La domenica della nonviolenza. 186



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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 186 del 19 ottobre 2008

In questo numero:
1. Aldo Capitini: La mia opposizione al fascismo
2. Danilo Dolci ricorda Aldo Capitini
3. Osvaldo Caffianchi: Da Capitini, a quarant'anni dalla scomparsa

1. ALDO CAPITINI: LA MIA OPPOSlZlONE AL FASCISMO
[Nuovamente riproponiamo il seguente articolo di Aldo Capitini
originariamente apparso su "Il ponte", anno XVI, n. 1, gennaio 1960,
disponibile anche nel sito www.aldocapitini.it e nel sito
www.nonviolenti.org
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899, antifascista e perseguitato,
docente universitario, infaticabile promotore di iniziative per la
nonviolenza e la pace. E' morto a Perugia nel 1968. E' stato il piu' grande
pensatore ed operatore della nonviolenza in Italia. Opere di Aldo Capitini:
la miglior antologia degli scritti e' (a cura di Giovanni Cacioppo e vari
collaboratori), Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita, Manduria 1977 (che
contiene anche una raccolta di testimonianze ed una pressoche' integrale -
ovviamente allo stato delle conoscenze e delle ricerche dell'epoca -
bibliografia degli scritti di Capitini); recentemente e' stato ripubblicato
il saggio Le tecniche della nonviolenza, Linea d'ombra, Milano 1989; una
raccolta di scritti autobiografici, Opposizione e liberazione, Linea
d'ombra, Milano 1991, nuova edizione presso L'ancora del Mediterraneo,
Napoli 2003; e gli scritti sul Liberalsocialismo, Edizioni e/o, Roma 1996;
segnaliamo anche Nonviolenza dopo la tempesta. Carteggio con Sara Melauri,
Edizioni Associate, Roma 1991; e la recente antologia degli scritti (a cura
di Mario Martini, benemerito degli studi capitiniani) Le ragioni della
nonviolenza, Edizioni Ets, Pisa 2004. Presso la redazione di "Azione
nonviolenta" (e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org)
sono disponibili e possono essere richiesti vari volumi ed opuscoli di
Capitini non piu' reperibili in libreria (tra cui i fondamentali Elementi di
un'esperienza religiosa, 1937, e Il potere di tutti, 1969). Negli anni '90
e' iniziata la pubblicazione di una edizione di opere scelte: sono fin qui
apparsi un volume di Scritti sulla nonviolenza, Protagon, Perugia 1992, e un
volume di Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, seconda edizione
ampliata, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998. Piu' recente
e' la pubblicazione di alcuni carteggi particolarmente rilevanti: Aldo
Capitini, Walter Binni, Lettere 1931-1968, Carocci, Roma 2007 e Aldo
Capitini, Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Opere su Aldo
Capitini: oltre alle introduzioni alle singole sezioni del sopra citato Il
messaggio di Aldo Capitini, tra le pubblicazioni recenti si veda almeno:
Giacomo Zanga, Aldo Capitini, Bresci, Torino 1988; Clara Cutini (a cura di),
Uno schedato politico: Aldo Capitini, Editoriale Umbra, Perugia 1988;
Fabrizio Truini, Aldo Capitini, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole (Fi) 1989; Tiziana Pironi, La pedagogia del nuovo di Aldo Capitini.
Tra religione ed etica laica, Clueb, Bologna 1991; Fondazione "Centro studi
Aldo Capitini", Elementi dell'esperienza religiosa contemporanea, La Nuova
Italia, Scandicci (Fi) 1991; Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per
una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini,
Pisa 1998, 2003; AA. VV., Aldo Capitini, persuasione e nonviolenza, volume
monografico de "Il ponte", anno LIV, n. 10, ottobre 1998; Antonio Vigilante,
La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini, Edizioni del
Rosone, Foggia 1999; Pietro Polito, L'eresia di Aldo Capitini, Stylos, Aosta
2001; Federica Curzi, Vivere la nonviolenza. La filosofia di Aldo Capitini,
Cittadella, Assisi 2004; Massimo Pomi, Al servizio dell'impossibile. Un
profilo pedagogico di Aldo Capitini, Rcs - La Nuova Italia, Milano-Firenze
2005; Andrea Tortoreto, La filosofia di Aldo Capitini, Clinamen, Firenze
2005; Marco Catarci, Il pensiero disarmato. La pedagogia della nonviolenza
di Aldo Capitini, Ega, Torino 2007; cfr. anche il capitolo dedicato a
Capitini in Angelo d'Orsi, Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi,
Torino 2001; per una bibliografia della critica cfr. per un avvio il libro
di Pietro Polito citato; numerosi utilissimi materiali di e su Aldo Capitini
sono nel sito dell'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini:
www.aldocapitini.it, altri materiali nel sito www.cosinrete.it; una assai
utile mostra e un altrettanto utile dvd su Aldo Capitini possono essere
richiesti scrivendo a Luciano Capitini: capitps at libero.it, o anche a
Lanfranco Mencaroni: l.mencaroni at libero.it, o anche al Movimento
Nonviolento: tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it o anche redazione at nonviolenti.org, sito:
www.nonviolenti.org]

Non e' facile elevarsi su quel patriottismo scolastico che ci coglie proprio
nel momento, dai dieci ai quindici anni, in cui cerchiamo un impiego
esaltante delle nostre energie, una tensione attiva e appoggiata a miti ed
eroi.
Quaranta anni successivi di esperienza in mezzo ad una storia
movimentatissima ci hanno ben insegnato due cose: che la devozione alla
patria deve essere messa in rapporto e mediata con ideali piu' alti e
universali; che la nazione e' una vera societa' solo in quanto risolve i
problemi delle moltitudini lavoratrici nei diritti e nei doveri, nel potere,
nella cultura, in tutte le liberta' concretamente e responsabilmente
utilizzabili.
Quella "patria" che la scuola ci insegno', che era del Foscolo e del
Carducci, e diventava del D'Annunzio e del Marinetti, non poteva essere il
centro di tutti gli interessi; e percio' potei essere nazionalista tra i
dieci e i quindici anni, ma non poi restarlo quando vidi la guerra in
rapporto, meno con la nazione, e piu' con l'umanita' sofferente e divisa;
quando dalla letteratura vociana e di avaguardia salii (da autodidatta e
piu' tardi che i coetanei) alla piu' strenua, vigorosa, e anche filologica
classicita', vista nei testi latini, greci e biblici, come valori originali;
quando portai la riflessione politica, precoce ma intorbidata dall'attivismo
nazionalistico, ad apprezzare i diritti della liberta' e l'apertura al
socialismo come cose fondamentali, insopprimibili per qualsiasi motivo.
Umanitario e moralista, tutto preso dalla ricostruzione della mia cultura
(eseguita tardi ma con consapevolezza) e anche dal dolore fisico, il
dopoguerra 1918-'22 mi trovo' del tutto estraneo al fascismo, anche se avevo
coetanei che vi erano attivissimi: non sentii affatto l'impulso ad
accompagnarmi con loro. Anzi, mi permettevo nella mia indipendenza, di
leggere la "Rivoluzione liberale", di offrire lieto il mio letto ad un
assessore socialista cercato dagli squadristi, e la mattina della "Marcia su
Roma" sentii bene che non dovevo andarci, perche' era contro la liberta'.
Certo, per chi e' stato, purtroppo (e purtroppo dura ancora), educato a quel
tal patriottismo scolastico, per chi non ha potuto nell'adolescenza non
assorbire del dannunzianesimo e del marinettismo, qualche volta il fascismo
poteva sembrare un qualche cosa di energico, di impegnato a far qualche
cosa; e comprendo percio' le esitazioni e le cadute di tanti miei coetanei,
che hanno come me press'a poco gli anni del secolo.
Se io fui preservato e salvato per opera di quell'evangelismo
umanitario-moralistico e indipendente, per cui non ero diventato ne'
cattolico (pur essendo teista) ne' fascista, e preferii rinunciare alla
politica attiva, a cui pur da ragazzo tendevo, scegliendo un lavoro di
studio, di poesia, di filosofia, di ricerca religiosa; tanti altri, anche
per il fatto di essere stati in guerra (io ero stato escluso perche'
riformato), lungo il binario del patriottismo, del combattentismo, dello
squadrismo, videro nel fascismo la realizzazione di tutto.
Queste mie parole sono percio' un invito a diffidare del patriottismo
scolastico, che puo' portare a tanto e a giustificare tanti delitti, e un
proposito di lavorare per un'educazione ben diversa. Questa e' dunque la
prima esperienza che ho vissuto in pieno: ho potuto contrastare al fascismo
fin dal principio perche' mi ero venuto liberando (se non perfettamente) dal
patriottismo scolastico; esso fu uno degli elementi principalmente
responsabili dell'adesione di tanti al fascismo.
*
Ed ora vengo alla seconda esperienza fondamentale. Si capisce che mentre il
fascismo si svolgeva, quasi insensibile com'ero alla soddisfazione
"patriottica", mi trovavo contrario alla politica estera ed interna. Per
l'estero io ero press'a poco un federalista, e mi pareva che un'unione
dell'Italia, Francia, Germania (circa centocinquanta milioni di persone)
avrebbe costituito una forza viva e civile, anche se l'Inghilterra fosse
voluta rimanere per suo conto; ma ci voleva uno spirito comune, che, invece,
il nazionalismo fece rovinare. Ebbi sempre un certo rispetto per la Societa'
delle Nazioni; e mi pareva che l'Italia avesse avuto molto col Trattato di
Versailles, malgrado le strida dei nazionalisti. Approvavo il lavoro di
Amendola e degli altri per un patto con gli Jugoslavi, che ci avrebbe
risparmiato tante tragedie e tante vergogne.
Per la politica interna la Milizia in mano a Mussolini, il delitto
Matteotti, la dittatura e il fastidio, a me lettore e raccoglitore di vari
giornali, che dava la lettura di giornali eguali, l'avversione che sentivo
per il saccheggio e la distruzione e l'abolizione di tutto cio' che era
stata la vita politica di una volta, le Camere del lavoro, le varie sedi dei
partiti, le logge massoniche; mi tenevano staccato dal fascismo.
Sapevo degli arresti, delle persecuzioni. Dov'era piu' quel bel fermento di
idee, quella vivacita' di spirito di riforme che avevo vissuto dal '18 al
'24? Quanti libri liberi, riviste ("Conscientia" per esempio, che conservavo
come preziosa), erano finiti! L'Italia che avrebbe dovuto riformarsi in
tutto, era ora affidata ad un governo reazionario e militarista! E io
ricordavo il mio entusiasmo per le amministrazioni socialiste: come seguivo
quella di Milano, quella di Perugia, mia citta'!
Non ero iscritto a nessun partito, non partecipavo nemmeno, preso da altro,
alla dialettica politica, ma le amministrazioni socialiste mi parevano una
cosa preziosa, con quegli uomini presi da un ideale, umili di condizione, e
"diversi", la' impegnati ad amministrare per tutti.
Sicche' ero contrario al regime, e la seconda esperienza fondamentale lo
confermo': fu la Conciliazione del febbraio del '29.
Non ero piu' cattolico dall'eta' di tredici anni, ma ero tornato ad un
sentimento religioso sul finire della guerra, e lo studio successivo, anche
filosofico e storico sulle origini del cristianesimo, di la' dalle leggende
e dai dogmi mi aveva concretato un teismo di tipo morale.
Guardando il fascismo, vedevo che lo avevano sostenuto in modo decisivo due
forze: la monarchia che aveva portato con se' (piu' o meno) l'esercito e la
burocrazia; l'alta cultura (quella parte vittima del patriottismo
scolastico) che aveva portato con se' molto della scuola. C'era una terza
forza: la Chiesa di Roma. Se essa avesse voluto, avrebbe fatto cadere,
dispiegando una ferma non collaborazione, il fascismo in una settimana.
Invece aveva dato aiuti continui. Si venne alla Conciliazione tra il governo
fascista e il Vaticano.
La religione tradizionale istituzionale cattolica, che aveva educato gli
italiani per secoli, non li aveva affatto preparati a capire, dal '19 al
'24, quanto male fosse nel fascismo; ed ora si alleava in un modo profondo,
visibile, perfino con frasi grottesche, con prestazione di favori
disgustose, con reciproci omaggi di potenti, che deridevano alla " scuola
liberale " e ai "conati socialisti", come cose oramai vinte! Se c'e' una
cosa che noi dobbiamo al periodo fascista, e' di aver chiarito per sempre
che la religione e' una cosa diversa dall'istituzione romana.
Perche' noi abbiamo avuto da fanciulli un certo imbevimento di idee e di
riti cattolici, che sono rimasti la', nel fondo nostro; ed anche se si e'
studiato, e si sanno bene le ragioni storiche, filosofiche, sociali, anche
religiose, per cui non si puo' essere cattolici, tuttavia ascoltando suonare
le campane, vedendo l'edificio chiesa, incontrando il sacerdote, uno
potrebbe sempre sentire un certo fascino.
Ebbene, se si pensa che quelle campane, quell'edificio, quell'uomo possono
significare una cerimonia, un'espressione di adesione al fascismo, basta
questo per insegnare che bisogna controllare le proprie emozioni, non farsi
prendere da quei fatti che sono "esteriori" rispetto alla doverosita' e
purezza della coscienza.
La Chiesa romana credette di ottenere cose positive nel sostenere il
fascismo, realmente le ottenne. Ma per me quello fu un insegnamento intimo
che vale piu' di ogni altra cosa. Non aver visto il male che c'era nel
fascismo, non aver capito a quale tragedia conduceva l'Italia e l'Europa,
aver ottenuto da un potere brigantesco sorto uccidendo la liberta', la
giustizia, il controllo civico, la correttezza internazionale; non sono
errori che ad individui si possono perdonare, come si deve perdonare tutto,
ma sono segni precisi di inadeguatezza di un'istituzione, ancora una volta
alleata di tiranni.
Fu li', su questa esperienza che l'opposizione al fascismo si fece piu'
profonda, e divenne in me religiosa; sia nel senso che cercai piu' radicale
forza per l'opposizione negli spiriti religiosi-puri, in Cristo, Buddha, S.
Francesco, Gandhi, di la' dall'istituzionalismo tradizionale che tradiva
quell'autenticita'; sia nel senso che mi apparve chiarissimo che la
liberazione vera dal fascismo stesse in una riforma religiosa, riprendendo e
portando al culmine i tentativi che erano stati spenti dall'autoritarismo
ecclesiastico congiunto con l'indifferenza generale italiana per tali cose.
Vidi chiaro che tutto era collegato nel negativo, e tutto poteva essere
collegato nel positivo. Mi approfondii nella nonviolenza. Imparai il valore
della noncollaborazione (anzi lo acquistai pagandolo, perche' rifiutai
l'iscrizione al partito, e persi il posto che avevo); feci il sogno che gli
italiani si liberassero dal fascismo noncollaborando, senza odio e strage
dei fascisti, secondo il metodo di Gandhi, rivoluzione di sacrificio che li
avrebbe purificati di tante scorie, e li avrebbe rinnovati, resi degni
d'essere, cosi' si', tra i primi popoli nel nuovo orizzonte del secolo
ventesimo.
Divenni vegetariano, perche' vedevo che Mussolini portava gli italiani alla
guerra, e pensai che se si imparava a non uccidere nemmeno gli animali, si
sarebbe sentita maggiore avversione nell'uccidere gli uomini.
*
Nel lavoro di suscitamento e collegamento antifascista, svolto da me dal
1932 al 1942, sta la terza esperienza fondamentale: il ritrovamento del
popolo e la saldatura con lui per la lotta contro il fascismo. Figlio di
persone del popolo, vissuto in poverta' e in disagi, con parenti tutti
operai o contadini, i miei studi (vincendo un posto gratuito universitario
nella Scuola normale superiore di Pisa) ed anche i primi amici non mi
avevano veramente messo a contatto con la classe lavoratrice nella sua
qualita' sociale e politica.
Anche se da ragazzo ascoltavo con commozione le musiche di campagna che il
primo maggio sonavano di lontano l'Inno dei lavoratori, di la' dal velo
della pioggia primaverile, non conoscevo bene il socialismo. Avevo visto dal
mio libraio le edizione delle opere di Marx e di Engels annerite dagli
incendi devastatori dei fascisti milanesi alla redazione dell'"Avanti!", ma,
preso da altro lavoro, non le avevo studiate.
Accertai veramente la profondita' e l'ampiezza del mondo socialista nel
periodo fascista, quando le possibilita' di trovare documentazioni e libri
(lo sappiano i giovani di ora, che se vogliono possono andare da un libraio
e acquistare cio' che cercano) erano di tanto diminuite, ma c'era, insieme,
il modo di ritrovare i vecchi socialisti e comunisti, che erano rimasti
saldi nella loro fede, veramente "fede" "sostanza di cose sperate ed
argomento delle non parventi", malgrado le botte, gli sfregi, la poverta',
le prigioni, le derisioni degli ideali e dei loro rappresentanti uccisi
("con Matteotti faremo i salsicciotti") e sebbene vedessero che le persone
"dotte" erano per Mussolini e il regime.
Ritrovare queste persone, unirsi con loro di la' dalle differenze su un
punto o l'altro dell'ideologia, festeggiare insieme il primo maggio magari
in una soffitta o in un magazzino di legname, andare insieme in campagna una
domenica (che per il popolo e' sempre qualche cosa di bello), e talvolta
anche in prigione: nella lotta contro il fascismo si formo' questa unione,
che non fu soltanto di persone e di aiuto reciproco, ma fu studio,
approfondimento, constatazione degli interessi comuni dei lavoratori e degli
intellettuali contro i padroni del denaro e del potere: si apriva cosi
l'orizzonte del mondo, l'incontro di Occidente e Oriente in nome di una
civilta' nuova, non piu' individualistica ne' totalitaria.
*
Questo io debbo al fascismo, ma in quanto ebbi, direi la Grazia, o interni
scrupoli o ideali che mi portarono all'opposizione. Opponendomi al fascismo,
non per cose di superficie o di persone o di barzellette, ma pensando
seriamente nelle sue ragioni, nella sua sostanza, nel suo esperimento e
impegno, non solo me ne purificavo completamente per cio' che potesse
essercene in me, ma accertavo le direzioni di un lavoro positivo e di una
persuasione interiore che dovevo continuare a svolgere anche dopo.
Il fascismo aveva unito in un insieme tutto cio' contro cui dovevo lottare
per profonda convinzione, e non per caso, per un un male che mi avesse
fatto, per un'avversione o invidia verso persone, o perche' avessi trovato
in casa o presso maestri autorevoli un impulso antifascista. Nulla di questo
ebbi, ed anche percio' ad un'attiva opposizione con propaganda non passai
che lentamente e dopo circa un decennio.
Posso assicurare i giovani di oggi che il mio rifiuto fu dopo aver sentito
le premesse del fascismo proprio nell'animo adolescente, e dopo averle
consumate; sicche' i fascisti mi apparvero dei ritardatari. Ero arrivato al
punto in cui non potevo accettare:
1, il nazionalismo che esasperava un riferimento nazionale e guerriero a
tutti i valori, proprio quando ero convinto che la guerra avrebbe indebolito
l'Europa, e che la nazione dovesse trovare precisi nessi con le altre;
2, l'imperialismo colonialistico, che, oltre a portare l'Italia fuori dalla
sua influenza in Europa, nei Balcani e a freno della Germania, era un metodo
arretrato, per la fine del colonialismo nel mondo;
3, il centralismo assolutistico e burocratico con quel far discendere tutto
dall'alto (per giunta corrotto), mentre io ero decentralista, regionalista,
per l'educazione democratica di tutti all'amministrazione e al controllo;
4, il totalitarismo, con la soppressione di ogni apporto di idee e di
correnti diverse, si' che quando parlavo ai giovanissimi della vecchia
possibilita' di scegliersi a vent'anni un partito, che aveva sue sedi e sua
stampa, sembrava che parlassi di un sogno, di un regno felice sconosciuto;
5, il prepotere poliziesco, per cui uno doveva sempre temere parlando ad
alta voce, conversando con ignoti, scrivendo una lettera, facendo un
telefonata;
6, quel gusto dannunziano e quell'esaltazione della violenza, del manganello
come argomento, dello spaccare le teste, del pugnale, delle bombe a mano, e,
infine, l'orribile persecuzione contro gli ebrei;
7, quel finto rivoluzionarismo attivista e irrazionale sopra un sostanziale
conservatorismo, difesa dei proprietari, di cio' che era vecchio e perfino
anteriore alla rivoluzione francese;
8, quell'alleanza con il conservatorismo della chiesa, della parrocchia,
delle gerarchie ecclesiastiche, prendendo della religione i riti e il lato
reazionario, affratellandosi con i gesuiti, perseguitando gli ex-sacerdoti;
9, quel corporativismo con una insostenibile parita' tra capitale e lavoro
che si risolveva in una prigione per moltitudini lavoratrici alla merce' dei
padroni in gambali ed orbace;
10, quel rilievo forzato e malsano di un solo tipo di cultura e di
educazione, quella fascista, e il traviamento degli adolescenti, mentre ero
convinto che della libera produzione e circolazione delle varie forme di
cultura una societa' nazionale ha bisogno come del pane;
11, quell'ostentazione di Littoria e altre poche cose fatte, dilapidando
immensi capitali, invece di affrontare il rinnovamento del Mezzogiorno e
delle Isole;
12, l'onnipotenza di un uomo, di cui era facile vedere quotidianamente la
grossolanita', la mutevolezza, l'egotismo, l'iniziativa brigantesca, la
leggerezza nell'affrontare cose serie, gli errori e la irragionevolezza
impersuadibile, mentre ero convinto che il governo di un paese deve il piu'
possibile lasciare operare le altre forze e trarne consigli e
collaborazione, ed essere anonimo, grigio anche, perche' lo splendore stia
nei valori puri della liberta', della giustizia, dell'onesta', della
produzione culturale e religiosa, non nelle persone, che in uniforme o no,
nel governo o a capo dello Stato, sono semplicemente al servizio di quei
valori.
*
Percio' il fascismo, nel problema dell'Italia di educarsi a popolo onesto,
libero, competente, corretto, collaborante, mi parve un potenziamento del
peggio e del fondo della nostra storia infelice, una malattia latente
nell'organismo e venuta fuori, l'ostacolo che doveva, per il bene comune,
essere rimosso, non in un modo semplicemente materiale, ma prendendo precisa
e attiva coscienza delle ragioni per cui era sbagliato, e trasformando in
questo lavoro se' e persuadendo gli altri italiani.

2. DANILO DOLCI RICORDA ALDO CAPITINI
[Nuovamente riproponiamo questa poesia, del ciclo "Sopra questo frammento di
galassia", che abbiamo estratto da Danilo Dolci, Poema umano, Einaudi,
Torino 1974 (nuova edizione aumentata), pp. 187-188. Ne esistono altre
versioni, poiche' come e' noto Danilo Dolci nel suo costante maieutico
ricercare frequentemente ripensava e riscriveva i suoi testi (cfr., ad
esempio, la versione sensibilmente piu' breve in Idem, Creatura di creature.
Poesie 1949-1978, Feltrinelli, Milano 1979, p. 92).
Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43
dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di
Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale
(Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente
contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'.
Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di
massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del
1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica
scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento"
ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e
botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il
28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver
lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a
Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu'
povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio
al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la
denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si
impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la
costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a
Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le
disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro
intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2
febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di
disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una
strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958)
si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione".
Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare
questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza
sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del
fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle
accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della
vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo
Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino
1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli
attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto
Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a
Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci
e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a
processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo
metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita'
preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E'
convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento,
dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non
nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi
libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga,
impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere
e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico
sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi
nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di
alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di
costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro
economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che
faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento
di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per
tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno
necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni,
per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte
successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di
migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile;
l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e
cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile.
Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce
l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per
valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno
educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre
connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando
di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti
internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto,
frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con
numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla
distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci
evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi
al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di
effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione
capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della
complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone
"all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a
tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco
adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu'
recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra
esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica
e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge
della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30
dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo
spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel
portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita".
Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento
segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e
di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di
poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di
riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988;
La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996.
Recentissimo e' il volume che pubblica il rilevante carteggio Aldo Capitini,
Danilo Dolci, Lettere 1952-1968, Carocci, Roma 2008. Tra le opere su Danilo
Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana
Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica
di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della
pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della
nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante
& Descartes, Napoli 2000, 2004 (un lavoro fondamentale); Lucio C. Giummo,
Carlo Marchese (a cura di), Danilo Dolci e la via della nonviolenza,
Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2005; Raffaello Saffioti, Democrazia e
comunicazione. Per una filosofia politica della rivoluzione nonviolenta,
Palmi (Rc) 2007. Tra i materiali audiovisivi su Danilo Dolci cfr. i dvd di
Alberto Castiglione: Danilo Dolci. Memoria e utopia, 2004, e Verso un mondo
nuovo, 2006. Tra i vari siti che contengono molti utili materiali di e su
Danilo Dolci segnaliamo almeno www.danilodolci.it, danilo1970.interfree.it,
www.danilodolci.toscana.it, www.inventareilfuturo.com, www.cesie.org,
www.nonviolenti.org, www.fondodanilodolci.it]

Ne sento il vuoto.
Era morto un bimbo, di fame:
recline sulle braccia della madre gialla,
il latte trovato in farmacia scivolava sulle labbruzze
inerti - era tardi.
Terribilmente semplici avevamo deciso
di metterci al posto del piccolo, uno dopo l'altro,
fin che non si apriva lo spiraglio del lavoro
per tutti: nella stanza terrana del vallone
tra la gente stupita (curiosavano i piccoli
il prete era sparito,
il medico e i notabili tentavano velare
con la parola intossicazione
per continuare a parassitare tranquilli il paese,
i giovani meditavano,
mi piangevano i vecchi - perche', tu? -,
sentivo, sotto, un pozzo senza fondo)
dopo giorni la postina e' venuta
con una lettera, di uno sconosciuto,
firmata Aldo Capitini.

Poi l'ho incontrato, in alto nella torre
del Comune a Perugia,
la dimora del padre campanaro:
era impacciato a camminare
ma enormemente libero e attivo,
concentrato ma aperto alla vita di tutti,
non ammazzava una mosca
ma era veramente un rivoluzionario,
miope ma profeta.

3. OSVALDO CAFFIANCHI: DA CAPITINI, A QUARANT'ANNI DALLA SCOMPARSA
[Ringraziamo il nostro buon amico Osvaldo Caffianchi per questo intervento]

Da Capitini ho imparato questo:
che adesso e' l'ora che devi resistere,
non aspettare che comincino altri
sii tu a dare inizio a cio' che e' giusto.

Da Capitini ho imparato questo:
che vince chi non cessa di persistere
nel vero, il giusto, il buono e non dimentica
che la misericordia salva il mondo.

Da Capitini ho imparato questo:
che tutto e' da salvare e che mai nulla
di cio' che e' buono e' inutile o va perso
il bene resta bene eternamente.

Da Capitini ho imparato questo:
che quel che conta e' mettersi in cammino
e la buona battaglia ovunque attende
te, proprio te; non perdere altro tempo.

Da Capitini ho imparato questo:
le molte vie, le molte lingue, i molti
diversi volti ad una stessa cosa
convocan tutti: al dono della pace.

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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it
Numero 186 del 19 ottobre 2008

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