorsioni istituzionali qualora avesse osato ritenere illegittimo quel provvedimento. Mi farebbe piacere conoscere su cio' l'opinione di quel giudice costituzionale che si dimise ritenendo in pericolo la liberta' di giudizio della Corte per normali dichiarazioni di alcuni politici (e anche l'opinione di quelli che ritennero giusta la sua posizione). Comunque, dopo l'intervento presidenziale, e' venuto di rincalzo il suo piu' fido avvocato-parlamentare, in odore di vero ministro della Giustizia, con parole che piu' chiare non potrebbero essere. La sequenza logica (si fa per dire) e' la seguente: Berlusconi ha ricevuto un largo consenso per risolvere i problemi del paese; ha gia' risolto la questione Alitalia e quella dei rifiuti a Napoli; di questo i magistrati milanesi non hanno tenuto conto, si' che il loro comportamento e' censurabile, essendo il lodo lo strumento necessario per mettere il presidente in condizione di lavorare senza i turbamenti che potrebbero venire da indagini giudiziarie. L'elezione e' cosi' trasformata in "unzione", e l'unto del Signore si sente sciolto dalla soggezione alle regole. Senza scomodare la Bibbia (Isaia, 61), lasciamo la parola al protagonista (25 novembre 1994): "Io sono l'unto del Signore, c'e' qualcosa di divino nell'essere scelto dalla gente". La dimensione della legalita' scompare, in modo ancor piu' radicale di quella affidata alla formula del "princeps legibus solutus". Nella recente storia politica italiana e' possibile rintracciare qualche precedente, primo tra tutti il discorso di Bettino Craxi in occasione della fiducia al Governo Spadolini, quando attacco' i magistrati milanesi (sempre loro!) perche' avevano indagato su quel galantuomo di Roberto Calvi, turbando cosi' l'andamento della borsa. In questa singolare versione della legalita' democratica il listino di borsa faceva aggio sul codice penale. Il filone di pensiero che vuole le norme penali subordinate al "fare" della politica ha fatto proseliti, si e' irrobustito, ha prodotto un nuovo schema istituzionale, ci fa quotidianamente scivolare verso un mutamento di regime. Berlusconi commenta compiaciuto il funzionamento del governo, dicendo che lavora "come un consiglio d'amministrazione", inconsapevole della distanza tra il funzionamento di un'impresa e quello di una democrazia (lo confermano i suoi inviti a comperare determinate azioni e a non fare pubblicita' sulla Rai). Parlarne e' antiberlusconismo di maniera, intralcio al dialogo? O dobbiamo ritrovare la buona abitudine, che produce la buona politica, di analizzare i fatti per quelli che sono, senza girarvi intorno? * 2) Decreti, decreti. Sempre in tempi craxiani circolava uno slogan "dieci cento mille decreti legge, dieci cento mille voti di fiducia". Un'altra continuita', un altro filone che si e' irrobustito, con contributi e quindi responsabilita' delle parti piu' diverse, e che oggi si vorrebbe portare a conseguenze estreme, contro le quali si e' levato il monito del Presidente della Repubblica. Proprio per vanificare questo monito, fingendo di ascoltarlo, si sta mettendo a punto una pericolosa contromossa. Si ricorda che all'uso massiccio dei decreti si e' dovuto ricorrere per superare le lentezze dell'iter parlamentare, per assicurare al governo il diritto ad una decisione in tempi certi. Si aggiunge che da questa situazione anomala si uscira' solo con una riforma dei regolamenti parlamentari. Ma ha osservato benissimo Andrea Manzella che, se questa riforma rendesse il governo "sovrano assoluto" in Parlamento, "al danno si aggiungerebbe la beffa", perche' i fenomeni degenerativi continuerebbero, tuttavia formalmente legittimati dalle nuove regole. La situazione istituzionale, anzi, peggiorerebbe, perche' le nuove regole restrittive coprirebbero l'intero processo legislativo, e non solo quello riguardante la decretazione d'urgenza. Di nuovo la necessita' di analizzare le situazioni concrete, di chiamare le cose con il loro nome, per non restare intrappolati in una riforma dei regolamenti parlamentari che, non tanto paradossalmente, minerebbe la natura parlamentare del nostro regime politico, un esito inammissibile come ha esplicitamente detto il Presidente della Repubblica. * 3) Testamento biologico e dintorni. Anche qui la strategia delle contromosse. La repentina conversione delle gerarchie ecclesiastiche, puntualmente registrata dalla maggioranza e dal governo, induce a ritenere che si arrivera' all'approvazione di una legge. Ma, come e' stato evidente fin dall'inizio, questo non portera' al riconoscimento del diritto di rifiutare le cure in previsione di un futuro stato di incapacita' in modo conforme ai principi costituzionali, al rispetto della volonta' di ciascuno di governare liberamente la propria vita, dunque anche il tempo del morire. Questo diritto fondamentale, espressione diretta del principio della dignita' della persona, sara' vanificato dalla sua subordinazione alla valutazione di un medico, all'esclusione della possibilita' di rinunciare all'idratazione e alla nutrizione forzata. Con la consueta lucidita', Ignazio Marino ha denunciato questo stato delle cose, che annuncia una restaurazione. E fa cogliere una contraddizione. Si vuole escludere il potere dei giudici nelle decisioni riguardanti la fine della vita. Ma, se un medico rifiutera' di riconoscere le direttive anticipate di una persona e pretendera' di continuare i trattamenti contro la volonta' espressamente manifestata, a chi potranno rivolgersi i parenti se non al giudice? * 4) Una conclusione, o una morale. E' in corso un conflitto senza precedenti nella nostra storia politica e istituzionale. Alle nette prese di posizione delle alte istituzioni di garanzia, governo e maggioranza rispondono con strategie che rafforzano una deliberata deriva verso l'assolutismo, che esige la riduzione della democrazia rappresentativa, del sistema parlamentare, dei diritti fondamentali, in una parola della legalita' costituzionale. Non impigliamoci nelle controversie sulle parole (regime, fascismo...), che pure hanno una loro forza. Ma non giriamo la testa dall'altra parte, non rinunciamo a vedere i nessi strettissimi che legano le vicende qui ricordate (e molte altre che devono essere aggiunte, dal lavoro alla scuola) e che gia' ci fanno vivere in un ambiente in cui proprio il deprimersi dello spirito democratico accelera i processi degenerativi. Se l'assolutismo e' lo spirito del tempo, e non si concretizza rapidamente la nuova via all'opposizione, perche' meravigliarsi del consenso verso chi lo incarna con spavalderia? 6. LIBRI. FELICE CIMATTI PRESENTA "NEUROETICA. LA MORALE PRIMA DELLA MORALE" DI LAURA BOELLA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 20 giugno 2008 col titolo "Tra filosofia e neuroscienze. Quel che entra in gioco quando scegliamo"] Laura Boella, Neuroetica. La morale prima della morale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008, euro 16,50. * Immaginiamo una situazione futuribile, ma in realta' gia' praticabile: un uomo deve decidere se agire in un modo anziche' in un altro e le due scelte sono fra loro incompatibili, anzi comportano conseguenze drasticamente diverse. L'uomo non sa decidersi, esita. A questo punto gli viene applicato intorno al cranio un potente macchinario, in grado di registrare l'attivita' metabolica del suo cervello. Ora il nostro uomo puo' vedere su un monitor quali aree del cervello si attivano, e con quale intensita', quando riflette alle due alternative fra le quali puo' scegliere. Pensa all'alternativa A e contemporaneamente vede accendersi, in particolare, due aree cerebrali; pensa all'alternativa B e si accendono quattro aree cerebrali. L'alternativa B sembra coinvolgere un maggior numero di aree cerebrali, perche', cosi' pensa il nostro uomo (dopo aver spento il monitor), forse e' quella che ha conseguenze piu' ramificate, e complesse e dunque imprevedibili. Decide allora per l'alternativa A. Le conoscenze accumulate dalle neuroscienze sul funzionamento del cervello permettono di analizzare in sempre maggiore dettaglio quel che succede al suo interno quando pensiamo, desideriamo, speriamo e, soprattutto, quando siamo impegnati in una scelta. L'esperimento mentale che abbiamo descritto ci porta in un nuovo campo, quello della "neuroetica", un sapere dai confini assai incerti che "si colloca alla frontiera di neuroscienze e filosofia morale, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto", come scrive Laura Boella nel suo Neuroetica. La morale prima della morale (Raffaello Cortina, 2008). A un primo sguardo lo stesso termine "neuroetica" sembra intrinsecamente contraddittorio; se il campo dell'etica investe necessariamente l'atto di scegliere, quello dell'attivita' cerebrale, invece, ha a che fare con interazioni chimiche, che si verificano per cause esclusivamente fisiche. Detto altrimenti, per comprendere il funzionamento del cervello non abbiamo bisogno della nozione di scelta. Di fronte alle conseguenze implicate nella conclusione sbrigativa di alcuni scienziati per i quali l'etica ormai non sarebbe piu' una questione che riguardi la vita giusta, bensi' problemi direttamente ed esclusivamente neurologici, uno tra i meriti del libro di Laura Boella sta nel convincerci che si puo' intendere la neuroetica anche in un altro modo, senza richiedere il sacrificio della filosofia, dei saperi delle scienze umane, e in definitiva della soggettivita'. Torniamo all'esperimento mentale dell'uomo che sceglie l'alternativa A. In questo caso, in realta', non e' stato il solo cervello a decidere quale alternativa preferire, ne', peraltro, e' stata un'entita' disincarnata come potrebbe essere (per chi ci crede) la sua anima. Chi alla fin fine ha scelto e' comunque la persona nella sua interezza, tenendo conto anche del funzionamento del suo stesso cervello. Stando a quanto scrive Laura Boella, il nuovo sapere contenuto nelle neuroscienze non e' detto alluda a un potere estraneo e dispotico rispetto alle nostre esistenze. Introdurrebbe invece un nuovo fattore che si aggiunge al campo dell'etica, e non pretende affatto di liquidarlo: rispetto a chi vorrebbe trasformare i problemi etici in questioni medico-neurologiche "ben piu' persuasiva e' l'idea che ognuno di noi sia un campo di forze in cui intervengono effetti di potere sociale, economico e culturale, costruzioni simboliche dell'inconscio, meccanismi neurologici e genetici. Questa complessa, certo inquietante, immagine della soggettivita' non elimina, anzi, paradossalmente, rafforza la questione della responsabilita' individuale". Qui la neuroetica e' ancora, pienamente, etica, appunto perche' non esclude la "responsabilita' individuale". Per capire quali elementi sono in gioco converra' tornare al nostro esperimento mentale. Il nostro uomo, per effettuare la sua scelta tra le due opzioni che gli stanno davanti, deve prima spegnere il monitor. Se non lo facesse cadrebbe nella situazione paradossale per cui vedrebbe l'attivita' cerebrale che corrisponde all'osservazione stessa della sua attivita' cerebrale. In questo caso ogni scelta diventerebbe impossibile, perche' verrebbe esclusa dalla spirale autoriflessiva di uno sguardo che osserva l'attivita' di un cervello che a sua volta controlla quello stesso sguardo che, a sua volta... Chi e', in questo caso, che guarda e chi e' osservato? Quel che si verifica nel paradosso di questo sguardo e' che non c'e' piu' posto per chi dovrebbe scegliere; ma senza soggetto non c'e' scelta, e quindi non c'e' nemmeno etica. Certo, i risultati empirici della neuroetica ci ricordano in ogni momento che non siamo - per riprendere la terribile immagine di Freud riferita all'Io - "padroni in casa nostra". Ma in quella casa noi viviamo, quello che succede al suo interno ci riguarda, e in qualche misura possiamo anche influenzarlo; per questa ragione, continua Laura Boella, "siamo responsabili fino al punto in cui arriva la nostra capacita' di attrarre nella sfera della nostra esperienza, di chi noi siamo, l'insieme di desideri, progetti, significati, vincoli biologici e legami intersoggettivi su cui costruiamo la nostra storia di vita". Rispetto ai maldestri tentativi di alcuni scienziati - per esempio il nobel Kandel con il suo sommario progetto di annettere la psicoanalisi alle neuroscienze - per i quali le nuove conoscenze sul cervello ci permetteranno di risolvere una volta per tutte le interrogazioni filosofiche, il libro di Boella segue un percorso piu' articolato, che si rivela in realta' l'unico adeguato alla complessita' dei fenomeni umani. E c'e' anche da dire, in questo senso, che il disagio nei confronti delle tecnoscienze non sempre equivale a un atteggiamento reazionario; al contrario, la scienza, da Marx in poi, e' sempre stata considerata une delle alleate principali nel progetto relativo alla emancipazione umana (l'antiscientismo di molta sinistra ambientalista e' dunque assolutamente incomprensibile). Il problema sorge quando la "filosofia spontanea" degli scienziati riduce sbrigativamente la complessita' umana a una sola delle sue dimensioni. "Nessuna idea, scientifica o filosofica, della natura umana - scrive ancora Boella - si e' mostrata in grado, nel corso della storia, di garantire la convivenza pacifica e il reciproco rispetto fra individui di culture e tradizioni differenti. Ogni generazione, in realta', ha dovuto tessere da capo la tela dell'umano, cominciare da capo a umanizzare l'umano". 7. LIBRI. MARINA MONTESANO PRESENTA "LA DOPPIA VITA DI LEONE L'AFRICANO" DI NATALIE ZEMON DAVIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 18 giugno 2008 col titolo "Ipotesi su un islamico in bilico tra due mondi" e il sottotitolo "La doppia vita di Leone l'Africano, di Natalie Zemon Davis"] Le tendenze storiografiche attuali sono quanto di piu' distante si possa immaginare dallo storicismo di Benedetto Croce; eppure, mai come oggi sembra valere la sua celebre considerazione, espressa nella Storia come pensiero e come azione, a proposito del fatto che ogni opera storiografica e' sempre storia contemporanea "perche', per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti che v'entrano, essa e', in realta', storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella quale quei fatti propagano le loro vibrazioni". Scrive Natalie Zemon Davis nella premessa al suo ultimo libro, La doppia vita di Leone l'Africano (Laterza, 2008, pp. 472, euro 24): "Mi sono imbattuta per la prima volta nella Descrittione dell'Africa di al-Hasan al Wazzan oltre quarant'anni fa, quando avevo appena concluso la mia tesi di dottorato... Ma al tempo la mia attenzione era rivolta ad altro... L'incontro tra Europa e Africa al centro della Descrittione mi era sembrato lontanissimo e meno urgente". Verso la meta' degli anni '90, pero', l'intreccio tra le sue vicende personali e il rinato interesse storiografico e antropologico per i rapporti interculturali la condussero a riprendere in considerazione l'opera e la personalita' di al-Hasan al Wazzan, alle quali ha dedicato diversi anni di ricerca. * Un geografo diplomatico Che il personaggio sia interessante e' fuor di dubbio, al punto che nel 1986 Amin Maalouf gli consacro' un romanzo, nel quale lo presentava come un personaggio in bilico tra mondi differenti, e ne ricostruiva vita e avventure basandosi sulle fonti a disposizione, ma dovendo sopperire ampiamente con la fantasia alla mancanza di dati biografici precisi. Al-Hasan al Wazzan era originario di Granada, dove nacque poco prima della caduta della citta' in mano ai cristiani (1492), e che lascio' presto per trasferirsi con la famiglia in Marocco. Qui fece studi di natura giuridica e teologica che lo portarono, dopo diversi impieghi, a divenire un diplomatico al servizio del sultano di Fez. In questa veste visito' numerose regioni africane (sua una delle prime e piu' avvincenti descrizioni di Timbuctu') e asiatiche. Nel 1518, pero', al ritorno da Istanbul, fu catturato da pirati cristiani che lo condussero in cattivita' in Italia. Per sua fortuna fini' alla corte pontificia di Leone X, dove il papa ne apprezzo' la cultura e le straordinarie conoscenze geografiche ed etnografiche. Comincio' per lui un processo di avvicinamento al cristianesimo, sponsorizzato da Leone X, che attraverso la catechesi lo avrebbe condotto al battesimo. Il condizionale e' d'obbligo, in quanto persino la notizia della conversione si puo' intuire da indizi, e non grazie a prove documentarie. Durante la sua vita in Italia prese il nome di Joannes Leo, Giovanni Leone, o, in arabo, Yuhanna al-Asad. Nella penisola trascorse alcuni anni, durante i quali scrisse la Descrittione dell'Africa, un'opera di grande novita' per gli europei dell'epoca. A cavallo tra anni Venti e Trenta, Leone torno' nell'Africa musulmana: la sua presenza e' segnalata in Tunisia nel 1532, ma degli anni successivi nulla si conosce. La conversione al cristianesimo, se mai avvenne, potrebbe esser stata giustificata al suo ritorno in terra d'Islam come una dissimulazione, possibile per i musulmani in caso che la loro vita sia in pericolo (qualcosa di simile al nicodemismo per i cristiani). Ma anche a questo proposito, in mancanza di dati, e' possibile solo supporre. * Troppe ipotesi ragionevoli Il problema principale di uno studio come quello di Zemon Davis risiede dunque nella mancanza di informazioni sulla vita di Leone; cosi', se il libro funziona molto bene nella descrizione di un contesto, quello mediterraneo nel Cinquecento, si rimane perplessi dinanzi alla scelta operata dall'autrice di tentare la strada di una - seppur non tradizionale - biografia. Con il materiale a disposizione, Maalouf ha scritto un romanzo, Davis un'opera storiografica. Non e' solo una scelta stilistica, allora, il fatto che le pagine del libro siano costellate di condizionali: nel silenzio delle fonti l'autrice si fa largo supponendo cosa potrebbe aver visto o pensato Leone durante le sue avventure. Analizzando il libro su "Quaderni storici", Ottavia Niccoli ha scritto che si tratta "di una procedura in parte resa necessaria dalla scarsezza delle fonti, che richiede di fare sugli eventi non direttamente provati ipotesi ragionevoli... 'Sono io a parlare, a scegliere delle eventualita'', ci dice Natalie Davis, ammettendo di essersi inoltrata in una storia del possibile... Sono procedure... che ogni storico utilizza, anche se forse non sempre in maniera del tutto consapevole come sarebbe necessario e come invece possiamo constatare nelle pagine della Davis". A tutte le ipotesi ragionevoli, pero', si possono opporre altre ipotesi di segno contrario, eppure altrettanto ragionevoli. Fra gli esempi possibili, spicca la pagina in cui Davis, avendo trovato un riferimento a un "Iohannes Leo", capo d'una famiglia di tre persone, in un censimento romano del 1527, "sceglie" che si tratta di Leone e della sua famiglia, formata da una moglie (magari una "mora" convertita) e da un figlio, per poi lanciarsi nella colorita descrizione dei possibili vicini di casa "nel suo quartiere fittamente popolato lungo il Tevere". L'ipotesi non e' retta da alcun indizio a favore, al punto che potrebbe esser ribaltata in mille modi: il Leone del censimento potrebbe non esser lui, la famiglia potrebbe esser strutturata diversamente, e cosi' via. Stupisce, in effetti, che in un testo cosi' ricco di conoscenze sul contesto generale, vi sia relativamente poco spazio dedicato all'analisi delle opere di Leone; non sarebbe stata forse questa una strada possibile per penetrare la sua cultura e la sua stessa vita, almeno intellettuale, lasciando da parte le congetture biografiche? Sia il romanzo di Maalouf sia l'opera di Davis si appoggiano su ricerche accurate; nel secondo caso, senz'altro professionalmente piu' accorte, e evidenziate da un ricchissimo apparato di note; ma il problema rimane, perche' non si puo' riempire il vuoto oggettivo con pure supposizioni: non dovrebbe essere questa la differenza - ambigua, ma irrinunciabile - tra opera letteraria e opera storiografica? 8. RIFLESSIONE. ROSSANA ROSSANDA: HANNAH, ELFRIDE E MARTIN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 giugno 2008 col titolo "Hannah, Elfride e Martin"] Chi di noi, lettrici e lettori di Hannah Arendt non ha provato un moto di antipatia per Elfride, la moglie di Martin Heidegger, nazista e antisemita, che gli impedi' di vivere apertamente la sua passione per la giovane studentessa ebrea, lui cosi' brutto ma affascinante maestro, lei cosi' bella e indifesa che ne beveva le parole? E' lui che l'ha afferrata e baciata durante una passeggiata nel bosco, e mandato subito dopo una lettera di scuse ma ardente. Ne seguiranno altre in una relazione che durera' per qualche anno. Come tutte le lettere d'amore, quelle di Martin non valgono granche' se non si e' poeti, e ancora. Martin non lo e', anche se si lascia andare a effusioni liriche e talvolta si prova nei versi, mentre le lettere di Hannah sono di un giovane cuore e di una giovane mente alle loro prime passioni. Loro essendo - lei pensa - persone speciali, Hannah accetta di essere l'amante segreta di una commedia borghese, di trovarsi altrove, di nascosto, in qualche citta' vicina dove egli deve andare per questo o quel seminario, prendendo treni diversi, incontrandosi in alberghi fuori mano. A Friburgo intanto lui suggerisce che lei passi ogni sera alle dieci davanti alla sua casa e se vede accesa la tal finestra, vuol dire che Martin puo' filarsela per un'ora e lei non ha che da aspettarlo su una certa panchina. Se luce non c'e', pazienza, si vedranno il giorno dopo, o due, o tre. Martin e' sposato e ha due figli, non intende mettersi a rischio e Hannah non vuole altro che esserne amata, non e' donna che farebbe mai storie, e sa che Elfride e', come tutte le mogli, necessaria, non geniale, esigente, gelosa. In questa storia tutta la nostra simpatia e' per Hannah, unita a una certa compassione per la vilta' del genio innamorato, e alla persuasione che Elfride sia la solita megera. Dopo qualche anno pero' Hannah ne ha abbastanza, rompe senza scene e se ne va. Avra' prima con Guenther Anders, poi con Bluecher una vita coniugale libera, una casa per gli amici. Partira' in tempo per gli Stati Uniti, assistera' da lontano alla compromissione di Heidegger con il partito nazionalsocialista, cui si iscrive nel 1933 assieme alla moglie, e poi al suo diventare rettore e al famoso discorso e alle interdizioni agli ebrei, fra i quali Husserl che gli aveva dato la cattedra, di frequentare la biblioteca. Poi al suo abbandono dell'incarico, i nazisti sono troppo ignoranti - unico vizio che egli nota -, e il dedicarsi a pensare e a scrivere, convinto della sua superiore missione. Per la quale Elfride ha costruito una capanna in alto tra i boschi, dove il filosofo avra' il necessario raccogliemento, oltre alla comodita' cui lei provvede. Anche alle case in citta', prima l'una poi l'altra piu' grande, poi quella per quando saranno vecchi, provvede Elfride, le disegna, le ammobilia, le completa di tutto compresi i domestici. Martin studia, pensa, scrive, insegna e viaggia, non si impegna ne' si disimpegna col partito nazionalsocialista, non avra' mai una parola di ripudio per lo sterminio degli ebrei, che imputa alla dominazione della tecnica, diventata decisiva per la vita e per la morte, contro l'amata natura. Nella lunga corrispondeza con Jaspers, Hannah lo giudica senza amenita', sa che e' un gran bugiardo, e peggio. Oltre che intrigante quanto basta nell'accademia. Poi verra' la guerra, che passa sulla coppia Heidegger senza grandi danni, salvo che i due figli sono fatti prigionieri sul fronte russo ma ne ritorneranno nel '47 e nel 1949. Intanto nel 1946 Heidegger e' sospeso dall'insegnamento. La sospensione durera' tre anni. A New York, Hannah e il marito si dolgono che l'opera sua non sia conosciuta e nel 1950, quando Hannah e' incaricata di una missione di ricerca sul patrimonio culturale ebraico della Germania, decide di andare a trovare quel suo vecchio amore a Friburgo per dargli una mano. Gli scrive: Sono qui. Lui le risponde invitandola a cena a casa. Tanti anni e una guerra sono passati, sono ormai due vite lontane, Hannah accetta. Non sa che Martin ha pensato bene di informare soltanto adesso Elfride di quella storia che aveva avuto con lei, e si trova alla tavola di una signora molto irritata che non risparmia un sermone di rimprovero ne' a lei ne' al consorte. Egli china il capo. Lei appena puo' si alza e se ne va, un po' risentita, ma e' donna di un altro calibro. Lo aiutera' a pubblicare le sue opere in inglese e negli Usa, gli mandera' i suoi libri senza riceverne un cenno di ricevuta e commento, ma fra loro una corrispondenza cortese non cessera' piu'. Quando, spenti tutti e due, Mary McCarthy, che di Hannah e' stata amica e ne gestisce l'eredita' letteraria, permette a una giovane studiosa di consultare le carte arendtiane consegnate alla Libreria del Congresso e questa pubblica con qualche animosita' la corrispondenza giovanile fra i due, George Steiner attacca acerbamente Arendt e il marito, colpevoli secondo lui di una sordida tresca e in piu' fra due ebrei e un nazista. Steiner e' di quelli che non perdonano ad Hannah il suo Eichmann a Gerusalemme. Questa e' la storia. A me, differentemente che a Steiner, la figura di Hannah appare ingrandita dal gesto verso Heidegger in disgrazia. Lei non rinnega nulla della sua passione giovanile, degli orizzonti che le lezioni di lui le hanno aperto, lo sa grande pensatore e moralmente una nullita'. Non lo assolve, lo aiuta. Non succede spesso di avere la forza e generosita' di Arendt, che sono anche la sua liberta': non si considera vittima, non ha subito ma ha scelto, puo' restare amica. Vien da pensare che coppia sarebbero stati se lui avesse avuto meta' della dirittura di lei. Ma non l'aveva. E c'era Elfride. * Sono uscite adesso in Germania e in Francia le lettere che Martin scrisse a Elfride da quando l'ha conosciuta alla morte - una scelta a cura della nipote di lei Gertrud, chiara nel metodo e nella forma (Martin Heidegger, Mein liebes Seelchen!, Deutsche Verlags-Anstalt, Monaco 2005; edizione francese, Heidegger, Ma chere petite ame, Seuil, Paris 2008). Non ci sono censure, non parlano di politica, non giudicano la guerra; sono, per dir cosi', normalmente antisemiti - nazisti ordinari. Ma Elfride appare, dalle lettere di lui e dalle poche note che le accompagnano, un'altra da quella che avevamo pensato - il bel profilo pensieroso, il velo bianco di sposa sui capelli, dolce e composta, quella sulla quale tutta la tribu' fara' asse. Complicata. Forte. Sofferente. Martin l'aveva incontrata dopo la guerra, che non ha passato in trincea, ma in un ufficio. Elfride Petri e' una giovane protestante, lui e' cattolico, doveva prendere gli ordini ma ha lasciato la teologia per la filosofia. E' un problema per le relative famiglie, per cui l'anno dopo si sposano civilmente, con rito cattolico e con rito protestante, tre volte di seguito, nelle polemiche assenze di parte dei congiunti. Siamo ancora in guerra e la vita e' faticosa e difficile. Nel 1919 nasce il primo figlio, Joerg. Un anno dopo il secondo, Hermann. Da allora saranno assieme fino alla morte Martin e la "cara piccola anima mia" come cominciano quasi tutte le lettere. In italiano anima non ha diminutivi - non animina, non animetta, non animuccia e men che mai animella; l'animula dell'imperatore Adriano non e' passata nel volgare. Ma in tedesco si', seele ha un diminutivo, seelchen ed e' quel che si ha di piu' interno, quello a cui si ritorna sempre, la Heimat, il suolo dove affondano le radici, dove ci si appoggia ed acquieta, il sacro e l'essenziale - sentimento molto germanico. Martin pensa sul serio che Elfride sia l'indistruttibile fondamento interiore sul quale puo' poggiare il suo pensiero che e' la sola cosa che importa, la sua missione al mondo. Lo ha deciso cosi' fermamente che quando accade che Elfride gli confessi, dicendosi "lacerata", che ha una relazione con un medico amico di tutti e due e del quale e' incinta, Martin la sbriga subito con un "naturalmente avevo capito, mi sorprendeva che tu non me lo dicessi, ma non sentirti lacerata, lui non vale niente, non farti pensieri, non perdiamo tempo a parlarne". E quando lei partorisce nel 1920 il figlio dell'altro, le augura di ristabilirsi presto, chiede come e' il piccoletto e lo considerera' sempre come l'altro suo figlio. La paternita' biologica non gli interessa (e non torto) perche' e' nato dentro di lei cui e' legato e che gli e' legata molto oltre contingenze del genere. Sara' Elfride a dire a Hermann in un compleanno di adolescente che Martin non e' il suo padre naturale, imponendogli di tacerne con tutti, cosa che egli fara' fino alla morte dei genitori. E' lui oggi che cura le opere di Heiddegger. Non ci sono, o non sono state rese pubbliche, o Martin le ha buttate, le lettere di Elfride a lui. Ma come avra' preso quella sua larghezza di idee, cosi' simile all'indifferenza? Tanto piu' che si accorgera' presto che egli mente come vive, negandole assolutamente quel che lei percepisce e cioe' che si precipita su molte altre donne, piu' o meno giovani e belle ma intelligenti e ammirative del suo genio, e piu' tardi preferibilmente di alto lignaggio, principesse o contesse. Le confessera' soltanto nel 1950, scrivendole dopo la visita di Arendt una lettera nella quale la chiama, ed e' la sola volta, mia cara moglie, che non appena attinge ai pensieri piu' alti sull'assolutezza dell'essere che e' di casa anche nella loro corrispondenza, sente nascere un desiderio irresistibile, corporeo, carnale per una di quelle bellezze. Oppure al contrario, sarebbero esse stesse fonte della sua creativita', indispensabile, ma a condizione di poter contare su quel fondamento interno che e' lei, Elfride. Per questo non le ha mai detto la verita'. E dopo si sentira' sollevato, e continuera' imperterrito finche' un attacco non lo atterrera' presso l'ultima sua amata, ed Elfride dovra' andare a raccoglierlo. Adesso, annotera', saranno insieme sino alla fine dei loro giorni. Alle lettere di Martin, che lascia affidate per la pubblicazione alla nipote Gertrud, Elfride aggiunge una nota sul dorso di una di esse: e' la tipica missiva che inviava anche alle numerose sue altre amate. Forse non le chiamava tutte "piccola anima mia", non le definiva "mia santa" ma, come nota Alain Badiou per l'edizione francese, quel diminutivo, quel seelchen, sottolinea come sempre la piccolezza dell'altro, in questo caso la preziosa altra, di fronte alla grandezza del suo pensiero. Che ha come pari soltanto il Wesen, l'essere, il destino del popolo tedesco. Il resto e' del tutto secondario seppur vi si sofferma. Quanto Elfride abbia condiviso, quanto abbia patito, e quale sia stata la forza di un suo distacco interno rispetto ai colpi che le infliggeva quel suo inossidabile "ragazzo" non si puo' sapere. Resta l'interrogativo sulla possibilita' di una grande filosofia in una creatura, come Martin Heidegger, cosi' sprovvista di percezione dell'alterita'. Delle donne che amava, della compagna che si era scelto e di cui aveva bisogno; figurarsi dei nazisti, della guerra e degli ebrei. Grandissimo pensatore cieco come un pipistrello e' un bell'ossimoro. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 622 del 28 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). L'informativa ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 ("Codice in materia di protezione dei dati personali") relativa alla mailing list che diffonde questo notiziario e' disponibile nella rete telematica alla pagina web: http://italy.peacelink.org/peacelink/indices/index_2074.html Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/ L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e': nbawac at tin.it
- Prev by Date: Voci e volti della nonviolenza. 251
- Next by Date: Voci e volti della nonviolenza. 252
- Previous by thread: Voci e volti della nonviolenza. 251
- Next by thread: Voci e volti della nonviolenza. 252
- Indice: