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Voci e volti della nonviolenza. 248
- Subject: Voci e volti della nonviolenza. 248
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 21 Oct 2008 11:16:38 +0200
- Importance: Normal
============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 248 del 21 ottobre 2008 In questo numero: 1. L'opera e l'ora di Aldo Capitini 2. Goffredo Fofi: Aldo Capitini quarant'anni dopo 3. Fulvio Cesare Manara: Memoria di un volto 4. Vittorio Merlini: Memoria di Capitini nella vita quotidiana 5. Pietro Pinna: Rifiuto assoluto della guerra per aprirsi ad una nuova umanita' 6. Antonio Vigilante: Un pensatore eretico, aperto e appassionato 7. Arturo Colombo presenta due libri su Aldo Capitini (2002) 8. Enzo Marzo: Capitini, il futuro della nonviolenza (1999) 1. L'OPERA E L'ORA DI ALDO CAPITINI [Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org] Manca ancora un'edizione nazionale - critica e adeguata - delle opere di Aldo Capitini. Ma dovra' pur venire. E verra' con il riconoscimento della rilevanza della sua opera e della sua azione. Verra' con la comprensione che la nonviolenza e' la proposta decisiva affinche' l'umanita' possa emanciparsi da tanti orrori e salvare ad un tempo la sua comune civilta' e l'unica casa che tutte e tutti abbiamo. * Manca ancora un movimento ampio e corale che vittoriosamente si opponga alla guerra, ai suoi strumenti ed ai suoi apparati, che si opponga ad ogni terrorismo, ad ogni strage, ad ogni uccisione. Ma dovra' pur venire. E verra' quando l'orrore per il male percepito o subito o commesso persuadera' tante e tanti a passare dal pacifismo generico, non di rado inane e sovente fin complice della guerra e dell'oppressione, alla nonviolenza specifica, movimento di solidarieta' e di liberazione che tutte le guerre e tutte le oppressioni contrasta con la forza della verita'. 2. GOFFREDO FOFI: ALDO CAPITINI QUARANT'ANNI DOPO [Dal quotidiano "Il mattino" del 19 ottobre 2008 col titolo "Aldo Capitini. Quarant'anni dopo"] A quarant'anni dalla morte, la figura e il pensiero di Aldo Capitini assumono un valore che cresce in rapporto alla crisi profonda e irrimediabile della politica, della democrazia. Quarant'anni fa era il '68, e tra gli ultimi scritti di Capitini ci sono gli apprezzamenti convinti del movimento degli studenti, la raccomandazione a difendere il valore dei piccoli gruppi e delle assemblee contro l'eventuale risorgere dei partiti e partitini (un'altra amica scomparsa lo stesso anno, Ada Gobetti, scrisse che il '68 partiva di dove la generazione della Resistenza aveva lasciato e ceduto; ma il movimento, di fronte alle difficolta' di crescere e alle enormi e inattese domande di tante parti della societa' italiana risvegliate dalle sue lotte, scelse altri modelli, e trascuro' proprio i maestri che piu' ne apprezzarono la novita', per ricadere nelle indegnita' del modello leninista). E' proprio in conseguenza dei fallimenti della politica (e delle proposte che la sinistra ha avanzato di fronte ai cambiamenti della societa', da Togliatti a Veltroni passando per Rossanda e Bertinotti) che l'esempio e il pensiero di Capitini acquistano oggi un peso crescente, entrano decisamente nell'attualita' e indicano alcuni modi di reagire alla decadenza dell'intera societa' umana la cui storia ha piu' che mai il suo perno nel denaro e nelle armi. Il punto di partenza di Capitini e' piu' valido che mai, ma non guarda soltanto alla realta' sociale, e' una pacata rivolta contro le storture della creazione - che, diceva Anna Maria Ortese, "e' tarata" -, e' una rivolta contro la condizione umana cosi' come essa e', contro i suoi limiti che non sono soltanto sociali. Diceva Capitini, in un brano che non ci si stanca mai di citare: "Quando incontro una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la realta' e' fatta cosi', ma io non accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realta' cosi' com'e' ora, perche' non posso approvare che la bestia piu' grande divori la bestia piu' piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realta' fatta cosi' non merita di durare". E infatti, potremmo aggiungere, oggi sembra davvero destinata a non durare. Il "non accetto" di Capitini non e' bensi' di tipo individuale. Esso avrebbe potuto far suo il motto di Albert Camus "Mi rivolto dunque siamo", con la differenza che Capitini aveva individuato, sulla scia di Gandhi, i modi in cui sarebbe stato possibile, in cui sarebbe tuttora possibile intervenire sulla realta', cominciando dalle ingiustizie che sono piu' evidenti, quelle sociali. Forse il libretto che oggi i giovani bene intenzionati (i "persuasi", secondo il linguaggio di Capitini) dovrebbero conoscere per prima cosa di suo, e' l'opuscolo su Le tecniche della nonviolenza che nel '68 Feltrinelli non volle nelle sue edizioni maggiori e relego' alle transitorie e caotiche edizioni della Libreria, l'opuscolo che ristampo' "Linea d'ombra" anni dopo e di cui una parte e' compresa nella recente antologia sulla disobbedienza civile delle Edizioni dell'Asino, dal titolo molto chiaro di Ribellarsi e' giusto. Qui le convinzioni filosofico-religiose di Capitini lo spingono a derivare dai principi della nonviolenza i loro due indispensabili corollari: la nonviolenza non e' un atteggiamento di "anime belle" ma un metodo di lotta, la nonviolenza non puo' agire se non unita alla nonmenzogna e alla noncollaborazione, e cioe', in termini dichiaratamente politici, alla disobbedienza civile. Capitini credeva nel piccolo gruppo che interviene con i metodi della nonviolenza per far da lievito, provocare, dar l'esempio, difendere chi non ha parola, chiedere l'abolizione delle leggi ingiuste, ovviamente rischiando ostracismi e carceri. E' cosi' che si puo' cambiare la societa', e non sparando, non esercitando anche noi la violenza, non ricorrendo agli ignobili mezzi che il potere si da'. Le tecniche della nonviolenza avanzava proposte molto concrete, che la sinistra ha continuamente trascurato o burlato, finendo come e' finita. Ma anche gli stessi nonviolenti le hanno perlopiu' trascurate, ed e' questo che ha fatto dire a Gunther Anders, partito come nonviolento cosi' come tanti anni prima era partito nonviolento il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, che poi partecipo' al fallito attentato a Hitler e venne impiccato dai nazisti, che bisogna trovare modi di reagire nuovi e - visto che la violenza del potere sta portando il mondo alla sua rovina - anche violenti. E', credo, la incapacita' di incidere dei gruppi nonviolenti e la loro trascuratezza della disobbedienza civile ad aver spinto Anders a queste conclusioni, che sembrano dimenticare il principio della equivalenza tra i fini e i mezzi; e' la trascuratezza di tutta la sinistra per la nonviolenza e i suoi metodi, per la pratica della disobbedienza civile. Da Capitini, oltre alla fondamentale "non-accettazione" del mondo e della societa' come sono, si possono ancora apprendere i modelli di lotta oggi indispensabili a far rinascere un'opposizione seria e radicale, non compromessa, non consociativa, non corrotta in partenza dagli stessi modelli che impone il potere. Un'altra cosa credo infine che sia da imparare da lui: il suo modello di leadership e l'importanza dell'educazione, un modo non di imporre la propria visione ma di aiutare, i "persuasi" e tutti, a contribuire all'impresa comune di trasformazione cercando e sviluppando i propri talenti, non imitando, non adeguandosi. 3. FULVIO CESARE MANARA: MEMORIA DI UN VOLTO [Ringraziamo Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0 at tin.it) per questo intervento] Fare memoria di un volto, quello di Aldo Capitini, come quello di infiniti altri testimoni di nonviolenza, profeti di una parola che non trova sempre casa nelle opere e nei giorni, e' sentirci in cammino a fianco di lui. E' un compito primario per noi quello di ascoltare, di tornare ad ascoltare quel che ci resta di questa sua testimonianza: le sue parole, scritte nei libri. La sua opera, in senso piu' stretto. Ascoltare come in un dialogo: che non puo' piu' essere vivo se non perche' mette in moto noi stessi e chi ascolta con noi. Segna infatti al nostro passo la distanza ancora ampia tra una vita nonviolenta e la nostra esistenza. Una piccola memoria, che pero' apre nelle nostre vite spazi per una vita altra e piu' piena, piu' autentica. Una piccola memoria, se siamo capaci di attendere una compresenza e lasciarci trasformare da ogni cosa e in ogni cosa. 4. VITTORIO MERLINI: MEMORIA DI CAPITINI NELLA VITA QUOTIDIANA [Ringraziamo Vittorio Merlini (per contatti: vittoriomerlini at peacemail.it) per questi pensieri inviatici nel quarantesimo anniversario della scomparsa di Aldo Capitini] Omnicrazia 1. Piacenza. Novembre 1977. Mancano pochi giorni alla laurea. Sto facendo il servizio civile in un'associazione di assistenza agli spastici. Viene dato un ricevimento in onore dei laureandi. Tutti sono euforici. Ad un certo punto esprimo ad alta voce i miei pensieri: "qui festeggiamo la nostra laurea, ma il mio pensiero va ai ragazzi handicappati e analfabeti! Abbiamo lavorato tutti questi anni per migliorare le nostre potenzialita' e conoscenze, mentre loro... Mi viene la tentazione di non presentarmi il giorno della laurea ma di continuare a lavorare per crescere il loro potere di vivere pienamente la loro vita". * Omnicrazia 2. Ponte Nossa. 1980. Mi hanno chiesto di candidarmi al consiglio comunale del mio paese. Ho rifiutato per due motivi: mi stavo trasferendo in un'altra regione per vivere in una comunita' (che possa anche accogliere persone in difficolta') e preferivo dedicare le mie energie non alla gestione del potere ma a impegnarmi per far crescere il potere di chi non lo ha. * Omnicrazia 3. Sestola. Ottobre 2008. Dialogo tra cittadini e sindaco. I cittadini lamentano la scarsa democrazia dell'amministrazione, le decisioni urbanistiche non condivise, la mancanza di dialogo. Il sindaco risponde che nessuno partecipa ai consigli comunali, che nessuno scrive osservazioni, che pochi partecipano agli incontri. Chi ha il potere puo' essere infastidito da un eccessivo controllo ("non disturbate il manovratore"). Chi ha poco potere trova comoda la delega e faticoso, alla sera, lasciare il tepore della propria casa per partecipare alle riunioni sul futuro del proprio paese. Si concorda una pubblica assemblea a novembre per parlare insieme di urbanistica. * Nonviolenza e pacifismo. Assisi. 2003. Abbiamo ancora appeso in casa il cartello che abbiamo usato alla marcia della pace, con la scritta grande e colorata: "Pace con mezzi pacifici" (copiata da un titolo di Galtung). Abbiamo appeso anche la fotografia della nostra famiglia che tiene il cartello con sullo sfondo la citta' di Assisi. C'e' chi crede che la pace si possa ottenere con qualsiasi mezzo, anche con la violenza ("si vis pace para bellum"). Altri pensano che la pace sia il bene supremo, da accettare a qualsiasi prezzo, anche quello della liberta'. Noi abbiamo marciato per affermare che il mezzo deve essere della stessa natura del fine. La bonta' del pane dipende dalla qualita' della farina. * Compresenza dei morti 1. Sestola. 2002. Non sappiamo se e quando verra' realizzata la nostra idea di un Parco della Pace attorno al Castello. Abbiamo fatto un bel progetto, con cinquanta idee, sculture, sentieri, percorsi tematici. Il parco confina con il cimitero. O meglio, il cimitero e' dentro al parco. E i morti sono presenze vive, maestri di pace. * Compresenza dei morti 2. Sestola 2000. Anni fa, passando di fronte al cimitero chiesi al piccolo Antonio: "cosa fanno i morti li' dentro?". E lui: "stanno aspettando i vivi!". * Compresenza dei morti 3. Quando mi spiegano che il mio vegetarianesimo, in realta', e' una forma di violenza verso i vegetali, rispondo: "solo i morti sono i veri nonviolenti". 5. PIETRO PINNA: RIFIUTO ASSOLUTO DELLA GUERRA PER APRIRSI AD UNA NUOVA UMANITA' [Ringraziamo il mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a disposizione il seguente articolo apparso nel fascicolo dell'ottobre 2008 monografico sul tema "1968-2008. Il pensiero e il lavoro di Aldo Capitini] Ad altri di ripercorrere ancora una volta con amore - nel quarantesimo anniversario della morte di Aldo Capitini - la sua lezione umana, politica e religiosa, supremamente illuminante e coinvolgente. Io mi restringo qui a porre in evidenza un aspetto soltanto della sua opera nonviolenta - "apertura all'esistenza, alla liberta' e allo sviluppo di ogni essere" -, ma che considero di importanza fondamentale per la storia umana in atto, ed a cui egli ha dedicato tanto della sua appassionata attivita'. E' l'impegno capitiniano volto a contrastare quella realta' di male che, con le tant'altre nostre miserie e colpe, e' la piu' tragica, la piu' devastante e abbrutente per l'umanita' intera: la guerra. E' questo l'aspetto sul quale Capitini, con preminente importanza e urgenza, ha teso a suscitare la coscienza e l'impegno di quanti potesse raggiungere con la sua diuturna parola e le sue iniziative, un impegno da concretare qui e subito sulla base del pacifismo assoluto. A esprimere tale orientamento - che piu' insistentemente troviamo richiamato nelle sue pagine - aveva scritto fin dall'inizio del suo operare, alla vigilia della seconda guerra mondiale, quelle parole che abbiamo imparato a ridire a memoria: "Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verra' stanchezza e disgusto; e dalle gocce di sangue che colano dai ceppi della decapitazione salira' l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con quell'errore, e di instaurare subito, a cominciare dal proprio animo (che e' il primo progresso), un nuovo modo di sentire la vita: il sentimento che il mondo ci e' estraneo se ci si deve stare senza amore, senza una apertura infinita dell'uno verso l'altro, senza una unione di sopra a tante differenze e tanto soffrire. Questo e' il varco attuale della storia". Mille altri potrebbero essere i passi da citare, nei quali Capitini ha espresso questa esigenza del pacifismo assoluto, quale dato prevalente ed essenziale all'apertura di un mondo nonviolento. "Nel rifiuto della guerra sta una svolta decisiva di questo tempo". "Sul rifiuto assoluto della guerra si puo' costruire una nuova civilta'". "Il rifiuto della guerra e' la condizione preliminare per parlare di un orientamento diverso". "Il rifiuto integrale della guerra e' il punto di partenza, la svolta, la condizione assoluta di una nuova impostazione del potere". "La capacita' delle moltitudini di impedire dal basso le oppressioni e gli sfruttamenti ha il suo collaudo nel rifiuto della guerra, intimando un altro corso alla storia del mondo". Insomma, tanto ha insistito Capitini su questa esigenza, da potersi affermare che nel rifiuto della uccisione preordinata e deliberata di esseri umani - e sono migliaia e milioni nelle guerre - viene posta la pietra angolare della apertura da lui perseguita ad una nuova umanita', nuova societa', nuova realta', nell'unita' amorevole di tutti. Ora, che ne e', sul piu' ampio piano culturale e politico, di questo pacifismo assoluto, di rifiuto integrale e immediato della preparazione di ogni apparato bellico? Esso - non e' neppure il caso di dirlo - resta di infima ignorata minoranza. Negatore di esso, a dominare il campo e' un fronte smisurato dei piu' diversi pacifismi: di governi, partiti, organizzazioni internazionali, chiese di ogni genere, che per la loro influenza e ampiezza avrebbero ben dovuto da tempo portare il mondo al sospirato traguardo del superamento della guerra. Ma perche' siamo invece ancor oggi - e chissa' per quanto tempo ancora - immersi in questa storia sanguinosa, nonostante questo universale pacifismo? Il perche' e' presto detto, lo dicono i fatti. E' perche' si tratta null'altro che di un pacifismo non assoluto, ma di un pacifismo relativo, condizionato, sempre basato - bacato direi - sulla predisposizione di un apparato militare statale indispensabile, si dice, a preservare i propri sacrosanti valori e interessi dalle possibili minacce altrui. Talche', ancorata sempre al fracido principio "si vis pacem para bellum", siffatta politica pacifista armata, anziche' alla pace ha portato l'umanita' ad agonizzare in guerre sempre piu' sanguinose e terrificanti (siamo alla bomba atomica!), sciorinanti sulla scena del mondo come spiccioli da una tasca bucata. A questo quadro desolante, da questa denuncia del disastroso pacifismo relativo - la cui responsabilita' non va solo addossata ai vertici dominanti ma all'intera comunita' che volente o nolente vi aderisce - non si sottraggono i variegati movimenti dal basso per la pace, pur essi di pacifismo relativo. Diciamone una parola di piu', dolorosamente ma severamente dovuta. Anch'essi si sono dati, massicciamente da oltre un secolo, a voler affossare la guerra, con una riuscita evidentemente nulla viste le tante guerre intercorse. L'ultimo grandioso Movimento della Pace ha messo in campo nei nostri giorni cento e piu' milioni di dimostranti ad impedire l'aggressione armata degli Stati Uniti in Irak, ma con l'esito ognora ricorrente di un'assoluta penosa scontata inconcludenza. Dopo tanti smacchi, arriveremo finalmente a capire che, nulla facendo in anticipo per la messa in discussione dell'esercito, struttura portante della guerra, vano risultera' poi frenare l'impiego di quell'immane forza contrapponendogli semplici forme di dissenso verbale, vacue di presa reale! Una pretesa - ci avvenne di scrivere gia' anni fa, al tempo della prima Guerra del Golfo - simile a quella di voler arrestare un ciclone con una reticella da farfalle. Non soltanto deprimente questo pacifismo nella sua inanita' di opposizione alla guerra ormai avviata, ma peggio ancora deplorevole nella sua responsabilita' di non averne prima ostacolata, ed anzi accettatane la preparazione. I due aspetti sono cosi' riassunti in due concise frasi di Gandhi. Circa l'inanita', egli osserva: "Rifiutare la guerra soltanto quando ne e' arrivato il momento, significa fare qualcosa quando ormai praticamente non c'e' piu' tempo per combattere il male". E inoltre, quanto alla responsabilita': "Affermo che pur coloro che non hanno l'obbligo di prestarsi direttamente alla guerra partecipano ugualmente al male se appoggiano lo Stato organizzato militarmente". Riassumiamo allora anche noi il lungo discorso sul pacifismo in due incisi. Siamo veramente, assolutamente, "senza se e senza ma" contrari alla guerra?: aboliamone il suo strumento essenziale, l'esercito; vogliamo invece, pur in nome della pace, continuare a mantenerlo in piedi, a portata di mano, anche se cosi' precario e rovinoso?: avremo, come e' sempre stato, continua, e continuera' ad essere, la guerra. Norberto Bobbio, filosofo della travagliata vicenda umana, ha cosi' prospettato con drammatica lucidita' il perentorio dilemma in cui si trova oggi l'umanita': "All'uomo di ragione e di fede che sia penetrato cosi' a fondo in questa storia tragica di orrori e di follie, non sono restate che due vie: o il rassegnarsi ad essa senza speranza, o il tentare una nuova strada". Non resta, a questo gia' lungo articolo di denuncia del pacifismo relativo, se non lo spazio per concludere, quando invece ci sarebbe da iniziare il discorso altrettanto essenziale dei tanti e pur assillanti problemi che stanno di fronte alla "nuova strada" del pacifismo assoluto. Per intanto, basti qui di essere almeno approdati a destare alla consapevolezza e alla coscienza dell'inderogabile scelta che, non bastante fin qui il senso etico, l'attuale realta' tragica ci impone. L'umanita' intera - quindi ciascuno di noi - deve alfine assumersi la responsabilita' di una scelta netta, inequivoca - fuor dagli altalenanti "si', ma pero'" che costellano le interminabili discussioni in materia - tra il continuare la vecchia strada della predisposizione armata o rifiutarla in assoluto. A sorreggere e invigorire l'impegno di chi si da', pur al presente in infima minoranza, alla nuova strada del pacifismo integrale, puo' valere ancora una volta una frase di Aldo Capitini: "Se e' vero che gli uomini siano diversamente appassionati e interessati, puo' anche darsi che nel loro cuore ci sia un senso universale di gratitudine e poi anche di partecipazione per chi agisce nel modo piu' puro e piu' nonviolento superando qualsiasi schieramento, in attuazione e al servizio del bene primario della pace". 6. ANTONIO VIGILANTE: UN PENSATORE ERETICO, APERTO E APPASSIONATO [Ringraziamo il mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a disposizione il seguente articolo apparso nel fascicolo dell'ottobre 2008 monografico sul tema "1968-2008. Il pensiero e il lavoro di Aldo Capitini] Capitini e' morto da quarant'anni. Io l'ho incontrato quindici anni fa. Studiavo, allora, il pensiero di Giuseppe Rensi, l'inquieto filosofo scettico e pessimista, ateo eppure religioso - anzi: religioso in quanto ateo. Nella mia ricerca quasi da collezionista di qualsiasi materiale che lo riguardasse mi imbattei nel numero di una rivista che conteneva un dossier sugli eretici della cultura italiana del Novecento. E non poteva mancare, accanto a Rensi, Aldo Capitini. Mi sorpresero subito le sue idee, nonostante l'estrema sintesi dell'articolo, ma piu' ancora a sorprendermi fu il titolo stesso della sua opera principale: La compresenza dei morti e dei viventi. I morti, i viventi. Compresenti. Era una idea forte, provocatoria. Cercai i suoi libri in biblioteca, cominciai a leggere, e quel certo pessimismo nichilistico di cui allora mi compiacevo comincio' a vacillare. Pagina dopo pagina scoprivo non una filosofia, non una teoria. Qualcosa di radicalmente altro. Si fa un torto a Capitini, e lo si equivoca, se lo si considera (solo) un filosofo. Ogni pagina, ogni singolo periodo dei suoi libri avevano una risonanza particolare dentro di me. Erano come ami gettati nel profondo, capaci di far affiorare pensieri, emozioni, percezioni nuove, vive e guizzanti come pesci appena sottratti al mare. Forse non ne ero ancora del tutto consapevole, ma leggendo i suoi libri sperimentavo la realta' stessa di quella compresenza che tanto filo da torcere ha dato agli interpreti. Capitini era morto. Eppure era vivo. Operava in me come se lo avessi accanto. Attraverso la parola si faceva presente, compresente: era unito a me nell'intimo, ed agiva aperture. Era, e' un centro che irradia valori, oltre il limite della morte. Presto ne scaturirono scelte. L'obiezione di coscienza, lo sbattezzo. Al vegetarianesimo ero giunto per conto mio, all'eta' di sedici anni. Aldo Capitini ha insegnato una sola cosa: l'apertura. L'attenzione infinita al mondo - all'altro, al non umano, alle piante, perfino alle cose. Tutto scaturisce in lui da questo sguardo appassionato sul mondo, da questo insensato appassionamento per ogni ente. Ho protestato spesso con lui. Chiedi una purezza dello sguardo di cui non sono capace, gli dicevo. Ma poi l'apertura accadeva, non cercata, non presentita; accadeva come accade la gioia di dentro in un giorno di pioggia. Accadeva: per dirla con Blake, le porte della percezione si aprivano e il mondo appariva realmente perfetto. Il mondo aperto al possibile, che Capitini ha mostrato per decenni con la caparbieta', con il candore del profeta, era li', concreto eppure indicibile, fugacemente festoso, presto sottratto dalla invasivita' del quotidiano, dalla gabbia ferrea del sistema dei nomi e delle forme. Capitini ha avuto per una vita intera quello sguardo, e' vissuto in quella realta' nella quale ognuno e' custodito, in cui l'uomo e' uno con la terra, in cui la morte e' vinta e il tempo si apre. Ma l'apertura non e' solo sguardo appassionato. Stare nell'apertura significa anche combattere, protestare, lottare contro le chiusure. Rompere i gusci, scardinare le porte. E' l'aspetto duro, intransigente di Capitini, quello che lo induce a ricordare negli Elementi di un'esperienza religiosa: "La vita e' lotta. Non c'e' cosa di valore che non costi". E Capitini ha lottato tutta la vita. Contro il fascismo, contro la finta democrazia dei partiti, conto la Chiesa cattolica. Verrebbe da dire che e' stato sconfitto, considerando l'esito di queste lotte. Ho tra le mani il ritaglio di un articolo di dieci anni fa. E' un elzeviro di Giancarlo Lunati sul "Corriere della sera" del 18 ottobre del 1998. Commemorando Capitini, scriveva che nei trent'anni successivi alla sua morte quella Chiesa contro la quale aveva lottato e' cambiata. Si spingeva fino a dire che "la religione aperta di Capitini e' negli animi di molti uomini di Chiesa e dello stesso papa Giovanni Paolo II", e che la sua lotta apparteneva a un tempo in cui "era ancora lontano il Concilio Vaticano II". Eppure il concilio vaticano II e' terminato nel '65. Non solo: Capitini ha addirittura scritto un libro (Severita' religiosa per il Concilio, 1966) per mostrare l'insufficienza religiosa delle aperture del Concilio. Difficilmente avrebbe potuto ritrovare la sua religione aperta nel pontificato di Giovanni Paolo II, che ha fatto fare alla Chiesa cattolica molti passi indietro rispetto al Concilio. Meno che mai in quello di papa Benedetto XVI, che e' stato per molti anni prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, vale a dire l'equivalente attuale della Santa Inquisizione. Nell'ottobre del '58 Capitini scrisse al vescovo di Prato per chiedergli di essere sbattezzato. Occasione della richiesta erano state le pubbliche offese rivolte dal vescovo a una coppia di coniugi che avevano scelto di non sposarsi in chiesa, e che furono bollati come "concubini". In seguito a quanti episodi avrebbe potuto avanzare una simile richiesta ai giorni nostri? Forse dopo aver visto rifiutare il funerale religioso a Piergiorgio Welby, colpevole di non aver ottemperato all'obbligo cattolico di vivere in qualsiasi condizione. O forse dopo aver saputo degli immigrati senza casa cacciati dalle manganellate della polizia dal duomo di Napoli. O forse dopo aver constatato che in una delle piu' frequentate chiese di Palermo c'e' in bella vista una targa che ricorda un noto mafioso. Avrebbe solo l'imbarazzo della scelta. Non molti hanno voglia di ricordare quella richiesta di sbattezzo. In qualche caso l'episodio viene letteralmente rimosso. Leggo e rileggo, ad esempio, le pagine che Roberto Mancini ha dedicato a Capitini nel suo libro L'amore politico (Cittadella). Settanta pagine, nelle quali non trovo un solo riferimento allo sbattezzo, mentre si puo' leggere che "per il filosofo perugino la fede cristiana testimonia una verita' universalmente valida, che in quanto tale non puo' essere racchiusa entro una confessione religiosa particolare"; affermazione che fa pensare ad una adesione al cristianesimo, sia pure al di la' delle confessioni, di un uomo che invece ha affermato con vigore la necessita' di giungere ad un post-cristianesimo. Sulla stessa linea e' il libro di Federica Curzi Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini (Cittadella). Libro ben scritto, non privo di spunti originali, ma che riconduce il riottoso rivo della compresenza capitiniana nel vecchio alveo della nostra tradizione metafisico-religiosa. Vero e', dice, che la compresenza non e' proprio uguale al Dio cristiano, ma "nella costante critica agli attributi del Dio cattolico l'autore si avvicina sempre piu' ad un totale recupero del Dio evangelico descritto, rappresentato e vissuto attraverso la figura di Gesu'". La compresenza diventa cosi' un Dio che fonda l'essere dandosi nell'amore, con un atto che l'uomo ripete amando il prossimo. Siamo alla piu' classica fondazione metafisica dell'etica, mentre il discorso di Capitini e' molto piu' complesso. La compresenza non e' l'origine, non fonda l'essere, anzi all'essere non appartiene affatto, non e' realta' che scaturisce dall'origine, quanto piuttosto anticipazione del compimento. Semplificando con un'immagine, vi sono due correnti: la prima, tempestosa e torbida, e' quella dell'essere, che proviene dall'origine, la seconda e' quella del bene, una luce tranquilla, diafana che viene dal futuro, dal compimento del tutto. Queste due correnti si incontrano nel momento in cui io, posto di fronte all'altro, gli dico tu. E' in questo momento che, dice Capitini, Dio nasce. Cio' che ora nasce appartiene al futuro, evidentemente. Il Dio che nasce nel mio dire tu e' il Dio futuro, il compimento del tutto in cui la violenza dell'essere sara' dissolta nella pace del tu-tutti. Non e' troppo lontana, la compresenza di Capitini, da quel Dio di cui parla Ferdinando Tartaglia nelle Tesi per la fine del problema di Dio: un Dio che "finora non e' mai stato", e che solo ora e' possibile, assunto come "puro 'dopo'". Non e' possibile comprendere l'eretico Capitini senza l'eretico Tartaglia, insieme al quale fondo' il Movimento di Religione. Capitini non e' stato, come le interpretazioni appena citate vorrebbero lasciare intendere, un pensatore giunto attraverso le sue personali riflessioni a lambire le verita' cristiane. Capitini e' stato un pensatore profondamente consapevole della crisi attuale della metafisica e dell'insufficienza delle care vecchie verita', ma anche un uomo d'azione che ha lottato per aprire istituzioni che non hanno piu' verita'. Di fronte alle tronfie, persistenti esibizioni di potere di questi macabri gusci vuoti, viene da pensare che si', Capitini e' stato sconfitto. Ma la compresenza opera lentamente, aggiunge pazientemente apertura ad apertura, opera incessante e silenziosa. La voce di Capitini resta, amorevole eppure decisa, coraggiosa e paziente, appellante e viva nella compresenza dei morti e dei viventi. 7. ARTURO COLOMBO PRESENTA DUE LIBRI SU ALDO CAPITINI (2002) [Dal "Corriere della sera" del 13 gennaio 2002 col titolo "Un Gandhi a Perugia" e il sommario "Personaggi. Le quattro utopie 'eretiche' di Aldo Capitini] Per capire chi fosse veramente Aldo Capitini, bisogna averlo visto almeno una volta sullo sfondo di quello straordinario paesaggio della sua Perugia, dov'era nato nel 1899 e dov'era vissuto fino al 1968. Lo chiamavano, magari con un pizzico d'ironia, il Gandhi nostrano; ma benche' sia riconosciuto tuttora come il maggior sostenitore della nonviolenza nel nostro Paese, molto differenti erano le matrici culturali e i punti-forza del suo pensiero. Se ne ha un'efficace riprova leggendo il saggio che Pietro Polito, cresciuto alla scuola di Bobbio, dedica adesso a L'eresia di Aldo Capitini, restituendoci - se non l'immagine viva - il calore, e il vigore, del suo esempio di riformatore indomito (Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta). Un "fuoco vitale", come lui stesso lo chiamava, ha divorato Capitini, fin dalla giovinezza: quella straordinaria carica "religiosa" (pur lontanissima dal cattolicesimo) che gli faceva credere nella "comunione dei vivi e dei morti", con uno spirito di apertura verso tutti, senza distinzione di sesso, di razza, di censo. Forse il simbolico quadrilatero all'insegna dei principi della liberta', del pacifismo, della nonviolenza e della democrazia diretta (che lui chiamava "onnicrazia", o potere di tutti), entro il quale si racchiudeva il suo programma, non era solo una "eresia"; era piuttosto una generosa utopia, che Capitini - con la tenacia di chi rifiuta la realta' del mondo cosi' com'e', perche' crede indispensabile cambiarlo - ha voluto perseguire fino in ultimo. Ma guai a considerarlo alla strega di un visionario o di un acchiappanuvole. Al contrario, come spiegano anche gli interventi di un altro volume su Aldo Capitini tra socialismo e liberalismo, curato da Gian Biagio Furiozzi (Franco Angeli, Milano), le carte in regola per denunciare le ingiustizie e le vergogne, di cui siamo tuttora vittime (o colpevoli), le possedeva e ce le gettava in faccia, perche' sapeva che non bisogna mai rinunciare alla lotta per un ideale di miglioramento, anche a costo di passare per un ingenuo sognatore. Col suo disarmante sorriso Capitini era pronto a rispondere che per salvarci dai guastafeste in servizio permanente non c'e' altro rimedio che decidersi a costruire insieme l' impossibile. 8. ENZO MARZO: CAPITINI, IL FUTURO DELLA NONVIOLENZA (1999) [Dal "Corriere della sera" del 14 dicembre 1999 col titolo "Capitini, il futuro della nonviolenza" e il sommario "Pionieri. A cento anni dalla nascita, filosofi e politologi ricordano il pensatore pacifista"] Fra pochi giorni, il 23 dicembre, cade il centenario della nascita di Aldo Capitini. Il suo nome non e' conosciuto dai piu'. Probabilmente e' ignoto persino a molti di coloro che, suggestionati da un certo spirito del tempo, praticano senza saperlo i suoi insegnamenti etici. E quindi Capitini resta un isolato che, pero', con i suoi libri sa parlare alle coscienze. Il 15 e il 16, a Torino, a cura del Centro studi Sereno Regis, si svolge un convegno dove, all'insegna del pensiero capitiniano, si confronta tutta la cultura nonviolenta. Ci saranno Polito, l'organizzatore, Fofi, Veca, Pinna, D'Orsi, Revelli e molti altri. Secondo Bobbio, Capitini della nonviolenza "fu il filosofo e il maestro, il propagatore e l'infaticabile organizzatore. E anche il poeta". Ma forse proprio questo fare un tutt'uno di teoria politica, etica e religiosita' non ha giovato alle fortune della nonviolenza. Un'eccessiva esaltazione dell'"uomo religioso" rispetto al "cittadino", il far passare concetti che sono e devono essere politici attraverso la cruna della religiosita', per quanto venata di laicita' e distinta dalla fede, hanno opacizzato la forza dirompente di valori sempre piu' necessari per una pacifica convivenza. Anche se Capitini, questi principi, ha cercato di fondarli su categorie solide (noncollaborazione, nonmenzogna e nonuccisione) che con grande anticipo offrivano la soluzione a questioni teoricamente complesse (si possono rifiutare leggi considerate nel proprio intimo ingiuste?). Avveniristica e' stata anche l'identificazione tra mezzi e fini, nonche' l' estensione del rispetto assoluto della vita a tutti gli esseri: agli uomini, agli animali e alle cose. Sono, questi, concetti attualissimi nel dibattito attuale, anche se le forze politiche nel nostro Paese non se ne accorgono. Ma cosi' sono esse a distaccarsi sempre piu' dalla societa' civile. ============================== VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento settimanale del martedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 248 del 21 ottobre 2008 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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