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Minime. 615
- Subject: Minime. 615
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 21 Oct 2008 01:03:01 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 615 del 21 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Presenza di Aldo Capitini 2. Marco Catarci: L'attualita' pedagogica nonviolenta per una cittadinanza attiva e responsabile 3. Nicola Lo Bianco: Aldo Capitini e lo scandalo della violenza 4. Elisabetta Pavani: Vivere la compresenza con atti di apertura al Tu 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. PRESENZA DI ALDO CAPITINI [Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato, docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini: la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale - ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca - bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo, Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996; segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri, Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90 e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno: Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di), Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988; Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini. Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante, La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta 2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini, Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze 2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze 2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini: www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org] Quarant'anni sono trascorsi dalla morte di Aldo Capitini, ed ogni giorno e' piu' vivo. 2. MEMORIA. MARCO CATARCI: L'ATTUALITA' PEDAGOGICA NONVIOLENTA PER UNA CITTADINANZA ATTIVA E RESPONSABILE [Ringraziamo il mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a disposizione il seguente articolo apparso nel fascicolo dell'ottobre 2008 monografico sul tema "1968-2008. Il pensiero e il lavoro di Aldo Capitini] Illustrare le valenze del pensiero pedagogico di Aldo Capitini per il nostro tempo e' sicuramente un compito non facile, in primo luogo perche' non e' immediato coniugare una riflessione cosi' ricca e impegnativa con il profilo spesso disordinato dei bisogni della societa' odierna. La necessita' che l'educazione debba rispondere in modo adeguato alle esigenze piu' urgenti della societa' e', del resto, un tema frequentemente segnalato nei discorsi correnti sulla formazione e sull'istruzione. Parlare di orientamenti e approcci educativi significa, pero', fondamentalmente fare riferimento a un'idea di societa' da costruire e di uomo e donna che ci vivranno. Eppure tale riflessione e' quasi del tutto assente sia nel dibattito attuale sulla scuola sia in quello politico in generale. Chiedersi quale valenza assuma il pensiero pedagogico di Capitini nel nostro tempo significa allora ritrovare anzitutto il suo saldo fondamento in un progetto di uomo e di societa' ben definiti, che fanno riferimento all'utopia della nonviolenza e all'ideale dell'omnicrazia. In questo modo si possono certamente rinvenire nella riflessione capitiniana orientamenti utili a costruire risposte educative ai bisogni sociali attuali. Dalla pratica di tali principi pedagogici puo' nascere un nuovo impegno di cittadinanza, da attuare attraverso ampie azioni formative territoriali sui temi della nonviolenza, della pace, del "dialogo prima di tutto", dei diritti dei piu' deboli, della cittadinanza attiva e responsabile. * Spazi e luoghi per una pedagogia di nonviolenza Chiedersi quale sia l'attualita' di una pedagogia capitiniana ai nostri giorni impone di interrogarsi sul contesto nel quale viviamo: di fronte alla connessione sempre piu' esasperata tra guerra e sfruttamento di persone e di risorse, la prospettiva nonviolenta risulta ancora oggi urgente per ritrovare possibili proposte di liberazione dalle dinamiche di oppressione e di violenza. In questo ambito l'educazione puo' davvero svolgere un ruolo cruciale, affermato anche da Capitini: quello di costruire le basi culturali di una prassi condivisa e diffusa di nonviolenza. A tal fine, vanno pero' affrontate vecchie e nuove dinamiche di violenza, interpersonali e internazionali, che si intrecciano persino negli spazi e nei processi educativi. I casi di drammatica violenza interpersonale nelle scuole - come il massacro al Virginia Polytechnic Institute a Blacksburg, negli Stati Uniti, nell'aprile dello scorso anno, che segue simili e continue stragi in scuole e atenei statunitensi - sono forse sintomi evidenti di una societa' sempre piu' armata e violenta e della difficolta' dell'educazione a reagire a questo stato di cose. Non c'e' da illudersi. Si tratta di una situazione che riguarda anche il nostro paese: la recente proposta politica di raccogliere le impronte digitali ai bambini rom per "favorirne" la scolarizzazione non e' altro che una vera e propria forma di violenza, alla quale occorre contrapporre il proposito di una faticosa e continuativa strategia di mediazione culturale, in modo da costruire una reciproca fiducia tra comunita' rom e istituzione scolastica. Il contrasto ad una violenza sempre piu' pervasiva, esplicita o occulta, puo' essere perseguito attraverso la costruzione di strumenti di criticita', che abituino a considerare la violenza semplicemente "intollerabile": quando e' autentica, l'educazione e' di per se' educazione alla nonviolenza. Tale prospettiva deve rivolgersi, in primo luogo, a quella violenza sistemica che consente ad una sedicente maggioranza di continuare a chiamare "minoranza" l'89% degli individui del pianeta, 89% che e' costretto a lasciare la propria casa perche' gli viene destinato il 12% delle risorse globali: l'educazione non puo' esimersi oggi dall'essere, come nell'ottica di Paulo Freire, "pedagogia degli oppressi", in favore di una prospettiva di trasformazione e di giustizia sociale. E' in primo luogo negli spazi educativi, infatti, che si gioca la possibilita' di far maturare una critica nonviolenta e radicale ad un sistema economico che genera di fatto dinamiche di esclusione, per ritrovare quell'utopia del cambiamento sociale che alimenta nell'uomo la speranza di un mondo migliore. * Le sfide della nonviolenza nella societa' multiculturale Rivolgendosi nella loro Lettera a una professoressa agli insegnanti per denunciare le dinamiche di esclusione sociale perpetuate dall'istituzione pubblica scolastica, i ragazzi della scuola di Barbiana scrivevano: "tutta la vostra cultura e' costruita cosi'. Come se il mondo foste voi" (1). Chi sono oggi i ragazzi della scuola di Barbiana? Occorre chiederselo per comprendere a quali bisogni sociali deve realmente rispondere una prassi pedagogica di nonviolenza. La nuova popolazione scolastica a rischio di esclusione sociale e' oggi soprattutto quella dei 500.000 allievi stranieri che frequentano le nostre scuole. Nonostante il rapido cambiamento della popolazione scolastica - negli ultimi dieci anni gli allievi stranieri sono decuplicati, con una percentuale di incremento crescente - la scuola appare ancora inadeguata a soddisfare i bisogni formativi dei nuovi allievi. Il principio capitiniano dell'apertura sembra allora avere particolari valenze per le sfide di un approccio interculturale nell'educazione, nel quale, con le parole di Juergen Habermas, "inclusione non significa accaparramento assimilatorio, ne' chiusura contro il diverso. Inclusione dell'altro significa piuttosto che i confini della comunita' sono aperti a tutti: anche - e soprattutto - a coloro che sono reciprocamente estranei e che estranei vogliono rimanere" (2). Tra gli attuali bisogni formativi va dunque menzionata, senza dubbio, l'urgenza di approcci volti a quella che Capitini chiama la "coscienza della realta' di tutti": nel nostro tempo il messaggio capitiniano si traduce, infatti, in un'educazione che coltivi quotidianamente il dialogo. Si tratta di un impegno educativo di nonviolenza e di apertura, volto a costruire nelle odierne societa' multiculturali interconnessioni tra saperi provenienti da culture diverse. Se non si ripensano i dispositivi del sapere, viziati da un riconoscimento esclusivo di un'unica tradizione "etnocentrica" e da una valutazione condotta soltanto secondo il proprio punto di vista assiologico, l'educazione rischia di restare invischiata in quella che la studiosa femminista bengalese Gayatri Chakravorty Spivak definisce "violenza epistemica" (3). Ma l'attualita' del pensiero pedagogico capitiniano va oltre la risposta, che pure si deve, ai bisogni formativi degli allievi stranieri, per consentire un loro positivo inserimento nella scuola. Riletta oggi, la proposta educativa di Capitini invita, infatti, a cogliere una straordinaria opportunita' del nostro tempo in cui, con le culture di tutto il mondo presenti a scuola, si puo' apprendere lo spirito del dialogo praticandolo quotidianamente: "Auguro a tutti i ragazzi - afferma Capitini - di frequentare scuole nelle quali abbiano compagni di diversa educazione ideologica religiosa e politica: e' evidente che una scuola ideologicamente uniforme e chiusa puo' molto piu' facilmente portare all'ostilita' e alla guerra, perche' educa a considerare le diversita' come insopportabili e da eliminare in nome dell'ideologia appresa" (4). Alla luce della riflessione di Capitini, la scuola multiculturale diviene, allora, una straordinaria risorsa e un'irrinunciabile opportunita' per costruire, attraverso la pratica quotidiana del dialogo nella scuola, una feconda cultura di pace nella societa', vale a dire una cultura in grado di preparare, sviluppare, difendere la pace. In questa prospettiva il ruolo della scuola e', come indicato da Ernesto Balducci, quello di comporre una memoria storica nuova, in controtendenza con il sapere dominante, che ha marginalizzato l'utopia della pace. Come gia' si viene attuando attraverso il lavoro di numerose scuole, di non pochi insegnanti e di molte associazioni e centri educativi, la pace non si costruisce solo attraverso il rifiuto di cooperare alla preparazione e all'esecuzione della guerra, propugnando il disarmo e la resistenza nonviolenta, ma anche, giorno per giorno, mediante fondamentali azioni educative, "liberando la scuola, nei suoi contenuti culturali e nei metodi didattici e comunitari, dai residui di mentalita' autoritarie, e instaurando il dialogo, la viva cooperazione" (5). * La tramutazione come orizzonte pedagogico Assumere l'orientamento educativo capitiniano richiede di adoperarsi per moltiplicare nella societa' spazi educativi da impiegare come "laboratori" in cui sperimentare contesti relazionali e percorsi cognitivi per gestire in modo inclusivo conflitti e dissonanze culturali. Il pensiero pedagogico di Capitini consente, cosi', di ritrovare un'idea di educazione che sia attivita' di acquisizione di un sapere inteso, anzitutto, come "competenza per il cambiamento". In questo ambito, l'educazione puo' effettivamente garantire il carattere nonviolento della trasformazione della realta', attraverso la costruzione critica delle condizioni culturali, morali e politiche del cambiamento: "conoscere il mondo - afferma Capitini - e' connesso con il volerlo cambiare" (6). La pedagogia si caratterizza, cosi', per un fondamentale intento trasformativo - di "tramutazione" per usare un termine capitiniano - volto ad incidere sulle strutture di esclusione e di ingiustizia della realta' sociale. Quando le abitudini e le pratiche delle nostre relazioni sociali ed economiche divengono ostacoli ai valori fondamentali della difesa della dignita' umana e della giustizia sociale, l'educatore "profetico", secondo la prospettiva capitiniana, educa al cambiamento. Tutto cio' impone di costruire un'ampia prospettiva di educazione permanente per l'acquisizione di una nuova coscienza critica di cittadinanza. La formazione all'esercizio dei diritti di cittadinanza, intesi come la possibilita' di partecipare in modo responsabile e consapevole alla vita sociale, e' infatti un'altra dimensione della pedagogia capitiniana sicuramente feconda nell'odierna societa'. La riflessione educativa di Capitini ha il merito di valorizzare quei contesti di apprendimento informali - si pensi alle esperienze dei Cos e dei Cor, delle marce per la pace, del giornale-scuola - che, operando al di fuori dell'ambito strettamente scolastico, restano un patrimonio straordinario di azioni educative territoriali: come nella prospettiva di Ivan Illich, un nuovo principio di cittadinanza necessita di basi culturali da promuovere non solo nella scuola, ma in tutti i luoghi della societa'. In un contesto come quello attuale, nel quale mezzi di comunicazione di massa e centri commerciali sembrano spesso avere maggiore peso della scuola nella "formazione" dei giovani, il pensiero di Capitini puo' consentire - ed e' forse questa la valenza piu' significativa - alla pedagogia di tornare ad occuparsi di strumenti di liberazione etici, religiosi, sociali, a partire dal rifiuto delle strutture ingiuste esistenti. Si tratta di un apporto irrinunciabile. Abbiamo infatti forse bisogno nel nostro tempo non tanto di "maestri", quanto di profeti, vale a dire figure - come quella di Aldo Capitini - in grado di prefigurare il capovolgimento di ingiusti processi economici, politici e sociali, educando attraverso una prassi pedagogica e politica allo stesso tempo, in quell'ottica che Alexander Langer definiva propria dei "mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiere" (7). * Note 1. Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1996 (prima edizione 1967), p. 13. 2. J. Habermas, L'inclusione dell'altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 1998, p. 10. 3. Cfr. G. C. Spivak, Critica della ragione postcoloniale, Meltemi, Roma 2004. 4. A. Capitini, Educazione aperta, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 295. 5. A. Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Feltrinelli, Milano 1967, p. 34. 6. A. Capitini, Educazione aperta, vol. I, La Nuova Italia, Firenze 1967, p. 13. 7. A. Langer, Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996, p. 301. 3. MEMORIA. NICOLA LO BIANCO: ALDO CAPITINI E LO SCANDALO DELLA VIOLENZA [Ringraziamo Nicola Lo Bianco (per contatti: nicolalobianco at libero.it) per questo intervento] Aldo Capitini, per dire subito dell'uomo di cui stiamo parlando, e' l'ideatore e l'organizzatore, nel 1961, della prima "Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli". Nasce per l'appunto a Perugia, in Umbria, nel 1899, figlio povero di quei luoghi dove ancora echeggiano il fervore religioso dei movimenti pauperistici e l'esemplare spiritualita' di San Francesco. La salute malferma, l'indole riflessiva, la ricerca etico-religiosa fin dalla prima giovinezza, lo portano a partecipare ai grandi eventi del tempo (guerre mondiali, fascismo, Resistenza, dopoguerra...) piu' con "una solidarieta' intima col problema di chi soffre, di chi non puo' agire, di chi e' sopraffatto", che con la "civilta' attivistica, che dava tutto il valore al fare". Si comprende facilmente la sua naturale repulsione per il fascismo, il rifiuto nel '33 della tessera fascista che gli costa l'espulsione dall'Universita' di Pisa, le dure critiche alla Chiesa di Roma dopo i Patti Lateranensi, che gli appaiono come una complicita' con la dittatura di Mussolini. La sua insistenza su una radicale riforma religiosa e sociale, come superamento della religione tradizionale, gli alienano le simpatie della gerarchia ecclesiastica, sino alla messa all'Indice, da parte di Pio XII, del suo libro Religione aperta. Nel dopoguerra, la figura di Aldo Capitini viene riconosciuta come quella di un maestro e guida della nonviolenza in Italia e nel mondo. * "Gandhi italiano", profeta, filosofo, sognatore... al di la' delle definizioni, l'opera e il pensiero di Capitini meriterebbero, oggi piu' di ieri, ben altra diffusione: meriterebbe che la scuola e la chiesa ne promuovessero lo studio e l'esempio, se ci fosse veramente volonta' cuore e persuasione di capire che "il tempo e' maturo per una grande svolta del genere umano. Il passato e' passato. Basta con le torture, con le uccisioni per qualsiasi motivo; basta con il veleno che la violenza porta nell'educazione dei giovani; basta col pericolo che enormi forze distruttive siano in mano a pochi uomini". Il "varco attuale", la liberazione dal male, e' politico-religiosa, ma prima che politica, religiosa, spirituale, perche' "la realta' e' nulla senza la nostra coscienza... e la religione non puo' accettare le strutture attuali della societa', e piu' o meno deve stare sempre all'opposizione". Capitini e' davvero uomo di forte tempra, a partire dall'intima coerenza tra pensieri e stile di vita: per lui tutti gli esseri presenti su questa terra, dagli animali agli oggetti, sono "collaboratori" dell'uomo, sono respiro, anime, e come tali vanno trattati: dall'alimentazione vegetariana all'uso amorevole e discreto degli oggetti, Capitini ci insegna a cogliere il valore intrinseco delle varie forme di vita, il legame armonico tra di loro, il rispetto fraterno che a ciascuna di esse si deve. Mitezza "intrepidissima" e amore distinguono questo "uomo nuovo", ma anche risoluta consapevolezza dei problemi epocali del nostro tempo: "Tanto dilagheranno violenza e materialismo, che ne verra' stanchezza e disgusto... salira' l'ansia appassionata di sottrarre l'anima ad ogni collaborazione con quell'errore, e di istaurare subito, a cominciare dal proprio animo, un nuovo modo di sentire la vita". Sono parole del 1937, tra la prima e la seconda catastrofe mondiale: l'"errore" e' l'acquiescenza alle mostruosita' imperanti, la "violenza" e il "materialismo" sono quelli nei quali siamo tuttora immersi, "stanchezza e disgusto" certamente dilagano, ma non trovano risonanza e guida, "un nuovo modo di sentire la vita" e' la sfida incalzante alla quale siamo chiamati tutti quanti, perche', e' bene non nasconderlo, siamo coinvolti in una guerra quotidiana e permanente, piu' o meno cruenta, ma tale da renderci tutti peggiori, piu' chiusi, piu' socialmente irresponsabili, piu' cattivi... Capitini aveva gia' capito, proprio negli anni di piu' compiuta esaltazione della forza come primaria virtu', e di qui il risvolto profetico del suo pensiero, che la violenza e' all'origine del malessere della nostra civilta', e che essa va affrontata rifondando tutti i paradigmi mentali e sentimentali dell'essere umano. Violenza, si capisce, non e' solo schiaffo, pistola, aggressione. Ci sono violenze occulte, gravissime, dalle conseguenze disastrose, invisibili, e percio' tacitamente accettate o fatte accettare: la precarieta' nel mondo del lavoro (e non solo) e', ad esempio, una forma di violenza totale, che oltre alla sopravvivenza, attenta all'equilibrio psicofisico di chi ne e' colpito. La violenza in qualsiasi forma, sostiene Capitini, e' incompatibile con la democrazia, deve essere bandita dalla politica come "scandalosa", e la guerra deve essere resa inconcepibile nelle relazioni tra i popoli. * "Mi vengono a dire che la realta' e' fatta cosi', ma io non l'accetto... Non posso approvare che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realta' fatta cosi', non merita di durare". Sono parole che ciascuno di noi, direi tutti, piu' o meno astrattamente o ipocritamente, siamo disposti ad approvare. Ma Capitini non e' un astratto predicatore. A parte la sua vita esemplare, egli non solo elabora, ma opera attivamente a suscitare una convergenza di tutto il meglio che l'umanita' possiede e crea, per procedere dapprima nella direzione della "noncollaborazione col male... che respinge le regole del gioco che non condividiamo, che non ci appartengono...". Ed anche se "la sfera civile non risponde immediatamente, un ideale vissuto puo' generare atti morali, bonta', opere d'arte, sentimenti e pensieri nuovi". Al centro della liberazione Capitini pone dunque la religione, o meglio, il "religioso", al di la' della rigidezza delle religioni tradizionali, perche' fondamentale e' "la costituzione di un nesso intimo religioso piu' saldo, meglio capace di rendere forti davanti ai drammi e alle tentazioni della vita... [capace di farci] evitare sempre l'oppressione e lo sfruttamento e di promuovere senza interruzione la liberta' e l'uso dei beni della vita per tutti". Comportamenti individuali e collettivi, diritti e doveri, sono complementari, anzi "l'attivita' sociale sia prevalentemente intesa come iniziativa e apporto di doveri", la politica e' "etica ed e' cura per l'altro". Perche' questi pensieri incontrano irrisione e ostilita'? Perche' uomini e gruppi che si dichiarano cattolici e si pretendono "devoti" continuano ad agire contro il messaggio del Vangelo? Perche' gli ammonimenti dei papi contro la guerra sono rimasti e rimangono inascoltati? Cosa ci vuole per scuotere le coscienze? Una prima risposta e' che e' "una vergogna per noi religiosi che i governi abbiano paura dei rivoluzionari politici e non dei religiosi". Di fronte alla sordita' o alla complicita' dei poteri costituiti, occorre partire dal basso, tornare a parlare, come altri maestri spirituali hanno sollecitato, prima e dopo Capitini, di "volontarismo etico... senza aspettare gli altri... ognuno di voi faccia piu' e meglio che puo', come se fosse solo... perche' la vita dello spirito nella produzione dei valori e' intimamente corale". Comunione, comunita', "compresenza", riconoscimento, sono i fondamenti del progetto etico-politico di Capitini. Esattamente l'opposto di privato, privatizzazione, privatismo: un principio quest'ultimo che da anni viene imposto in tutto il mondo, una mentalita' che divide, separa, mette contro, un'ideologia che configura una societa' intrinsecamente violenta: nelle pieghe della vita, della politica, del lavoro, della salute, dei comportamenti individuali e collettivi. E si capisce che per alcuni il pensiero di Capitini e' fantasticheria da filosofo, per altri una nobile utopia. Certamente, la complessa proposta di rinnovamento che Capitini persegui', e che tuttora trova non pochi seguaci, amici della nonviolenza, non e' forse immediatamente accessibile, ma e' da tenere presente, almeno da parte di chi sente ormai l'improponibilita' della guerra e la ripugnanza di fronte ad ogni forma di violenza, di chi vuole servirsi di insegnamenti che arricchiscono la morale civile e religiosa. * Chi scrive e' convinto che c'e' un grande bisogno di vita spirituale, bisogno di tensione religiosa, corrispondente alle paure, alle speranze, alla volonta' di riscatto di uomini confusi e oppressi, corrispondente a una guida che ascolta e fa risuonare le coscienze, che concretamente non abbandona di fronte ai piccoli e grandi drammi della vita. Per quel che mi riguarda, Capitini mi ha insegnato a sforzarmi di non separare sentimento religioso e vita civile, a regolare le azioni sul meglio e non sul peggio. In ogni caso rimane valida la riflessione di Victor Frankl, sopravvissuto all'orrore dei campi dii concentramento: "Quando non siamo in grado di cambiare una situazione, siamo sfidati a cambiare noi stessi". 4. MEMORIA. ELISABETTA PAVANI: VIVERE LA COMPRESENZA CON ATTI DI APERTURA AL TU [Ringraziamo il mensile "Azione nonviolenta" (per contatti: via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: redazione at nonviolenti.org, sito: www.nonviolenti.org) per averci messo a disposizione il seguente articolo apparso nel fascicolo dell'ottobre 2008 monografico sul tema "1968-2008. Il pensiero e il lavoro di Aldo Capitini] Riesce molto difficile parlare di teoria o ipotesi di lavoro sulla "compresenza" in Capitini, se non ci si e' confrontati con la sua concezione o meglio "persuasione" religiosa, vale a dire la dimensione di realta' liberata alla quale si viene introdotti dal suo pensiero attraverso il passaggio fondamentale che sta nella relazione con l'Altro, con colui che in Capitini arrivera' ad essere definito il "Divino Tu". Capitini riesce a ridefinire ed a reinterpretare il dissidio interno alle religioni tradizionali; queste ultime sono quasi sempre intese, insegnate e vissute prevalentemente come insieme di norme, dogmi e precetti calati dall'alto, che sono sempre riusciti, nei loro intenti, ad instaurare con il fedele un rapporto basato sul terrore del peccato, del limite, della finitezza e della mancanza. Ma e' proprio la consapevolezza della precarieta' della condizione umana, delle debolezze intrinseche al nostro agire, che rende gli uomini capaci di utilizzare le cadute e gli errori per sentirsi appartenenti ad un sistema e ad un orizzonte piu' vasto, che non si limita ad appesantire e colpevolizzare l'essere umano, ma che al contrario, considerando proprio l'immanenza della sua condizione, ne ricava un humus capace di trasformare, previa elaborazione interiore e rinnovamento, il peccato, il torto, la violenza agita, in un valore aggiunto. Siamo di fronte, in un qualche modo, ad una visione della trasformazione e del perdono che non e' mera cancellazione della macchia o dell'onta arrecata o subita, ma e' qualcosa in piu'; ha a che fare con l'accettazione del limite umano; ed e' proprio per evitare il piu' possibile la reiterazione della negativita', affrontando anche la disperazione per tutto cio' che si e' agito senza tener conto del benessere proprio e altrui, che ci si presenta la possibilita' di cercare Dio in una intimita' e profondita' assolutamente maggiori. Il "dramma" religioso per Capitini sta proprio in questo: nell'intendere il rapporto con Dio all'insegna di una religione che e' vita vissuta nella consapevolezza del nostro limite e della nostra caducita' che ci portano alla morte fisica, ma che non ha come suo unico destino questo accadimento anche se ineluttabile. Ho parlato, in relazione alla concezione capitiniana della teoria della compresenza, di "realta' liberata" (1), dal momento che non riusciremmo ad entrare nel vivo della sua persuasione se non prendiamo come assunto fondamentale che, per Capitini, al centro dell'agire ci sono le persone. La priorita' va data alle relazioni che noi instauriamo con il nostro prossimo, e i rapporti che creiamo con gli altri esseri viventi; tutto cio' e' fondamentale per non ricadere nella chiusura, nelle mancanze, che per Capitini sono quasi sinonimi, e nella loro inevitabile condanna, che ne esalta solo la fragilita' del limite e la colpa che ne segue. Ma se io esisto, e ho la possibilita' di agire, riscattandomi dalla finitezza che mi attanaglia, allora significa che posso mantenere e allargare questa apertura anche all'altro: si viene cosi' a creare il rapporto tra l'Io e il Tu, che non e' una relazione chiusa, ma che al contrario si allarga: e' un rapporto con il Tu che diventa un Tu allargato a Tutti o il Divino Tu, poiche' rappresenta l'apertura per eccellenza. Il divino Tu "e' una possibilita' che io posso cogliere gia' nella mia vita. Se ponessi un tu con delle condizioni, allora rimarrei nel cerchio limitato del contratto. Il tu e' una libera aggiunta: e' una solenne intimita' in cui mi vengo a trovare" (2). Capitini e' ben consapevole dei drammi e dei dissidi nei quali siamo immersi, e una delle ipotesi di riscatto potrebbe assomigliare alla posizione di Kierkegaard, la quale indica una possibilita' di scelta che gli uomini hanno: e' una scelta dettata dalla sua fede, e quindi assolutamente religiosa; il genere umano puo' optare per una vita che non si perda solo nelle tortuosita' cicliche degli eventi terreni cosi' come accadono: crudelta', guerre, dolori, confusione di valori, ma occorre uno stacco, una apertura netta alla trascendenza, un tentativo di mettersi in contatto con Dio in una dimensione vissuta nell'interiorita' dell'animo, che il filosofo danese rende nell'immagine della rottura con l'immanenza terrena. In realta', i due approcci religiosi ed esistenzialisti, di Aldo Capitini e di Soren Kierkegaard, non possono essere sovrapponibili, perche' Capitini non neghera' mai la necessaria, ineliminabile e naturale immanenza dell'uomo a contatto con le cose e la realta' del mondo, perche' e' anche qui, nel mondo, che gli uomini si giocano le possibilita' di agire e di costruire relazioni proficue; si trattera' piuttosto di aprirla ad altro. Capitini e' portatore, anche dal punto di vista storico-filosofico, di una posizione del tutto particolare che non rimane vincolata alla pura immanenza e al pragmatismo di stile neopositivistico dell'epoca di provenienza anglo-americana, ma che non e' nemmeno figlia del pensiero idealistico italiano di Benedetto Croce che comunque si rifa' alla lezione dell'idealismo tedesco ed europeo otto-novecentesco. Sembra proprio che Capitini arrivi a capire che non siano possibili l'una dimensione senza l'altra, in quanto non si tratta di privilegiare una scelta unica, ma di esperirle entrambe come necessarie. In fondo era questo che realmente intendeva e interessava a Capitini. In effetti e' proprio anche grazie a questa posizione che si schiude l'ipotesi di una totale compresenza allargata tra il mondo dei viventi (il mondo dell'immanenza verificabile) e quello dei morti (la cui presenza fisica e' terminata), comprendendo tutte le creature che siano nate, che hanno avuto un percorso e che hanno prodotto inevitabilmente qualcosa di se' nel mondo, attraverso le relazioni con tutte le creature con le quali sono entrate in contatto, e che non ha mai fine. Il contributo che ogni essere vivente lascia e produce permane anche dopo la morte fisica e si arricchisce della cooperazione con la relazione posta in essere con gli altri. La compresenza e' "Un atto perche' e' eterna" (3). Io ritengo che l'innovazione di Capitini stia proprio nella volonta' di non chiudere quei "cerchi" simbolici e teorici e in un qualche modo astratti, che sono oggetto di sistemazioni proprie di tante filosofie, ma che poi si sono tradotti in modelli anche politici e sociali molto forti, che hanno spesso imposto e condizionato le riflessioni sulle possibili modalita' dell'esistere: la compresenza infatti non obbedira' mai alla legge ferrea, violenta ed esclusiva del "mors tua vita mea", ma al contrario la compresenza, che non e' logica di potenza, conduce invece ad un incremento nella messa in gioco dei valori che dovrebbero tendere al meglio, in un accrescimento di fatto eterno, proprio perche' e' eterna la produzione e il lascito del contributo che ogni creatura determina. In tal senso il dono di questo contributo continuera' a coesistere anche dopo la morte dell'essere vivente, anche dopo il disfacimento del corpo fisico. Ecco dunque come vi e' un superamento della logica della dialettica, che prevede per forza l'opposizione dei contrasti per arrivare a decretare l'unica legge possibile reale e quindi razionale della realta'; dalla lezione della compresenza arriva invece un altro tipo di apertura e un'altra forma mentis, che e' quella dell'arricchimento, senza elidere nulla e nessuno: al contrario e' la legge dell'incremento, del valore aggiunto gia' al momento della nascita, che non togliera' e non prendera' il posto di nessuno, ne' avra' bisogno di un'altra morte per poter coesistere. Cito testualmente dall'autore: "La compresenza comprende tutti gli esseri che sono nati, i viventi e i morti. Dal punto di vista del mondo com'e', o natura, c'e' una differenza tra i viventi e i morti; dal punto di vista della compresenza non c'e' nessuna differenza. Percio' la compresenza non e' da confondere con la 'vita' che e' in tutti i viventi e in loro soltanto; e non e' da confondere con la specie umana, perche' la compresenza comprende tutti gli esseri che sono nati e che nascono. "La compresenza si accresce di ogni essere che nasce: la nascita e' il primo evento per cui la compresenza si mette in rapporto con un singolo essere, il quale nasce non solo nella 'natura', dove morra', ma nasce anche nella compresenza e per la compresenza, che e' eterna perche' crescente. "La semplice apertura di un singolo vivente ad un essere morto, nell'atto amorevole di essere insieme nei momenti e nei valori piu' alti, rompe l'alternativa tra l'esistere e il nulla, perche' e' un altro modo di essere, cellula di una realta' diversa; e questa e' profondamente persuasiva soltanto se comprende tutti gli esseri viventi e morti, se la realta' e' di tutti. "Ma poiche' il presente e' un dramma tra la 'natura', visibile e verificabile, e la compresenza, invisibile e accertabile praticamente solo in una somma apertura, si scopre che la realta' di tutti e' veramente nel futuro, cioe' in una realta' liberata" (4). Contribuisce molto bene Pietro Pinna nel chiarire: "Capitini parla della compresenza come di una ipotesi di lavoro; non e' dunque una verita' scientifica da accertare razionalmente, ma da vivere attraverso atti di apertura. Il primo atto di questa apertura e' quello che riconosce il Tu (che e' un Tu di tutti), unito al soggetto in eterno, il quale collabora alla produzione dei valori. L'aggiunta e' un posto accanto alla realta' data, tale che la sua tensione ne produce la trasformazione e il superamento verso una realta' piu' liberata, cioe' una realta' accresciuta in termini di valore" (5). Mi preme aggiungere alcune precisazioni sui termini usati da Capitini per arrivare a distinguere i passaggi che ci portano alla definizione di realta' liberata. Il valore aggiunto che permane e coesiste nel tempo, ingloba il risultato finale (il fatto concreto che ne deriva, il prodotto), che comunque tende, anche in modi nascosti e inconsapevoli, alla positivita' dell'azione, dando per scontato naturalmente che il valore e' un qualcosa di utile e vantaggioso, allo scopo di contribuire al miglioramento della vita e delle relazioni tra gli esseri viventi e che quindi fa gia' parte della realta' e la comprende. Questo ci conferma la convinzione di Capitini in merito alla sua persuasione, che la religione - o meglio religiosita' - sia una esperienza da vivere e da verificare in itinere. Naturalmente Capitini dedica alcune importanti e rigorose precisazioni rispetto all'aggiunta di valore che ogni essere vivente, ma in particolare si riferisce all'essere umano, inevitabilmente comporta gia' con la sua stessa nascita. Molti uomini non agiscono in virtu' del miglioramento del benessere delle societa' nelle quali vivono, e sembrano non avere l'intenzione di ascoltare le parti positive, che inevitabilmente, secondo la convinzione capitiniana, portano dentro di se'. Secondo Capitini una parte che tende al bene, un apporto buono, positivo, da coltivare, in realta' lo possiedono anche le creature piu' malvagie; il problema e' che non lo sanno, sono vittime inconsapevoli di se stesse, ma occorre coltivare l'apporto che va elaborato e trasformato e che dovra' permanere in eterno. Non e' possibile sapere perche' e secondo quale criterio esistono personalita' decisamente negative, violente e corrotte; in questo senso Capitini parla di una assenza del giudizio sulla loro nascita e sulle modalita' attraverso le quali si sviluppa il male che da esse deriva durante la loro vita e che entra in relazione con la vita di altri. Ma non e' altresi' possibile non ammettere nessuna regola di valutazione, anzi le norme sono d'obbligo e anche le singole considerazioni sull'agire quotidiano e sulle intenzioni. In sostanza Capitini arrivera' ad affermare con assoluta chiarezza e certezza che il giudizio sul singolo operato rimane sempre, ed e' indispensabile quanto inevitabile proprio per distinguere il bene dal male: l'ampio respiro di cui Capitini parla e' la capacita' e la possibilita' di concepire che anche l'essere piu' abbietto, ha le potenzialita', anche se occultate, di partecipare ad una dimensione piu' allargata ed eterna, dentro la quale e' possibile una evoluzione proficua del danno in valore aggiunto. La base di partenza necessaria per arrivare ad ammettere questa evenienza risiede nella premessa che non e' la compresenza dei viventi e dei morti e del loro eterno apporto che persegue un pensiero all'insegna di una ampia apertura, ma al contrario occorre ideare un vasto spiraglio iniziale per arrivare ad intuire una ipotesi di lavoro che preveda la teoria della compresenza. * Note 1. Aldo Capitini, Religione aperta, Neri Pozza, Vicenza, seconda edizione, pp. 11-13. 2. Aldo Capitini, Religione aperta, op. cit., pp. 11-13. 3. Aldo Capitini, La compresenza dei morti e dei viventi, op. cit., p. 19. 4. Aldo Capitini, Educazione aperta, La Nuova Italia, Firenze 1967, vol. 1, pp. 82-96. 5. Conversazione con Pietro Pinna, Firenze, agosto 2008. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'opp ressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 615 del 21 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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