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Minime. 612
- Subject: Minime. 612
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 18 Oct 2008 01:00:29 +0200
- Importance: Normal
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 612 del 18 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Sommario di questo numero: 1. Proseguono le stragi di civili 2. Annamaria Rivera: Razzismo in cattedra 3. Arrigo Quattrocchi ricorda Giuseppe Di Stefano 4. Benedetto Vecchi ricorda Joseph Weizenbaum 5. Lorenzo Ferrero: Igor Strawinsky 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. AFGHANISTAN. PROSEGUONO LE STRAGI DI CIVILI [Dal sito di "Peacereporter" (www.peacereporter.net) riprendiamo il seguente articolo del 16 ottobre 2008 col titolo "Afghanistan, 25 civili uccisi da bombe Nato vicino a Lashkargah"] Altri venticinque civili afgani, tra cui donne e bambini, sarebbero rimasti uccisi oggi in un bombardamento aereo della Nato nei pressi di Lashkargah, nella provincia meridionale di Helmand, dove da giorni i talebani hanno lanciato un'offensiva tesa alla conquista della citta'. Il capo della polizia della provincia, Assadullah Shirzad, ha dichiarato all'agenzia France Press che "forze straniere hanno bombardato oggi edifici nel distretto di Nad Ali e molti civili sono stati uccisi, tra i quali donne e bambini. Ho visto io stesso diversi corpi portati da abitanti nella capitale della provincia". Testimoni raggiunti telefonicamente dall'Afp hanno affermato che 25 civili sono stati uccisi nel bombardamento. Un abitante del distretto, Abdul Rahim, ha dichiarato che "in totale 25 persone sono morte. Abbiamo lasciato i corpi di 16 persone davanti all'ufficio del governatore della provincia, a Lashkargah, in segno di protesta". I portavoce della missione Nato Isaf hanno dichiarato di non essere in grado di "confermare le vittime civili" ma di aver ordinato un'inchiesta sull'accaduto. 2. RIFLESSIONE. ANAMARIA RIVERA: RAZZISMO IN CATTEDRA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 16 ottobre 2008 col titolo "Razzismo in cattedra"] In una collettivita' nazionale che non ha mai brillato per spirito e rigore "repubblicani", la scuola pubblica e' uno dei rari luoghi in cui si pratica un certo rispetto dei principi costituzionali, in primis il diritto all'istruzione e alla non-discriminazione. E' anche una delle poche istituzioni che non hanno chiuso gli occhi di fronte alla pluralizzazione culturale crescente della societa' italiana, attrezzandosi per affrontarla sul piano educativo e culturale. Oggi tutto questo appare lontano come la luna, di fronte al radicale salto di paradigma costituito dalla mozione approvata dalla Camera. La norma che istituisce le classi differenziali per gli alunni stranieri che non superino test e prove varie e' certo la ciliegina sulla torta di una "riforma" dell'istruzione di squisita marca reazionaria. Discriminare alunni di origine "non autoctona" (e chi di noi lo e'?) in base al criterio dell'imperfetta conoscenza della lingua italiana non e' solo disconoscere la primaria funzione integrativa della scuola. E' un gesto revisionista che cancella la storia che ha fondato la scuola pubblica in Italia: storia d'integrazione e di emancipazione d'innumerevoli generazioni "native" di ragazzi poveri, ignoranti, non-parlanti l'italiano; una storia che tuttora garantisce il diritto all'istruzione anche al ragazzo che parla solo il dialetto di Cassano Magnago o di Vittorio Veneto. In realta', l'allontanamento, simbolico e reale, dalla scuola pubblica dei figli degli altri e' qualcosa di piu' di una ciliegina sulla torta: e' un tassello pesante nella costruzione di un paese del razzismo reale. Un paese che non corre solo il rischio d'essere percorso da un'endemica e disseminata guerra fra poveri. Questa formula puo' finire per diventare luogo comune frusto e consolatorio: le guerre fra poveri si ricompongono lavorando "per l'unita' della classe", come recita la vulgata marxista, e per un processo cosi' lungo c'e' sempre tempo... Puo' ridursi a luogo comune, se non si comprende che si e' gia' compiuta la saldatura fra il razzismo di Stato e il razzismo popolare. Essa e' stata resa possibile non solo dal ruolo svolto dai media, ma soprattutto dagli apprendisti stregoni che, trastullandosi con il paradigma securitario, hanno spalancato le porte dell'inferno del razzismo istituzional-popolare. Continuiamo a confidare nella capacita' di ravvedimento della sinistra politica, benche' il corteo nazionale dell'"orgoglio comunista", per quanto imponente, non lasci intravedere l'elaborazione di contenuti, ne' una massiccia inclusione nei suoi ranghi delle vittime reali e potenziali del razzismo. E dunque speriamo che, di fronte a norme che mirano a stravolgere il senso e la funzione di istituzioni-pilastro della democrazia, qualcuno a sinistra cominci a comprendere il senso strategico della battaglia contro il razzismo e per i diritti dei migranti. Va detto chiaro a chi ancora si attarda a fare distinguo: l'Italia governata dispoticamente da Berlusconi e pervertita dall'ideologia nazistoide della Lega Nord, resa piu' temibile dal culto dell'ignoranza, sta per diventare un paese strutturalmente razzista: un paese del razzismo reale, appunto. 3. LUTTI. ARRIGO QUATTROCCHI RICORDA GIUSEPPE DI STEFANO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 marzo 2008 col titolo "Addio a Di Stefano, voce e passione" e il sommario "Il grande tenore e' morto a 86 anni. Fece coppia artistica e sentimentale con Maria Callas"] Non si era mai ripreso dall'aggressione subita, nel dicembre 2004, nella sua casa in Kenya, dove risiedeva d'inverno, ed era rimasto da allora in condizioni gravissime. Giuseppe Di Stefano si e' spento ieri mattina alle 5 nella sua abitazione presso Como, a ottantasei anni; scompare con lui uno degli artisti piu' amati dell'opera italiana, protagonista indiscusso di molte stagioni alla Scala e al Metropolitan, nonche' grande divo del mercato discografico. Nato presso Catania e cresciuto a Milano, Di Stefano debutto' in Svizzera durante la guerra e, subito dopo il conflitto, si affermo' in Italia, trionfando alla Scala nel 1947 nella Manon di Massenet. Le caratteristiche della sua voce sono gia' tutte nella registrazione di quella serata: il timbro morbido, chiaro e dolce, la dizione perfetta e soprattutto una volonta' di comunicare emozioni attraverso il canto che sviluppera' in seguito con esiti non sempre positivi. Le sue qualita', anche sceniche e interpretative, gli schiudono le porte del Metropolitan, dove canta, acclamatissimo, per quattro stagioni successive; Toscanini lo vuole nel 1951 per la celebrazione del cinquantenario verdiano, con l'esecuzione della Messa da Requiem alla Carnegie Hall. Nel 1952 Di Stefano torna in Italia, dove diviene uno dei piu' osannati divi della Scala; nella sala del Piermarini canta, nel dicembre di quell'anno, nella Gioconda accanto a Maria Meneghini Callas, che aveva gia' incontrato in Brasile; doveva imporsi cosi' una partnership teatrale ma piu' ancora discografica; con il rapido sviluppo del mercato del microsolco la coppia Callas-Di Stefano firma in esclusiva per la Emi e viene contrapposta, con una serratissima serie di pubblicazioni, alla coppia Tebaldi-Del Monaco, legata alla Decca. Piu' difficile la collaborazione sul palcoscenico, fatta di rivalita'; nel 1954 Di Stefano affronta accanto alla Callas la Lucia di Lammermoor di Donizetti, sotto la direzione di Karajan, ma l'anno seguente abbandona dopo una sola recita la storica produzione della Traviata con la regia di Visconti. Il genio e la sregolatezza si ritrovano anche nella sua tecnica vocale, che segue l'istinto del cantare "aperto", ossia con una emissione non ortodossa, che consente un grande trasporto espressivo ma a lungo andare compromette la tenuta vocale. E infatti il declino e' precoce, e gia' alla fine degli anni Cinquanta Di Stefano, proiettato verso un repertorio troppo pesante per i suoi mezzi (Forza del destino, Aida, Turandot) mostra un organo vocale usurato, che non perde smalto e varieta' nei magnifici centri, ma rende periglioso ogni acuto. Di qui i ripetuti forfait che segnano l'ultimo periodo della sua carriera. All'inizio degli anni Settanta un rinnovato connubio, anche nella vita, con Maria Callas dara' luogo a una ultima malinconica tournee in giro per il mondo. Eppure la stella di Pippo Di Stefano e' destinata a brillare, nei dischi di opera come in quelli di canzoni, come quella di una vera icona del canto italiano. 4. LUTTI. BENEDETTO VECCHI RICORDA JOSEPH WEIZENBAUM [Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 marzo 2008 col titolo "Joseph Weizenbaum. Il critico dei pensieri al silicio" e il sommario "La morte del pioniere dell'intelligenza artificiale che non amava lo scientismo della computer science"] E' stato uno dei pionieri della computer science e il suo nome e' legato a un programma informatico (Eliza) preso a modello di un possibile sviluppo verso la costruzione di macchine informatiche "intelligenti". La morte di Joseph Weizenbaum, avvenuta la scorsa settimana a Berlino, e' stata pero' pressoche' ignorata, forse a causa del carattere schivo e riservato dello studioso di origine tedesca. La biografia di Joseph Weizenbaum puo' essere catalogata nel numeroso "file" degli ebrei in fuga dal nazismo che, dopo essere approdati negli Stati Uniti, hanno contribuito alla costruzione della leadership americana nella computer science, lavorando per anni nel prestigioso laboratorio del Massachusetts Institute of Technology. Oppure come lo scienziato che critico' fortemente lo scientismo dominante nei laboratori universitari impegnati nello sviluppo di programmi di intelligenza artificiale; o a prendere posizione contro il programma di guerre stellari del presidente Ronald Reagan; o a stigmatizzare il comportamento dei "vagabondi informatici", cioe' quegli hacker troppo spesso interessati solo a dimostrare il loro virtuosismo nella programmazione e indifferenti alle conseguenze della loro azioni. Posizione che sara' smentita dalla crescita dei movimenti del free software e dell'open source e che lo porteranno a modificare il suo punto di vista. Nato a Berlino nel 1923, Joseph Weizenbaum fuggi', assieme alla famiglia, dalla Germania nazista nel 1936. Negli Stati Uniti si laureo' in matematica. Ma e' alla fine della seconda guerra mondiale che i suoi interessi si indirizzano verso la nascente computer science. Sono gli anni in cui nasce la Societa' americana di cibernetica, che ha come soci fondatori Marvin Minsky, Herbert Simon, John McCarty, mentre il Pentagono comincia a investire centinaia di milioni di dollari nello sviluppo nella computer science. Nel 1950 Weizenbaum lavora alla Wayne University e contribuisce a costruire il primo computer digitale. Il suo nome resta tuttavia legato a "Eliza", un programma informatico che simula il dialogo tra uno psicoanalista e una sua paziente, per poi presentarsi come la dimostrazione della fattibilita' del test di Turing, in base al quale due esseri parlanti posti in due stanze diverse comunicano tra loro attraverso dei biglietti, se un osservatore esterno considera plausibili le risposte e le affermazione dei partecipanti alla comunicazione e uno di essi e' una macchina, quella macchina e' "intelligente". La notorieta' del programma porto' Weizenbaum a scrivere alcuni saggi fortemente critici verso le tesi di chi riteneva possibile riprodurre l'intelligenza umana con un computer. La sua critica all'intelligenza artificiale fu espressa compiutamente nel saggio "Computer Power and Human Reason". Nel libro Weizenbaum invita i "professionisti del computer" a una analisi critica del loro operato. I "professionisti del computer", affermava lo studioso, hanno infatti una responsabilita' sociale a cui non si possono sottrarre in nome del progresso scientifico. Da qui nasce l'impegno nell'associazione "Computer professional for social responsability" e nei gruppi pacifisti americani, fino alla presa di posizione contro il programma di guerre stellari. 5. PROFILI. LORENZO FERRERO: IGOR STRAWINSKY [Dal mensile "Letture", n. 582, dicembre 2001, col titolo "Igor Strawinsky" e il sommario "Nato presso San Pietroburgo nel 1882, morto a New York nel 1971, e' il compositore che ha saputo esprimere la modernita'. Cominciando con l'esplorare la propria terra. E' sepolto a Venezia, accanto a Diaghilev"] Venezia, cimitero dell'isola di San Michele, campo 14 detto "dei greci", dove riposano gli ortodossi. Poco dopo la sua morte a New York nel 1971 e' stato sepolto qui Igor Strawinsky, accanto alla moglie Vera. Poco distante, la tomba del grande organizzatore e mecenate Sergej Diaghilev, fondatore dei mitici Ballets Russes, il motivo per cui Stravinskij ha voluto essere sepolto a Venezia. Da trent'anni, la vicinanza delle tombe segnala uno dei piu' grandi sodalizi del '900. La fortuna internazionale di Stravinskij e' dovuta alle tournees dei Ballets Russes, alle loro fastose messe in scena per le quali Diaghilev ricorreva al meglio dell'arte moderna, e insieme proponeva la piu' antica e profonda anima russa. Ballerini e coreografi leggendari, da Nijinskij a Massine, al giovane Balanchine, hanno lavorato per lui. E le partiture scritte per i Ballets Russes rimangono fra le piu' amate, le piu' eseguite, le piu' studiate di Strawinsky. Era nato il 17 giugno del 1882, a Lomonosov, presso San Pietroburgo. Suo padre era il miglior basso del Teatro Marinskij. Una famiglia di musicisti dunque, e di prim'ordine. La sua prima composizione nota e' una tarantella per pianoforte scritta a 16 anni. A vent'anni era pronto per andare a studiare col grande Rimskij-Korsakov, il genio del colore orchestrale, e ottimo didatta, che attirava studenti da tutto il mondo, non ultimo il nostro Respighi. La San Pietroburgo dell'inizio del '900 era la piu' cosmopolita citta' russa. Perfino Verdi era gia' venuto fin qui, per la prima della Forza del Destino, scritta per il Teatro Marinskij. Assieme alle merci circolavano le idee. Accanto ai grandi compositori russi (Ciaikovskij, Borodin, Glazunov) studiati con Rimskij-Korsakov, il giovane Strawinsky avrebbe presto messo le mani su Debussy e Dukas, con un certo dispiacere del suo maestro. Finita la tutela divenuta un po' ingombrante di Rimskij-Korsakov, Strawinsky, gia' conosciuto per qualche brillante partitura come lo Scherzo fantastique e i Feux d'artifice del 1908, e' apprezzato da Diaghilev, che con straordinario intuito, dopo una prima prova con l'orchestrazione di musiche di Chopin, gli commissiona un balletto importante, L'uccello di fuoco. E' il 1910. Coi Ballets Russes Strawinsky va a Parigi. Torna a San Pietroburgo, torna a Parigi, poi in Svizzera, dove affittera' una casa dall'amico direttore d'orchestra Ernest Ansermet. In questi anni scrive altri due capolavori, Petrushka (1911) e La sagra della primavera (1913). La prima guerra mondiale lo obbliga a una sorta di esilio volontario in Svizzera, mentre i Ballets Russes sospendono la loro attivita'. Le proprieta' di famiglia non rendono piu', e saranno poi confiscate dalla rivoluzione. Per Strawinsky comincia una nuova vita (non sarebbe tornato in Russia fino al 1962) che lo avrebbe portato alla cittadinanza francese prima e a quella americana poi, per via dell'altra grande guerra. Una vita di emigrante, anche in senso culturale, dalla piu' forte e caratteristica matrice russa alle avventure intellettuali del neoclassicismo, fino al tardo approdo al serialismo. * Che fare con la rivoluzione? Sarebbe improprio considerarla una scelta obbligata. Come per ogni russo, si trattava di decidere che partito prendere di fronte alla rivoluzione, che per la verita' faceva ponti d'oro agli artisti di fama. Ma probabilmente a Strawinsky interessava di piu' la prospettiva di vivere al centro del fervore intellettuale del suo tempo, accanto ai Picasso, ai Cocteau, all'amico Ravel, nella Parigi degli anni '20. Nei tre grandi balletti ricordati, Strawinsky mostra i principali elementi del suo inconfondibile stile. La costruzione musicale procede piu' per associazione di idee che per una continuita' di sviluppo come la conosciamo dai grandi classici di area germanica. Non c'e' nemmeno il tentativo di dissimulare gli scarti di pensiero, anzi i contrasti sono il suo punto di forza, e vengono sottolineati dal ritmo, incalzante, complesso e talvolta barbarico (La sagra della primavera) e dal colore orchestrale, usato con una capacita' di invenzione che lascia sbalorditi. In molti sensi Strawinsky e' un grande innovatore e un grande esploratore. Molti aneddoti accompagnano lo scandalo della prima della Sagra della primavera, compreso quello, poco attendibile per la verita', che vede il vecchio Saint-Saens andarsene all'inizio, seccato per non aver riconosciuto lo strumento che suona le prime note (il fagotto). In realta' Strawinsky ha chiarito che l'esecuzione in forma di concerto pochi giorni dopo fu gia' un grande successo. Per molti anni le straordinarie innovazioni musicali hanno lasciato in ombra altri aspetti non meno importanti di questi lavori. Il principale e' la grande quantita' di elementi melodici di origine popolare russa, piu' evidenti e proposti letteralmente in L'uccello di fuoco e in Petrushka, meno nella Sagra della primavera. In questo senso Strawinsky si dimostra l'erede del suo maestro e del gruppo di compositori (fra cui Musorgskij) che si erano riproposti di esaltare le tradizioni popolari anziche' rifarsi ai modelli occidentali. Nello stesso tempo la melodia popolare si presenta in Strawinsky come ricordo, come ancoraggio per la memoria, o piu' spesso ancora come accento di una lingua materna dal contorno inconfondibile e nello stesso tempo non riconducibile a una fonte precisa. In questo modo tornano i conti anche con l'altro grande pilastro della sua formazione, Ciaikovskij, che rimaneva russo quanto piu' voleva essere occidentale. Non meno importanti sono il senso del grottesco e del sarcastico, molto forti nella cultura russa (basti pensare al Naso di Gogol'), particolarmente evidenti nelle sonorita' apparentemente sgangherate e stridenti, ma in realta' frutto di una acutissima sensibilita' orchestrale, di Petrushka. L'ascolto in concerto delle suites tratte da questi balletti e' sempre una grande emozione che difficilmente puo' essere eguagliata dall'ascolto discografico a causa della dinamica messa in gioco dagli imponenti mezzi orchestrali. E infatti queste pagine, come poche altre scritte successivamente, sono tuttora fra le piu' eseguite. Come e' quasi inevitabile per ogni compositore che abbia messo a segno lavori cosi' importanti e gia' maturi, gli anni successivi segnano un momento di ricerca che prende varie direzioni. Si va da brani ispirati al folklore dei canti e dei racconti popolari russi alla curiosita' per il nascente jazz (Ragtime del 1918 e Piano Rag-Music del 1919), a quello straordinario unicum che e' L'histoire du soldat del 1918. E' una semplice narrazione affidata a un attore e all'accompagnamento di pochi strumenti, e da un certo punto di vista e' la solita storia di qualcuno che vende l'anima, sotto forma di violino, al diavolo. Fu scritta, nei magri anni della guerra, nella speranza di raggranellare qualche soldo. Ma e' un miracolo musicale di invenzione, di freschezza, di sintesi che trova ben pochi paragoni, anche se nel corso del Novecento ha trovato molte imitazioni, alcune piu' esplicite di altre. E soprattutto rappresenta per noi l'occasione per fare almeno un'osservazione: il compositore che gia' aveva legato la sua fama ai grandi mezzi orchestrali si dimostra un maestro anche con pochissimi strumenti. Non soltanto per necessita', ma anche per ragioni piu' profonde. In questi anni sviluppa infatti uno stile piu' secco, spesso ironico, in cui si accentua la propensione per le singole linee musicali e per la sottile varieta' ritmica, in cui viene cancellata ogni traccia di sentimentalismo e persino di gestualita' romantica. Alla grande orchestra, nel senso dei primi balletti, non sarebbe piu' tornato, anche se avrebbe impiegato ancora, nominalmente, gli stessi mezzi. Avrebbe semmai preferito scegliere un gruppo limitato di colori, come le percussioni, o gli strumenti a fiato, o successivamente i soli archi. Gli anni della guerra gli danno l'occasione per coltivare un nuovo modo di essere. Gli fanno scoprire qualcosa di se' che non avrebbe piu' abbandonato. Nella Parigi degli anni '20 e '30 la fine della prima guerra mondiale aveva segnato l'inizio della modernita'. Una modernita' elegante, ironica, antisentimentale, disincantata, fatta di movimento, di lucidita' di linee e di simmetrie. Non l'esaltazione della macchina e dei motori e quel pericoloso debole per la guerra del nostro futurismo. E soprattutto non il senso di dissoluzione dei valori, di dolorosa perdita che a Vienna aveva accompagnato la fine dell'impero. Le avanguardie parigine non piangono sul passato, cercano piuttosto di reiventarlo e di dargli una nuova prospettiva. E se il romanticismo, anche quello musicale, per molti era tutt'uno coi costumi e le idee antiquate del secolo precedente, allora bisognava liberarsene, e se proprio si voleva guardare indietro, era meglio guardare a tempi piu' antichi, alle forme solari del barocco. * L'entusiasmo per "Parade" Se il cubismo puo' in pittura rendere al meglio l'idea dello spirito della Parigi intellettuale di quegli anni, il cosiddetto neoclassicismo musicale lo rappresenta perfettamente. Parigi era ricca di musicisti non meno che di pittori. Fra i piu' giovani compositori si era formato il gruppo detto dei Nouveaux Jeunes, successivamente passato alla storia come Gruppo dei Sei. Li aveva uniti fra le altre cose l'entusiasmo per il balletto Parade di Satie, presentato nel 1917 dai rinati Ballets Russes con le scene di Pablo Picasso. Satie aveva molti piu' anni di loro, ma da tempo predicava la semplicita' dello stile e ironizzava sull'enfasi romantica. Aveva finalmente trovato dei seguaci nella piu' giovane generazione, che contava talenti quali Milhaud, Poulenc, Honegger, Auric. E questi ultimi avevano trovato in Jean Cocteau il loro mentore letterario. Oggi sappiamo che Milhaud e Poulenc, ad esempio, avevano talenti e vocazioni diverse. Ma allora era piu' facile vedere i punti di contatto: rifarsi alla musica barocca condendola di pungenti dissonanze, ironizzare sull'espressivita' della musica mettendo in musica cataloghi di macchine agricole e scrivendo opere di pochi minuti, coltivare la musica da ballo e flirtare col jazz, rivisitare ironicamente la musica popolare delle fiere, dei balli, dei circhi. Per via delle inevitabili semplificazioni della storia, tutto cio' passa sotto il nome di neoclassicismo. Forse perche' l'aspetto piu' evidente e' la rivisitazione del barocco e del primo classicismo, forse perche' un po' tutti all'epoca ne hanno sentito l'esigenza (anche Prokof'ev scrive nel 1917 una Sinfonia Classica, ispirata ad Haydn). Ma il termine con cui per convenzione si definiscono trent'anni e piu' di vita musicale racchiude numerosi rischi. A parte la riduzione a un solo aspetto di fermenti che andavano in direzioni molto diverse, la percezione che allora si aveva del barocco era molto diversa da quella attuale. Allora si pensava che i meccanismi contrappuntistici del barocco, l'assenza di cambiamenti di tempo all'interno di uno stesso brano, l'alternanza di piani dinamici priva di sfumature intermedie e di "crescendo" ne facessero una musica "oggettiva", contrapposta all'emotivita' del tardo romanticismo. Lo sguardo all'indietro portava a rivalutare i meccanismi della convenzione (recitativi, arie, cabalette) in contrasto con la ricerca della verita' drammatica in nome della quale il romanticismo li aveva abbattuti. Non a caso il movimento francese aveva un parallelo in Germania che si dichiarava "nuova oggettivita'". Non c'era, o sarebbe emerso molto piu' tardi, uno spirito di recupero del passato come rifiuto della modernita'. Si tendeva piuttosto a credere che la modernita' stesse appunto nel sottrarre una eccessiva espressivita' alla musica, e come corollario una eccessiva liberta' agli interpreti, a cui non era piu' concesso di prendersi le abbondanti liberta' sul testo che ancora erano diffusissime (basti ascoltare le vecchie incisioni di Chopin suonate dal grande Cortot) e spesso e volentieri sfioravano il cattivo gusto. Su questo sfondo, parallelo e sicuramente maggioritario rispetto agli sviluppi dell'espressionismo proposti a Vienna da Schoenberg e dalla sua scuola, Strawinsky si muove a suo agio. La componente intellettualistica del neoclassicismo gli era senz'altro piu' congeniale rispetto a Prokof'ev e al piu' giovane Sostakovic. Tuttavia la sua avventura musicale presenta aspetti personalissimi. * Pulcinella e Pergolesi Nel 1920 spiazza e affascina con Pulcinella - un balletto dichiaratamente basato su musiche di Pergolesi (anche se l'attribuzione si e' successivamente dimostrata dubbia), anzi annunciato dal cartellone dell'Opera come di Pergolesi, arrangiato e orchestrato da Strawinsky. Non si limita qui a mimare qualche movenza del barocco: lo prende di petto. Lo rielabora con la consueta abilita' orchestrale, ma soprattutto spinge le linee musicali verso dissonanze che hanno il sapore inconfondibile e l'acredine della modernita', perentoriamente sottolineata, alla prima esecuzione, dalle scene di Pablo Picasso. Nel 1928, con Apollon Musagete l'operazione si ripete senza il ricorso esplicito a una fonte esterna, ma con una sorta di identificazione con lo spirito sontuoso ed elegante, nonche' con la soave fatuita' della musica di Lully. La nuova concezione coreografica di Balanchine, fatta di eleganti simmetrie, completa perfettamente l'opera. Ma nel mezzo, nel 1923, sta Le noces, una celebrazione della cerimonia e della festa nuziale popolare russa. Qui riecheggia il canto popolare. Tuttavia oltre al coro e alle voci, poco e' concesso al colore orchestrale, che infatti, dopo vari ripensamenti, si annulla nel trattamento percussivo dei pianoforti e nell'uso delle percussioni stesse. E ancora, nel 1928, con Le baiser de la fee si evoca addirittura l'esorcizzato fantasma del romanticismo, con un omaggio inatteso al grande Ciaikovskij, basato su una favola di Andersen. Vi si dimostra, con una operazione per qualche verso simile a quella compiuta su Pergolesi, che lo sguardo sul passato puo' estendere la propria oggettivita', e una certa disinvolta cleptomania, su qualunque elemento possa avere una valenza e un uso nel presente. "Objet trouve'" avrebbe detto Duchamp, operazione postmoderna si direbbe oggi. Chi volesse cercare espressioni dirette del neoclassicismo, le puo' agevolmente trovare nei pezzi per pianoforte (Sonata, del 1924, Serenata in La, del 1925, Concerto per pianoforte e strumenti a fiato, timpani e contrabbassi, del 1924). Presenti nei repertori concertistici meno di quanto meriterebbero, sono composizioni gradevolissime e argute, in cui forse l'oggettivita' della scrittura arriva quasi a dare l'impressione della mancanza di un'autentica ispirazione. Non cosi' Oedipus rex, opera-oratorio, su testo di Cocteau. Preceduta dalla gustosa Mavra del 1922 basata su un testo di Puskin, e dal piu' antico Rossignol del 1914 che molto risente dei lavori favolistici di Rimskij, questo lavoro del 1927 rompe con ogni luogo comune del melodramma, come ancora allora era comunemente inteso. La stessa scelta del testo latino, e piu' ancora la scansione a forme chiuse, propone un teatro che non e' piu' fatto di lacrime per la morte di eroine innamorate e di eroici tenori, ma una drammatica e vivace sacra rappresentazione. Le movenze neoclassiche sono qui talmente ben assimilate che volentieri dimentichiamo la loro origine storica, ma ci limitiamo ad assistere affascinati a un dramma che e' tanto piu' efficace nell'effetto quanto meno lo ricerca. La portata di questo lavoro non e' ancora stata pienamente apprezzata. Forse non e' un caso che la prima rappresentazione sia stata in forma di concerto. L'esperimento si sarebbe ripetuto con Persephone, del 1933, su testo di Gide, ma con minore efficacia. * La "Carriera del libertino" L'altro grande capolavoro teatrale sarebbe arrivato piu' tardi, con la Carriera del libertino, su cui torneremo. Difficile dire se per la volonta' di mantenere un legame con la propria patria e la propria storia, o per una maturazione della coscienza, fatto sta che in questi anni Strawinsky si riavvicina sempre di piu' alla religione ortodossa. Nel 1930 scrive la Sinfonia dei Salmi, altro indiscusso capolavoro. Qui siamo lontani ormai dal neoclassicismo divertito e disinvolto, anche se gli elementi di base del linguaggio sono ormai quelli. Ma e' talmente assimilato e fatto proprio che ce ne dimentichiamo, ancor piu' che in Oedipus rex. La Sinfonia dei Salmi e' preceduta da un Pater Noster (1926), seguono un Credo (1932), una Ave Maria (1934). Seguira' ancora una Messa (1948). Come e' facile immaginare, il sentimento religioso non e' esibito romanticamente come tormento dell'individuo di fronte a Dio, ma e' contemplazione serena, perfino aliena dagli eccessi del misticismo. Musicalmente, Strawinsky guarda ancora piu' indietro, ai cori grandiosi e arcaici del Cinque-Seicento e, nello stesso tempo, alla semplicita' dei mezzi, che vanno dal solo coro al coro con ottoni per sottolineare l'omaggio al veneziano Gabrieli nella Messa. Tra i numerosi altri lavori, il bachiano Dumbarton Oaks Concerto (Concerto in mi bemolle, del 1936), la Sinfonia in do (1940), l'elegante balletto Jeu de cartes (1936), o il divertente Ebony Concerto (1945) scritto per il clarinettista Benny Goodman. Possiamo solo rispettosamente notare una certa stanchezza delle soluzioni, quasi un manierismo di se stesso, quale si incontra in numerosi compositori appena raggiunta la piena padronanza di un linguaggio. Il neoclassicismo degli anni Venti aveva del resto da tempo esaurito la sua spinta propulsiva e ognuno era andato per la sua strada. Il tempo della Parigi centro di vita intellettuale si esaurisce con l'invasione nazista. Strawinsky, come tanti altri, si rifugia in America, in quella stessa Hollywood dove risiedevano Schoenberg e Thomas Mann. Qualche anno dopo avrebbe preso la cittadinanza americana, assieme alla seconda moglie Vera (la prima moglie Ekaterina era morta nel 1939, lo stesso anno della madre). La terza cittadinanza ci fornisce anche l'occasione per soffermarci sulla grafia del cognome, che troviamo in varie versioni: Strawinsky, Stravinsky, Stravinski, Stravinskij. Anche quando si firmava in cirillico Strawinsky non usava la doppia i finale caratteristica di molti cognomi russi. Quanto alla w pare che l'avesse introdotta negli anni europei per evitare che i tedeschi trasformassero la v in f, dicendo Strafinski. Ma la w in America si leggeva ui e il cognome diventava Strauinski. Torno' percio' la v, ma ormai la w era troppo diffusa. Quanto alla i finale, si puo' preferire la piu' comune y, ma la doppia i (per convenzione dell'Unesco translitterata in ij) e' sicuramente sbagliata. A Hollywood non mancarono, come e' prevedibile, proposte per musica da film. Ma l'industria cinematografica e le sue leggi non erano fatte per lui. Alcune idee per musica da film si possono ascoltare nella Sinfonia in tre movimenti (1945). Negli anni americani matura un capolavoro operistico, un'improvviso colpo di coda del neoclassicismo si potrebbe dire, ma la definizione e' riduttiva perche' nella Carriera del libertino, rappresentata per la prima volta alla Biennale di Venezia del 1951, l'intera storia della musica si mette al servizio delle luci e delle ombre di una vicenda settecentesca (ispirata da incisioni di Hogarth) che vede l'ascesa e la rovina di un giovanotto privo di scrupoli. Il testo del grande poeta Wystan Auden, con la collaborazione di Chester Kallman, si rifa' con intelligenza alla librettistica settecentesca, e in particolare alla favola morale: come nel Don Giovanni, alla morte del protagonista tutti i personaggi ne chiariscono al pubblico il significato etico. L'importanza di quest'opera non sta soltanto nella sua riuscita, e nella naturalezza con cui il neoclassicismo si sposa con l'ambientazione. Sta soprattutto nel fatto che, come Oedipus rex, indica in modo convincente una strada per l'opera del futuro, non basata sulla ricerca di una comunque improbabile verita' drammatica a discapito della forma musicale, ma attestata sulla ricchezza delle forme e sul rinnovato interesse per il belcanto. E nel dire opera del futuro non pensiamo soltanto alle opere nuove, molte delle quali scritte fino ai giorni nostri confermano la visione strawinskiana pur non contenendo riferimenti neoclassici (basti pensare alle opere di Philip Glass), ma anche alla riscoperta del Settecento e del primo Ottocento che sarebbe seguita di li' a pochi anni. Al di la' della piacevolezza di molte pagine non e' affatto un'opera facile. La complessita' dei riferimenti e' una sfida per la memoria e per l'intelligenza che intimidisce l'ascoltatore e non gli permette di abbandonarsi completamente al piacere dell'ascolto. Nel momento stesso in cui rappresenta la summa dello Strawinsky neoclassico, ne conferma il limite che consiste nell'essere spesso musica "al quadrato", incapace di raggiungere un'immediata comunicativa. Anche se e' da un bel pezzo acqua passata, vale la pena di ricordare a questo proposito un libro che per molti anni e' stato una sorta di vangelo per la generazione di compositori attiva nell'immediato dopoguerra, La filosofia della musica moderna (1949) di Theodor Adorno. In questa complessa trattazione il filosofo e sociologo tedesco confronta i due grandi poli di attrazione del secolo, Strawinsky e Schoenberg, attribuendo al primo e alla sua rinuncia all'espressivita' (conseguente alla "oggettivita'" dei procedimenti neoclassici) un'adesione acritica e "reificata" alla modernita', e al secondo l'abilita' di mantenere viva la capacita' dell'arte di essere coscienza critica e rappresentazione delle contraddizioni interne del mondo contemporaneo e di tutti i suoi orrori. La polarizzazione del libro intorno ai due autori e' anche il suo punto debole. Oggi conosciamo meglio, ammesso che la polarizzazione sia giustificata, infinite sfumature intermedie rappresentate da altri compositori. E dal momento che da tempo non e' piu' il manifesto di nessuno schieramento, si possono rileggere con serenita' le numerose e acute osservazioni su Strawinsky e forse anche trovare indizi per capire come mai, pur essendo tuttora il compositore piu' ammirato del secolo scorso, la sua musica, eccettuati i primi balletti e alcuni altri lavori, tende a lasciare progressivamente il posto nei programmi di concerto ad altri compositori che a meta' del secolo scorso facevano probabilmente meno notizia, ma che oggi amiamo sempre di piu', primo fra tutti Prokof'ev. Durante la composizione della Carriera del libertino Strawinsky trova un attivo collaboratore e assistente in Robert Craft, giovane direttore d'orchestra che, oltre a rendersi indispensabile (anche eccessivamente, secondo alcuni), stimola in lui un certo interesse per Schoenberg e ancor piu' per Webern e i suoi procedimenti contrappuntistici, il cui arcaismo non era poi cosi' lontano dalla crescente attenzione di Strawinsky per la musica rinascimentale. Umilmente Strawinsky si avvicina al serialismo con alcune brevi composizioni per pochi strumenti, che tuttavia sorprendono e spiazzano tutti coloro che l'avevano considerato fino ad allora il portabandiera della tradizione. E nel 1957 ci lascia un lavoro straordinario, Agon, un balletto senza soggetto e senza storia, affidato alle linee purissime della coreografia dell'amico Balanchine. Agon si avvale di una orchestra grande quasi quanto quella dei primi balletti. Ma le sonorita' sono distillate e centellinate per piccoli gruppi di strumenti. Ascoltandolo con orecchie lontane dalle polemiche di un tempo, non ci importa se e quanto si tratti di musica seriale. L'importante e' che da quei suoni rarefatti emerge una forza espressiva che gli anni del neoclassicismo ci avevano quasi fatto dimenticare. Non e' l'irruenza giovanile dei primi balletti, ma ha la calma e la saggezza di chi ha visto molto e di cio' che ha visto ci vuole consegnare, con passione, il meglio. * Attivo fino a 84 anni Strawinsky e' stato musicalmente attivo fino al 1966, a 84 anni, continuando a esplorare la scrittura seriale. Se un punto comune si puo' trovare fra le sue ultime composizioni, questo e' il tema biblico (Canticum sacrum, 1955, Threni, 1958, A Sermon, a Narrative and a Prayer, 1961, The Flood, 1962, Abraham and Isaac, 1963, Requiem Canticles, 1966). Oggi, a trent'anni dalla morte, una ricorrenza che e' stata inevitabilmente oscurata dal centenario verdiano, possiamo cominciare a chiederci che cosa ci ha lasciato. Alcuni fra i grandi capolavori del secolo scorso, questo e' certo. Sicuramente una immensa lezione di artigianato musicale, che copre ogni possibile mezzo della tradizione classica. Soprattutto forse la testimonianza per certi versi dolorosa della affermazione della modernita' attraverso la rinuncia all'espressione, attraverso l'annullamento del soggetto che si limita ad affacciarsi fra le pieghe dello stile. Ma possiamo anche rimandare di qualche decennio la domanda, perche', come e' sempre accaduto, ogni secolo successivo ribalta inesorabilmente i valori di quello precedente non appena raggiunge una propria autonoma identita'. * Il figlio del "basso" conquista il mondo 1882 Il 17 giugno nasce a Lomonosov presso San Pietroburgo, figlio del noto basso Fiodor Ignatievic, primo basso al Teatro Marinskij. 1904-1908 Studia con Rimskij-Korsakov. 1908 Incontra Sergej Diaghilev che gli commissiona Les Sylphides (da Chopin) per i Ballets Russes, i famosi Balletti Russi. 1910 Primo viaggio a Parigi, insieme con i Ballets Russes. 1910-13 Prime de L'uccello di fuoco, di Petrushka e della Sagra della primavera. 1914 La prima guerra mondiale lo costringe a rifugiarsi in Svizzera. 1918 Scrive L'histoire du soldat. 1920 Prima di Pulcinella. 1923 Prima de Les noces. 1926 Torna a frequentare la Chiesa ortodossa russa. 1934 Prende la cittadinanza francese. 1936 Pubblica Chroniques de ma vie. 1939 Muoiono la madre e la prima moglie Ekaterina. Si risposera' anni dopo con Vera Sudeikina, conosciuta nel 1921. 1942 Pubblica Poetique musicale. 1945 Prende la cittadinanza americana e rinnova il copyright della maggior parte dei suoi lavori, affidandoli all'editore Boosey and Hawkes. 1951 Prima della Carriera del libertino. 1957 Compone Agon. 1962 Torna in Russia dopo 48 anni per una trionfale tournee. 1971 Il 6 aprile muore a New York. * Dischi da cercare Quasi tutta la musica di Strawinsky, precedentemente affidata alle Editions Russes de Musique, e' stata ripubblicata dopo il 1947 da Boosey and Hawkes, New York-London. Alcune composizioni sono edite da Chester, London. La discografia e' in continuo aggiornamento, e non e' difficile trovare qualche offerta anche in edicola. I piu' grandi direttori, da Ansermet a Berstein, da Abbado a Chailly hanno interpretato i capolavori di Strawinsky. Lo stesso autore ha inciso quasi tutta la sua musica. Apparsa in vinile nel 1972, e' stata riproposta in cd da Sony Classical nel 1992 col titolo Stravinskij-The Edition. Per una ricerca completa sulla discografia si puo' consultare: Igor Stravinsky, The Composer in the Recording Studio. A Comprehensive Discography, compiled by Philip Stuart, Greenwood Press, Westport, Conn. 1991. * Libri "di" e "su" Igor Stravinsky - Robert Craft, Colloqui con Stravinsky, Einaudi, 1977. Igor Strawinskij, Cronache della mia vita, Feltrinelli, 1979. Giampiero Tintori, Stravinski, Edizioni Accademia, 1979. E. W. White, Stravinskij, Mondadori, 1983. Gianfranco Vinay, Stravinsky neoclassico, Marsilio, 1987. Massimo Mila, Compagno Stravinsky, Einaudi, 1983. Andre' Boucourechliev, Stravinsky, Rusconi, 1984. Gianfranco Vinay (a cura di), Stravinskij, Il Mulino, 1992. Theodor W. Adorno, La filosofia della musica moderna, Einaudi, 1959. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.miritalia.org; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at libero.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 612 del 18 ottobre 2008 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione). 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